IL TRIBUNALE Nel procedimento penale pendente nei confronti di Gartz Hermann Bernhard per quattro distinte ipotesi di truffa aggravata; Rilevato che il Gartz risulta essere detenuto per altra causa in Germania; Ritenuto che lo stato di detenzione configura un legittimo impedimento a comparire dell'imputato, tale da comportare, ex artt. 484 e 420-ter c.p.p., il rinvio ad una nuova udienza; Ritenuto che l'imputato non consente che il procedimento si svolga in sua assenza; Ritenuto che l'art. 205-ter decreto legislativo 271/1989, aggiunto dall'art. 16 della recente legge 5 ottobre 2001, n. 367, consente la partecipazione all'udienza dell'imputato detenuto all'estero che non possa essere trasferito in Italia, attraverso il collegamento audiovisivo, quando previsto da accordi internazionali e secondo la disciplina in essi contenuta e, in mancanza, secondo quanto previsto dall'art. 146-bis disp. att. c.p.p.; Ritenuto di dover sollevare questione di costituzionalita' dell'art. 146-bis disp. att. c.p.p., nella parte in cui limita l'applicabilita' della procedura della partecipazione al dibattimento a distanza ai soli casi in cui "si procede per taluno dei delitti indicati nell'articolo 51, comma 3-bis, nonche' nell'articolo 407, comma 2, lettera a), n. 4 del codice", e cio' per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione. Ha pronunciato la seguente ordinanza. 1. - Sulla rilevanza ai fini della causa. In ordine alla rilevanza ai fini della causa si richiama il contenuto della precedente ordinanza del 9 maggio 2001, con la quale questo giudice gia' prospettava alla Corte costituzionale una questione di legittimita' dell'art. 159 cod. pen. - per ritenuto contrasto con gli artt. 3, 25, 111 e 112 della Costituzione - nei seguenti termini: "Il presente procedimento concerne quattro rilevanti ipotesi di truffa aggravata, contestate a Gartz Hermann Bernhard, imputato a piede libero, con decreto di citazione depositato il 1 dicembre 1999. Si tratta, come si ricava dalla sola lettura dei capi di imputazione, di reati per i quali si contesta all'imputato di aver conseguito elevatissimi profitti (9.758.400 franchi francesi, quanto al capo A; lire 80.000.000, quanto al capo B; lire 1.600.000.000, quanto al capo C; 2.000.000 di dollari e 800.000 marchi tedeschi, quanto al capo D), in epoche ed in luoghi diversi ed in danno di quattro diverse parti offese, tre delle quali, a piu' riprese, hanno manifestato vivo interesse alla celebrazione del dibattimento. Il procedimento ha sinora subito soltanto rinvii, essendo stato accertato lo stato di detenzione del Gartz per altra causa, presso la Repubblica di Germania. Risulta dalla documentazione pervenuta a seguito di rogatoria, in data 7 febbraio 2001, dalla Procura superiore dirigente della Repubblica di Monaco II, che lo stato di detenzione del Gartz e' dovuto ad una enorme serie di truffe (addirittura cinquecentosessantatre), a seguito delle quali egli ebbe ad ottenere, complessivamente, somme pari a 41.143.300,00 D.M. L'imputato ha, sin dall'udienza del 27 ottobre 2000, prodotto una missiva datata 26 ottobre 2000, con la quale ha personalmente ed espressamente dichiarato "di non voler rinunciare al proprio diritto di presentare alle udienze del dibattimento ; tale intenzione e' stata in seguito ribadita nelle successive udienze, anche tramite il difensore". Nella stessa ordinanza si considerava, altresi', l'impraticabilita' del ricorso a strumenti tali da permettere all'imputato di partecipare al dibattimento, dal momento che "quanto all'ipotesi di un temporaneo trasferimento dell'imputato nel luogo in cui si deve celebrare il procedimento, vi e' ostativa la disposizione di cui all'art. 11 della Convenzione europea di assistenza giudiziaria del 20 aprile 1959, applicabile solo a soggetti da sentire per testimonianza o confronto; in concreto, poi, la Procura superiore dirigente della Repubblica di Monaco II, con nota del 31 gennaio 2001, pervenuta in data 7 febbraio 2001, ha escluso che il trasferimento del Gartz possa essere disposto". A tale questione la Corte costituzionale ha gia' risposto con ordinanza n. 116 del 12 aprile 2002, dichiarando la manifesta inammissibilita' della questione e richiamando, tra l'altro, il recentissimo orientamento delle Sezioni unite penali della Corte di cassazione (sentenza n. 1021/2002 del 28 novembre 2001), "che hanno affermato, per quanto qui interessa, che il nnvio del dibattimento ha effetto sospensivo della prescrizione ove sia disposto per impedimento dell'imputato o del difensore". Dagli atti nel