IL TRIBUNALE

    Letti  gli  atti  relativi  all'arresto di Xhelaj Bardbxl nato in
Albania il 31 marzo 1982 e Rama Arjan nata in Albania il 14 settembre
1982;
    Entrambi compiutamente identificati a meno rilievi dattiloscopici
di polizia, osserva

                              In fatto

    Xhelaj  Bardbxl e Rama Arjan, come in atti identificati, venivano
sorpresi  dai  militari  dalla compagnia C.C. di Pontassieve alle ore
21,45  del  27 settembre 2002 in Pontassieve, nella via di Molino Del
Piano,   mentre  procedevano  a  piedi  fra  le  auto  in  sosta  con
atteggiamento  sospetto  -  a  tal  punto  che erano stati oggetto di
specifica  segnalazione  da  parte  di  cittadini  del  posto -, ed i
militari   per   tale  ragione  si  determinavano  a  procedere  alla
identificazione personale dei fermati. Entrambi i cittadini stranieri
venivano  quindi  condotti  presso l'ufficio di polizia, ove venivano
perquisiti  e identificati a meno rilievi dattiloscopici, fotografici
ed antropometrici.
    All'esito della identificazione emergeva che lo Xhelaj Bardbxl in
data  11  settembre  2002  era  stato  sottoposto  a provvedimento di
espulsione emesso dal prefetto di Pescara sotto il nome di Kaja Parid
nato  a  Valona  il 31 marzo 1982, ed il Rama Arjan risultava espulso
dal  territorio  dello  Stato  il  6 agosto 2001 ed il 20 agosto 2002
rispettivamente sotto il nome di Rapiki Elton e di Yanka Eryon.
    Entrambi  gli  imputati  avevano  evidentemente  fatto reingresso
clandestinamente nel territorio dello Stato.
    Valutate tali risultanze delle indagini i militari operanti, alle
ore  17  del  28  settembre  2002,  traevano in arresto entrambi, gli
odierni  imputati  in flagranza dei reati successivamente formalmente
contestati.
    Il  procuratore della Repubblica di Firenze, cui venivano messi a
disposizione   gli   arrestati   nel  termine  di  legge,  verificata
sommariamente  la  sussistenza  dei presupposti normativi ed in fatto
dell'arresto  eseguito, con provvedimento scritto depositato in atti,
nell'ambito  del  quale  elevava  la  imputazione,  ne richiedeva nel
termine  di  legge la convalida, esclusivamente in relazione ai reati
contravvenzionali  di  cui agli art. 13, comma tredicesimo e 14 comma
quinto-ter  del  d.lgs n. 286/1998 - con esclusione della fattispecie
di cui all'art. 495 c.p. inserita ai soli evidenti fini della formale
contestazione per ragioni di economia processuale - a questo giudice,
competente inoltre per il giudizio direttissimo previsto ex lege.
    Contestualmente,  preso  atto  della impossibilita' di richiedere
misura  cautelare  coercitiva,  il  pubblico  ministero correttamente
disponeva la scarcerazione di entrambi gli imputati ex art. 121 disp.
att. c.p.p.
    L'udienza  di convalida veniva iniziata in data 30 settembre 2002
avanti  a  questo  giudice,  e, verificata la assenza di entrambi gli
imputati e la mancanza di qualsivoglia comunicazione della data della
udienza  agli  stessi,  l'udienza veniva differita alla data odierna,
disponendo   la   notifica  nelle  forme  di  legge  della  ordinanza
dibattimentale  agli  imputati,  i  quali  avevano  eletto  domicilio
all'atto della rimessione in liberta'.
    Alla  odierna  udienza,  verificata  la ritualita' della notifica
agli  imputati oggi assenti, deve procedetti al giudizio di convalida
dell'arresto  eseguito  dalla  p.g., a norma dell'art. 121 disp. att.
c.p.p.
    E'  da  osservare  che  nelle  more  del  giudizio,  il  pubblico
ministero  contestualmente  alla  convalida dell'arresto, sollecitava
anche,  con  nota  scritta,  il  giudicante  a sollevare eccezione di
costituzionalita'  delle  norme  processuali  attivate  dalla polizia
giudiziaria con l'arresto.
