ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel   giudizio   di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 197-bis,
commi 1 e 5, del codice di procedura penale, promosso, nell'ambito di
un  procedimento  penale,  dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto
con  ordinanza  del  5 ottobre  2001,  iscritta al n. 33 del registro
ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 5, 1a serie speciale, dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 29 gennaio 2003 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  il  Tribunale  di  Barcellona  Pozzo  di  Gotto ha
sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale del comma 1 dell'art. 197-bis del codice
di  procedura  penale,  "nella  parte in cui non prevede che anche le
persone  indagate in un procedimento connesso ai sensi dell'art. 12 o
di  un  reato  collegato  a norma dell'art. 371, comma 2, lettera b),
cod. proc. pen. possano essere sempre sentite come testimoni - con le
garanzie  di  cui  ai  commi 3,  4,  5 e 6 della citata norma [...] -
quando   nei   loro   confronti   e'  stato  pronunciato  decreto  di
archiviazione  ai  sensi  dell'art. 411 cod. proc. pen.", nonche' del
comma 5  del  medesimo  articolo,  "nella parte in cui non prevede la
inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese dalle dette persone contro
di  esse nel procedimento conseguente alla eventuale riapertura delle
indagini";
    che il Tribunale premette:
        che  procede,  a  seguito  di rinvio a giudizio del marzo del
1997, a carico di alcuni imputati per il reato di cui all'art. 73 del
d.P.R.  9 ottobre  1990,  n. 309  (Produzione  e traffico illecito di
sostanze stupefacenti o psicotrope);
        che  nel febbraio  del  1998  aveva  ammesso le prove tra cui
l'esame,  ex  art. 210  cod.  proc.  pen.,  di  tre  soggetti  la cui
posizione   era   stata   medio  tempore  "definita  con  decreto  di
archiviazione  in  conseguenza  della ritenuta detenzione di sostanza
stupefacente  per  mero  uso  personale"  e  che successivamente, nel
giugno  del  2001, uno di tali soggetti si era avvalso della facolta'
di non rispondere;
        che  a  fronte  di  tale  situazione  processuale il pubblico
ministero     ha     eccepito     l'illegittimita'     costituzionale
dell'art. 197-bis,  comma 1, cod. proc. pen., perche' non consente di
sentire  come  testimoni  anche  le  persone indagate in procedimento
connesso  o  per  reato  collegato quando nei loro confronti e' stato
pronunciato decreto di archiviazione ex art. 411 cod. proc. pen.;
        che il Tribunale rimettente rileva che la sentenza n. 108 del
1992 della Corte costituzionale, che aveva escluso la possibilita' di
assumere come testimone l'indagato nei cui confronti era stato emesso
provvedimento   di   archiviazione,   non   potrebbe   piu'   trovare
applicazione  dopo la legge 1 marzo 2001, n. 63, che, tra le numerose
innovazioni,  ha  modificato  la  disciplina della incompatibilita' a
testimoniare,  estendendo  "l'obbligo della testimonianza a categorie
di soggetti prima espressamente esentate";
        che  ad  avviso del giudice a quo la ragione dell'ampliamento
dell'area    della    testimonianza    risiede   nella   "intervenuta
definitivita'"  della  posizione processuale del dichiarante, che non
potrebbe  piu'  subire  effetti  pregiudizievoli a seguito dell'esame
testimoniale,   anche  in  considerazione  delle  ulteriori  garanzie
previste  dai  commi 3,  4,  5  e 6 del nuovo art. 197-bis cod. proc.
pen.;
        che  la norma censurata si porrebbe in contrasto con l'art. 3
Cost.,  a  cagione  della  disparita'  di  trattamento tra imputato e
indagato,  nonostante  "per  entrambe le posizioni sia intervenuto il
crisma  della  definitivita', con una sentenza irrevocabile [...] per
il primo, con un decreto di archiviazione ex art. 411 cod. proc. pen.
