IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza di rimessione alla corte costituzionale di questione di legittimita' sollevata in via incidentale. Ritenuto in fatto In data 29 ottobre 2002, Pilip Adam veniva da personale della Polfer di Roma Ostiense tratto in arresto in ordine al reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286 del 1998, come inserito dall'art. 13, della legge n. 189 del 2002. Condotto all'udienza del 30 ottobre 2002 innanzi a questo giudice per la convalida ed il contestuale giudizio direttissimo, udita la relazione dell'agente operante e sentito l'arrestato, il pubblico ministero richiedeva la convalida dell'arresto, senza applicazione di misure coercitive, non consentite in relazione al titolo del reato, il difensore dell'arrestato chiedeva che venisse sollevata questione di legittimita' costituzionale del comma 5-quinquies del decreto legislativo n. 286 del 1998, anch'esso inserito dall'art. 13, della legge n. 189 del 2002, per violazione degli artt. 3, 25 e 27 Cost. Il tribunale si riservava in ordine alla proponibilita' della questione, e conseguentemente riservava la decisione sulla convalida dell'arresto, disponendo comunque la remissione in liberta' dell'arrestato, e rinviava all'odierna udienza. Considerato in diritto 1. - Ritiene il tribunale che vada sollevata questione di legittimita' costituzionale del comma 5-quinquies, dell'art. 14 del decreto legislativo n. 286 del 1998, come inserito dall'articolo 13, della legge n. 189 del 2002, nella parte in cui prevede che per il reato previsto dal precedente comma 5-ter e' obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto e si procede con rito direttissimo, dubitando della conformita' di tale disciplina rispetto agli artt. 13 e 3, Cost. 2. - Preliminarmente, osserva il tribunale come la questione sia tuttora rilevante nel presente giudizio. Invero, la remissione in liberta' dell'arrestato, prima del giudizio sulla convalida (che a sua volta presuppone lo scioglimento della questione relativa alla conformita' costituzionale o meno della disciplina dettata dal legislatore con riferimento all'arresto obbligatorio per tale reato), e' stata determinata dalla circostanza che - non avendo chiesto il pubblico ministero alcuna misura cautelare personale nei confronti dell'arrestato, peraltro comunque non applicabile in ragione del titolo di reato - l'eventuale convalida dell'arresto avrebbe prodotto esclusivamente l'effetto di accertare la legittimita' dell'operato della polizia giudiziaria che all'arresto aveva proceduto, non potendo comunque la mera convalida costituire valido titolo per la protrazione della limitazione della liberta' personale del Pilip. D'altro canto, codesta Corte costituzionale ha gia' ritenuto che laddove il giudice a quo sollevi questione di legittimita' costituzionale in relazione alla disciplina dettata per la convalida dell'arresto, avendo rimesso in liberta' l'arrestato (nella specie in quanto non potevano essere rispettati piu' i termini di cui all'art. 391, comma 7, ultimaparte, c.p.p.), la persistenza della rilevanza della questione trova ragione nell'interesse generale ad una pronuncia sulla legittimita' dell'arresto, che ha pur sempre determinato una limitazione della liberta' personale, trattandosi di stabilire le ragioni in base alla quale e' comunque avvenuta la liberazione (con effetto ex nunc se l'arresto era stato legittimamente eseguito, con efficacia ex tunc se, alla luce della pronuncia della Corte, dovesse ravvisarsi l'illegittimita' dell'arresto stesso: sent. 16 febbraio 1993, n. 54). Nel presente giudizio, deve appunto verificarsi se il periodo di privazione della liberta' personale del Pilip, arrestato, sulla base della disposizione di cui si dubita la conformita' a Costituzione, il giorno 29 ottobre 2002 alle ore 18,00, e rimesso in liberta' all'esito dell'udienza del 30 ottobre 2002, sia stato sorretto o meno da un legittimo titulus detentionis. Da cio' deriva che la questione e' ancora rilevante. 