Il   giudice   dott.   Luciano  Ambrosoli,  letti  gli  atti  del
procedimento  in epigrafe a carico di Sgarbi Vittorio e Gori Giorgio,
imputati  del  delitto  di  diffamazione commesso in danno di Colombo
Gherardo - sentite le parti sulle determinazioni da assumere in esito
alla deliberazione della Camera dei deputati dell'8 febbraio 2001, la
quale  ha  affermato  che  tutti i fatti in questa sede contestati al
deputato  Sgarbi  Vittorio  concernono opinioni espresse da un membro
del   Parlamento   nell'esercizio   delle   sue  funzioni,  ai  sensi
dell'art. 68, comma primo della Costituzione, osserva

                              F a t t o

    Il  processo  ha  ad  oggetto  le  opinioni espresse dal deputato
Sgarbi  Vittorio durante le puntate dell'8, dell'11 e del 12 febbraio
1997,   del   programma   televisivo   «Sgarbi  quotidiani»,  diffuso
dall'emittente Canale 5.
    In   tali   occasioni   l'on. Sgarbi,  conduttore  del  programma
televisivo,  aveva  reiteratamente  affermato  che  il dott. Colombo,
sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano,
aveva  costituito una falsa prova documentale (un passi di ingresso a
Palazzo  Chigi) da utilizzare (a dimostrazione di un preteso incontro
tra  l'avv.  Berruti  e  l'on. Berlusconi,  all'epoca  presidente del
consiglio   dei   ministri)   in  un  procedimento  penale  a  carico
dell'on. Berlusconi 1).
    Con atti depositati il 18 e il 28 febbraio 1997, Colombo Gherardo
sporgeva  denuncia  querela  nei  confronti  di  Sgarbi Vittorio e di
chiunque altro avesse concorso nella commissione del reato, deducendo
la  natura  diffamatoria delle dichiarazioni rese da Sgarbi nel corso
delle   trasmissioni  televisive  sopra  richiamate,  e  allegava  le
videocassette recanti la registrazione di tali trasmissioni.
    Il  querelante  si  costituiva  inoltre  parte  civile  avanti al
giudice  dell'udienza  preliminare,  che  in  data  1°  ottobre  1999
disponeva  il  rinvio  a  giudizio di Sgarbi Vittorio e Gori Giorgio,
quest'ultimo  quale  direttore  responsabile  della  rete  televisiva
Canale 5.
    Il  16 febbraio  2001  il  Presidente  della Camera dei deputati,
trasmetteva  al  tribunale  la delibera adottata dall'assemblea nella
seduta  dell'8 febbraio  2001,  nella quale si recepiva la proposta a
maggioranza  formulata dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere
circa   la   insindacabilita'   delle   opinioni   critiche  espresse
dall'on. Sgarbi  nei  confronti del dott. Colombo, in quanto connesse
all'esercizio della funzione parlamentare.
    Il  relatore  onorevole  Sergio  Cola cosi' motivava la proposta:
«Dall'analisi dei fatti, e' apparso alla maggior parte dei componenti
la  Giunta,  espressisi sul punto, che le affermazioni dell'onorevole
Sgarbi,   si  inseriscono  nel  contesto  della  perdurante  polemica
politica  nel  nostro  Paese  inerente  al  modo  di  procedere della
magistratura   e,   in   particolare  nella  forte  critica  politica
manifestata  dal deputato Sgarbi nei confronti dell'operato di taluni
magistrati.  Occorre  tener  presente  infatti  che  le  affermazioni
riportate   inerivano  a  un  episodio  che  desto'  grande  scalpore
nell'opinione pubblica. In particolare, in questa occasione, i motivi
che  hanno  suscitato  la  critica  dell'onorevole  Sgarbi,  sono dei
profili  solo  apparentemente di dettaglio che legittimamente destano
perplessita'.  In  primo  luogo,  il  passi  asseritamente  rinvenuto
nell'agenda  dell'avvocato  Berruti, in realta' fu ritrovato solo tre
mesi   dopo   l'acquisizione   dell'agenda  stessa,  da  parte  della
magistratura.  In  secondo  luogo,  ancora  a  questo  proposito,  il
brigadiere  Piazza,  sembra aver smentito il dottor Colombo, il quale
aveva  sostenuto che fosse stato proprio costui ad avergli consegnato
il  passi.  Infine  appare  di  rilievo  ai  presenti fini che Silvio
Pastore,  l'agente  di  guardia dell'ingresso di Palazzo Chigi, abbia
negato  di  aver  visto  entrare  l'avvocato  Berruti,  nel  giorno e
nell'ora indicati dalla pubblica accusa. Proprio su questi profili si
e'  incentrato l'esercizio del diritto di critica del collega Sgarbi,
le cui riflessioni rientrano, pertanto, nel contesto della costante e
intensa battaglia politica che egli svolge in Parlamento, al di fuori
di esso, su tali tematiche.

