CONSIGLIO DI STATO Vista la relazione in data 13 aprile 2001 del Ministero del lavoro e della previdenza sociale (ora Ministero del lavoro e delle politiche sociali), dir. gen.le della previdenza ed assistenza sociale, con la quale si chiede il parere del Consiglio di Stato sul ricorso straordinario proposto dalla sig.ra Gerardina Vetromile avverso una delibera dell'INPDAP con la quale si negava alla ricorrente il computo dell'indennita' integrativa speciale nella indennita' di buonuscita. Esaminati gli atti e udito il relatore estensore cons. Vincenzo Borea; P r e m e s s o La ricorrente impugna una delibera dell'INPDAP di Salerno con la quale le si nega il computo della indennita' integrativa speciale nell'indennita' di buonuscita. Da un lato deduce i vizi di difetto di motivazione e di mancato avvio del procedimento (artt. 3, 7 e 10, della legge 7 agosto 1990, n. 241), e, dall'altro, sostiene che l'i.i.s. costituisce un diritto come tale non soggetto a decadenza ma solo a prescrizione. Oppone il Ministero referente, in adesione ad analoga nota dell'INPDAP, che la ricorrente, collocata a riposo a decorrere dal 31 agosto 1992, non ha titolo a quanto richiesto non avendo presentato la domanda di riliquidazione della indennita' di buonuscita con il computo della indennita' integrativa speciale nel termine perentorio fissato dall'art. 3, comma 2, della legge 29 gennaio 1994, n. 87 (30 settembre 1994). C o n s i d e r a t o Occorre in primo luogo sgomberare il campo delle censure d'ordine formale dedotte dalla ricorrente, gia' dipendente dell'Amministrazione della pubblica istruzione, collocata a riposo dal 31 agosto 1992, avverso il diniego oppostole di riliquidazione della indennita' di buonuscita includendo nel computo l'indennita' integrativa speciale. Non ha pregio in primo luogo il vizio di difetto di motivazione, essendo questo proprio degli atti discrezionali, mentre nella specie la pretesa avanzata ha i connotati propri di un diritto soggettivo (spettanza o meno di quanto richiesto), con conseguente totale vincolatezza dell'azione amministrativa. Neppure puo' ritenersi nella specie necessario il preventivo avvio di procedimento, sia perche', come detto, nella specie si fa valere un diritto a fronte del quale si contrappone un'attivita' totalmente vincolata, nei cui confronti non si vede spazio per alcun utile contributo partecipativo, e sia perche' il diniego opposto alla ricorrente fa seguito evidentemente ad una sua domanda, la quale di per se' costituisce avvio di procedimento e quindi consente quell'apporto conoscitivo in cui consiste la ratio della norma contenuta nell'art. 7, della legge n. 241/1990 (C.d.S., V Sez., 13 gennaio 1998, n. 65; II Sez., 3 novembre 1999, n. 1401/1999). Venendo dunque alla sostanza della pretesa azionata, appare, alla luce delle contreduzioni della P.A., sul piano della legittimita' ordinaria, fuori di ogni dubbio l'infondatezza della pretesa stessa. La ricorrente e' stata collocata a riposo, come detto, in data 31 agosto 1992, e cioe' prima dell'entrata in vigore della legge 29 gennaio 1994, n. 87, con la quale si sono dettate le norme necessarie per dare attuazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 243 del 19 maggio 1993, che aveva dichiarato l'incostituzionalita' della disciplina normativa concernente il calcolo della indennita' di fine rapporto dei dipendenti dello Stato, delle Ferrovie dello Stato e degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, nella parte in cui non e' previsto il computo dell'indennita' integrativa speciale percepita in costanza di servizio. In particolare, per cio' che qui interessa, l'art. 3, dopo aver stabilito che "il trattamento di cui alla presente legge (e cioe' l'inclusione della i.i.s. nella base di calcolo dell'indennita' di fine rapporto secondo le misure e i modi previsti nell'art. 1) viene applicato anche ai dipendenti che siano cessati dal servizio dopo il 30 novembre 1984 ... " (comma 1), dispone che "l'applicazione della presente legge ai dipendenti gia' cessati dal servizio avviene a domanda, che deve essere presentata all'ente erogatore su apposito modello nel termine perentorio del 30 settembre 1994" (comma 2). Cio' posto, poiche' non risulta che l'interessata, cessata dal servizio prima dell'entrata in vigore della legge, abbia presentato la domanda nel termine e nei modi sopra indicati, appare ineccepibile la posizione dell'Amministrazione ove questa afferma l'infondatezza della pretesa. Ritiene peraltro la Sezione che la disciplina ora indicata in ordine alla perentorieta' e rigidita' del termine entro il quale i dipendenti gia' collocati a riposo devono presentare la domanda a pena