Ricorso  della  Regione Emilia-Romagna, in persona del presidente
della  giunta  regionale  pro-tempore,  autorizzato con deliberazione
della   giunta   regionale   n. 426  del  17  marzo  2003  (doc.  1),
rappresentata  e  difesa  -  come  da procura rogata dal notaio dott.
Federico  Stame  in  data  18  marzo  2003,  n. rep. 47041 (doc. 2) -
dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv. Luigi Manzi
di  Roma,  con domicilio eletto in Roma nello studio dell'avv. Manzi,
via Confalonieri n. 5.
    Contro   il   Presidente   del  Consiglio  dei  ministri  per  la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 16 gennaio
2003,   n. 3,  recante  «Disposizioni  ordinamentali  in  materia  di
pubblica  amministrazione», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 15
del  20  gennaio  2003,  Suppl.  ordinario n. 5, con riferimento agli
articoli  4,  7, 9, comma 1; 27, comma 8; 42, 43 e 46, per violazione
degli  articoli  3, 117 e 118 Cost., e dei principi costituzionali di
ragionevolezza  e  proporzionalita',  nei  modi  e  per  i profili di
seguito indicati.

                              F a t t o

    Nel  Supplemento  ordinario  alla Gazzetta Ufficiale n. 15 del 20
gennaio  2003  e'  stata  pubblicata  la  legge 16 gennaio 2003, n. 3
«Disposizioni  ordinamentali in materia di pubblica amministrazione».
La  legge contiene disposizioni riguardanti materie diverse, ma tutte
attinenti   all'organizzazione   o   all'attivita'   della   pubblica
amministrazione.
    Le norme impugnate con il presente ricorso si possono dividere in
due  gruppi:  il primo riguarda piu' direttamente e piu' generalmente
l'organizzazione  della  pubblica  amministrazione, mentre il secondo
attiene piu' specificamente all'ambito della salute.
    Sotto  il  primo  profilo,  vengono qui in rilievo (in quanto, ad
avviso  della Regione Emilia-Romagna, lesivi delle proprie competenze
costituzionali),  innanzi  tutto, gli articoli 4, 7 e 9, compresi nel
capo   I,   intitolato   «Disposizioni   in   materia   di  pubbliche
amministrazioni».  L'art.  4  apporta modifiche al d.lgs. n. 165/2001
(t.u.  in  materia  di  pubblica  impiego),  aggiungendo l'art. 7-bis
(Formazione  del  personale),  che  regola  in  dettaglio  i piani di
formazione  del  personale  delle  Regioni, degli enti locali e degli
enti  da essi dipendenti, violando la competenza regionale in materia
di  organizzazione e di formazione; l'art. 7 (Disposizioni in materia
di  mobilita' del personale delle pubbliche amministrazioni) aggiunge
l'art.  34-bis  sempre  al  d.lgs.  n. 165/01, regolando in dettaglio
l'assegnazione  di  personale  in  disponibilita'  alle  Regioni  che
vogliano  avviare procedure concorsuali, in violazione dell'art. 117,
commi 3 e 4; infine, l'art. 9 disciplina l'Utilizzazione degli idonei
di concorsi pubblici, prevedendo un regolamento statale in materia di
competenza regionale, in contrasto con l'art. 117, sesto comma, Cost.
Nell'ambito  del  capo VI,  concernente  l'«innovazione», risulta poi
lesivo  l'art. 27,  recante  «Disposizioni  in materia di innovazione
tecnologica nella pubblica amministrazione».
    Sotto  il  secondo  profilo, vengono in rilievo le norme del capo
IX,  «Disposizioni in materia di tutela della salute», e precisamente
- oltre all'art. 46, riguardante le sedi farmaceutiche - gli articoli
42  e 43, rispettivamente disciplinanti «Delega per la trasformazione
degli  istituti  di  ricovero  e  cura  o  carattere  scientifico  in
fondazioni  e  organizzazione a rete di istituti di ricovero e cura a
carattere  scientifico dedicati a parti colori discipline». Si tratta
di  disposizioni  che,  come  risulta gia' dalla rubrica dello stesso
capo   IX,  Incidono  inequivocabilmente  su  materie  di  competenza
regionale.