                            D i r i t t o

    Sono   noti  i  principi  delineati  in  materia  dalla  sentenza
29 dicembre  1988, n. 1150 della Corte costituzionale: le prerogative
parlamentari non possono non implicare un potere dell'organo a tutela
del   quale   sono  disposte,  e  pertanto,  spetta  alla  camera  di
appartenenza  il  potere  di valutare se la condotta addebitata ad un
proprio  membro  debba  qualificarsi  come  esercizio  delle funzioni
parlamentari,  con  l'effetto  - in caso affermativo - di inibire una
difforme pronuncia giudiziale di responsabilita'.
    D'altra  parte,  il  potere  valutativo  delle camere, puo' dirsi
legittimamente  esercitato  solo  entro  i  limiti  della fattispecie
contemplata dall'art. 68, comma 1 Cost.: in un sistema costituzionale
che  riconosce  i  diritti  inviolabili dell'uomo (fra cui il diritto
all'onore    ed   alla   reputazione)   quali   valori   fondamentali
dell'ordinamento  giuridico, il potere valutativo delle camere, lungi
dall'essere   arbitrario   o  vincolato  a  sole  regole  interne  di
self-restraint,  e'  soggetto  al  controllo di legittimita' affidato
all'organo  giurisdizionale  di  garanzia  costituzionale mediante lo
strumento  del  conflitto  di  attribuzione,  a norma degli artt. 134
Cost. e 37 legge n. 87/1953.
    Cosi'  prosegue  la  motivazione  della  sentenza della Consulta:
«Qualora  il  giudice  di una causa civile di risarcimento dei danni,
promossa  da  una persona lesa da dichiarazioni diffamatorie fatte da
un  deputato  o da un senatore, in sede extraparlamentare, reputi che
la    delibera    della    camera    di    appartenenza,   affermante
l'irresponsabilita'  del proprio membro convenuto in giudizio, sia il
risultato   di   un   esercizio   illegittimo  [...]  del  potere  di
valutazione,  puo'  provocare il controllo della Corte costituzionale
sollevando  avanti  a  questa conflitto di attribuzione. Il conflitto
non  si configura nei termini di una vindicatio potestatis (il potere
di  valutazione  del  parlamento  non  e'  in astratto contestabile),
bensi'  come  contestazione  dell'altrui potere in concreto, per vizi
del  procedimento,  oppure  per  omessa  o  erronea  valutazione  dei
presupposti,  di  volta in volta richiesti per il valido esercizio di
esso».
    Tali  principi  hanno,  quindi, trovato conferma nelle successive
sentenze  della  Corte,  costituzionale  16 dicembre 1993 n. 443 («in
sede  di conflitto di attribuzione [...] e' possibile solo verificare
se  ai  fini  dell'esercizio,  in concreto del potere che ha condotto
alla dichiarazione di insindacabilita' [...] da parte della camera di
appartenenza,  sia  stato  seguito un procedimento corretto oppure se
mancassero  i  presupposti  di  detta  dichiarazione  -  tra  i quali
essenziale  quello  del  collegamento  delle opinioni espresse con la
funzione   parlamentare   -   o   se  tali  presupposti  siano  stati
arbitrariamente valutati») e 24 aprile 1996, n. 129.