3. - Per quanto attiene alla non manifesta infondatezza della questione, nei termini che si andranno ora a precisare, va rilevato anzitutto che, secondo la disciplina dettata dal legislatore ordinario l'arresto dell'autore del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, decreto legislativo n. 286 del 1998, e' obbligatorio, non consentendo dunque ne' alla polizia giudiziaria ne', successivamente, al pubblico ministero che ne disponga la presentazione per la convalida, e quindi al giudice che debba decidere sulla convalida, alcuna valutazione di merito (a prescindere dalla sussistenza del fumus commissi delicti e del rispetto dei termini dettati dalla legge). In particolare (trattandosi di arresto obbligatorio) non e' allo stato consentita ai fini del giudizio di convalida alcuna valutazione in ordine alla concreta gravita' del fatto e alla personalita' del suo autore, sia pur in relazione agli elementi fattuali conosciuti dagli operanti al momento in cui l'arresto hanno eseguito (a differenza dei casi di arresto facoltativo: v. Cass., sez. IV, 29 settembre 2000, Mateas Ion, CED Cass., n. 218474). Ebbene, sotto un primo profilo, l'automatismo tra commissione del reato in questione ed obbligo di arresto appare a questo giudice di dubbia compatibilita' con la disciplina che la Carta fondamentale prevede all'art. 13 per la tutela della liberta' individuale. 4. - Il reato ai cui ai comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286 del 1998, sanziona la condotta dello straniero che, in violazione dell'ordine di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis (ossia quando non sia possibile ne' l'immediata espulsione, ne' il trattenimento presso un centro di permanenza temporanea, ovvero siano trascorsi i termini di permanenza), vi si trattiene senza giustificato motivo nel territorio dello Stato. La pena prevista per tale reato e' quella dell'arresto da sei mesi ad un anno, e dunque trattasi di contravvenzione. Conseguenza della configurazione del reato in oggetto quale contravvenzione e' (oltre alla sua punibilita' anche a titolo di colpa) che all'esito del giudizio di convalida non e' in alcun caso possibile l'applicazione di alcuna misura cautelare personale. Infatti, secondo la disciplina dettata nel codice di procedura penale (e non derogata nel decreto legislativo n. 286 del 1998, neppure dopo le modifiche apportate dalla legge n. 189 del 2002) nel caso in cui sia consentito l'arresto per delitto e' possibile l'applicazione di misure cautelari coercitive, anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli artt. 280 e 274, lett. c), c.p.p. (art. 391, comma 5, c.p.p.). Nel caso di specie, invece, trattandosi di contravvenzione, non puo' operare la clausola derogatoria suindicata, espressamente riferita solo ai delitti. In sintesi, la misura precautelare adottata dalla polizia giudiziaria (in via obbligatoria) non puo' mai essere seguita, neppure nei casi in cui si dovessero ravvisare particolari esigenze cautelari (ed in specie il pericolo di reiterazione della condotta), dall'applicazione di una misura coercitiva in esito al giudizio di convalida dell'arresto. 5. - L'art. 13 della Costituzione, dopo avere dichiarato l'inviolabilita' della liberta' personale, prevede che le forme di compressione della liberta' personale possono essere adottate solo per atto motivato dell'autorita' giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessita' ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorita' di pubblica sicurezza puo' adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorita' giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di effetto. A parere di questo giudice la disciplina costituzionale sembra configurare un sistema in cui il potere, di natura eccezionale, della polizia di procedere all'arresto di persona indiziata di reato opera nelle situazioni in cui non e' possibile l'intervento dell'autorita' giudiziaria (l'unica ordinariamente competente a disporre la privazione della liberta' personale). Se cosi' e', un primo motivo di dubbio in ordine alla legittimita' della disciplina in oggetto, consiste nel fatto che solo la polizia giudiziaria puo' per tale reato disporre l'arresto, senza che a cio' possa mai seguire (se non nei termini di mera convalida dell'arresto eseguito) l'atto motivato dell'autorita' giudiziaria che valga, sussistendone i presupposti, a protrarre lo stato di detenzione del soggetto arrestato in via d'urgenza dalla polizia. In tal modo, appare spezzato il nesso di strumentalita' e provvisorieta' che lega potere eccezionale e interinale di intervento della polizia ed esercizio del potere giurisdizionale di limitazione della liberta' personale. D'altro canto, anche codesta Corte, nell'affrontare la questione relativa alla mancata previsione della riparazione per ingiusta detenzione in caso di arresto o fermo non seguito da misura cautelare coercitiva (sent. 2 aprile 1999, n. 109), ha rilevato che la provvisorieta', che contraddistingue i poteri di intervento della polizia giudiziaria sulla liberta' personale (che vale ad attribuire all'arresto ed al fermo la denominazione di "precautele") non elimina la natura "custodiale" delle misure indicate. Ulteriore argomento a sostegno di tale natura sostanzialmente "custodiale" della detenzione conseguente all'arresto e precedente alla convalida sembra possa ricavarsi anche dal disposto dell'art. 121, disp.att., c.p.p. Infatti il potere-dovere del pubblico ministero di disporre l'immediata liberazione dell'arrestato senza attendere il giudizio di convalida nel caso in cui ritenga di non dovere chiedere al giudice l'applicazione di misure coercitive ha l'evidente fine di evitare al soggetto una limitazione della liberta' personale (sia pur temporalmente delimitata e soggetta a convalida) nei casi in cui non vi sara', per difetto di domanda cautelare, la possibilita' di applicazione di misure coercitive, unico titolo idoneo a protrarre la limitazione della liberta' personale. Cio', a parere di questo giudice, depone per la natura chiaramente strumentale ed anticipatoria del potere di arresto attribuito alla polizia rispetto alla tutela di esigenze cautelari all'interno del processo penale. Nel caso di specie, invece, risulterebbe attribuito esclusivamente alla polizia un potere di arrestare (obbligatoriamente), senza che tale arresto sia funzionalmente collegato ad alcuna esigenza cautelare processuale ritenuta rilevante (appunto non essendo possibile al giudice applicare alcuna misura cautelare coercitiva). D'altronde, appare anche arduo rinvenire altre esigenze (di natura extraprocessuale) a sostegno di tale potere di arresto (che comunque si fonda sul presupposto della commissione di un illecito penale ed e' inserito all'interno di un procedimento penale). Invero, trattandosi di reato avente natura permanente non appare sostenibile che l'arresto ne interrompa la consumazione, che si protrae finche' lo straniero non si allontani (spontaneamente o coattivamente) dal territorio dello Stato. Ne' puo' dirsi che l'arresto sia funzionale all'effettiva esecuzione dell'espulsione. Infatti, in primo luogo ai sensi del comma 5-ter l'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica prescinde dall'arresto e dal relativo giudizio di convalida. Per altro verso, a norma del comma 5-quinquies, in caso di arresto il questore puo' disporre i provvedimenti di cui al comma 1 dello stesso art. 14 (ossia il trattenimento presso i centri di permanenza temporanea); facolta' questa attribuita sin ab origine all'autorita' amministrativa e la cui impossibilita' di attuazione aveva determinato l'intimazione ad allontanarsi. Sempre con riferimento alla disciplina delineata dal legislatore, va rilevato che anche la previsione che in relazione all'arresto in oggetto si procede con rito direttissimo, solleva perplessita'. Non, ovviamente, in ordine alla previsione in se', chiaramente rientrante nelle scelte del legislatore, ma in riferimento all'effettiva praticabilita' di tale rito. Infatti, a norma dell'art. 121, disp. att. c.p.p., il pubblico ministero deve disporre la liberazione dell'arrestato (prima della convalida) quando "ritiene di non dover richiedere l'applicazione di misure coercitive". Ebbene nel caso di specie, l'applicazione di tale norma imporrebbe - trattandosi di reato che non consente in linea generale l'applicazione di nessuna misura coercitiva - sempre al pubblico ministero di disporre l'immediata liberazione dell'arrestato, senza attendere il giudizio di convalida. In tal caso (che come detto dovrebbe essere la regola) il giudizio direttissimo - almeno nella sua forma tipica, ossia con la presentazione dell'imputato in vinculis per la convalida ed il contestuale giudizio - non sarebbe mai possibile. Il pubblico ministero dovrebbe infatti chiedere al giudice per le indagini preliminari la convalida con l'imputato ormai libero (convalida pur sempre doverosa, ma non piu' soggetta ai termini di cui all'art. 391, c.p.p.: per tutte, si veda Cass., sez. V, 22 maggio 1998, Azemi, CED Cass., n. 213973) e successivamente disporre la citazione dello stesso dinanzi al tribunale monocratico a norma degli artt. 558 e 449, comma 4. Cio', peraltro, solo nel caso in cui la convalida intervenga a brevissima distanza di tempo dall'arresto, in quanto tale forma di giudizio direttissimo e' possibile solo se la presentazione dell'imputato (in vinculis o mediante citazione) avviene entro quindici giorni dall'arresto. Potrebbe pero' ritenersi, in considerazione della disciplina complessiva delineata e delle irrazionalita' sopra evidenziate, che il legislatore abbia inteso derogare la disciplina dell'art. 121, disp. att. c.p.p., imponendo al comma 5-quinquies in oggetto comunque la presentazione