Ricorso    per    conflitto   di   attribuzioni   della   Regione
Emilia-Romagna,  in persona del presidente della giunta regionale pro
tempore,  sig.  Vasco  Errani,  rappresentata  e  difesa, per mandato
speciale  a  margine, dal prof. avv. Franco Mastragostino e dall'avv.
Luigi   Manzi  ed  elettivamente  domiciliata  presso  lo  studio  di
quest'ultimo in Roma, via Confalonieri n. 5;
    Contro  il  Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore; in
relazione  alla decisione del Consiglio di Stato, sez. Vl, n. 90/2003
depositata in data 15 gennaio 2003, che ha comportato la sospensione,
nella Regione Emilia-Romagna, di disposizioni legislative inerenti il
calendario  venatorio regionale e i calendari provinciali perche' sia
dichiarato  che  non  spetta  al  giudice amministrativo il potere di
sospendere  atti amministrativi, meramente ripetitivi di disposizioni
di leggi regionali, per vizi di competenza asseritamente imputabili a
queste ultime.

                              F a t t o

    Il   presente   ricorso   e'  rivolto  avverso  il  provvedimento
giurisdizionale  -  di  ordine  cautelare  -  con il quale il giudice
amministrativo  -  dapprima  il  Tribunale amministrativo regionale e
poi, il Consiglio di Stato in sede di appello cautelare - ha di fatto
legittimato la sospensione di disposizioni inerenti la disciplina del
calendario  venatorio, che la Regione Emilia-Romagna ha stabilito nel
territorio   regionale   mediante   approvazione  di  ben  due  leggi
nell'esercizio  della propria potesta' legislativa ex art. 17, quarto
comma Cost.
    Occorre  premettere,  in  fatto,  che associazioni "radicalmente"
ambientaliste,  quali la lega per l'abolizione della caccia e la lega
per   l'antivivisezione  hanno  impugnato,  con  ricorso  innanzi  al
Tribunale   amministrativo   regionale   Emilia   Romagna,   Bologna,
notificato  in  data 8 ottobre 2002, le deliberazioni di approvazione
del  Calendario venatorio della provincia di Bologna e, precisamente.
la  deliberazione  n. 257  della G.P. di Bologna, adottata in data 30
luglio   2002,   avente  ad  oggetto:  "Approvazione  del  calendario
venatorio  provinciale per l'annata 2002/2003"; la deliberazione G.P.
di Bologna n. 258 del 30 luglio 2002, avente ad oggetto "Approvazione
degli orari e delle modalita' relative alla caccia di selezione degli
ungulati  ad  integrazione  del  calendario venatorio provinciale per
l'annata 2002/2003" (ed anche la deliberazione della giunta regionale
n. 969, adottata in data 10 giugno 2002 avente ad oggetto: "Direttive
relative  alla  istituzione  e  alla  gestione  tecnica delle aziende
venatorie", invero interessante marginalmente l'esercizio venatorio e
senza alcun collegamento con le delibere precedentemente indicate) ma
in   realta',  hanno  censurato  disposizioni  introdotte  con  leggi
regionali, di cui i suddetti provvedimenti della Provincia di Bologna
costituiscono  mera esecuzione e diretta trasposizione dei rispettivi
contenuti.  In  particolare, trattasi della legge regionale n. 14 del
12  luglio  2002,  recante:  "Norme per la definizione del calendario
venatorio  regionale"  e la legge regionale n. 15 del 12 luglio 2002,
concernente  "Disciplina  dell'esercizio delle deroghe previste dalla
direttiva  79/409/CEE",  nonche'  la  legge  regionale  n. 22  del 20
settembre  2002,  di integrazione della legge regionale n. 15/2002 in
ordine  alla detenzione ed uso dei richiami. I predetti provvedimenti
della  Provincia  di  Bologna (cosi' come quelli delle altre Province
della  Regione,  di  adozione del calendario venatorio) costituiscono
"trasposizione"  e  diretta  applicazione delle leggi regionali sopra
citate  proprio  per  le  parti  di  maggiore rilievo impugnate dalle
associazioni  ricorrenti e, segnatamente, inerenti la c.d. "caccia in
deroga" e la caccia di selezione agli ungulati.