    E'  dunque evidente che, secondo l'ormai consolidato orientamento
della  stessa  Corte  costituzionale, il giudizio ad essa devoluto in
sede  di  conflitto di attribuzione non si limita alla verifica della
validita'  e  congruita'  della motivazione con la quale la Camera di
appartenenza   del   parlamentare   abbia   dichiarato  insindacabile
l'opinione espressa: «il giudizio in sede di conflitto tra poteri non
si  atteggia  a  giudizio  sindacatorio  ... su di una determinazione
discrezionale dell'assemblea politica. In questo senso va precisato e
in  parte  corretto  quanto  affermato nella pregressa giurisprudenza
circa  i  caratteri del controllo di questa Corte sulle deliberazioni
di  insindacabilita'  adottate  dalle Camere ... la Corte, chiamata a
svolgere,  in posizione di terzieta', una funzione di garanzia, da un
lato  dell'autonomia  della  Camera di appartenenza del parlamentare,
dall'altro     della    sfera    di    attribuzione    dell'autorita'
giurisdizionale,  non  puo'  verificare  la  correttezza,  sul  piano
costituzionale, di una pronuncia di insindacabilita' senza verificare
se, nella specie, l'insindacabilita' sussista, cioe' se l'opinione di
cui  si  discute  sia  stata  espressa  nell'esercizio delle funzioni
parlamentari, alla luce della nozione di tale esercizio che si desume
dalla Costituzione» (Corte, Cost. 17 gennaio 2000, n. 10).
    Non    puo',    in   conclusione,   dubitarsi   che   l'autorita'
giurisdizionale  sia  legittimata a far valere, mediante conflitto di
attribuzione,  la menomazione della propria sfera di attribuzioni che
ritenga  discendere  dalla  deliberazione  di  insindacabilita' della
Camera,  in  ipotesi  adottata  in  mancanza  di  qualsivoglia  nesso
funzionale tra le opinioni espresse e la funzione parlamentare.
    In   proposito  si  deve  osservare  che  il  pressoche'  unanime
orientamento    della    dottrina    costituzionalistica    e   della
giurisprudenza  della  Corte di cassazione e di merito afferma che la
prerogativa  prevista  dall'art. 68,  comma  1  Cost.,  e'  posta  ad
esclusiva   tutela   della   funzione,   e   non  della  persona  del
parlamentare:  le  opinioni  del  parlamentare  sono insindacabili in
quanto espresse nell'esercizio dell'attivita' istituzionale in aula o
presso  gli  organi  parlamentari, mentre l'attivita' di propaganda e
critica  politica  non costituisce affatto espressione della funzione
parlamentare,  ne' puo' considerarsi attivita' propria dei membri del
Parlamento, i quali sono in tale campo soggetti ai medesimi limiti di
espressione   di   ogni  altro  cittadino  che  voglia  concorrere  a
determinare  la  politica  nazionale. E la necessita' di una rigorosa
individuazione  delle  attivita'  funzionali  e'  infine affermata da
recenti  pronunce  della  Corte  costituzionale  che, a partire dalla
sentenza   n. 379/1996  («sono  coperti  da  immunita'  non  tutti  i
comportamenti  dei  membri  delle Camere, ma solo quelli strettamente
funzionali  all'esercizio indipendente delle attribuzioni proprie del
potere  legislativo, mentre ricadono sotto il dominio delle regole di
diritto  comune  i  comportamenti  estranei alla ratio giustificativa
dell'autonomia costituzionale delle Camere» - punto 4 del considerato
in diritto), individuano un indirizzo ormai consolidato, in forza del
quale piu' deliberazioni dell'uno o dell'altro ramo del Parlamento in
punto di insindacabilita' sono state, in situazioni analoghe a quella
in  esame, annullate sul ricorso dell'autorita' giudiziaria (prima in
tal senso la sentenza 18 luglio 1998, n. 289).
    L'art. 68 comma 1 Cost. e' espressione del principio di autonomia
parlamentare,  a  garanzia  del  quale  viene in parte sacrificato il
fondamentale  principio  costituzionale di legalita' e giurisdizione,
in  vista  della realizzazione del superiore interesse dello Stato al
libero   svolgimento  dell'attivita'  legislativa  e  delle  funzioni
proprie  del  Parlamento:  l'arbitraria  estensione delle prerogative
previste  dall'an. 68 comma 1 Cost., a comportamenti non strettamente
funzionali  all'esercizio  delle  attribuzioni  parlamentari  importa
l'ingiustificata   menomazione   della   sfera   delle   attribuzioni
costituzionali  dell'autorita' giudiziaria (e del diritto di ognuno a
far  valere  in  giudizio la lesione del proprio diritto all'onore ed
alla reputazione).