di decadenza dal diritto ponga problemi di legittimita' costituzionale, nella parte in cui non prevede che il termine stesso, anziche' essere ancorato ad una data prefissata, decorra dalla data di ricezione di una comunicazione dell'onere di presentazione della domanda stessa. Prima peraltro di affrontare nel merito la suddetta questione di legittimita' costituzionale la Sezione deve farsi carico in via preventiva di valutare se la stessa sia proponibile dal Consiglio di Stato, in sede di espressione del parere ai sensi dell'art. 11, d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, e quindi non in sede (formalmente) giurisdizionale. E' noto che per lungo tempo, proprio sul presupposto che in sede consultiva il Coniglio di Stato non esplica attivita' giurisdizionale, si e' ritenuta preclusa la proponibilita' dell'incidente di costituzionalita'. Di recente peraltro la Sezione I di questo Consiglio, con parere 19 maggio 1999, n. 650/1996, si e' espressa in senso favorevole alla proponibilita' (sia pur dichiarando la questione posta manifestamente infondata), prendendo a fondamento della propria pronuncia la sentenza della V Sezione della Corte di giustizia delle comunita' europee 16 ottobre 1997, emessa nelle cause riunite da C-69/1996 a C-79/1996. In tale sentenza la Corte di giustizia, chiamata a pronunciarsi sull'interpretazione di una disposizione della direttiva 86/457, ha affermato che il Consiglio di Stato anche in sede consultiva costituisce una giurisdizione ai sensi dell'art. 177 del Trattato. La Corte di giustizia e' pervenuta a tale conclusione dopo aver riscontrato nel Consiglio di Stato la rispondenza ai criteri stabiliti dalla medesima Corte di giustizia per definire la nozione di "giurisdizione", e cioe' l'origine legale dell'organo, il suo carattere permanente, l'obbligatorieta' della sua giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento, il fatto che l'organo applichi norme giuridiche e che sia indipendente. Inoltre, rileva la Corte il fatto che l'ordinamento italiano prevede la scelta, per il soggetto che chiede l'annullamento di un provvedimento amministrativo, tra due rimedi, il ricorso straordinario e il ricorso giurisdizionale al Tribunale amministrativo regionale, "entrambi dotati delle comuni caratteristiche giurisdizionali e ciascuno alternativo rispetto all'altro". Pur dovendosi considerare convincenti, oltre che particolarmente autorevoli (se non addirittura vincolanti, avendo piu' volte affermato la Corte di giustizia che le decisioni dalla stessa emesse costituiscono fonte primaria di diritto comunitario, come tali abilitate ad introdurre norme giuridiche prevalenti nel diritto interno), le argomentazioni addotte dalla Corte di giustizia, la Sezione ritiene altresi' di poter richiamare il fatto che anche la Corte costituzionale, nel pronunciarsi su di una fattispecie per molti versi analoga, ebbe a suo tempo modo di affermare che la Corte dei conti, in sede di controllo, e' legittimata a sollevare questioni di costituzionalita' delle leggi che devono essere applicate nell'esercizio della suddetta funzione di controllo. Nella sentenza 18 novembre 1976, n. 226, infatti, il giudice delle leggi perveniva alla suddetta conclusione sulla base della considerazione secondo la quale la funzione svolta dalla Corte dei conti in sede di controllo e', per molteplici aspetti, ai fini dell'art. 1, della legge costituzionale n. 1 del 1948, e dell'art. 23, della legge n. 87 del 1953, analoga alla funzione giurisdizionale piuttosto che assimilabile a quella amministrativa; e cio' in quanto: a) la funzione di controllo si risolve nel valutare, in modo neutrale e disinteressato, la conformita' degli atti alle norme di diritto oggettivo, con esclusione di qualsiasi apprezzamento che non sia di ordine strettamente giuridico; b) pur non potendosi parlare di giudicato, le pronuncie emesse in sede di controllo, sia positive che negative, hanno certamente contenuto decisorio, non sono modificabili da parte della stessa Corte ne' sindacabili in altra estranea sede; c) non mancano nel procedimento di controllo elementi formali e sostanziali che riconducono alla figura del contraddittorio (l'art. 24, del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, prevede che in caso di deferimento alla sezione di controllo, qualora il consigliere delegato non abbia ritenuto di apporre il visto, viene data comunicazione scritta alle amministrazioni interessate almeno otto giorni prima della seduta fissata per la discussione, con facolta' delle amministrazioni stesse di farsi rappresentare da propri funzionari); d) infine, la Corte dei conti e' composta di magistrati, che sono dotati