    Al  di  la'  dei  profili  per  i quali le Province dispongono di
discrezionalita'  amministrativa  nel  determinare  e  variare alcuni
contenuti  della  disciplina  quadro  sul  calendario venatorio, come
stabilita  dalla  legge regionale, per gli ambiti' di cui sopra si e'
detto  vi  e'  stata fedele trasposizione ed esecuzione dei contenuti
derivanti dalle disposizioni legislative, come si evince testualmente
dall'allegato  alla  delibera  della  G.P.  n. 257/2002 (pag. 1), nel
quale  si  precisa  che:  "L'esercizio  delle  deroghe previste dalla
direttiva  79/409/CEE avverra' secondo le modalita' e le prescrizioni
riportate nella legge regionale n. 15 del 12 luglio 2002") e laddove,
in  relazione  agli ungulati - specie cacciabili e periodi di caccia,
e' precisato che "Il prelievo degli ungulati e' consentito, secondo i
tempi  di  prelievo,  per  sesso  e  classe d'eta' e con le modalita'
previste  per  ciascuna  specie  dalla  legge  regionale n. 14 del 12
luglio   2002"   (cfr.  pag. 11  dell'allegato).  Specificamente,  le
disposizioni  impugnate con il ricorso giurisdizionale amministrativo
risultano le seguenti:
        primo  motivo:  si  censura "in capo alla deliberazione della
G.P.  n. 257/2002  -  la  violazione  di  legge (con riferimento agli
artt. 117,   primo  e  secondo  comma  Cost.;  art. 5  Cost.;  art. 9
direttiva  79/409  CEE; art. 249 Trattato CEE) e si solleva questione
di  legittimita'  costituzionale  della  legge  regionale n. 15/2002,
poiche'  essa consente la caccia alle specie protette Storno, Passero
Passera Mattugia;
        secondo  motivo:  per  violazione  degli  art. 117,  primo  e
secondo  comma  Cost;  dell'art. 5 Cost; dell'art. 9 direttiva 79/409
CEE,  dell'art. 249 del Trattato CEE, dell'art. 4, quarto comma della
legge  n. 157/1992,  si  censura la legge regionale 20 settembre 2002
n. 22  sulla  detenzione  e  uso  di  richiami  vivi  provenienti  da
allevamenti  o  da catture svolte antecedentemente al d.P.C.m. del 21
marzo  1997, appartenenti alle specie di cui all'art. 2, sollevandosi
questione  di legittimita' costituzionale nei confronti di tale legge
regionale;
        quarto   motivo:   si   censurano  "le  delibere  provinciali
impugnate  perche'  hanno  del  tutto arbitrariamente dilatato l'arco
temporale   entro  il  quale  e'  possibile  esercitare  il  prelievo
venatorio, in particolare per gli ungulati", in preteso contrasto con
l'art. 18,  secondo  comma  lett. c)  della  legge  n. 157/1992,  che
stabilisce  che  la caccia agli ungulati puo' essere esercitata dal 1
ottobre al 30 novembre.