    Nessun  rapporto  di  stretta funzionalita' - ritenuto necessario
dalla   menzionate   pronunce   della  Corte  costituzionale  -  puo'
ravvisarsi  nell'attivita'  che  il  parlamentare svolga extra moenia
come  uomo  di  partito  o  come  privato  cittadino:  la prerogativa
costituzionale  tutela  l'indipendente  svolgimento  delle  attivita'
proprie del parlamentare (all'interno o all'esterno del Parlamento) e
quelle  ad  esse strettamente connesse (e' il caso della divulgazione
al  pubblico  dell'attivita'  svolta  in  sede istituzionale 2) e non
costituisce  in  suo  favore  una posizione di privilegio della quale
possa  avvalersi  allorche'  -  come qualunque cittadino e' ammesso a
fare  - svolga attivita' politica o eserciti comunque il diritto alla
libera  manifestazione  del  proprio  pensiero, non essendovi ragione
alcuna  perche'  in tale veste egli non operi su piano di parita' con
ogni altra persona e nel rispetto dei limiti sanciti dall'ordinamento
giuridico 3).
    Tale rigorosa interpretazione e' ribadita e precisata dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 10 del 17 gennaio 2000, laddove, nel
ribadire  che l'immunita' investe gli att funzionali del parlamentare
(«anche   individuali,  costituenti  estrinsecazione  delle  facolta'
proprie del parlamentare in quanto membro dell'assemblea»), esplicita
chc  «l'attivita'  politica  svolta  dal  parlamentare al di fuori di
questo  ambito, non puo' dirsi di per se' esplicazione della funzione
parlamentare»,  e  che  l'estensione  della prerogativa alle opinioni
espresse in altra sede non puo' affermarsi sul presupposto della mera
comunanza di argomento con quelle gia' esposte in sede istituzionale,
ne'  tanto meno invocando «la ricorrenza di un contesto genericamente
politico  in cui la dichiarazione si inserisca», richiedendosi invece
«l'identificabilita'  della dichiarazione stessa quale espressione di
attivita' parlamentare».
    Sulla base di tale criteri appare evidente che la sicura inerenza
a  temi  politici  della  vicenda narrata dall'on. Sgarbi nel proprio
programma  televisivo,  o  la  stessa  «comunanza  di  argomento» con
precedenti  dichiarazioni  rese  in  sede  istituzionale (delle quali
peraltro  non  si fa alcuna menzione nella delibera che si contesta),
non  valgono di per se' ad integrare la necessaria connessione con le
funzioni  tipiche  e con l'espletamento del mandato elettorale, quale
potrebbe  invece  ravvisarsi  laddove  l'attivita'  extraparlamentare
fosse  rivolta a diffondere e illustrare il contenuto e le ragioni di
atti  tipici  parlamentari,  anche  individuali (es. interpellanze ed
interrogazioni).
    Nel   caso   concreto,   invece,  non  solo  nelle  dichiarazioni
televisive   dell'on. Sgarbi,   ma   anche   nel  parere  espresso  a
maggioranza dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere e recepito
dall'Assemblea  (sopra riportato per esteso) manca qualunque richiamo
ad   attivita'   istituzionale   tipica   (o  atipica,  prodromica  o
consequenziale  a  quella  tipica)  del  parlamentare, giacche' ci si
limita  a  genericamente rilevare che «le affermazioni dell'onorevole
Sgarbi si inseriscono nel contesto della perdurante polemica politica
nel  nostro  Paese inerente al modo di procedere della magistratura e
in  particolare nella forte critica politica manifestata dal deputato
Sgarbi   nei  confronti  dell'operato  di  taluni  magistrati»  e  ad
evidenziare  (elementi  che  ai fini del giudizio di insindacabilita'
non   rilevano)   il   grande   scalpore   suscitato   dalla  vicenda
nell'opinione pubblica e la sussistenza di elementi di fatto che - si
dice  -  legittimamente  destano perplessita' e suscitano «la critica
dell'onorevole  Sgarbi»,  e  quindi  concludendo:  «Proprio su questi
profili  si  e'  incentrato  l'esercizio  del  diritto di critica del
collega  Sgarbi,  le  cui riflessioni rientrano pertanto nel contesto
della  costante  e  intensa  battaglia  politica  che  egli svolge in
Parlamento e al di fuori di esso su tali tematiche».
    E' dunque evidente che la stessa Camera dei deputati, limitandosi
ad evidenziare la rilevanza politica dei temi oggetto delle reiterate
osservazioni  critiche  pronunciate  dall'on. Sgarbi quale conduttore
del  programma televisivo «Sgarbi quotidiani» (e dunque evidentemente
non in sede istituzionale) e a genericamente richiamare «la battaglia
politica»   svolta   dall'on. Sgarbi  in  Parlamento  sulla  tematica
dell'«operato  di taluni magistrati» (senza specificamente richiamare
alcun  atto istituzionale dell'on. Sgarbi o del suo gruppo sul tema),
non  fornisce  alcun elemento dal quale desumere «l'identificabilita'
della   dichiarazione   stessa   quale   espressione   di   attivita'
parlamentare»,  nei termini indicati dalla giurisprudenza della Corte
costituzionale sopra richiamata.