dell'imputato in stato di arresto per la convalida ed il giudizio direttissimo. Tale conclusione, cui sembra anche il pubblico ministero abbia aderito (non avendo infatti disposto l'immediata liberazione del Pilip, pur non richiedendo alcuna misura cautelare, con la specificazione che le stesse non sono in assoluto applicabili), solleverebbe ulteriori seri profili di illegittimita' costituzionale, avendo, secondo tale tesi, il legislatore dettato - solo per questo reato, perdipiu' avente natura contravvenzionale - una deroga all'operativita' di norma chiaramente ispirata al favor libertatis (e che e' applicabile in generale a tutti i delitti, anche assai gravi). Peraltro tale questione non appare nella specie rilevante, non potendo il giudice della convalida sindacare il mancato esercizio da parte del pubblico ministero della facolta' di ordinare la liberazione immediata dell'arrestato ex art. 121, disp. att. 6. - La questione appare non manifestamente infondata anche in riferimento all'art. 3, Cost. Infatti, appare al tribunale di dubbia conformita' al principio di ragionevolezza che il legislatore abbia, da un lato, configurato l'illecito in questione come mera contravvenzione (come tale non suscettibile di supportare l'applicazione di misure cautelari coercitive), e poi abbia imposto all'autorita' di polizia l'arresto obbligatorio dell'autore dello stesso, consentendo dunque una privazione della liberta' personale (sia pur in forma precautelare per una durata massima di 96 ore). Se infatti la scelta relativa alla qualificazione di una fattispecie quale delitto o contravvenzione, nonche' la determinazione della pena appartiene (fatti salvi i casi di manifesta incongruita' per eccesso) alla sfera di insindacabile scelta del legislatore, sembra che nella delineata disciplina si rinvengano profili di incongruenza difficilmente giustificabili. Invero, la natura di arresto obbligatorio impone alla polizia di procedere comunque all'arresto, indipendentemente dalla concreta gravita' del fatto (si pensi ad un ritardo di un solo giorno nell'allontanarsi dal territorio nazionale, ovvero alla difficolta' nel procurarsi i necessari documenti od il titolo di viaggio; questioni che non appaiono rilevanti in sede di convalida di arresto obbligatorio) o alla pericolosita' sociale dell'autore (ben diversa apparendo, ad esempio, la pericolosita' sociale di soggetto del tutto incensurato, od invece gravato da precedenti penali e che abbia fornito differenti generalita' all'atto dei controlli di polizia). 7. - Una previsione di arresto obbligatorio, se non sembra censurabile quando sia dettata in relazione a reati oggettivamente gravi (connotati come delitti), appare al contrario non conforme a principi di ragionevolezza se collegato alla commissione di reati (che lo stesso legislatore ritiene obiettivamente) non gravi. In tal caso, infatti, si impone una limitazione della liberta' personale (che puo' protrarsi sino a 96 ore) senza alcuna valutazione (ne' da parte della polizia che ha l'obbligo di procedere all'arresto, ne' da parte del giudice in sede di convalida) in ordine alla concreta gravita' del fatto-reato. Ritiene questo giudice che elementi a sostegno della non manifesta infondatezza della questione sollevata si rinvengano anche in alcune, sia pur risalenti, pronunce di codesta Corte. Nella sentenza n. 211 del 1975, pur rigettando la questione di legittimita' sollevata in riferimento alla previsione dell'arresto di cui all'art. 220, Tulps - in particolare per i contravventori al foglio di via obbligatorio - si e' infatti chiarito che, pur essendo legittima una deroga rispetto ai criteri generali dell'entita' obiettiva del reato e della pena edittale, l'arresto eseguito dalla polizia per tale fattispecie (contravvenzione punita con l'arresto da tre mesi ad un anno) non poteva sottrarsi alla garanzia del "controllo di legittimita' e di merito da parte dell'autorita' giudiziaria, di cui all'ultima parte del terzo comma dell'art. 13 (Cost.) e dell'art. 236 del codice di procedura penale" (disposizione quest'ultima che prevedeva appunto l'arresto facoltativo in flagranza). Ugualmente, nella sentenza n. 64 del 1977, e relativa ad una questione di legittimita' sollevata in riferimento alla previsione dell'art. 9, della legge n. 1423 del 1956 (che consentiva l'arresto dei contravventori agli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale: contravvenzione punita all'epoca con l'arresto da tre mesi ad un anno), la Corte ha rilevato che resta salvo comunque il potere-dovere dell'autorita' giudiziaria di controllare e motivare