ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  delibera  della  Camera  dei  deputati  del
24 ottobre   2000,  relativa  alla  insindacabilita'  delle  opinioni
espresse  dall'on.  Giancarlo  Cito  nei  confronti  di Donato Olive,
promosso  con  ricorso  del  Tribunale  di  Taranto,  seconda sezione
penale,   notificato  il  7 marzo  2002,  depositato  in  cancelleria
l'8 aprile  successivo  ed  iscritto  al n. 11 del registro conflitti
2002.
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 15 gennaio 2003 il giudice
relatore Valerio Onida.

                          Ritenuto in fatto

    1.1. - Con   atto  pervenuto  a  questa  Corte  in  originale  il
9 novembre  2001, il Tribunale di Taranto, seconda sezione penale, in
composizione  monocratica, ha sollevato conflitto di attribuzione nei
confronti  della  Camera dei deputati in relazione alla deliberazione
in  data  24 ottobre  2000  con la quale detta Camera ha approvato la
proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere di dichiarare
che i fatti per i quali e' in corso il procedimento penale instaurato
davanti  allo  stesso  Tribunale nei confronti del deputato Giancarlo
Cito  -  imputato  del  delitto  di  diffamazione per avere, con piu'
azioni  esecutive  del  medesimo  disegno  criminoso,  in un pubblico
comizio  e in un comunicato diramato agli organi di stampa, offeso la
reputazione  di  Donato  Olive,  tenente  della Guardia di finanza in
forza  al  Nucleo  di  polizia  tributaria  di  Taranto  - concernono
opinioni   espresse   dal  deputato  Cito  nell'esercizio  delle  sue
funzioni, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    Secondo   il  Tribunale  ricorrente,  nella  condotta  contestata
all'on.   Cito   come  diffamatoria  non  sembrerebbe  esservi  alcun
collegamento  funzionale  con  la sua attivita' parlamentare, "quanto
meno con riferimento alla seconda parte della condotta e cioe' quella
relativa  al  preteso  illegittimo  arresto  del  capitano dei vigili
urbani  del  Comune  di  Taranto",  non  essendo riscontrabile alcuna
connessione   con   atti  tipici  della  funzione  parlamentare,  ne'
apparendo  possibile  individuare  nel  comportamento del deputato un
intento    divulgativo    di    una    scelta   o   di   un'attivita'
politico-parlamentare.  Nelle parole oggetto di contestazione sarebbe
assente  un  preteso  contenuto  politico,  poiche'  le  affermazioni
contestate  sembrerebbero  trascendere su un piano di mero dileggio e
di insulto personale nei confronti del pubblico ufficiale.
    Il  ricorrente  rileva  altresi'  la carenza di motivazione della
delibera  della  Camera,  sotto  il  profilo  della  possibilita'  di
comprensione  delle  ragioni  che  hanno  indotto ad adottarla, nulla
dicendosi  in essa circa il motivo che avrebbe potuto giustificare le
accuse   al   tenente   Olive   di   cui  alla  seconda  parte  della
contestazione.
    In  definitiva,  il  Tribunale  ricorrente ritiene che la propria
sfera    di    attribuzioni,   costituzionalmente   garantita   dagli
articoli 101   e   seguenti   della   Costituzione,   sarebbe   stata
illegittimamente  menomata  dalla  deliberazione  impugnata,  da  cui
discenderebbe  un  effetto inibitorio della prosecuzione del giudizio
dinanzi  ad esso pendente; onde chiede affermarsi che non spetta alla
Camera  dei  deputati  dichiarare  la insindacabilita' delle opinioni
espresse dal deputato Giancarlo Cito, secondo quanto deliberato dalla
Camera medesima.
    1.2. - Il conflitto e' stato dichiarato ammissibile con ordinanza
di questa Corte n. 27 del 2002. Il Tribunale di Taranto ha notificato
in  data 7 marzo 2002 il ricorso e l'ordinanza di ammissibilita' alla
Camera  dei  deputati,  depositandoli poi, insieme con la prova della
avvenuta  notifica,  nella  cancelleria della Corte costituzionale in
data 8 aprile 2002.
    1.3. - Nel giudizio dinanzi alla Corte si e' costituita la Camera
dei  deputati, chiedendo che il ricorso venga dichiarato infondato, e
comunque  riservandosi  di  meglio  valutare  gli eventuali motivi di
inammissibilita'  del  ricorso  successivamente  alla costituzione in
giudizio e, quindi, alla verifica del deposito avversario.
    Ad  avviso  della  Camera dei deputati, le dichiarazioni dell'on.
Cito,  da  lui rese nel corso di un comizio e successivamente a mezzo
stampa, rappresenterebbero la divulgazione all'esterno di un'opinione
gia'  espressa  nell'esercizio  di funzioni parlamentari, e come tale
insindacabile.
    Infatti  il  problema  cui  tali dichiarazioni si riferiscono era