    In  effetti,  le disposizioni volte al riordino degli istituti di
ricovero  e cura a carattere scientifico, anziche' tenere conto della
potesta'  legislativa concorrente sia in tema di assistenza sanitaria
che  in  tema  di ricerca scientifica, stabilita dall'art. 117, terzo
comma, della Costituzione, affidano al Governo l'integrale disciplina
della materia.
    Con  riferimento  specifico  agli  Istituti  di ricovero e cura a
carattere  scientifico, puo' essere qui ricordato che gia' l'art. 28,
comma  8,  della  legge n. 448/2001 (legge finanziaria per il 2002) -
avversa  il  quale  la  ricorrente  Regione  ha ugualmente presentato
ricorso  a a codesta ecc.ma Corte costituzionale - aveva conferito al
Governo  il  compito  di  riordinare  la materia per il tramite di un
regolamento di delegificazione. Ora, lo strumento del regolamento era
di  per se' incostituzionale - essendo pacifico che non e' ammessa la
disciplina  regolamentare  di  materie  regionali  (v.  da  ultimo la
sentenza  n. 376 del 2002); ma da un punto di vista contenutistico la
lesivita' sostanziale non e' dissimile neppure per il nuovo strumento
del  decreto legislativo ora previsto. Infatti, la lesione deriva dal
fatto  che  il  Governo  viene  delegato  non  a  stabilire «principi
fondamentali»  per  il  riordino  di  tali  istituti  da  parte delle
Regioni, ma a provvedere esso stesso al riordino.
    Che  tale  sia  il  senso  della  delega nella nuova legge appare
evidente  sin  dal comma 1 dell'art. 42, secondo il quale «il Governo
e'  delegato ad adottare ... un decreto legislativo recante norme per
il  riordino  della  disciplina  degli  istituti di ricovero e cura a
carattere   scientifico  di  diritto  pubblico,  di  cui  al  decreto
legislativo  30  giugno  1993,  n. 269», ma e' reso poi ulteriormente
evidente dai singoli principi e criteri direttivi di seguito dettati,
sui quali ci si soffermera' nella parte in diritto.
    Puo'  essere  qui  ricordato  che, in corrispondenza al dovere di
leale  collaborazione  cui  tutte  le  articolazioni della Repubblica
devono  ispirare il proprio comportamento, le Regioni hanno in questi
anni  piu'  volte  sollecitato  il Governo ad un confronto sul futuro
assetto  della  materia degli istituti di ricovero e cura a carattere
scientifico,    anche    con    particolare    attenzione   al   tema
dell'organizzazione a «rete» degli istituti stessi; e che il Governo,
anziche'  corrispondere  a  tale  richiesta (pienamente conforme agli
impegni  assunti  con  l'intesa interistituzionale sancita tra Stato,
regioni  ed  enti locali dall'Accordo in sede di Conferenza unificata
20  giugno  2002, nella Gazzetta Ufficiale n. 159 del 9 luglio 2002),
ha  semplicemente  posto  in  essere  prima la normativa dell'art. 28
della   menzionata   legge   n. 448/2001,  poi  le  disposizioni  qui
impugnate.
    Tutte  le  disposizioni  sopra  indicate  risultano illegittime e
invasive per la seguenti ragioni di

                            D i r i t t o

A)  Illegittimita'  delle disposizioni comprese nel capo I e nel capo
VI.
    1.  -  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 4 per violazione
dell'art. 117, comma 4, Cost.
    L'art.  4  della  legge  n. 3/03  inserisce  nel corpo del d.lgs.
n. 165/01 un nuovo art. 7-bis.