per  il secondo (pronunciato, come nell'ipotesi di specie, perche' il
fatto  non  e'  previsto  dalla  legge  come reato, essendo lo stesso
amministrativamente sanzionato)";
        che, pertanto, ai sensi dell'art. 61 cod. proc. pen. alle due
posizioni  andrebbero  estese  la  stessa  disciplina  e  le medesime
garanzie,  con  particolare  riferimento al comma 5 dell'art. 197-bis
cod.  proc. pen., che tutelerebbe in modo pieno l'indagato in caso di
riapertura delle indagini ex art. 414 cod. proc. pen.;
        che  la  disciplina censurata violerebbe inoltre il principio
di  ragionevolezza,  in quanto ostacolerebbe l'accertamento del fatto
storico necessario per pervenire ad una giusta decisione;
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata;
        che  a  parere  dell'Avvocatura  le  due  situazioni  poste a
confronto  sarebbero disomogenee e quindi non comparabili, in quanto,
diversamente   da   quella   dell'imputato   giudicato  con  sentenza
irrevocabile,  la  posizione dell'indagato nei cui confronti e' stato
emesso   un   decreto   di   archiviazione   non   puo'  considerarsi
definitivamente  risolta,  attesa "la natura limitatamente preclusiva
del  provvedimento  di archiviazione, suscettibile di essere rimosso,
anche  nell'ipotesi  in  cui  lo  stesso  sia  intervenuto  ai  sensi
dell'art. 411   cod.   proc.   pen.,  ai  sensi  e  per  gli  effetti
dell'art. 414 cod. proc. pen.";
        che,  inoltre,  la disciplina censurata risulta frutto di una
scelta  legislativa che, nel dare attuazione all'art. 111 Cost. nella
parte  in  cui  afferma  il principio della formazione della prova in
contraddittorio,  non irragionevolmente ha individuato nella sentenza
irrevocabile   "un  giusto  punto  di  equilibrio  tra  l'obbligo  di
testimonianza sul fatto altrui che discende dal suddetto principio ed
il diritto al silenzio dell'imputato".
    Considerato   che   il   rimettente   dubita  della  legittimita'
costituzionale   dell'art. 197-bis,   commi 1  e  5,  del  codice  di
procedura  penale,  per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in
quanto  la  disciplina censurata non prevede che possa essere sentita
come  testimone la persona nei cui confronti sia stato pronunciato un
provvedimento  di archiviazione a norma dell'art. 411 cod. proc. pen.
per un reato connesso o collegato a quello per cui si procede, con la
garanzia  della  non  utilizzabilita'  delle  dichiarazioni  rese nel
procedimento conseguente alla eventuale riapertura delle indagini;
        che  in  sostanza  il rimettente, ritenendo non piu' attuali,
alla  luce del mutato quadro normativo, le argomentazioni poste dalla
Corte  costituzionale  a  base della sentenza n. 108 del 1992, chiede
una decisione che, ai fini dell'assunzione dell'ufficio di testimone,
equipari  la posizione della persona gia' indagata in un procedimento
connesso  ai  sensi dell'art. 12 cod. proc. pen., ovvero per un reato
collegato  a  norma  dell'art. 371,  comma 2,  lettera b), cod. proc.
pen.,  nei  cui  confronti  sia  stato  emesso  un  provvedimento  di
archiviazione  ex art. 411 cod. proc. pen., a quella dell'imputato in
procedimento  connesso  o  di  reato collegato giudicato con sentenza
irrevocabile di proscioglimento;
        che  con  la  legge  1  marzo  2001,  n. 63,  il legislatore,
nell'intento  di  contemperare  la riduzione dell'area del diritto al
silenzio  con  il  diritto  dell'imputato a non rendere dichiarazioni
contra  se, ha ridefinito i casi di connessione tra procedimenti e di
collegamento  tra  reati  (artt. 12  e  371, comma 2, lettera b) cod.