frattempo pervenuti dall'autorita' giudiziaria della Repubblica di Germania e, in particolare, da una nota della Procura della Repubblica di Monaco del 29 gennaio 2002 (n. 4 AR 763/01), e' emerso che il Gartz e' stato condannato dal Tribunale di Monaco, in data 7 novembre 2001, alla pena di anni otto e mesi dieci di reclusione e che la sua scarcerazione e' prevista per la data del 29 maggio 2009, con un successivo periodo di liberta' sorvegliata. Permanendo lo stato di detenzione dell'imputato, persiste quell'impedimento a comparire che, mevitabilmente, comporta il continuo rinvio del procedimento, con effetti sostanzialmente paralizzanti sia in ordine al diritto dell'imputato di intervenire ed assistere al processo e di difendersi provando (rilevante ex art. 24 della Costituzione), sia in ordine al potere-dovere del giudice di attuare la giurisdizione (rilevante ex art. 111, primo comma della Costituzione), sia in ordine al principio della ragionevole durata del processo (rilevante ex art. 111, secondo comma della Costituzione). 2. - Sulla non manifesta infondatezza della questione. Come e' noto il diritto dell'imputato, detenuto all'estero, di partecipare al dibattimento e il potere-dovere del giudice di attuare la giurisdizione anche in tale situazione hanno ricevuto dal legislatore ordinario un recente, importante riconoscimento con l'art. 16 legge 5 ottobre 2001, n. 367 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 8 ottobre 2001, n. 234): tale norma, infatti, ha introdotto nel decreto legislativo 271/1989 l'art. 205-ter, intitolato "Partecipazione al processo a distanza per l'imputato detenuto all'estero", con il quale si prevede, al primo comma, che "la partecipazione all'udienza dell'imputato detenuto l'estero che non possa essere trasferito in Italia, ha luogo attraverso il collegamento audiovisivo, quando previsto da accordi internazionali e secondo la disciplina in essi contenuta. Per quanto non espressamente disciplinato dagli accordi internazionali, si applica la disposizione dell'art. 146-bis" decreto legislativo 271/1989. La nuova disposizione, inserita nel capo XVI del decreto legislativo 271/1989 ("Disposizioni relative ai rapporti giurisdizionali con autorita' straniere"), benche' limitata nella rubrica alla figura dell'imputato, ha in realta' una portata assai piu' vasta, dal momento che, al quinto comma, si estende anche a quelle del testimone e del perito, la cui partecipazione all'udienza attraverso il collegamento audiovisivo si svolge, del pari, "secondo le modalita' e i presupposti previsti dagli accordi internazionali" e, "per quanto non espressamente-disciplinato", secondo la disposizione dell'art. 147-bis decreto legislativo 271/1989, in quanto compatibile. Nel suo insieme, quindi, si tratta di una norma che certamente mira a consentire lo svolgimento di tutti quei processi, le cui udienze venivano sinora necessariamente rinviate a causa dello stato di detenzione all'estero dell'imputato o di altro soggetto del procedimento; proprio in questa prospettiva il quarto comma prevede che lo stato di detenzione all'estero "non puo' comportare la sospensione o il differimento dell'udienza quando e' possibile la partecipazione all'udienza in collegamento audiovisivo, nei casi in cui l'imputato non da' il consenso o rifiuta di assistere". Con tutta evidenza, la nuova norma assicura un particolare "favor" alla celebrazione del dibattimento, estendendone lo svolgimento a casi nei quali sinora l'attivita' giudiziaria era di fatto inibita: il fatto che la mancata prestazione del consenso alla videoconferenza o il rifiuto a parteciparvi non rappresentino un legittimo impedimento significa che, nella procedura di cooperazione giudiziaria in esame, il consenso dell'imputato non deve essere obbligatoriamente acquisito e, anzi, il suo eventuale dissenso e' irrilevante. La circostanza e' particolarmente innovativa, dal momento che - come e' noto - il consenso della persona e' invece richiesto in altre procedure di cooperazione giudiziaria, e in particolare in quelle di assistenza giudiziaria, ad esempio nel caso in cui si debba procedere all'esecuzione delle sanzioni detentive in uno Stato diverso da quello nel quale e' stata pronunciata sentenza di condanna (come stabilito dalla Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1993), nel caso del trasferimento temporaneo della persona in stato di detenzione (si veda l'art. 11 della Convenzione di Strasburgo del 20 aprile 1959), nel caso dell'utilizzazione dei dati personali da parte dell'autorita' giudiziaria