    In  base  a  tale  nuova disposizione, «le amministrazioni di cui
all'art. 1, comma 2, con esclusione delle universita' e degli enti di
ricerca,  nell'ambito delle attivita' di gestione delle risorse umane
e  finanziarie,  predispongono annualmente un piano di formazione del
personale,  compreso  quello  in  posizione di comando o fuori ruolo,
tenendo conto dei fabbisogni rilevati, delle competenze necessarie in
relazione   agli   obiettivi,   nonche'  della  programmazione  delle
assunzioni  e delle innovazioni normativa e teonologiche»; si precisa
anche  che  «il piano di formazione indica gli obiettivi e le risorse
finanziarie   necessarie,   nei  limiti  di  quelle,  a  tale  scopo,
disponibili,  prevedendo  l'impiego  delle risorse interne, di quelle
statali  e  comunitarie, nonche' le metodologie formative da adottare
in  riferimento  ai  diversi destinatari» (Comma 1). Il comma 2, poi,
prevede  che  «le  amministrazioni  dello Stato, anche ad ordinamento
autonomo,  nonche'  gli  enti  pubblici  non economici, predispongono
entro il 30 gennaio di ogni anno il piano di formazione del personale
e  lo  trasmettono, a fini informativi, alla Presidenza del Consiglio
dei  ministri  -  Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero
dell'economia  e  delle  finanze». Tuttavia, «decorso tale termine e,
comunque,  non oltre il 30 settembre, ulteriori interventi in materia
di  formazione  del  personale,  dettati  da  esigenze sopravvenute o
straordinarie,   devono   essere   specificamente   comunicati   alla
Presidenza  del  Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione
pubblica  e  al Ministero dell'economia e delle finanze indicando gli
obiettivi e le risorse utilizzabili, interne, statali o comunitarie»;
e  si  prevede  altresi'  che ai predetti interventi formativi si da'
corso  qualora,  entro un mese dalla comunicazione, non intervenga il
diniego  della  Presidenza  del Consiglio dei ministri - Dipartimento
della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell'economia e
delle finanze».
    Il   comma  1,  con  tutta  evidenza,  interviene  nelle  materie
dell'organizzazione  delle Regioni, degli enti locali e degli enti da
essi  dipendenti, e della formazione, entrambe materie spettanti alla
potesta' piena delle Regioni ai sensi dell'art 117, comma 4, Cost. In
tali materie nessuna potesta' legislativa compete allo Stato, ove non
vi  sia  un  titolo  di  intervento  a  termini  dell'art. 117, comma
secondo:  ed  a  maggior  ragione risulta lesiva una disciplina quale
quella  del  comma  1, che regola addirittura in dettaglio i piani di
formazione  del  personale  delle  Regioni, degli enti locali e degli
enti da essi dipendenti.
    Quanto  al  comma  2,  esso e' letteralmente riferito a tutti gli
enti pubblici, compresi dunque le Regioni, gli enti locali e gli enti
comunque   regionali:   mentre   la  competenza  statale,  a  termini
dell'art. 117,  comma  secondo,  lett. g),  e'  limitata  agli  «enti
pubblici  nazionali».  In  questi termini, esso e' lesivo (sempre per
violazione dell'art. 117, comma 4, la' dove condiziona gli interventi
in  materia  di  formazione  al  limite del 30 settembre e al mancato
diniego  «della  Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento
della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell'economia e
delle  finanze»:  organi che nessuna competenza hanno e possono avere
in materia.
    Si  noti  che  la  disposizione  in questione non potrebbe essere
giustificata   invocando   la   competenza   statale  in  materia  di
coordinamento  della  finanza  pubblica. Il potere di diniego statale
non  e'  limitato  a ragioni di equilibrio finanziario (del resto, se
fosse  cosi', non si vede perche' tale potere sussisterebbe solo dopo
il   30  gennaio)  e,  comunque,  il  «coordinamento  della  finanza»
legittima  lo Stato a tutelare l'equilibrio complessivo della finanza
stessa, non ad incidere sulle singole politiche delle Regioni.