    "L'art. 1,  comma  1, legge regionale n. 14/2002, in applicazione
alla  quale  ...  la  Provincia  ha dato le prescrizioni valevoli per
l'esercizio  venatorio  sul territorio di propria competenza, dilata,
...  il  periodo di caccia degli ungulati ... La delibera provinciale
n. 257/2002  afferma  espressamente  l'applicazione  della discipliia
stabilita  dalla legge regionale n. 14/2002 in ordine ai tempi e alle
modalita'   del   prelievo.   La   successiva   delibera  provinciale
n. 258/2002 esplicitamente dichiara che tra le innovazioni introdotte
dalla  legge  regionale  n. 14/2002,  in considerazione della recente
competenza legislativa esclusiva delle Regioni in materia di caccia e
recepite  dal,  calendario  venatorio  provinciale,  e' da annoverare
quella   relativa   al  periodo  di  caccia  agli  ungulati,  infatti
consentita  in  maniera differenziata, specie per specie, dal mese di
giugno  al  mese  di  marzo ... Cio' basta per radicare la censura di
illegittimita'  costituzionale nei confronti dell'art. 1, primo comma
lett. d)  della  legge  regionale  n. 14/2002,  ma  a corredo si vuol
rilevare  anche  la  violazione dell'art. 25, secondo comma Cost., il
quale  stabilisce,  come  noto,  sia  rispetto  al  precetto che alla
sanzione, una riserva di legge statale in materia penale".
    In  effetti, la legge regionale n. 14/2002, all'art. 3, lett. d),
cosi'  stabilisce  i  periodi  di  prelievo, differenziati specie per
specie:


=====================================================================
  SPECIE       TEMPI DI PRELIEVO         SESSO      CLASSE SOCIALE
---------------------------------------------------------------------
  Capriolo    1° giugno - 15 luglio e      M         I, II e III
              15 agosto - 30 settembre     F            I e II
               1° gennaio - 10 marzo     M e F            0

  Daino        1° gennaio - 10 marzo     M e F          tutte

  Cervo       10 agosto - 15 settembre     M          III e IV
               5 ottobre - 15 febbraio     M            I e II
                5 ottobre - 10 marzo       F            I e II
               1° gennaio - 10 marzo     M e F            0

  Muflone      1° novembre - 31 gennaio  M e F          tutte

  Cinghiale     1° giugno - 31 luglio    M e F          rossi
               1° agosto - 31 gennaio    M e F          tutte

        sesto  motivo:  (il  quinto,  probabilmente  per  mero errore
materiale,  non  risulta  formulato)  si  censura  per illegittimita'
costituzionale  l'art. 1, terzo comma legge regionale n. 14/2002, che
dispone  che  la caccia agli ungulati puo' essere consentita anche su
terreni  in  tutto o in parte coperti di neve, nella misura in cui il
Calendario  provinciale  riconosce  espressamente  tale  facolta', in
piena aderenza alla legge regionale;
        settimo motivo: viene dedotta l'illegittimita' della delibera
della G.P. n. 257/2002, nella parte in cui il calendario provinciale,
in  applicazione  dell'art. 1, comma 5, legge regionale n. 14/2002 (e
della  direttiva  regionale  di  cui  alla delibera G.R. n. 969/2002)
include   la   volpe   tra   le   specie   cacciabili  nelle  aziende
agrituristico-venatorie;
        ottavo  motivo: viene dedotta l'illegittimita' per violazione
degli  artt. 117,  secondo  comma,  e 5 Cost., nonche' degli artt. 1,
secondo  comma,  7  e  10  della  legge  n. 157/1992, del punto 8 del
calendario venatorio provinciale, poiche' esso dispone l'applicazione
della  disposizione  di  cui  all'art. 9,  quinto  comma  della legge
regionale  n. 15/2002,  che  stabilisce, per i soli prelievi di fauna
selvatica  migratoria in forma vagante, il sistema di annotazione sul
tesserino  venatorio  a consuntivo, e cioe' al termine della giornata
di caccia;
        nono  motivo:  la  deliberazione provinciale e' poi censurata
per  aver  disposto,  in  piena  conformita'  con la regola stabilita
dall'art. 4,  secondo  comma  della  legge  regionale  n. 14/2002, la
possibilita'  di  usufruire,  dal 1 ottobre al 30 novembre, di cinque
giornate  settimanali  di  caccia,  sia  pure  solo  per la caccia di
appostamento alla fauna selvatica migratoria.
