IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel processo sopraemarginato, a carico di straniero arrestato per il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998 come modificato dalla legge n. 189/2002 e presentato a questo giudice, nei termini di legge, per la convalida dell'arresto e la contestuale celebrazione di giudizio direttissimo. Sentite le parti avendo la difesa prospettato dubbi di costituzionalita' (p.m. si rimette); Osta alla pronuncia di convalida, il dubbio di costituzionalita', ad avviso di questo giudice non manifestamente infondato, che investe la previsione dell'arresto obbligatorio in relazione al reato de quo, consistente nel trattenersi, senza giustificato motivo, sul territorio dello Stato, oltre il termine assegnato con provvedimento adottato dal questore a sensi dell'art. 14, comma 5-bis, T.U. cit. Sebbene non paia fondata la questione inerente la presunta compressione del diritto di difesa prevedendo la stessa legge che lo straniero - anche fisicamente espulso - possa previa autorizzazione ad hoc fare rientro per partecipare al processo, gli altri aspetti (ed ulteriori) sussistono. Contrasto con gli artt. 3 e 13 Cost. Trattasi di arresto obbligatorio in flagranza previsto in relazione a figura contravvenzionale, sanzionata con la modesta pena dell'arresto da sei mesi ad un anno, pena la cui entita' non consente l'emissione di misura cautelare. La previsione della obbligatorieta' dell'arresto appare ingiustificatamente "eccentrica" rispetto all'ordinario sistema processuale italiano, che vede la privazione della liberta', in via obbligatoria, circoscritta a delitti la cui gravita' si evince dalla pena edittale stabilita nella reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni, in via facoltativa, legata alla necessita' di fronteggiare fattispecie, pur sempre delittuose, dunque connotate dall'elemento psicologico del dolo, considerate di particolare gravita' per l'allarme sociale dalle medesime destato (artt. 380 e 381 c.p.p.). Sul punto merita rammentare che gia' in passato la Corte, nella sentenza n. 39/70, pur decidendo in relazione a reato punito con la sola ammenda (art. 220 Tulps), ha comunque statuito osservando che l'obbligatorieta' della misura coercitiva deve trovare fondamento nella necessita' di fronteggiare "reati e situazioni (obiettive e subbiettive) di singolare gravita'", si' da risultare ancorata a "ragionevoli motivi di prevenzione". Questi requisiti devono essere presenti anche laddove disposizioni speciali prevedano l'arresto per reati che, come quello in questione, sono caratterizzati da modesta pena edittale e non consentono l'emissione della misura cautelare. Infatti, la stessa Corte, in altra decisione, la n. 305/1996, ritenendo legittima la previsione del comma 6 dell'art. 189 C.d.s., che contempla l'arresto, peraltro facoltativo, del conducente, che, causato incidente con danno alle persone, si dia alla fuga, ha chiarito come tali particolari ragioni di prevenzione possano sussistere anche in relazione a figure particolari di reato, la cui pena sia inferiore a quelle di cui alle norme inerenti l'arresto dettate dal codice di rito, facendo giustappunto riferimento ad una ratio normativa improntata al "giudizio di disvalore nei confronti di comportamenti contrari a quel minimo di solidarieta' umana, che impone di non abbandonare le vittime di incidenti stradali". Non si puo' che concordare: si e', in relazione a tale disposizione speciale inerente la possibilita' di arresto per mera contravvenzione, in presenza di previsione di privazione della liberta', la cui ragionevolezza si trae dal fine dell'identificazione di individui che hanno tenuto condotte lesive o pericolose per l'incolumita' della persona e che, fuggendo, tendono a sottrarsi alle loro responsabilita'. Non si vede invece quale motivo di eccezionale necessita' e urgenza, tale dunque da giustificare una disparita' di trattamento e conferire ragionevolezza alla norma, possa sottendere alla previsione dell'obbligatorieta' dell'arresto