di uno Stato membro per fini non previsti dalle convenzioni (si veda l'art. 23 della Convenzione di Bruxelles firmata dall'Unione europea il 29 maggio 2000). Se dunque il collegamento audiovisivo prescinde dal consenso dell'imputato, l'ambito di applicabilita' di tale strumento di partecipazione al processo rimane delimitato dagli accordi internazionali e, per quanto da essi non espressamente disciplinato, dalla disposizione dell'art. 146-bis disp. att. c.p.p.. Allo stato, le fonti internazionali in materia risultano essere le seguenti: una risoluzione del 23 novembre 1995, con la quale il Consiglio d'Europa - al fine di intensificare la cooperazione giudiziaria tra i Paesi aderenti e considerando che la lotta contro la criminalita' organizzata internazionale esige che la sicurezza dei testimoni sia garantita in maniera efficace e concreta nei rispetto della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali - aveva invitato gli Stati membri a garantire un'adeguata protezione dei testimoni, raccomandando di prendere in considerazione, tra i diversi mezzi di protezione, la possibilita' di consentire che la deposizione avvenga in luogo diverso da quello in cui si trova la persona inquisita, ricorrendo a procedimenti audiovisivi e nel rispetto del principio del contraddittorio. Opportunamente si e' sottolineato (La videoconferenza nell'assistenza giudiziaria penale, in Documenti Giustizia n. 6, Novembre-Dicembre 2000, pagg. 1168 ss.) che "nell'ambito della medesima risoluzione il termine testimone viene usato per indicare qualsiasi persona che, a prescindere dalla sua situazione giuridica, e' in possesso di informazioni che l'autorita' competente ritiene importanti nell'ambito del processo penale, con cio' riferendosi anche a quelle legislazioni che prevedono la deposizione giurata anche per l'imputato"; quanto tale considerazione rilevi, in concreto, anche nel nostro ordinamento, e' facile comprendere alla stregua delle recenti disposizioni di cui alla legge 1 marzo 2001, n. 63, la' dove si introduce, all'art. 197-bis c.p.p., la figura del c.d. testimone assistito; il progetto di convenzione emesso dal Consiglio dell'Unione europea in data 14 luglio 1999, nel quale all'art. 10 si prevede che "se una persona si trova nel territorio di uno Stato membro e deve essere ascoltata in qualita' di testimone o di perito dalle autorita' giudiziarie di un altro Stato membro, quest'ultimo puo' chiedere, qualora per la persona in questione non sia opportuno o possibile comparire personalmente nel suo territorio, che l'audizione si svolga mediante videoconferenza, a norma dei paragrafi da 2 a 8". Al paragrafo 9 di tale articolo si prevede che "gli Stati membri possono inoltre applicare, a loro discrezione, le disposizioni del presente articolo, se del caso e con il consenso delle competenti autorita' giudiziarie, alle audizioni di imputati mediante videoconferenza. In questo caso, la decisione di tenere la videoconferenza, nonche' le condizioni alle quali essa e' effettuata, sono concordate dagli Stati membri interessati, secondo il loro diritto nazionale e i pertinenti strumenti internazionali, compresa la Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950"; la convenzione di assistenza giudiziaria stipulata in data 29 maggio 2000, con la quale gli Stati membri dell'unione europea, recependo tale progetto, hanno ammesso il ricorso al collegamento audiovisivo per l'esame del testimone o del perito senza vincoli relativi alla natura del reato per cui si procede; quanto alla persona dell'imputato, invece, l'adozione della videoconferenza resta disciplinata dal diritto nazionale e dagli strumenti internazionali, ivi compresa la Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Cosi' stando le cose, la disposizione di cui all'art. 146-bis disp. att. c.p.p. torna ad essere il perno su cui ruota la possibilita' o meno di effettuare la videoconferenza, anche nel caso in cui si tratti di celebrare un dibattimento nel quale l'imputato si trova detenuto all'estero. Ma come bene e' stato rilevato nell'articolo sopra citato, il presupposto di carattere generale stabilito da tale norma - ossia il fatto che si proceda per taluno dei delitti indicati nell'articolo 51, comma 3-bis, nonche' nell'articolo 407, comma 2, lettera a), n. 4 del codice - fa si che "la tassativita' e la particolarita' della previsione normativa concernente la partecipazione a distanza dell'imputato svuota ... di concreto significato la discussione circa la ... applicazione dell'istituto in ambito internazionale". E' noto