    Come  si  vede, i provvedimenti amministrativi sono stati, per la
parte  piu  significativa  e  rilevante e per la pressoche' integrale
totalita',  impugnati non tanto per illegittimita' dell'atto per vizi
propri,   di   ordine   amministrativo,   ma  in  quanto  fondato  su
disposizioni   legislative  ritenute  dalle  associazioni  ricorrenti
costituzionalmente,  illegittime  e  cio' con particolare riguardo ai
periodi  di caccia degli ungulati (derivanti dalla peculiarita' della
caccia  di  selezione, che e' cosa ben diversa dalla caccia normale o
"programmata")  e  alle  modalita' di disciplina dell'esercizio della
caccia in deroga (a passeri e storni), con una coincidenza pressoche'
assoluta  fra  il  petitum  oggetto  del  ricorso proposto innanzi al
giudice  amministrativo e quello in cui si sostanziavano le questioni
di  illegittimita'  costituzionale, eventualmente da proporre innanzi
alla  Corte  costituzionale,  per  il  pregiudiziale  vaglio  di  non
manifesta infondatezza e rilevanza.
    Le  associazioni  ricorrenti  formulavano,  inoltre, richiesta di
sospensione  dei  provvedimenti  impugnati,  richiamandosi al preteso
fumus boni juris dei motivi del ricorso (e, quindi, in sostanza, alla
ritenuta    pregiudizialita'   e   rilevanza   delle   questioni   di
incostituzionalita' sollevate), mentre, per quanto riguarda il danno,
si  erano  rimesse  genericamente alle esigenze di tutela della fauna
selvatica,  in  relazione  alla  circostanza  che  l'esecuzione degli
illegittimi provvedimenti assunti avrebbe determinato "la rarefazione
e la estinzione delle specie animali protette".
    Il   Tribunale   amministrativo   regionale  dell'Emilia-Romagna,
sez. II, senza attribuire alcun rilievo alla richiesta avanzata dalla
Amministrazione  regionale in ordine al necessario apprezzamento, sia
pure  nella  sommaria  delibazione,  della  fondatezza  o  meno delle
proposte  eccezioni  di  incostituzionalita', assolutamente rilevanti
nel  caso  di  specie  per poter formulare un giudizio di ragionevole
previsione sull'esito del ricorso avanti al G.A. (come oggi richiesto
specificamene  e  puntualmente dall'art. 21, legge n. 1034/1971, come
modificato   dall'art. 3   della  legge  n. 205/2000),  liquidava  la
questione  con una pronuncia generica ed elusiva: "Considerato che le
censure delineare in ricorso necessitano di ulteriore approfondimento
nel  merito;  rilevato che, peraltro, il pregiudizio prospettato ha i
requisiti  della  gravita'  ed  irreparabilita', poiche' l'esecuzione
delle  impugnate  delibere  di  giunta  provinciale  comporta effetti
irreversibili   in  ordine  alla  protezione  e  tutela  della  fauna
selvatica ... P. Q. M. accoglie l'istanza ...".
    Siffatta  ordinanza,  nella  misura  in  cui non esprimeva alcuna
valutazione,  sotto  il profilo del fumus, in ordine alla ragionevole
previsione   dell'esito  del  ricorso,  presupposto  richiesto  dalla
riforma del processo amministrativo come correlato e concorrente alla
sussistenza  dell'eventuale  grave  pregiudizio,  e' stata impugnata,
sempre  in  sede  cautelare,  innanzi  al Consiglio di Stato, perche'
palesemente  in contrasto con la norma dell'ordinamento che regola la
concessione  di  misure  cautelari,  nonche' per erroneo e apodittico
apprezzamento circa la sussistenza del danno.
