ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 5 del decreto
legislativo  30 dicembre  1992,  n. 502 (Riordino della disciplina in
materia  sanitaria),  nel  testo  modificato  dall'art. 6 del decreto
legislativo   7 dicembre   1993,  n. 517  (Modificazioni  al  decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502) e del medesimo art. 5 nel testo
modificato   dall'art. 1   (rectius:   5)   del  decreto  legislativo
19 giugno 1999,  n. 229  (Norme per la razionalizzazione del Servizio
Sanitario  Nazionale),  promosso con ordinanza del 17 giugno 2002 dal
Tribunale  di Ivrea nel procedimento civile vertente tra il comune di
Caluso  e  la  Regione  Piemonte  ed  altra,  iscritta  al n. 380 del
registro  ordinanze  2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 36, 1a serie speciale, dell'anno 2002.
    Visto  l'atto di costituzione del comune di Caluso nonche' l'atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  dell'11 febbraio  2003  il giudice
relatore Romano Vaccarella;
    Uditi  l'avvocato  Guido  Romanelli  per  il  comune  di Caluso e
l'avvocato   dello  Stato  Giorgio  D'Amato  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri.
    Ritenuto  che,  con ordinanza del 17 giugno 2002, il Tribunale di
Ivrea  solleva  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 5
del  decreto  legislativo  30 dicembre  1992,  n. 502 (Riordino della
disciplina  in  materia  sanitaria),  nel  testo  risultante  dopo la
modifica  introdotta  con l'art. 6 del decreto legislativo 7 dicembre
1993,  n. 517 (Modificazioni al decreto legislativo 30 dicembre 1992,
n. 502),  nonche'  dello  stesso  art. 5, come modificato dall'art. 1
(rectius:  5)  del  decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (Norme
per  la  razionalizzazione  del  Servizio  Sanitario  Nazionale),  in
riferimento  agli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, per
eccesso  rispetto  alla  delega conferita dall'art. 1, lett. p) della
legge   23 ottobre   1992,   n. 421   (Delega   al   Governo  per  la
razionalizzazione  e  la  revisione  delle  discipline  in materia di
sanita',   di   pubblico   impiego,   di   previdenza  e  di  finanza
territoriale);
        che  il  giudizio civile, nel corso del quale la questione e'
stata sollevata, venne introdotto dal comune di Caluso, con citazione
notificata   il   14 febbraio  2000,  volta  a  sentire  accertare  e
dichiarare,  nei  confronti  della  Regione  Piemonte  e dell'Azienda
regionale  ASL  n. 9, il suo diritto di proprieta' sui locali ubicati
al  secondo  e  al  terzo piano di Palazzo Spurgazzi, piazza Valperga
n. 2  del  comune  di  Caluso,  destinati dal comune, fin dal 1984, a
ospitare  gli  uffici  amministrativi  della  ASL  n. 9,  ed a questa
trasferiti  con  delibera dell'8 settembre 1998, n. 267 del dirigente
regionale competente;
        che  il  Comune  contesta  tale  provvedimento,  sia  perche'
fondato  su  una  errata  interpretazione  della  disposizione di cui
all'art. 5  del  d.lgs.  n. 502 del 1992, sia perche' la destinazione
dei locali all'unita' sanitaria locale non era piu' attuale;
        che  gli  enti convenuti, costituitisi in giudizio, confutano
con articolate argomentazioni la domanda attrice;
        che  il  giudice  rimettente osserva, preliminarmente, che la
tesi  posta  a  fondamento  della domanda - secondo la quale la norma
innanzi menzionata andrebbe interpretata nel senso che possano essere
attribuiti alle aziende sanitarie tutti e solo quei beni che facevano
parte  del  patrimonio degli enti, delle casse mutue e delle gestioni
soppresse  a  seguito  dell'entrata  in vigore della legge n. 833 del
1978   -   risulta  argomentata  con  riferimento  alla  ratio  della
disposizione,   al  dettato  della  legge  delega  e  alla  normativa
regionale:  alla  prima,  in quanto con il decreto legislativo n. 502
del  1992 il legislatore avrebbe segnatamente voluto "sdoganare" quei
beni  che,  gia'  appartenenti a enti titolari di funzioni sanitarie,
erano  stati formalmente attribuiti ai comuni, nell'impossibilita' di
una  loro  diretta intestazione alle USL, per essere queste all'epoca
prive  di  personalita'  giuridica; alla seconda, in quanto l'art. 1,
lett.  p) della legge n. 421 del 1992 ha limitato il trasferimento ai
soli  beni  "gia'  di  proprieta'  dei  disciolti  enti ospedalieri e
mutualistici";  alla  legislazione  regionale,  in  quanto  la  legge
28 marzo  1983,  n. 9, della Regione Piemonte classifica i beni delle
USL  in  due  categorie,  distinguendo,  dagli  altri, quelli gia' di
pertinenza  degli  enti  soppressi, di modo che l'inciso col quale si
apre  l'art. 5 ("nel rispetto della normativa regionale vigente") non
puo'  significare  altro se non che i beni dei quali si deve disporre
il trasferimento alle USL sono solo questi ultimi;