delle piu' ampie garanzie di indipendenza ex art. 100, Cost., e che, al pari dei magistrati dell'ordine giudiziario, si distinguono fra loro solo per diversita' di funzioni. Ritiene la Sezione che le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale nella citata sentenza possano agevolmente trovare riscontro anche con riguardo alle sezioni consultive del Consiglio di Stato. Nei suoi connotati sostanziali, infatti, l'esercizio dell'attivita' consultiva svolta ai sensi dell'art. 11, del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 (e' inutile ricordare che la richiesta di parere e' obbligatoria) si caratterizza per la sua imparzialita' e neutralita' e si risolve, al pari dell'attivita' giurisdizionale (e dell'attivita' di controllo della Corte dei conti) in una valutazione della conformita' degli atti alle norme di diritto oggettivo. Inoltre, i pareri resi hanno senza dubbio contenuto decisorio, nel senso che non sono modificabili ne' dalla Sezione che li ha emessi ne' sindacabili in altra sede, salva l'impugnazione da parte del controinteressato pretermesso, rimedio che d'altra parte si connota in sostanza come un'opposizione di terzo, esperibile anche nei confronti delle sentenze dei Tribunale amministrativo regionale e del Consiglio di Stato dopo la sent. n. 177/1995 della Corte costituzionale (cfr., tra le tante, C.d.S., VI Sez., 10 febbraio 1999, n. 146). Ancora, il contraddittorio e' garantito dall'obbligo di notificazione ai controinteressati e dall'obbligo di comunicazione o notificazione all'organo che ha emanato l'atto e al Ministero competente. Si sottolinea poi che il principio di alternativita' con il ricorso giurisdizionale pone i due rimedi sul medesimo piano, in quanto dotati entrambi, come afferma la Corte di giustizia, di comuni caratteristiche giurisdizionali, tanto e' vero, ad esempio, che l'art. 15, del d.P.R. n. 1199/1971 cit., prevede l'impugnazione per revocazione dei decreti del Presidente della Repubblica che decidono i ricorsi straordinari, ai sensi dell'art. 395 del c.p.c. (e cio' vale anche per il caso di conflitto con un giudicato precedente, con la conseguenza che, in caso di mancata impugnazione per revocazione, sul giudicato precedente prevale la decisione del Capo dello Stato). Senza dire che, da ultimo, si e' ammesso il ricorso per ottenere l'ottemperanza a decisioni emesse sul ricorso straordinario, sul ritenuto presup-posto della natura giurisdizionale del parere reso (cfr. C.d.S., IV Sez., 15 dicembre 2000, n. 6695). Infine, non si puo' certo dubitare che anche le Sezioni consultive del Consiglio di Stato siano composte da magistrati, i quali, come tali, offrono le garanzie di indipendenza e imparzialita' che sono proprie degli organi giurisdizionali. In conclusione si ritiene che i pareri emessi in sede del ricorso straordinario nella sostanza rivestono natura giurisdizionale, con la conseguenza che i provvedimenti finali emessi dal Capo dello Stato si pongono come esternazione di un momento decisionale verificatosi aliunde (cfr. IV Sez., n. 6695/2000 cit); non diversamente si esprime la ricordata sentenza della Corte di giustizia, ove si afferma che il parere e' un "progetto" di decisione "formalmente" emanata dal Presidente della Repubblica. La Sezione, ritenuto quindi di poter concludere nel senso della proponibilita', in sede straordinaria, di questioni di legittimita' costituzionale da sottoporre al vaglio della Corte costituzionale, ritiene altresi' di dover sollevare d'ufficio, ai sensi dell'art. 1, della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, considerandolo non manifestamente infondato, incidente di costituzionalita' con riguardo al comma 2, dell'art. 3, della legge n. 87/1994 cit., nella parte, come si e' accennato in precedenza, in cui detta disposizione indica un termine rigido, ancorato ad una data prefissata (30 settembre 1994), per la presentazione della domanda volta ad ottenere il computo dell'i.i.s. nel trattamento di fine rapporto cosi' come previsto nell'art. 1, anziche' prevedere un termine mobile, a decorrere cioe' dalla data di ricezione della comunicazione dell'onere di presentazione della domanda stessa. Va chiarito che la Corte costituzionale, piu' volte investita del vaglio di costituzionalita' della citata legge n. 87/1994 (sempre con esito negativo) non risulta che abbia mai avuto occasione di pronunciarsi sulla questione ora prospettata (cfr. sentt. n. 103 del 31 marzo 1995 e n. 175 del 13 giugno 1997; vedansi anche ord. n. 207 del 18 maggio 1995, n. 324 del 28 luglio 1995, n. 468 del 19 ottobre 1995, n. 19 del 22 gennaio 1996, n. 55 del 12 febbraio 1997, n. 72 del 12 marzo 1998). Cio' posto, ritiene la Sezione che non siano manifestamente infondati i dubbi di incostituzionalita' della norma in questione, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione. Con sentenza 16 aprile 1998 n. 111 la Corte cost. ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 75, comma due, secondo periodo, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e successive modificazioni (contenente disposizioni sul processo tributario) nella parte in cui fissa in via definitiva (art. 2, d.l. 26 novembre 1993, n. 477, conv. in legge 26 gennaio 1994, n. 65) alla data del 28 febbraio 1994 il termine entro il quale, per i giudizi pendenti innanzi alla Commissione tributaria centrale, doveva essere presentata, in via transitoria, a pena di estinzione del giudizio, domanda di trattazione. Il Giudice delle leggi, dopo aver chiarito che il problema di costituzionalita' riguardava non tanto il termine in se' considerato, da considerarsi adeguato, quanto la mancata previsione di una decorrenza "mobile" del termine stesso, e cioe' di una preventiva comunicazione agli interessati, ha dichiarato la incostituzionalita' della disciplina dettata al riguardo per irragionevolezza e disparita' di trattamento, per violazione dei principi in materia di effettivita' della tutela giurisdizionale e per violazione dei principi dell'affidamento e della conoscibilita' dell'atto (e cioe', come si precisa, del momento da cui derivano oneri con effetti preclusivi o pregiudizievoli). Appare in primo luogo evidente l'analogia della fattispecie esaminata dalla Corte costituzionale con quella ora in esame, avendo in comune entrambe la previsione di un termine fissato ex lege per adempiere ad un onere a pena di inammissibilita' (in un caso estinzione del giudizio e nell'altro decadenza dal diritto alla riliquidazione del trattamento di fine rapporto). Vero e' che nell'un caso si tratta di un onere processuale, e nell'altro di un onere procedimentale, ma se si pone mente al fatto che nei giudizi pendenti ai quali si riferisce la norma censurata dalla Corte costituzionale le parti possono essere presenti senza assistenza tecnica, non trovando attuazione le nuove norme introdotte in proposito dal d.lgs. n. 546 del 1992, appare evidente come tale segnalata differenza perda consistenza, in entrambi i casi ponendosi i soggetti interessati come normali cittadini chiamati, per far valere un loro diritto, a rispettare un termine fissato ex lege a pena di inammissibilita' o decadenza della relativa domanda. In altri termini, appare configurabile, nel caso in esame come nella fattispecie esaminata dalla Corte, una ingiustificata disparita' di trattamento tra i soggetti interessati a seconda della loro idoneita' personale al comportamento piu' adeguato alla tutela dei propri diritti, da un lato ponendosi quelli piu' agguerriti (e sindacalizzati), certamente in grado di conoscere la norma e quindi di presentare la domanda tempestivamente, e, dall'altro, essendo agevole presumere l'esistenza di numerosi altri soggetti i quali, o per l'eta' avanzata, o per condizioni personali di salute, non sono in grado, incolpevolmente, di conoscere le restrizioni introdotte dalla legge all'esercizio di un loro diritto, qual e' quello relativo alla riliquidazione del trattamento di fine rapporto secondo le modalita' previste dalla legge stessa. E, sotto altro profilo, sembra possa ritenersi vulnerato anche il principio di effettivita' della tutela giurisdizionale sancito dall'art. 24 della Costituzione, posto che la norma in questione sottopone in sostanza, in via eccezionale, a un termine breve di decadenza l'esercizio di un diritto, che quindi non potra' piu' essere utilmente azionato in caso di mancata presentazione della domanda nel termine stesso. Infine, sotto un ulteriore profilo, anche nella presente fattispecie, come in quella esaminata dalla Corte costituzionale nella sentenza sopra ricordata, la mancata previsione di un qualsivoglia accorgimento procedurale volto a garantire la concreta conoscibilita' dell'onere imposto e delle conseguenze che ne derivano, sembra porsi in contrasto con i generali principi di affidamento e di leale collaborazione tra le parti del procedimento, riconducibili a loro volta ai principi di uguaglianza ed imparzialita' sanciti dagli artt. 3 e 97, Cost. (cfr. Corte cost., 4 novembre 1999, n. 416). Per le considerazioni che precedono, ritiene dunque la Sezione di dover sospendere l'emanazione del richiesto parere, tenuto conto della proponibilita', della rilevanza ai fini del decidere e della non manifesta infondatezza della esaminata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2, della legge 29 gennaio 1994, n. 87.