    E'  appena il caso di aggiungere che in vicenda del tutto analoga
alla  presente, concernente dichiarazioni offensive della reputazione
di  altra persona espresse dall'onorevole Sgarbi quale conduttore del
medesimo  programma  televisivo, la Corte costituzionale ha annullato
la  delibera  di  insindacabilita' adottata dalla Camera dei deputati
facendo   espressa   applicazione   dei  principi  sopra  menzionati:
«Rispetto  ad  alcune  interrogazioni  e interventi ad opera di altri
deputati  (cui fa riferimento la difesa della Camera) - a prescindere
dalla  considerazione  che  manca  nelle  dichiarazioni contestate al
deputato  Sgarbi  qualsiasi riferimento, anche indiretto, a tali atti
tipici  (...)  -  vi  e'  una semplice parziale comunanza generica di
tematiche  relative  alla persona offesa dalle dichiarazioni, per cui
non  e'  ravvisabile,  neppure  sotto  questo  ulteriore profilo, una
corrispondenza  sostanziale  di  contenuti  e significati con un atto
parlamentare  (cfr.  sentenze  n. 58  e  11  del 2000), e, quindi, un
carattere divulgativo» (sentenza 13 ottobre 2000 n. 420).
    Per  tutto  quanto esposto, impregiudicata ogni valutazione sulla
ricorrenza   nella  specie  dell'esercizio  del  diritto  di  critica
(trattandosi  di questione riservata al giudizio di merito e estranea
ai  fini  che  in  questa  sede  rilevano),  deve  concludersi che le
opinioni   espresse  dall'on. Sgarbi  nel  corso  delle  trasmissioni
televisive  in  esame, non costituiscono riproduzione e illustrazione
del   contenuto   di   atti   parlamentari,  e  non  sono,  comunque,
specificamente   riferibili   ad   alcun   atto   compiuto   in  sede
istituzionale  (e  va  del resto sottolineato che soli atti rilevanti
potrebbero  essere  quelli  in  ipotesi compiuti sullo specifico tema
della  falsificazione  del  passi  ad opera del sostituto procuratore
dott.  Gherardo Colombo, e non qualsivoglia «battaglia politica» «sul
modo  di  procedere  della  magistratura»  o sullo stesso «operato di
taluni  magistrati»,  ai  quali  si  fa  genericamente  rinvio  nella
delibera  che  si contesta): le opinioni espresse dall'on. Sgarbi nel
corso  della  trasmissione  Sgarbi  quotidiani  dei giorni 3, 11 e 12
febbraio  1997,  non  costituiscono dunque espressione dell'attivita'
parlamentare    ai    fini   dell'applicazione   dell'art. 68   della
Costituzione,  cosicche' la delibera 8 febbraio 2001 della Camera dei
deputati,   che   inibisce   allo   stato  ogni  contraria  pronuncia
dell'autorita'  giudiziaria,  impone  il ricorso e l'invio degli atti
alla  Corte  costituzionale  per conflitto di attribuzione tra poteri
dello  Stato  ai  sensi dell'art. 37 della legge costituzionale n. 87
del   1953,  con  conseguente  necessaria  sospensione  del  presente
procedimento, anche con riguardo alla posizione del direttore di rete
Gori  Giorgio,  necessariamente  connessa per la natura sostanziale e
non  processuale  dell'immunita'  prevista dall'art. 68 comma 1 della
Costituzione.
          1)  Si  riportano  estratti delle dichiarazioni contestate,
          come  riportate  nel  testo  delle  denunce-querele e nelle
          trascrizioni allegate:
                8  febbraio  1999:  «ma quell'avviso di garanzia come
          arriva? Ecco la storia. Arrivo' quando finalmente dopo mesi
          di  indagine  appare un passi. Noi abbiamo parlato a lungo.
          Nessuno  ha  querelato  noi.  Quel  passi che cosa attesta?