        che,  a giudizio del rimettente, l'interpretazione del comune
di  Caluso  non  trova  riscontro  nel  chiaro tenore dell'art. 5 del
d.lgs.  n. 502  del 1992 (come modificato dal d.lgs. n. 517 del 1993)
in quanto tale norma, dopo avere individuato nella prima parte, quali
oggetto  del  trasferimento,  "tutti  i  beni  mobili,  immobili, ivi
compresi quelli da reddito (nonche) le attrezzature che, alla data di
entrata in vigore del ... decreto (facevano) parte del patrimonio dei
comuni  o  delle  province  con  vincolo  di destinazione alle unita'
sanitarie  locali",  si  occupa  nella  seconda  parte  -  nettamente
separata  dalla  prima  da  un  segno  di  punteggiatura,  il punto e
virgola,  e  da  un  modulo  espressivo, "sono parimenti trasferiti",
assolutamente  inequivocabili  -  dei  beni  di  cui  erano una volta
titolari   le   disciolte   gestioni   sanitarie,  cosi'  chiaramente
distinguendo questi dagli altri;
        che poiche', a giudizio del rimettente, i mezzi da trasferire
possono  essere sia quelli non appartenuti agli enti soppressi, ma di
proprieta'  di  comuni  e  province, purche' vincolati a destinazione
sanitaria  (primo  inciso),  sia  quelli  gia'  appartenuti agli enti
soppressi  (secondo  inciso),  la  norma  in  discorso  -  nel  testo
risultante  dopo  la  modifica  introdotta,  utilizzando  la medesima
delega,  con l'art. 6 del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517
-  appare  in  insanabile  contrasto  con  la  legge 23 ottobre 1992,
n. 421,  la  quale  aveva  demandato  al  Governo  di  disciplinare i
trasferimenti, da province e comuni alle unita' sanitarie locali, dei
soli  beni  "gia'  di  proprieta'  dei  disciolti  enti ospedalieri e
mutualistici";
        che  il  dubbio di legittimita' costituzionale del rimettente
investe  l'art. 5, primo comma, anche nella sua attuale formulazione,
quale  risulta  a  seguito  delle  modifiche  introdotte  dall'art. 1
(rectius: 5) del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229;
        che  la  norma  de  qua  - a tenore della quale "nel rispetto
della   normativa  regionale  vigente,  il  patrimonio  delle  unita'
sanitarie locali e delle aziende ospedaliere e' costituito da tutti i
beni  mobili  e immobili ad esse appartenenti, ivi compresi quelli da
trasferire o trasferiti loro dallo Stato o da altri enti pubblici, in
virtu'  di leggi o di provvedimenti amministrativi nonche' da tutti i
beni  comunque  acquisiti  nell'esercizio della propria attivita' o a
seguito  di  atti di liberalita'" - non appare idonea a scardinare il
dubbio  sul  se  i  beni  che  devono  essere  trasferiti alle unita'
sanitarie  locali  siano  solo  quelli  gia' di proprieta' degli enti
disciolti,  ovvero  anche quelli comunque di proprieta' dello Stato o
di altri enti pubblici;
        che  la rilevanza della questione discende de plano dal fatto
che,  controvertendosi della proprieta' di beni che non appartenevano
ai  disciolti  enti sanitari ma al comune di Caluso, la domanda dallo
stesso proposta in base all'attuale assetto normativo dovrebbe essere
rigettata,  laddove  andrebbe  accolta, ove il dubbio di legittimita'
costituzionale sollevato fosse ritenuto fondato;
        che, costituitosi in giudizio, il comune di Caluso rileva che
l'art. 1  della  legge  delega  23 ottobre 1992, n. 421, prevedeva la
definizione  di principi organizzativi delle Unita' sanitarie locali,
strutturate   come  aziende  infraregionali  dotate  di  personalita'
giuridica e, in sintonia con tale assetto, stabiliva che dovesse aver
luogo  "il  trasferimento  (ad  esse)...  del  patrimonio mobiliare e
immobiliare  gia'  di  proprieta'  dei  disciolti  enti ospedalieri e
mutualistici,  che alla data d'entrata in vigore (della legge stessa)
...  fa(ceva)  parte del patrimonio dei comuni", ai quali, non avendo
la  riforma  del  1978  attribuito  alle  Unita'  sanitarie locali la
personalita'  giuridica  in quanto enti strumentali dei comuni, erano
stati trasferiti, con vincolo di destinazione alle USL;
        che la norma con la quale la delega e' stata attuata non puo'
essere  interpretata, a giudizio del comune, come volta ad assicurare
il  trasferimento  alle  Aziende  sanitarie  di tutti i beni mobili e
immobili  facenti  parte  del  patrimonio  dei  comuni con vincolo di
destinazione ai servizi sanitari, a prescindere dalla circostanza che
essi fossero o meno divenuti di proprieta' comunale per effetto della
legge  n. 833  del  1978,  posto  che  in  tal  caso  essa sarebbe in
insanabile   contrasto,  oltre  che  con  gli  artt. 42  e  97  della
Costituzione, con la legge delega, e quindi anche con l'art. 76;
        che   l'opzione   ermeneutica   prospettata  (sostanzialmente
condivisa  dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 98 del 1997),
non puo' ritenersi inficiata dalle modificazioni apportate dal d.lgs.