di soggetto espulso che si trattenga sul territorio in violazione all'ordine di allontanarsene (spesso, non si dimentichi, si tratta di persone clandestine, ma completamente immuni da precedenti penali). Cio', soprattutto, se si pone mente al fatto che, a tutela dell'eventuale allarme sociale determinato dalla permanenza sul territorio di soggetto espulso, l'amministrazione puo', anzi deve, procedere coattivamente all'espulsione: ne' un arresto, cui nel giro di poche ore, segue ineluttabilmente - se non ad opera del p.m. ex art. 121, disp. att. c.p.p., ad opera del giudice adito - la liberazione imposta dall'impossibilita' di applicazione di misura cautelare, puo' dirsi in qualche modo funzionale alla effettivita' della stessa espulsione. Non pare poi si possa legare l'obbligatorieta' della privazione della liberta' alla previsione, per tali fattispecie, del rito direttissimo. L'instaurazione di tale rito non presuppone, di per se', se non che sia evidente la prova, non anche che sia intervenuto arresto. Il giudizio direttissimo e', ad esempio, previsto, senza previo arresto, in relazione a reati che pongono in serio pericolo la civile convivenza sociale (reati aggravati da finalita' di discriminazione razziale; art. 6 u.c.) ed e' in generale, adottabile, a sensi dell'art. 449 c.p.p., nei confronti di persona che abbia confessato, a prescindere da una precedente privazione di liberta' della medesima. L'arresto obbligatorio per la fattispecie di cui si tratta si pone dunque quale infondata anticipazione di pena detentiva per reato contravvenzionale e di natura tale da non suscitare allarme nella coscienza sociale per la lesione di valori universali largamente condivisi e costituzionalmente garantiti (quali il citato rispetto della persona e dei principi di solidarieta' umana). Contrasto con gli artt. 2 e 10, comma 2, Cost. L'obbligatoria privazione della liberta' per reato bagatellare non pare possa trovare giustificazione nemmeno nella condizione di straniero. Ove si voglia, infatti, superare il dettato dell'art. 3 Cost. ancorando la "ragionevolezza" della previsione alla diversa condizione personale del soggetto, resta il contrasto con altri principi costituzionali. Quello di solidarieta' espresso all'art. 2 Cost., che garantisce i valori inviolabili dell'uomo, indipendentemente dalla sua nazionalita' e quello di cui all'art. 10, comma 2, Cost. che prevede che la legge, nel regolare la condizione giuridica dello straniero, deve rispettare i principi dettati dai trattati. E l'Italia ha, con legge 4 agosto 1955, n. 848, ratificato la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nella quale sono contenute norme che stabiliscono ampie garanzie in materia di arresto (artt. 5 e 6). Contrasto con l'art. 97 Cost. Si e' gia' accennato all'inutilita' concreta dell'arresto in vista dell'espulsione. Si deve aggiungere che da un arresto che non puo' che protrarsi per poche ore, e che peraltro e' obbligatorio eseguire, deriva, per gli organi di Polizia e per quelli dell'Amministrazione penitenziaria, un enorme - e, quel che piu' conta, sostanzialmente gratuito - aggravio di lavoro (redazione immediata di verbali, di informative al p.m. e al difensore, conduzione in carcere; formalita' di ingresso in carcere, traduzione dell'arrestato, formalita' per la liberazione, con conseguenti ingiustificati costi per l'Erario, il che si pone in contrasto con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione sancito nella norma de qua. La questione e', oltre che non manifestamente infondata, rilevante. Infatti, come gia' osservato dalla Corte nella decisione n. 54/1993, si tratta di stabilire se la liberazione - che questo giudice con il presente provvedimento altresi' dispone, non potendo la convalida in relazione alla quale sospende il procedimento, avere luogo nei termini di legge - debba avvenire per intervenuta inefficacia dell'arresto medesimo, ovvero per la "caducazione con effetto retroattivo della disposizione in base alla quale gli arresti furono eseguiti".