gia'  stato  sottoposto  all'esame  della Camera nel corso della XIII
legislatura,   costituendo   oggetto  di  numerosi  atti  formalmente
parlamentari,  in particolare di atti di sindacato ispettivo posti in
essere soprattutto dallo stesso on. Cito.
    Il contenuto, il tema specifico delle dichiarazioni "incriminate"
era  costituito  da  "una  vibrata  protesta  e critica dell'on. Cito
avente  ad oggetto l'esercizio asseritamente distorto delle attivita'
di  indagine  della Procura della Repubblica di Taranto, non solo nei
suoi  confronti,  nonche' - in particolare - le modalita' illegittime
con  cui  gli agenti di polizia giudiziaria alle dipendenze di quella
Procura, in particolare il tenente Olive, vi avevano dato esecuzione,
non solo nei suoi confronti".
    E  nel corso della XIII legislatura - si fa rilevare - l'on. Cito
ha  presentato  numerose  interrogazioni, aventi come destinatario il
Ministro  della  giustizia,  con  le  quali  tutte  si  lamentava  un
esercizio  distorto  e  politicizzato delle proprie funzioni da parte
della  Procura  della  Repubblica  preso  il  Tribunale di Taranto e,
conseguentemente,  delle  funzioni  e delle attivita' degli agenti di
polizia  giudiziaria da essa dipendenti, e si chiedeva al Ministro di
intervenire  al  riguardo  anche  mediante  una  azione ispettiva. In
particolare  nelle  interrogazioni si evidenziavano due aspetti delle
suddette  attivita'  tra  loro  strettamente  connessi: da un lato un
particolare  "accanimento"  investigativo e giudiziario nei confronti
dello  stesso  on. Cito (all'epoca Sindaco di Taranto); dall'altro un
"accanimento"  anche  nei  confronti dell'amministrazione comunale di
Taranto   e,   in   particolare,  nei  confronti  della  sua  polizia
municipale. La difesa della Camera segnala al riguardo, fra le tante:
l'interrogazione  n. 4/07966  del  26  giugno 1997;  l'interrogazione
n. 4/08905   del   3 aprile  1997;  l'interrogazione  n. 4/10194  del
21 maggio   1997;  l'interrogazione  n. 4/01549  del  2 luglio  1996;
l'interrogazione  n. 4/00477  del  29 maggio  1996;  l'interrogazione
n. 4/02278   del  22 luglio  1996;  l'interrogazione  n. 5/00732  del
10 ottobre 1996; l'interrogazione n. 4/05051 del 6 novembre 1996.
    Tra  l'oggetto  delle  dichiarazioni "incriminate" e quello delle
suddette  interrogazioni  vi sarebbe non soltanto identita' tematica,
ma  propriamente  corrispondenza  sostanziale di contenuto. Ne' detta
corrispondenza  potrebbe, ad avviso della Camera, revocarsi in dubbio
per  il  fatto  che nelle richiamate interrogazioni non sono espressi
riferimenti   ad   atti   di  polizia  giudiziaria  posti  in  essere
specificamente   dal   tenente  Olive;  e  cio'  sia  perche'  quelle
interrogazioni investirebbero in generale un orientamento complessivo
della  Procura di Taranto e della dipendente polizia giudiziaria; sia
perche' questa Corte - in particolare nella sentenza n. 50 del 2002 -
avrebbe  mostrato di ritenere non necessario lo specifico riferimento
soggettivo negli atti parlamentari formali.
    In  conclusione,  le  opinioni critiche manifestate dall'on. Cito
nel  comizio  del 18 dicembre 1997 e nel successivo comunicato stampa
del  20 dicembre  1997,  essendo nella sostanza corrispondenti, per i
contenuti  che  le contraddistinguono, alle dichiarazioni espresse in
sede parlamentare, sarebbero finalizzate alla loro divulgazione.

                       Considerato in diritto

    Il ricorso per conflitto di attribuzione, sollevato dal Tribunale
di  Taranto,  seconda  sezione penale, nei confronti della Camera dei
deputati, e' improcedibile.
    Secondo  la  costante giurisprudenza di questa Corte, il deposito
del   ricorso   nel   termine,  perentorio,  di  venti  giorni  dalla
notificazione  di tale atto e dell'ordinanza che ammette il conflitto
(art. 26,  terzo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla  Corte  costituzionale)  costituisce  un  adempimento necessario
affinche' si possa aprire la seconda fase del conflitto relativa alla
decisione  sul  merito  (tra  le  altre, da ultimo, sentenze n. 253 e
n. 293 del 2001, n. 172 del 2002).
    Nella  specie,  il  ricorso e' stato depositato nella cancelleria
della  Corte,  con  la  prova  della  notificazione  eseguita a norma
dell'art. 37,   quarto  comma,  della  legge  11 marzo  1953,  n. 87,
l'8 aprile   2002,   oltre   il   termine   di   venti  giorni  dalla
notificazione, avvenuta il 7 marzo 2002.
    Pertanto non puo' procedersi allo svolgimento dell'ulteriore fase
del giudizio.