n. 229  del 1999, posto che tali modificazioni, del resto irrilevanti
ai fini del decidere stante l'operativita' del principio tempus regit
actum;  si limitano a offrire la definizione del patrimonio delle ASL
e delle AO;
        che  il  comune di Caluso chiede che la Corte costituzionale,
interpretata  la  norma  impugnata  nel  senso  innanzi  esplicitato,
ritenga  infondata  la sollevata questione di costituzionalita' o, in
via  gradata,  ove non condivida l'interpretazione proposta, dichiari
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5 per eccesso di delega;
        che,  costituitosi  in giudizio a mezzo dell'Avvocatura dello
Stato,   il   Presidente   del   Consiglio   dei  ministri  eccepisce
l'inammissibilita'   o   comunque  la  manifesta  infondatezza  della
sollevata  questione, osservando in particolare che l'interpretazione
logica  e sistematica della norma di delega - art. 1, lett. p), della
legge  23 ottobre  1992,  n. 421  -  impone  di ritenere che essa non
precludesse  affatto la possibilita' di estendere il trasferimento ai
beni   dei  comuni  e  delle  Province  non  provenienti  dagli  enti
mutualistici  soppressi,  ma  vincolati al servizio delle USL; che la
questione  sarebbe  inammissibile,  in primo luogo in quanto riferita
alla  nuova  e  attuale  formulazione  dell'art. 5 del d.lgs. 502 del
1992,  conseguente  alla  modifica  apportata con l'art. 5 del d.lgs.
n. 229 del 1999 - posto che questo e' stato emanato in base a diversa
e specifica delega (la legge n. 419 del 1998, nonche' la legge n. 133
del  1999)  con  la  quale  il rimettente ha omesso di raffrontare la
norma  delegata, ed in secondo luogo in quanto riferita al precedente
testo   dell'art. 5   del   d.lgs.  n. 502  del  1992,  senza  alcuna
valutazione  di  rilevanza in ordine all'influenza, sulla definizione
del   giudizio  principale,  dell'attuale  formulazione  della  norma
impugnata,  e senza considerare che il testo vigente sembra esprimere
una  volonta'  di  legittimazione dei trasferimenti attuati in favore
delle Aziende sanitarie;
        che  alla  pubblica  udienza  gli  avvocati Paolo Scaparone e
Giorgio  D'Amato  hanno  illustrato  le ragioni, rispettivamente, del
comune di Caluso e della Presidenza del Consiglio dei ministri.
    Considerato che il Tribunale di Ivrea dubita, in riferimento agli
artt. 76  e  77 della Costituzione, della legittimita' costituzionale
dell'art. 5 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, nel testo modificato
dall'art. 6 del d.lgs. 7 dicembre 1993, n. 517, e del medesimo art. 5
come  modificato  dall'art. 5  del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, per
eccesso  rispetto  alla delega conferita dall'art. 1, lett. p), della
legge 23 ottobre 1992, n. 421;
        che   la   questione   di   legittimita'   costituzionale  e'
manifestamente  inammissibile in quanto, in primo luogo il rimettente
omette ogni motivazione riguardo alla applicabilita' o non al caso di
specie  dell'art. 5  quale  risulta  modificato dal d.lgs. n. 229 del
1999, cosi' come omette totalmente di considerare che la norma de qua
e'  stata  emanata  in  base  ad una legge delega diversa da quella -
legge 23 ottobre 1992, n. 421 - in relazione alla quale il rimettente
lamenta l'eccesso di delega;
        che,  in  secondo  luogo,  e  cioe'  anche  a  voler ritenere
l'art. 5,   quale  riformulato  dal  d.lgs.  n. 229  del  1999,  come
meramente  ricognitivo e riepilogativo di quanto disposto dall'art. 5
nella  formulazione  di  cui  al  d.lgs.  7 dicembre 1993, n. 517, il
rimettente   omette   del   tutto  di  valutare  se  il  "vincolo  di
destinazione  sanitaria"  di  cui e' parola nella norma include anche
l'ipotesi, ricorrente nella specie, in cui un comune avesse deciso di
ospitare,   quale   ente   gestore  della  USL  (all'epoca  priva  di
personalita'  giuridica), uffici amministrativi della medesima USL, e
non  alluda  piuttosto a strutture sanitarie originariamente comunali
(o  provinciali)  da  gestire, a seguito della legge n. 833 del 1978,
unitariamente  con  quelle  rivenienti  al  comune dai disciolti enti
mutualistici;
        che,   conseguentemente,   la   questione   prospettata  deve
dichiararsi manifestamente inammissibile.