    Valutata  la  questione di conformita' costituzionale del dettato
normativo   processuale   posto   a   fondamento   dei  provvedimenti
restrittivi   della   liberta'  personale  adottati  in  danno  degli
imputati, preliminarmente alla decisione sulla convalida dell'arresto
di  entrambi  gli  imputati  questo  giudice  ritiene rilevante e non
manifestamente   infondato   il  dubbio  di  conformita'  al  dettato
costituzionale  della previsione normativa di cui agli art. 14, comma
5-quinquies  del  decreto lgs n. 286/1998, nel testo risultante dalla
modifica introdotta dalla legge 30 luglio 2002 n. 189, nella parte in
cui  prevede  l'obbligatorieta'  dell'arresto  per  il reato previsto
dall'art.  14, comma 5-ter stessa legge, e della previsione normativa
dell'art. 13,   comma   13-ter  del  d.lgs.  n. 286/1998,  nel  testo
risultante  dalla  modifica  introdotta  dalla  legge 30 luglio 2002,
n. 189, nella parte in cui prevede la facoltativita' dell'arresto per
il  reato previsto dall'art. 13, comma 13 dello stesso decreto, per i
seguenti motivi.

                          I n d i r i t t o

    Osserva il giudicante come la questione di conformita' al dettato
costituzionale    di    entrambe    le    disposizioni    processuali
precedentemente richiamate deve essere valutata da questo giudice sia
sotto  il  profilo  della  effettiva rilevanza in relazione alla fase
procedimentale  oggetto  di  giudizio, sia sotto il profilo della non
manifesta infondatezza.
In punto di rilevanza.
    Il  pubblico  ministero  ha  provveduto  alla scarcerazione degli
imputati  in stato di arresto in base all'art. 121 delle disposizioni
transitorie  al  codice di rito, norma applicabile esclusivamente nel
caso  in  cui  sia stata esclusa la previsione dell'art. 389 c.p.p. e
quindi la palese illegittimita' dell'arresto.
    Le  previsioni  di  cui  all'art.  389 c.p.p. hanno carattere di,
tassativita',  ed  afferiscono  palesemente  a situazioni personali e
normative estranee alla fattispecie oggetto del giudizio. Nel caso in
esame  infatti nessun dubbio puo' sussistere sulla corrispondenza tra
gli autori del reato e le persone fisiche tratte in arresto, ne' puo'
sussistere  dubbio  sulla circostanza che l'arresto e' stato eseguito
nei  casi  espressamente previsti dalle norme processuali, introdotte
nell'ordinamento  con  la legge 30 luglio 2002 n. 189; infine nessuna
violazione  delle  disposizioni  di  cui agli art. 386, comma 7 e 390
comma 3 c.p.p. e' stata perpetrata dalla polizia giudiziaria operante
l'arresto,  la quale ha tempestivamente messo a disposizione entrambi
gli  arrestati del pubblico ministero, e quest'ultimo ha richiesto la
convalida  dell'arresto  al  giudice  competente nei termini previsti
dalla legge.
    Correttamente  pertanto  il  pubblico  ministero  ha  ritenuto di
applicare la disposizione di cui all'art. 121 disp. att. c.p.p.
    Tale  norma  processuale  prevede  che,  indipendentemente  dalla
effettiva  rimessione  in  liberta'  degli  arrestati, debba comunque
tenersi il giudizio di convalida, quale giudizio ex post in ordine al
corretto  esercizio  dei  poteri  affidati  dalla  legge alla polizia
giudiziaria,  ed  essendo  stata  eseguita in danno degli imputati la
privazione   della   liberta'   personale   ad  opera  della  polizia
giudiziaria  nel  rispetto  della previsione eccezionale, derogatrice
della  riserva  di  giurisdizione, di cui al comma terzo dell'art. 13
della Costituzione.
    Questo giudice condivide la considerazioni del pubblico ministero
svolte  nella  richiesta  di  convalida dell'arresto in atti, essendo
indubbio che entrambe le norme processuali impongono, ovvero comunque
autorizzano  l'arresto;  che  il  provvedimento  di  privazione della
liberta' personale e' stato adottato in presenza di una situazione di
flagranza  in  relazione  a  reati  che  prima  facie  possono essere
considerati  permanenti,  e  che l'uso del potere di privazione della
liberta'  personale  e'  stato  ampiamente  motivato  nel  verbale di
arresto  da  parte  della p.g. procedente, in tal senso adempiendo al
requisito di legittimita' posto dal quarto comma dell'art. 381 c.p.p.
relativamente  al  reato  di  cui  all'art.  13 comma tredicesimo del
d.lgs.  n. 286/1998, in relazione al quale l'arresto e' previsto come
facoltativo.