    2.  -  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  7, comma 1, per
violazione dell'art. 117, commi 3 e 4 Cost.
    L'art. 7,  legge  n. 3/03 aggiunge l'art. 34-bis (Disposizioni in
materia,  di  mobilita' del personale) nel d.lgs. n. 165/01. La nuova
disposizione  stabilisce  che  tutte  le  amministrazioni,  «prima di
avviare  le  procedure  di  assunzione  di  personale,  sono tenute a
comunicare  ai  soggetti  di cui all'art. 34, commi 2 e 3, l'area, il
livello  e  la sede di destinazione per i quali si intende bandire il
concorso   nonche',   se  necessario,  le  funzioni  e  le  eventuali
specifiche  idoneita'  richieste»  (comma 1). I «soggetti» richiamati
sono  quelli  che  formano  e gestiscono gli elenchi del personale in
disponibilita' (per il personale statale o parastatale, si tratta del
Dipartimento  della  funzione  pubblica, per il restante personale si
tratta  delle  «strutture  regionali e provinciali» di cui al d. lgs.
n. 469/1997).
    Il comma 2 dispone come segue:
        «La  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri - Dipartimento
della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell'economia e
delle  finanze e le strutture regionali e provinciali di cui all'art.
34,  comma  3, provvedono, entro quindici giorni dalla comunicazione,
ad  assegnare il personale collocato in disponibilita' ai sensi degli
articoli  33  e  34,  ovvero  interessato  ai  processi  di mobilita'
previsti   dalle  leggi  e  dai  contratti  collettivi.  Le  predette
strutture regionali e provinciali, accertata l'assenza negli appositi
elenchi  di personale da assegnare alle amministrazioni che intendono
bandire  il  concorso, comunicano tempestivamente alla Presidenza del
Consiglio  dei  ministri  -  Dipartimento della funzione pubblica, le
informazioni  inviate  dalle  stesse  amministrazioni. Entro quindici
giorni  dal  ricevimento  della predetta comunicazione, la Presidenza
del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, di
concerto  con il Ministero dell'economia e delle finanze, provvede ad
assegnare  alle  amministrazioni che intendono bandire il concorso il
personale   inserito  nell'elenco  previsto  dall'art.  34,  comma 2,
nonche'   collocato   in   disponibilita'   in  forza  di  specifiche
disposizioni normative».
    Il  comma  4,  poi,  prevede che «le amministrazioni, decorsi due
mesi  dalla  comunicazione  di  cui  al  comma  1,  possono procedere
all'avvio  della  procedura concorsuale per le posizioni per le quali
non  sia  intervenuta  l'assegnazione di personale ai sensi del comma
2»,  mentre  il  comma  5 stabilisce che «le assunzioni effettuate in
violazione del presente articolo sono nulle di diritto».
    Tale  disciplina  presenta  diversi profili: attiene senz'altro e
principalmente  all'organizzazione delle Regioni, degli enti locali e
degli da essi dipendenti (materia di potesta' piena delle Regioni, ai
sensi  dell'art. 117,  comma 4),  riguarda anche la tutela del lavoro
(materia  di  potesta'  concorrente)  ed  e'  animata  da  un fine di
contenimento della spesa pubblica, imponendo l'utilizzo del personale
in  disponibilita'  in luogo di nuove assunzioni. Dunque, al massimo,
la  legge statale doveva limitarsi a dettare principi fondamentali in
materia  di  tutela  del  lavoro e di coordinamento della finanza: in
particolare, il principio della previa verifica della possibilita' di
coprire  i posti vacanti con personale posto in disponibilita', prima
di  avviare  la  procedure selettive. In questi termini, alle Regioni
sarebbe rimasta la possibilita' di disciplinare, nell'esercizio della
propria potesta' primaria in materia di organizzazione e nel rispetto
del  principio  fondamentale  di  cui  sopra,  le  modalita'  con cui
procedere  a  tale  verifica  (prevedendo,  ad es., che essa riguardi
prima  il personale presente nell'elenco di cui all'art. 34, comma 3,
d.lgs.  n. 165/01  e  poi  il  personale  compreso nell'elenco di cui
all'art. 34,  comma  2)  e  le  modalita'  di selezione del personale
disponibile.