          Attesta  che  un  signore, un avvocato - Berruti - incontra
          Berlusconi.  Si  presume  per  concordare  una  versione di
          comodo  da  dare ai magistrati. Questo sarebbe il reato. Se
          c'e' il passi, c'e' la certezza di quell'incontro. Senza il
          passi   non   si   puo'  mandare  l'avviso  di  garanzia  a
          Berlusconi.  Questa  la  storia. Per mesi e mesi cercano il
          passi  nell'agenda  di  Berruti:  non c'e', non lo trovano.
          L'11  dicembre  finalmente  immediatamente prima di mandare
          l'avviso di garanzia a Berlusconi, appare un passi. Io ho i
          documenti   e,   l'ho   dimostrato,  ho  i  documenti,  che
          confermano  che  quel  passi  non  e' mai esistito e che e'
          stato  fabbricato  de  un  magistrato  di Milano. Non e' Di
          Pietro? Sara' Colombo. Non e' Di Pietro? Sara' Colombo. Non
          temo   denunce.  Ho  le  carte.  [...]  Un  magistrato  che
          falsifica  un  atto, fa un crimine che non ha confronto, fa
          un crimine infame [...] Ma soltanto se quel documento c'e',
          ed  e'  come  se  l'hanno  falsificato  si puo' incriminare
          Berlusconi.  Altrimenti  come fa, il processo si basa su un
          incontro che ha un elemento di riscontro preciso. Non c'e'.
          Allora  lo  fabbrichiamo.  Questi i metodi della Procura di
          Milano [...]».
                11  febbraio  1997:  «io  continuo  a dire, e nessuno
          denuncia  me,  che il passi falso per incastrare Berlusconi
          e' una realta', e' ... qualcuno lo ha fatto [...]. Qualcuno
          l'ha  fatto.  Non  e'  stato  Di  Pietro?  E'  stato un suo
          collega.  Denunciate me. E' stato un suo collega. Per me e'
          lo stesso. E' gravissimo.»
                12   febbraio   1997:   «[...]   Il  passi  e'  stato
          falsificato.  Ultimo  elemento,  di  chi lo ha falsificato.
          Qualche  sospetto.  Nell'`interrogatorio,  la segretaria di
          Berruti, che dice di non aver mai visto quel passi, che era
          assurdo   che  il  passi  fosse  rimesso  nell'agenda,  che
          l'agenda  e'  stata guardata durante la prima perquisizione
          dal  ... da chi? Del pubblico ministero Colombo, che non ha
          trovato  assolutamente niente. Dopo un po' Colombo dice che
          un  maresciallo  gli  ha  dato un passi che avrebbe trovato
          nell'agenda  dopo  tre  mesi  di perquisizioni, una cosa di
          duecento pagine, il maresciallo nega e dice no, non io l'ho
          dato a Colombo, Colombo lo ha dato e me. Colombo lo ha dato
          a   me.   Ecco   il   documento  dell'interrogatorio  della
          segretaria    di    Berruti   dove   vengono   fuori   cose
          agghiaccianti,  nella  piena  consapevolezza che Colombo ha
          visto  tutto,  subito,  ha  avuto in mano l'agenda e non ha
          trovato  il passi Non lo ha trovato. Dopo tre mesi il passi
          e' apparso [...]».
          2)   Cfr.   Corte  cost.  n. 289/1998,  citata,  la  quale,
          nell'accogliere   il  ricorso  proposto  dal  tribunale  di
          Bergamo  avverso la deliberazione di insindacabilita' della
          Camera  dei deputati (si trattava come nel caso in esame di
          opinioni  fortemente  critiche  ai  danni  di un magistrato
          espresse   da  un  deputato  in  trasmissioni  televisive),
          evidenzia   come   «nei   comportamenti   sottoposti   alla
          cognizione  del tribunale ... non e' possibile rintracciare
          una connessione con atti tipici della funzione, ne' risulta
          possibile  individuare un intento divulgativo di una scelta
          o di una attivita' politico parlamentare».
          3)  Non  puo'  percio'  condividersi  Cass. Sez. V 8 luglio
          1999,   n. 8742,   Sgarbi,  laddove  sembra  affermare  che
          qualunque   dichiarazione   resa   da  un  parlamentare  su
          questione   che  abbia  attinenza  con  temi  di  rilevanza
          politica  e  sociale, e non esclusivamente individuale, sia
          per cio' stesso immune ai sensi dell'art. 68, comma 1 della
          Costituzione, secondo principio del resto assai difforme da
          quello piu' volte affermato dalla Corte costituzionale.