    Con  riferimento a quest'ultimo requisito e' da osservare come il
potere   discrezionale   esercitato  dalla  polizia  giudiziaria  non
soltanto  risulta  nel  verbale di arresto adeguatamente motivato, ma
anche  con  argomentazioni  del  tutto  condivisibili  da  parte  del
giudicante,   essendo   stati   gli   imputati  gia'  numerose  volte
identificati  con nominativi diversi nel territorio nazionale, ove si
trattenevano in condizione di clandestinita'.
    Nella  attuale  fase procedimentale quindi, caratterizzata da una
cognizione  sommaria  del  fatto  finalizzata  dalla  legge  al  mero
controllo  di  legittimita'  dei  poteri  coercitivi utilizzati dalla
polizia   giudiziaria,  in  presenza  delle  condizioni  legittimanti
l'arresto  cosi'  come  precedentemente  evidenziate,  questo giudice
dovrebbe   convalidare   il   provvedimento  adottato  dalla  polizia
giudiziaria.
    Da   tali  considerazioni  a  parere  dei  giudicante  emerge  la
rilevanza   della   eccezione   di   costituzionalita'   delle  norme
processuali  sollevata  ex  officio  nel  procedimento  in  corso,  e
segnatamente  ai  fini  della decisione da adottare sulla convalida o
meno dell'arresto eseguito.
In punto di non manifesta infondatezza.
    Il tema della privazione della liberta' personale e' regolato nel
nostro ordinamento dall'art. 13 della Costituzione il quale, al primo
comma, statuisce una riserva di giurisdizione.
    Nondimeno, avuto riguardo alle concrete esigenze di necessita' ed
urgenza,  tale  riserva  di giurisdizione subisce deroga in favore di
provvedimenti  adottati dalla autorita' di polizia, deroga introdotta
e disciplinata dal comma secondo del medesimo articolo.
    Il  provvedimento  dell'arresto  e'  peraltro  soltanto  uno  dei
provvedimenti    adottabili    dalla    autorita'    di   polizia   e
finalisticamente  assunto  a  realizzare la limitazione alla liberta'
personale, poiche' molti possono essere quei provvedimenti, ancorche'
di  diversa  natura  e  finalita',  in  concreto  idonei a realizzare
privazione  o  limitazione  del  diritto  costituzionalmente protetto
(vedasi   in   tal   senso   l'esauriente  dibattito  in  sede  prima
sottocommissione  della  Assemblea  costituente tenutosi nella seduta
antimeridiana  del  12  settembre  1946  -  in  La Costituzione della
Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea costituente, Camera
dei  deputati  - Segretariato generale, vol. VI pag. 343 e segg.). La
stessa legge n. 286/1998, nel testo novellato dal d.P.R. n. 189/2002,
allorquando  prevede  la possibilita' di accompagnamento coatto dello
straniero   alla  frontiera  su  provvedimento  emesso  da  autorita'
amministrativa,  disciplina  in  concreto  un  provvedimento idoneo a
limitare  la  liberta'  personale  dello  straniero  per finalita' di
ordine pubblico interno.
    L'istituto   dell'arresto   -  cosi  come  il  fermo  di  polizia
giudiziaria   -   ha  pero',  a  differenza  di  altri  provvedimenti
amministrativi  potenzialmente  lesivi  della  liberta' personale del
cittadino,  caratteristiche  proprie  e  peculiari, trattandosi da un
lato  di  istituto interamente ed analiticamente disciplinato nel suo
divenire  e  negli  effetti  dalla legge processuale, e dall'altro di
istituto  finalizzato  proprio  a  realizzare  la completa privazione
della   liberta'  personale  del  cittadino  in  forma  anticipata  e
prodromica  alla  applicazione  nei  suoi  confronti  di  una  misura
coercitiva.
    Su  tale ultima caratteristica del provvedimento dell'arresto non
e'  mai  sussistito il benche' minimo dubbio ne' nella giurisprudenza
di  legittimita',  ne'  nella  totalita'  della dottrina. Secondo una
definizione   unanime   della   dottrina   processualistica   infatti
l'arresto,   in   senso   lato,  costituisce  un  mezzo  di  coazione
preordinato   a   preparare   le   condizioni  e  i  presupposti  per
l'attuazione della carcerazione preventive (oggi custodia cautelare),
della pena e della misura di sicurezza.
    Ma  a  ben  vedere  anche  la  normativa  processuale regolatrice
dell'istituto   evidenzia   senza   ombra   di   dubbio   la  stretta
interconnessione dei due istituti: l'arresto e la custodia cautelare.
    Ed  infatti  la  disciplina processuale dei casi di arresto la si
rinviene negli art. 380 e 381 del codice di rito.