    Innanzi  al  Consiglio  di Stato veniva, in particolare, messo in
evidenza  che  la laconica affermazione in ordine alla esigenza di un
approfondimento nel merito delle censure delineate nel ricorso, lungi
dall'aver soddisfatto il necessario requisito della valutazione sulla
fondatezza o meno del gravame, evidenziava proprio la impossibilita',
da  parte  del giudice, di formulare un qualsivoglia apprezzamento su
tale piano, ovvero la incapacita' giuridica, allo stato, di esprimere
un  giudizio  prognostico, come richiesto e imposto dal nuovo settimo
comma dell'art. 21 legge sui Tribunale amministrativo regionale
    Il  che  era  del  tutto  prevedibile,  a  fronte della oggettiva
complessita'  del quadro di riferimento in cui si deve calare oggi la
materia  della  caccia.  A causa dell'intreccio di fonti normative di
vario  livello  e  delle  modifiche del quadro costituzionale, cui ha
fatto  seguito l'esercizio della nuova competenza residuale regionale
da  parte  della  Regione  Emilia  Romagna  in  tale  settore,  e' di
oggettiva difficolta' il valutare, sulla base della mera impugnazione
amininistrativa,  quali  aspetti  e con quale grado di vincolativita'
operino  ancora  i  principi  della legge quadro statale n. 157/1992,
rispetto  alla  competenza  residuale regionale e, su altro versante,
come  possano  interagire, rispetto alla competenza legislativa piena
regionale  in  tema  di  disciplina  venatoria  e  di esercizio delle
deroghe, i poteri statali di fissazione del nucleo minimo essenziale,
non  ancora  ex  novo  esercitati,  ma  discendenti,  appunto,  dalle
previgenti norme in materia.
    Da  sottolineare  che analogo ricorso proposto dalle Associazioni
WWF  ed  ENPA  avverso i provvedimenti di approvazione del calendario
venatorio  della  Provincia  di  Reggio-Emilia  e di approvazione del
Piano  di prelievo per la caccia di selezione agli ungulati (anchessi
adottati  in  attuazione  e  in piena conformita' con quanto disposto
dalle  vigenti disposizioni regionali sul calendario venatorio, sopra
citate)  avevano  dato  luogo alla emanazione, da parte del Tribunale
amministrativo   regionale   sede   di  Parma  (sezione  territoriale
competente)  ad  una  ordinanza  ancora piu' inaccettabile, sul piano
logico-giuridico,  in  quanto tale udice concedeva la sospensione dei
provvedimenti  impugnati non in sede di impugnazione della legge come
conseguenza  della  sospensione  del giudizio avanti al giudice a quo
instaurato,  con remissione degli atti alla Corte, ma la disponeva in
vista  di  una  futura  e solo probabile ordinanza di remissione alla
Corte  costituzionale  (e  alla conseguente remissione del giudizio),
con   cio'  violando  la  necessaria  consequenzialita'  temporale  e
logico-giuridica  tra  due  diversi  contesti  e  provvedimenti.  E',
infatti,  evidente  che  la valutazione del fumus boni juris, ai fini
della  sospensione  del provvedimento tacciato di illegittimita' e la
valutazione  della  (rilevanza  e  della)  non manifesta infondatezza
delle   questioni  di  legittimita'  costituzionale,  ai  fini  della
rimessione  alla Corte (e della conseguente sospensione del giudice a
quo  sono  due momenti necessariamente diversi: il primo non puo' che
seguire  il  secondo e, comunque, il giudice puo' ritenere necessario
sospendere  gli effetti pregiudizievoli solo basandosi su un giudizio
prognostico  legato  all'esito  del giudizio di fronte alla Corte, ma
giudizio  dato,  seppure  in  via  di sommaria delibazione, per certo
nell'an.
    Cosa che nella fattispecie non e' avvenuta, in quanto l'ordinanza
del  Tribunale  amministrativo  regionale Parma n. 233/2002 rinvia la
sollevazione  della  non  manifesta  infondatezza  della eccezione di
illegittimita'  costituzionale  eccepita  nei  confronti  delle leggi
regionali  n. 14 e n. 15 del 2002 alla "sede di merito", omettendo di
assumere, contestualmente alla sospensione, una ordinanza motivata di
remissione alla Corte costituzionale.