proc.  pen.),  ha modificato l'art. 197 cod. proc. pen., ampliando il
novero  dei  provvedimenti idonei a far cessare la incompatibilita' a
testimoniare,   in   precedenza   individuati   nella  sola  sentenza
irrevocabile   di   proscioglimento,   e  nel  contempo  ha  previsto
nell'art. 197-bis  cod.  proc.  pen.  una  particolare  disciplina  e
specifiche  garanzie per l'esame testimoniale dell'imputato sul fatto
altrui;
        che,   pertanto,   accanto  alla  figura  "tradizionale"  del
testimone,   e   dell'imputato   in  procedimento  connesso  a  norma
dell'art. 12,   comma 1,  lettera a),  che  deve  essere  sentito  ex
art. 210   cod.  pen.  proc.  (categoria,  quest'ultima,  che  rimane
fondamentalmente  connotata  dalla facolta' di non rispondere), si e'
aggiunta  quella  del  testimone  "assistito" dalle garanzie previste
dall'art. 197-bis cod. proc. pen.;
        che,    in    particolare,    il   legislatore   ha   escluso
l'incompatibilita'  con  l'ufficio  di  testimone per gli imputati in
procedimento  connesso  o  di  reato collegato a condizione che siano
stati definitivamente giudicati (e sia percio' operante il divieto di
bis in idem), ovvero a condizione che abbiano volontariamente assunto
la  veste  di  testimone (a seguito dell'avviso a norma dell'art. 64,
comma 3,  lettera  c),  cod.  proc.  pen.) e non siano imputati dello
stesso fatto (art. 12, comma 1, lettera a);
        che  il  rimettente  - traendo spunto dal caso, sottoposto al
suo esame, di archiviazione pronunciata perche' il fatto, qualificato
come  detenzione  di  stupefacente per uso personale, non e' previsto
dalla   legge   come   reato - sostiene   che   il  provvedimento  di
archiviazione  emesso  nelle  ipotesi  di cui all'art. 411 cod. proc.
pen.  assume  un  carattere  di  stabilita'  analogo  a  quello della
sentenza irrevocabile;
        che,  al  riguardo,  si  deve  pero' osservare che, al di la'
delle  peculiari  situazioni  che possono in concreto verificarsi, il
provvedimento   di   archiviazione,   pronunciato   con  qualsivoglia
"formula",   potrebbe   in  astratto  essere  sempre  superato  dalla
riapertura   delle  indagini,  autorizzata  in  vista  di  una  nuova
qualificazione del fatto come fattispecie penalmente rilevante ovvero
come  reato  perseguibile  d'ufficio o ancora come reato per il quale
operano termini prescrizionali di maggiore durata;
        che,  d'altro  canto,  ove  si  voglia  tenere conto, ai fini
dell'assunzione dell'ufficio di testimone, della obiettiva diversita'
della  posizione  del  soggetto  nei cui confronti e' stato emesso un
provvedimento  di archiviazione rispetto a quella del soggetto la cui
posizione  processuale  e'  ancora sub iudice, potrebbero ipotizzarsi
soluzioni  diverse  da  quella prevista per l'imputato prosciolto con
sentenza  irrevocabile,  o  differenziate  tra  loro  a  seconda,  ad
esempio,  che  il  soggetto  "archiviato"  sia  stato  indagato in un
procedimento  connesso  ai  sensi  dell'art. 12  ovvero  per un reato
collegato  a  norma  dell'art. 371,  comma 2,  lettera b), cod. proc.
pen.;
        che,  inoltre,  il provvedimento di archiviazione pronunciato
ex  art. 411  cod.  proc. pen. si riferisce a situazioni tra loro non
omogenee,  che  si  atteggiano  in  modo  differente quanto alla loro
normale  forza  di  resistenza  rispetto  ad una eventuale riapertura
delle  indagini  ex  art. 414  cod.  proc.  pen.  e potrebbero quindi
suggerire  una disciplina differenziata in tema di compatibilita' con
l'ufficio di testimone;
        che  infine  -  attesa  la struttura sostanzialmente unitaria
dell'istituto  dell'archiviazione previsto dagli artt. 408 e 411 cod.
proc.  pen. - la soluzione della questione prospettata dal rimettente
comporterebbe   la   necessita'   di   definire  una  disciplina  non
circoscritta alla situazione oggetto del giudizio a quo, ma correlata
agli   altri   casi   di   archiviazione   presenti  nell'ordinamento
processuale,  si'  che  la  Corte  sarebbe  chiamata  a  compiere una
complessa    e    analitica    ricostruzione    del   sistema   delle
incompatibilita'   ad  assumere  l'ufficio  di  testimone,  svolgendo
funzioni   ed  operando  scelte  discrezionali  che  rientrano  nelle
attribuzioni del legislatore;
        che  la  questione  sollevata  dal  rimettente  deve pertanto
essere dichiarata manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.