    Entrambe le disposizioni, relativa l'una all'arresto obbligatorio
e  la  seconda  all'arresto  facoltativo,  sono  state redatte con la
medesima tecnica legislativa: il primo comma prevede una disposizione
di  carattere generale, che fissa i limiti minimi di pena edittale in
relazione  ai  quali  il  provvedimento restrittivo e' imposto ovvero
autorizzato.  Il  secondo  comma di entrambe le norme esemplifica una
serie  di  reati,  individuati con numero di articolo e nomen iuris i
quali  fuoriescono  per  difetto dai limiti di pena edittale indicati
nel  comma  primo,  ed in relazione ai quali, per ragioni di politica
criminale   riservate   alla  discrezionalita'  del  legislatore,  il
provvedimento restrittivo e' comunque imposto o consentito.
    La richiamata elencazione ha peraltro carattere di tassativita' e
non  e' suscettibile di estensibilita' analogica, essendo ricompressa
nella  deroga  alla  riserva  di  giurisdizione in tema di privazione
della   liberta'   personale   fissata   dall'art.   13  della  carta
costituzionale  (in  tal  senso  vedasi  Corte  cost.  7 giugno 1996,
n. 188).
    E' subito da osservare che, per quanto attiene ai reati di cui al
secondo  comma  dell'art.  381  del  codice  di rito, la pena massima
edittale  prevista  per  ciascuno  di  essi  esclude,  in  base  alla
disposizione  generale  di  cui  all'art. 280, comma primo c.p.p., la
applicazione di misure coercitive; tanto che la medesima disposizione
prevede  una  espressa riserva in relazione al disposto dell'art. 391
del  codice  di  rito, ove si disciplina espressamente, nella seconda
parte  del  quinto comma, che "quando l'arresto e' stato eseguito per
uno  dei  delitti indicati nell'art. 381, comma 2, ovvero per uno dei
delitti  per i quali e' consentito anche fuori dai casi di flagranza,
l'applicazione  della misura e' disposta anche al di fuori dei limiti
di pena previsti dagli art. 274, comma 1, lett. c), e 280.".
    Tale  ultima  norma, eccezionale rispetto ai principi generali in
tema  di  applicabilita'  di  misure  coercitive, se da un lato rende
armonico  il  sistema disegnato dal legislatore in tema di arresto in
flagranza,  rendendo  effettiva  la  scelta discrezionale di politica
criminale    del    legislatore    medesimo,   dall'altro   evidenzia
normativamente  quanto abbiamo affermato in precedenza, ovvero sia la
stretta  dipendenza funzionale che esiste tra l'istituto dell'arresto
e  quello  della  applicazione di misure privative o limitative della
liberta'  personale  da  parte della autorita' giudiziaria, nel senso
che  l'istituto dell'arresto si pone quale anticipazione, motivata da
ragioni   contingenti   di   necessita'   ed  urgenza,  della  misura
coercitiva,   la   cui   eventuale   applicazione   e'  demandata  al
provvedimento motivato dell'autorita' giudiziaria.
    Ma  al  carattere  di  eccezionalita'  della  previsione  di  cui
all'art. 391, comma quinto, seconda parte c.p.p. consegue inoltre che
le   disposizioni   processuali   di   cui   agli   art.   13,  comma
tredicesimo-ter  e  14  comma quinto-quinquies del d.lgs. n. 286/1998
fuoriescono dalla medesima previsione normativa, non potendo le norme
incriminatrici  speciali  di  riferimento  essere  ricomprese ne' nei
reati di cui al comma secondo dell'art. 381 c.p.p., ne' tantomeno nei
delitti  per  i quali e' consentito l'arresto anche fuori dai casi di
flagranza.
    La esclusione deriva dalla semplice lettura della disposizione, e
comunque sarebbe sufficiente il rilievo che le deroghe previste dalla
norma afferiscono tutte espressamente a delitti, mentre la previsione
della  normativa  processuale  introdotta dalla legge 30 luglio 2002,
n. 189 sopra richiamata fa riferimento a reati contravvenzionali.
    La  sommaria  ricostruzione  dell'istituto effettuata consente di
poter  affermare  che  l'arresto  obbligatorio  previsto dall'art. 14
comma quinto-quinquies del d.lgs. n. 286/1998 e quello facoltativo di
cui  all'art.  13  comma  tredicesimo-ter  dello  stesso  decreto  si
qualificano  come  provvedimenti restrittivi della liberta' personale
tipici e disciplinati dalla normativa generale codicistica in tema di
arresto,  ma  non  finalizzati alla applicazione anticipata di misura
coercitiva,  poiche' quest'ultima, in base alla normativa generale di
riferimento, non e' applicabile per difetto dei presupposti di legge.