    Al  contrario,  la  disposizione  qui  impugnata  detta  norme di
dettaglio  sulla  procedura  da  seguire,  prevedendo  l'assegnazione
«d'autorita»  del  personale  alle  Regioni, senza che queste possano
selezionare  in  alcun  modo  il personale, e addirittura la nullita'
delle  assunzioni effettuate in violazione della disposizione stessa.
Ne  risulta  una rilevante compressione dell'autonomia legislativa ed
organizzativa  della  Regione, nient'affatto giustificata da esigenze
di  coordinamento  della  finanza,  che potevano essere soddisfatte -
come  detto  -  dal  semplice principio della necessaria verifica del
personale  in  disponibilita' (in questo senso, gia' l'art. 34, comma
6,  d.lgs.  n. 165/01, prevede che, «nell'ambito della programmazione
triennale  del  personale  di cui all'art. 39 della legge 27 dicembre
1997,  n. 449,  e  successive modificazioni ed integrazioni, le nuove
assunzioni   sono   subordinate  alla  verificata  impossibilita'  di
ricollocare  il  personale  la  disponibilita' iscritto nell'apposito
elenco»).
    Particolarmente  lesiva  risulta  poi  la sanzione della nullita'
della  assunzione fatta in violazione delle disposizioni ora esposte,
prevista  dal  comma  5.  In  effetti,  posto  che le amministrazioni
assumono  sulla  base di concorsi pubblici a cio' finalizzati, e' del
tutto inconcepibile, prima ancora che costituzionalmente illegittimo,
che  sia considerata nulla l'assunzione del concorrente vincitore del
concorso  bandito appositamente in vista di tale assunzione. Infatti,
il  problema della legittinta' si pone, semmai, in relazione al bando
di  concorso,  e  non  puo'  porsi  isolatamente  in  relazione  alla
assunzione  che  consegue  al  concorso.  E'  dunque  evidente che la
sanzione   della  nullita'  della  assunzione  da  un  lato  vanifica
l'attivita'  amministrativa  compiuta,  dall'altro  palesemente viola
l'affidamento  che  i concorrenti hanno riposto nella possibilita' di
assunzione  all'atto  della  partecipazione  al  concorso, a maggiore
ragione una volta che essi siano risultati vincitori.
    In  questi  termini,  la  norma  qui  contestata  costituisce una
impropria   sanzione  di  presunte  illegittimita'  dei  procedimenti
selettivi  di  assunzione  delle  Regioni  e  degli  enti ai quali si
estende la potesta' legislativa regionale.
    3.  -  Illegittimita'  costituzionale  dell'art  9,  comma 1, per
violazione dell'art. 117, comma 6, Cost.
    L'art. 9  legge  n. 3/03 riguarda l'Utilizzazione degli idonei di
concorsi pubblici. Esso stabilisce che, «a decorrere dal 2003,... con
regolamento  emanato  ai  sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23
agosto  1988,  n. 400,  su  proposta  del  Ministro  per  la funzione
pubblica,  di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze,
sono  stabiliti le modalita' i criteri con i quali le amministrazioni
dello  Stato,  anche ad ordinamento autonomo, e gli enti pubblici non
economici  possono  ricoprire  i  posti disponibili, nel limiti della
propria dotazione organica, utilizzando gli idonei, delle graduatorie
di  pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni del medesimo
comparto  di  contrattazione» (comma 1). Il comma 2 precisa, poi, che
«le  regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono
alle  finalita'  del  presente  capo secondo le rispettive competenze
previste dai relativi statuti e dalle norme di attuazione».