la sussistenza in concreto dei requisiti legittimanti l'intervento, di necessita' ed urgenza, della polizia. Da tali sentenze sembrerebbe doversi trarre il principio che, in relazione a fattispecie contravvenzionali punite con modeste pene detentive, l'arresto ad opera della polizia (e dunque non fondato su atto motivato dell'autorita' giudiziaria, ad es. in esecuzione di sentenza irrevocabile di condanna, ma ispirato alla salvaguardia di eccezionali ragioni di necessita' ed urgenza) sia legittimo alla condizione che possa essere valutata nel concreto la gravita' del fatto, in relazione sia alla condotta dell'autore che alla sua personalita'. In caso contrario, la limitazione della liberta' personale (nella fase precautelare) risulterebbe imposta dalla legge su di una presunzione assoluta di pericolosita' sociale dell'imputato, che appare in contrasto con la modesta gravita' del reato (cosi' come determinata dal legislatore). D'altronde, se non ci si sbaglia, l'ordinamento, pur conoscendo altre ipotesi di contravvenzioni per le quali e' previsto l'arresto, contempla per tali casi solo la facolta' per la polizia giudiziaria di trarre in arresto l'autore di reati contravvenzionali (v. l'art. 6, comma 2, d.l. 26 aprile 1993, n. 122, conv., con modificazioni, nella legge 25 giugno 1993, n. 205), dunque non configurando ipotesi di arresto obbligatorio. L'eccezione, prevista solo per il reato imputato a Pilip, appare pertanto dubbiamente compatibile con il principio di cui all'art. 3, Cost. D'altronde, un'altra ragione di perplessita', sempre con riferimento all'art. 3 della Carta fondamentale, puo' ricavarsi dalla considerazione che nel comma 5-quinquies, dell'art. 14, d.lgs. n. 286 del 1998, l'obbligo di procedere all'arresto e' previsto sia per il reato di cui al comma 5-ter, che per quello di cui al successivo comma 5-quater (che consiste nel fatto dello straniero che espulso ai sensi del comma 5-ter dallo Stato vi rientri), che ha natura delittuosa ed e' punito con la reclusione da uno a quattro anni. Ebbene, dubbiamente compatibile con il principio di uguaglianza appare prevedere l'obbligo di arresto per fattispecie cosi' diverse tra loro, in relazione alla natura del reato, alla pena edittale e alla possibilita' di applicare misure coercitive (consentita per il delitto ed esclusa per la contravvenzione). Per converso, la dubbia conformita' al principio di uguaglianza della norma in oggetto si apprezza considerando che, in riferimento al reato di cui all'art. 13, comma 13, del decreto legislativo n. 286 del 1998 (come modificato dalla medesima legge n. 189 del 2002) che punisce, con l'identica pena dell'arresto da sei mesi ad un anno, lo straniero espulso che rientri nel territorio dello Stato senza una specifica autorizzazione del Ministro dell'interno (condotta che non appare meno grave di quella oggetto del reato di cui al comma 5-ter dell'articolo 14), e' previsto l'arresto facoltativo (art. 13, comma 13-ter, decreto legislativo n. 386 del 1998). Naturalmente, tali ragioni di dubbio rispetto alla costituzionalita' della norma verrebbero meno laddove in riferimento alla contravvenzione di cui al comma 5-ter l'arresto fosse facoltativo. La facoltativita' dell'arresto - oltre ad eliminare profili di irragionevoli disparita' di trattamento rispetto alle altre ipotesi di reato descritte - tutelerebbe infatti il diritto dell'imputato a vedersi limitato nella liberta' personale solo laddove sussistano concrete ragioni (da porre a fondamento dell'arresto e verificabili da parte del giudice) che giustifichino, nel caso concreto, l'adozione della misura precautelare riferita ad ipotesi avente natura contravvenzionale. In tal modo, non si risconterebbe alcuna violazione dell'art. 3 Cost., apparendo, sotto questo profilo, a questo giudice il dubbio di legittimita' integrato non dalla previsione di una facolta' della polizia giudiziaria di procedere all'arresto (cio' rientrante nelle scelte discrezionali del legislatore), ma solo nell'automatismo commissione del reato (avente natura contravvenzionale) - obbligo di procedere all'arresto. 8. Sciogliere il dubbio se tali profili non integrino alcun vizio costituzionalmente rilevante (la disciplina positiva dettata rientrando comunque nella discrezionalita' del legislatore) ovvero, come sospetta questo tribunale, si risolvano in una violazione delle norme della Carta fondamentale suindicate, e' competenza costituzionalmente riservata a codesta Corte, alla quale dunque va rimessa la questione, che per quanto innanzi esposto appare rilevante e non manifestamente infondata.