    In  sede  di  appello  cautelare  avverso  le  due  ordinanza del
Tribunale  amministrativo  regionale  Emilia-Romagna sopra citate, il
Consiglio  di  Stato  dava  luogo  ad  esiti  completamente difformi;
l'ordinanza  del  Tribunale amministrativo regionale Parma, impugnata
assai   tempestivamente   dalla   Provincia   di   Reggio-Emilia   (e
successivamente  anche dalla Regione Emilia-Romagna) veniva riformata
dal Consiglio di Stato con la seguente motivazione: "Ritenuto che, ad
una  prima sommaria delibazione l'odierno appello appare assistito da
sufficienti  elementi  di  fumus  boni  juris,  avendo il legislatore
statale attribuito alle regioni il potere di disciplinare l'esercizio
delle deroghe previste dalla direttiva 79/4/EE ed avendo la Provincia
di  Reggio-Emilia  approvato i provvedimenti impugnati in primo grado
nel  rispetto  delle  leggi  regionali  in proposito emanate peraltro
sulla   base  del  parere  dell'INFS  alle  cui  prescrizioni  si  e'
sostanzialmente  attenuta;  rilevato  che  l'ordinanza  impugnata non
motiva  sulla sussistenza del danno grave ed irreparabile della parte
appellata  in  consenta  dei  provvedimenti  provinciali;  P.  Q.  M.
accoglie ...".
    L'ordinanza   del  Tribunale  amministrativo  regionale  Bologna,
sez. II,   invece,   veniva  confermata  e  l'appello  della  Regione
Emilia-Romagna  era  respinto  sulla base della seguente motivazione:
"tenuto conto dei principi espressi dalla Corte costituzionale con la
sentenza n. 536 del 20 dicembre 2002 ... respinge l'appello ...".
    Analoga  sorte  subiva  il  ricorso  in  appello  promosso  dalla
Provincia di Forli-Cesena e della Provincia di Bologna.
    Nel  territorio  regionale  si veniva a creare, conseguentemente,
una  disparita'  di  applicazione  della  medesima  disciplina-quadro
regionale sul prelievo degli ungulati e sulla caccia in deroga e solo
nella Provincia di Reggio-Emilia il prelievo venatorio ha potuto aver
luogo in conformita' alle leggi regionali in vigore.
    Avverso tale atteggiamento del G.A. ha, quindi, deciso di reagire
la Regione Emilia-Romagna, in considerazione della circostanza che ad
oggi  nessuna pronuncia di tale giudice, ne' cautelare, ne' tantomeno
di  merito,  ha sollevato la questione di legittimita' costituzionale
nei  confronti delle citate leggi regionali avanti alla Corte, mentre
ne  risultano, sospesi gli effetti e mentre, per altro verso, diviene
indilazionabile  ed  urgente  per  laegione  salvaguardare le proprie
leggi  in  materia  (anche al fine di evitare comportamenti futuri di
illegittimo  uso  del potere, da parte del G.A.), atteso che la legge
regionale inerente al calendario venatorio ha durata quadriennale, il
problema  della  disciplina venatoria si ripresenta puntualmente ogni
anno,  dovendo  essere definita la relativa regolamentazione entro il
mese  di  giugno,  sicche'  l'interesse  della Regione a ricorrere in
difesa   delle  proprie  prerogative  legislative  appare  con  tutta
evidenza.

                            D i r i t t o

Premessa.