    Quest'ultima disposizione non risulta chiara: da un lato, perche'
essa  sembra  far  salve le competenze delle Regioni in riferimento a
tutte le norme «del presente capo», ma e' collocata nel secondo comma
di una singola disposizione, dall'altro perche' menziona le «Regioni»
in  genere  ma  poi  richiama  le  competenze  «previste dai relativi
statuti  e dalle norme di attuazione», il che puo' valere solo per le
Regioni speciali.
    E'  dunque  incerto  quale  sia la portata del comma 2, mentre e'
certo  il  fatto che il comma 1 istituisce un potere regolamentare in
materia  di potesta' regionale piena (organizzazione regionale, degli
enti locali e degli enti da essi dipendenti), in violazione dell'art.
117,  comma  6. La conclusione, naturalmente, non cambierebbe volendo
dare rilievo al profilo della tutela del lavoro, che ricade nell'art.
117,  comma 3, e dunque non e' disciplinabile da regolamenti statali.
La  censura,  invece,  verrebbe  meno  se  l'art 9, comma 1, fosse da
riferire ai soli enti pubblici nazionali.
    4.  -  Illegittimita'  costituzionale  dell'art  27, comma 8, per
violazione dell'art. 117, comma 4, Cost.
    L'art. 27,  comma  8, 1egge n. 3/03 stabilisco che «entro un anno
dalla data di entrata in vigore della presente legge sono emanati uno
o  piu'  regolamenti,  ai  sensi  dell'art.  117,  sesto comma, della
Costituzione  e  dell'art.  17,  comma 2, della legge 23 agosto 1988,
n. 400,  per  introdurre nella disciplina vigente le norme necessarie
ai  fini  del conseguimento dei seguenti obiettivi: a) diffusione dei
servizi  erogati in via telematica ai cittadini e alle imprese, anche
con  l'intervento  dei  privati,  nel  rispetto  dei  principi di cui
all'art.  97 della Costituzione e dei provvedimenti gia' adottati; b)
diffusione  e  uso  della  carta nazionale dei servizi; c) diffusione
dell'uso delle firme elettroniche; d) ricorso a procedure telematiche
da  parte  della pubblica amministrazione per l'approvvigionamento di
beni   e   servizi,  potenziando  i  servizi  forniti  dal  Ministero
dell'economia   e   delle   finanze   attraverso   la  CONSIP  S.p.a.
(concessionaria servizi informativi pubblici); e) estensione dell'uso
della posta elettronica nell'ambito delle pubbliche amministrazioni e
dei   rapporti   tra   pubbliche   amministrazioni   e   privati;  f)
generalizzazione   del   ricorso   a   procedure   telematiche  nella
contabilita'  e  nella tesoreria; g) alfabetizzazione informatica dei
pubblici  dipendenti;  h) impiego della telematica nelle attivita' di
formazione  dei  dipendenti  pubblici;  i)  diritto  di  accesso e di
reclamo  esperibile  in  via telematica da parte dell'interessato nei
confronti delle pubbliche amministrazioni».
    Tale  disposizione  incide  -  come mostrato dalla stessa rubrica
della   disposizione,   «Disposizioni   in   materia  di  innovazione
tecnologica  nella  pubblica  amministrazione» - essenzialmente sulla
materia  dell'organizzazione interna delle Regioni, degli enti locali
e  degli enti pubblici di carattere regionale; inoltre, essa riguarda
anche  la  materia  della  formazione  (lettere  g e h). Comunque, si
tratta di materie di competenza regionale.