che la normativa codicistica concernente i mezzi di prova contempla casi in cui dalla tipologia del reato discende l'ammissibilita' o meno del mezzo medesimo (si pensi, ad esempio, agli artt. 266 ss. c.p.p. in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni); come si evince dalla stessa collocazione della norma, pero', l'art. 146-bis disp. att. c.p.p. non rientra nel capo VI ("Disposizioni relative alle prove"), ma nel capo XI ("Disposizioni relative al dibattimento"), di tal che riesce confermata la sostanziale diversita' della norma rispetto a quelle che limitano, per qualsivoglia ragione, l'esperibilita' dei mezzi di prova. E' ben vero che la Corte costituzionale, gia' chiamata a valutare la costituzionalita' della norma che qui si esamina nella sentenza n. 342 del 14-22 luglio 1999 e nell'ordinanza n. 234 dell'8-22 giugno 2000, ha considerato - specialmente con il secondo provvedimento - "che la disciplina censurata corrisponde all'esigenza di circoscrivere la partecipazione al dibattimento a distanza ai soli reati che sono diretta espressione delle piu' gravi manifestazioni di criminalita' di stampo mafioso (v. sentenza n. 342 del 1999), avendo il legislatore ritenuto che solo nei confronti di soggetti imputati di tali reati fosse opportuno prevedere particolari modalita' di esercizio del diritto al contraddittorio", cosi' dichiarando "che la scelta risulta espressione della sfera di discrezionalita' del legislatore, esercitata in maniera non irragionevole e quindi non censurabile in sede di scrutinio di legittimita' costituzionale". E' ben vero, altresi', che la discrezionalita' del legislatore ha giustamente ampliato i casi di applicabilita' della norma, che a seguito dei gravissimi reati di terrorismo internazionale del settembre 2001 e' stata estesa ai reati di cui all'art. 407 comma 2, lettera a) n. 4 del codice, dapprima con il d.l. 18 ottobre 2001, n. 374 e poi con la legge di conversione 15 dicembre 2001, n. 438. E' anche vero, pero', che per un verso l'efficacia nel tempo della norma, dapprima limitata al 31 dicembre 2000, e' stata estesa al 31 dicembre 2002 gia' dall'art. 12 d.l. 24 novembre 2000, n. 341 (convertito in legge 19 gennaio 2001, n. 4 e "resistito", per quanto qui interessa, alla legge 438/2001); per altro verso il comma 1-bis della norma (introdotto dall'art. 15 del d.l. 341/2000) consente la partecipazione al dibattimento a distanza dei detenuti o condannati sottoposti al regime speciale di cui all'art. 41-bis, comma 2, legge 354/1975, quale che sia il reato per cui si procede; per altro verso ancora l'art. 14 d.l. 341/2000, introducendo l'art. 134-bis disp. att. c.p.p., ha esteso la partecipazione al dibattimento a distanza a tutti i casi in cui il giudizio abbreviato si svolge in pubblica udienza (sicche', come e' stato acutamente osservato, si consente l'applicabilita' della norma negli ulteriori casi di cui agli artt. 452 secondo comma, 458 secondo comma e 464 primo comma c.p.p.); per altro verso - da ultimo - la strumento della videoconferenza viene ora previsto, apparentemente senza limiti temporali, nei casi in cui l'imputato sia detenuto a qualsiasi titolo all'estero. Tutto cio', a parere di questo giudice, implica una rivisitazione dello strumento, nato per limitare le massicce traduzioni di detenuti altrimenti necessarie (con il correlativo rischio, proprio in dipendenza dei continui trasferimenti, di vanificare l'efficacia dei provvedimenti di sospensione delle ordinarie regole di trattamento penitenziario adottati nei confronti dei detenuti piu' pericolosi), ma sempre piu' volto a rimuovere quei casi di impedimento a comparire che altrimenti escluderebbero la celebrazione del dibattimento. Del resto, proprio quell'aspetto che originariamente sembrava limitativo del diritto di difesa (e cioe' la premessa secondo cui solo la presenza fisica dell'imputato nel luogo del processo potrebbe assicurarne l'effettivita) non soltanto e' stato escluso dalla Corte costituzionale (che nella citata sentenza n. 342/1999 gia' rilevava "che la normativa in esame, lungi dal limitarsi a delineare i mezzi processuali o tecnici attraverso i quali realizzare gli obiettivi perseguiti, ha tracciato un esauriente sistema di risultati che si presenta in linea con il livello minimo di garanzie che devono cautelare il diritto dell'imputato di partecipare, e quindi difendersi, per tutto l'arco del dibattimento"), ma viene dall'art. 205-ter disp. att. c.p.p. eliminato in nome di un "realismo partecipativo" in tutto tale da assicurare l'esercizio del diritto.