    Di   fronte   a  tre  ricorsi  delle  associazioni  ambientaliste
pressoche'  identici  contro  i  provvedimenti  di  tre  province che
riproducono   i  disposti  delle  leggi  regionali,  le  Sezioni  del
Tribunale  amministrativo  regionale  dell'Emilia-Romagna  (Bologna e
Parma)   hanno   sospeso  le  delibere  provinciali  con  motivazioni
analoghe,  anche se non equivalenti. In sede di riesame, il Consiglio
di  Stato  ha accolto un appello e respinto gli altri due. Il fattore
che  ha  determinato  la  differenza  di  atteggiamento  del  giudice
d'appello  e'  di  natura  temporale,  nel  senso  che  dopo la prima
decisione  di  riforma  e' stata emanata la sentenza di codesta Corte
n. 536  del  20  dicembre  2002,  che  ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale   della  recente  legge  sulla  caccia  della  Regione
Sardegna.
    Il   richiamo   a   questa  sentenza  e',  in  sostanza,  l'unica
argomentazione  espressa  dalle  ordinanze del Consiglio di Stato con
cui   e'   stato   respinto   l'appello   cautelare   della   Regione
Emilia-Romagna e della Provincia di Bologna.
    1.  -  Violazione  dell'art. 24  Cost. in relazione al diritto di
difesa  e  al principio del contraddittorio. Violazione dell'art. 134
Cost.
    Il  Consiglio  di Stato, estendendo alla Regione Emilia-Romagna i
principi  stabiliti  dalla  sentenza  n. 536/2002 di codesta Corte in
relazione  alla  legislazione  della  Regione  Sardegna, eccede dalle
attribuzioni  giurisdizionali ad esso assegnate e viola il diritto di
difesa  della Regione Emilia-Romagna, alla quale e' stato impedito di
difendere la legittimita' costituzionale delle proprie leggi.
    Si  deve evidenziare che la Regione Emilia-Romagna in primo grado
aveva   con   forza   sottolineato  l'esigenza  che  i  provvedimenti
provinciali  ripetitivi di norme e disposizioni della legge regionale
non  fossero  sospesi,  annullati  o  disapplicati,  senza aver prima
sollevato  la  questione  di  legittimita' costituzionale della legge
stessa,  portandola  avanti  a codesta ecc.ma Corte e garantendo alla
regione  di esplicitare le proprie ragioni. All'opposto, sia in primo
grado  le  sezioni  del  Tribunale  amministrativo  regionale, che in
appello  il  Consiglio di Stato, hanno negato alla regione il diritto
di  difendersi dai rilievi di incostituzionalita' di fronte alla sede
propria,  la  Corte  costituzionale:  il  giudice  amministrativo ha,
invece,  applicato  una sentenza pronunciata in un giudizio di cui la
Regione  non  era  parte,  per  inficiare  indirettamente  una  legge
regionale sulla cui legittimita' la Corte costituzionale non ha avuto
modo di pronunciarsi.
    Palese  e', percio', la violazione dello status riconosciuto alla
regione  dall'art. 134,  nonche'  del suo diritto di difendere le sue
leggi    in   regolare   contraddittorio   di   fronte   alla   Corte
costituzionale, ex art. 24 Cost.
    2. - Violazione dell'art. 117 nonche' dell'art. 127 primo comma e
dell'art. 134 Cost.
    Il  Consiglio  di  Stato,  confermando la pronuncia del Tribunale
amministrativo   regionale   Emilia-Romagna,   sez. II,  Bologna,  ha
convalidato la sospensione degli effetti di provvedimenti provinciali
che  non  conseguono  da  autonome  e  discrezionali  determinazioni,
proprie delle Amministrazioni provinciali, ma riproducono i contenuti
delle  leggi regionali; come rilevato nella parte in fatto, il rinvio
alle  disposizioni legislative inerenti all'esercizio della caccia in
deroga  e  al prelievo degli ungulati, secondo i tempi e i periodi di
caccia  individuati  dalle  rispettive leggi regionali n. 15 e 14 del
2002  e'  diretto  e immediatamente applicativo: rispetto ad esse gli
atti  deliberati  dalla  Province  non  introducono alcun elemento di
novita'.