    Trattasi  pertanto  di restrizione della liberta' personale priva
di finalita' ne' di cautela processuale, ne' di prevenzione speciale,
ma,  a  ben  considerare  priva  di  alcuna  finalita'.  Ed  infatti,
ancorche'    si    volesse   sostenere   che   l'arresto,   destinato
inevitabilmente  alla  perenzione  nel termine massimo di quarantotto
ore,  e' comunque finalizzato a consentire l'immediata espulsione del
cittadino straniero il quale rimarrebbe comunque nella disponibilita'
fisica  delle  Forze  di  Polizia,  tale affermazione uderebbe con il
chiaro dettato della legge n. 286/1998.
    Infatti,  nel  caso  di consumazione del reato di cui all'art. 13
comma   tredicesimo,  ovvero  del  reato  di  cui  all'art. 14  comma
quinto-ter,   le   stesse  disposizioni  prevedono  l'accompagnamento
immediato    alla    frontiera.    Inoltre,   il   successivo   comma
quinto-quinquies,    oltre    all'arresto    obbligatorio,    prevede
espressamente   che   "al   fine  di  assicurare  l'esecuzione  della
espulsione  il questore puo' disporre i provvedimenti di cui al comma
primo del presente articolo.".
    Dall'esame  allento  delle  disposizioni [in esame] emerge quindi
che il legislatore ha affidato ad altri istituti rispetto all'arresto
la  effettivita'  della  espulsione  dello  straniero. E non potrebbe
essere  altrimenti,  poiche'  l'arresto, nel caso di specie, non puo'
essere   utilizzato  neppure  ai  fini  sopra  richiamati,  ancorche'
certamente estranei alle finalita' dell'istituto.
    Infatti,  stante  la  inapplicabilita'  di  misure  coercitive in
relazione   ai   reati  contestabili  al  trasgressore,  il  pubblico
ministero,  il  quale deve essere notiziato dalla polizia giudiziaria
immediatamente   a   norma  del  primo  comma  dell'art. 386  c.p.p.,
altrettanto    immediatamente    deve    ordinare    la   liberazione
dell'arrestato  a  norma  dell'art. 121  disp. att. c.p.p., anche con
provvedimento  reso  verbalmente,  con  il  risultato concreto che la
persona  arrestata si troverebbe nella disponibilita' della autorita'
di  pubblica sicurezza per un lasso di tempo eccessivamente breve per
poter consentire alla predetta di apprestare la espulsione coatta.
    Devesi   pertanto   concludere   che   l'arresto,   nella   forma
obbligatoria   o   facoltativa,   previsto  dalle  norme  processuali
introdotte  dalla  legge  30  luglio  2002,  n. 189  e' provvedimento
restrittivo  della  liberta'  personale privo di giustificazione e di
finalita',   sia  processuali  che  estraprocessuali,  qualificandosi
quindi espressamente come previsione normativa meramente vessatoria e
costituente  di fatto una inammissibile anticipazione di applicazione
di  una  pena  detentiva,  in  relazione  ad  una  ipotesi  di  reato
contravvenzionale  tutta  da  accertare,  e  comunque  ad opera della
autorita'  amministrativa,  in  aperta  violazione  del dettato degli
articoli 13 comma primo e 27 comma secondo Costituzione.
    Ritiene  il  giudicante  che  entrambe le disposizioni denunciate
violino  anche  i  principi  costituzionali  di ragionevolezza di cui
all'art.  3  della  Carta  costituzionale,  e di buon andamento della
pubblica   amministrazione   di   cui   all'art.   97   della   Carta
costituzionale, cosi' come enucleati in numerose pronunce della Corte
costituzionale e segnatamente nella sentenza n. 531/2000 e 4/1994.
    Non  puo' sussistere dubbio infatti che la adozione di una misura
restrittiva   della   liberta'   personale  senza  giustificazione  e
finalita'   costituisce   ad  un  tempo  inaccettabile  strumento  di
coercizione personale per qualunque cittadino, ed al contempo inutile
dispendio  di energie e mezzi da parte della pubblica amministrazione
a   fronte   di   una   inesistente  finalita'  ne'  processuale  ne'
estraprocessuale,  con grave pregiudizio del principio costituzionale
di buona amministrazione della cosa pubblica.