    Che  la  relazione  tra  i  provvedimenti  provinciali e le leggi
regionali citate fosse cosi' precisa e stringente e' dimostrato dalla
stessa scarna motivazione delle ordinanze del giudice amministrativo.
    In  primo  grado,  il  Tribunale  amministrativo regionale Parma,
nella  decisione  poi cassata dal Consiglio di Stato, motiva il fumus
sulla   base   di   un   giudizio  prognostico  sulla  non  manifesta
infondatezza  delle questioni di illegittimita' delle leggi regionali
che, peraltro, non viene sollevata, ma rinviata al merito.
    Meno esplicitamente, anche la sezione di Bologna rinvia al merito
"l'ulteriore  approfondimento"  delle  censure delineate nel ricorso.
Entrambi,   pero',   dispongono   la  sospensione  dei  provvedimenti
impugnati.  Il  Consiglio  di  Stato,  che pure aveva annullato in un
primo  tempo l'ordinanza del Tribunale amministrativo regionale Parma
ritenendo  che  la  Provincia  di  Reggio  Emilia avesse "approvato i
provvedimenti  impugnati  in  primo  grado  nel  rispetto delle leggi
regionali  in  proposito  emanate",  conferma  in seguito, invece, la
decisione  del  Tribunale amministrativo regionale Bologna, mostrando
di  applicare  il  precedente della Corte nei confronti della Regione
Sardegna proprio ai fini di anticipare il giudizio sulla legittimita'
della  legge  regionale,  senza neppure la cautela di rinviare ad una
impugnazione  futura  delle  leggi  regionali  di  fronte  alla Corte
costituzionale.  Con  cio'  dimostra di aver ritenuto la questione di
legittimita'  delle leggi regionali dell'Emilia-Romagna gia' risolta.
Il  risultato e' che vengono sospesi provvedimenti amministrativi che
non costituiscono scelte discrezionali della amministrazione, ma pure
ripetizioni  di  disposizioni  legislative,  motivate  proprio  sulla
supposta illegittimita' di queste ultime.
    Il  G.A. percio', si e' arrogato un diritto che l'ordinamento non
riconosce  neppure alla Corte costituzionale e, cioe', di ordinare la
sospensione cautelare di applicazione delle leggi impugnate.
    Come  questa  ecc.ma  Corte ha avuto occasione di precisare nella
nota   sentenza  n. 285/1990,  di  fronte  al  giudice  che  sospende
l'applicazione  di una legge regionale si puo' sollevare conflitto di
attribuzioni,  in  quanto  non  si denuncia un error in judicando, ma
"l'erroneo convincimento" che ha indotto il giudice "ad esercitare un
potere  che  non  gli compete, errore cioe' che e' caduto sui confini
stessi della giurisdizione e non sul concreto esercizio di essa".
    E   anche   qui   "e'  proprio  l'esercizio  di  tale  potere  di
disapplicazione delle leggi che costituisce l'oggetto del conflitto",
non  potendovi  essere  dubbio che "la prospettata disapplicazione di
leggi   regionali   ...   in   quanto   ritenute   costituzionalmente
illegittime, violi, ove accertata, le invocate norme costituzionali e
incida,  in  particolare, sulla competenza legislativa garantita alla
Regione dall'art. 117, comma 1" (ora commi 3 e 4).
    A  differenza  del  caso  deciso dalla Corte con la cit. sentenza
n. 285/1990   ne'   il   Consiglio   di   Stato,   ne'  il  Tribunale
amministrativo  regionale teorizzano il potere del G.A. di sospendere
l'efficacia  delle leggi regionali; tuttavia, sospendendo l'efficacia
degli strumenti provinciali di mera, ma necessaria applicazione della
legge  regionale,  per  supposto  vizio  di  incompetenza delle legge
stessa,  producono  un risultato del tutto equivalente a quello della
sospensione della legge, in ciascun ambito provinciale.