    Dunque,  risulta  illegittima  la  previsione  di  un regolamento
statale  (ex  art. 117,  comma  6, Cost.), e non si comprende a quale
competenza   esclusiva   statale   intenda  riferirsi  il  comma  qui
impugnato,   quando   richiama   l'art. 117,   comma  6,  e,  dunque,
indirettamente,   l'art. 117,   comma   2.  Sembra  evidente  che  la
disciplina  del  regolamento  dovra' invece valere per lo Stato e per
gli enti pubblici nazionali, mentre spetta alle Regioni la disciplina
per le amministrazioni cui si riferisce la legislazione regionale.
B) Illegittimita' delle disposizioni comprese nel capo IX.
    Occorre  ora  illustrare  l'illegittimita'  costituzionale  delle
disposizioni  comprese  nel  capo IX, rubricato come «Disposizioni in
materia  di tutela della salute». Vengono in rilievo, in primo luogo,
gli articoli 42 e 43, riguardanti, come gia' visto, gli IRCCS.
    Premessa  la  disciplina  degli  Istituti  di  ricovero  e cura a
carattere scientifico e la sua evoluzione.
    Secondo  la  definizione legislativa codificata nell'art 42 della
legge  istitutiva del Servizio sanitario nazionale (legge 23 dicembre
1978,   n. 833),   gli  Istituti  di  ricovero  e  cura  a  carattere
scientifico sono enti, con personalita' giuridica di diritto pubblico
o  di  diritto  privato,  «che  insieme  a  prestazioni  sanitarie di
ricovero  e cura svolgono specifiche attivita' di ricerca scientifica
biomedica».
    Proprio  la compresenza di assistenza e ricerca fu, storicamente,
la  ragione addotta per escludere l'assimilazione di tali istituti al
regime   proprio  degli  enti  e  dei  presidi  ospedalieri.  Poiche'
l'assistenza  competeva  alle  Regioni  e  la  ricerca competeva allo
Stato,  si  decise,  con  l'entrata  in vigore del Servizio sanitario
nazionale,  di  attribuirne  il  regime giuridico-amministrativo alla
competenza   statale  e  la  «parte  assistenziale»  alle  competenze
regionali  (come  gia' si esprimeva l'art. 1 della legge 12 febbbraio
1968,  n. 132,  c.d.  legge Mariotti, ripreso sul punto dall'art. 28,
comma  2, del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616): secondo la formulazione
originaria   della   legge   n. 833   tali  istituti  «per  la  parte
assistenziale  sono  considerati  presidi  multizonali  delle  unita'
sanitarie  nel  cui territorio sono ubicati»; secondo la formulazione
poi  codificata dall'art. 8-bis, comma 1, del d.lgs. n. 502/1992 (nel
testo introdotto dal d.lgs. a 229/1999), di essi la Regione si avvale
per l'erogazione dei livelli essenziali e uniformi di assistenza.
    In  effetti,  i  vari  successivi  interventi di «riordino» hanno
conservato     l'assetto    ora    descritto,    rafforzando    pero'
progressivamente,  sotto  il  profilo  organizzativo, l'assimilazione
degli   istituti   ai   corrispondenti   enti   svolgenti   attivita'
ospedaliera.
    Un  passo particolarmente importante in questa direzione e' stato
compiuto  con  il decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 269, recante
riordinamento  degli  Istituti  nel quadro della piu' generale delega
contenuta  nella  legge 23 ottobre 1992, n. 421, il quale ha disposto
un   sostanziale   allineamento   degli  istituti  stessi,  quanto  a
organizzazione,  compiti,  personale, patrimonio e contabilita', alle
neocastituite  Aziende  sanitarie  pubbliche  -  in  particolare alle
Aziende  ospedaliere - qualificandone espressamente le strutture ed i
presidi  ospedalieri  come  «ospedali  di rilievo nazionale e di alta
specializzazione»  ed  assoggettandoli  alla  disciplina  per  questi
prevista,  con  lo  finalita'  peculiari di ciascun istituto (art. 1,
comma   3  del  citato  d.lgs.  n. 269/1993).  Peraltro,  la  mancata
emanazione  dei  regolamenti  di  attuazione  delle  disposizioni del
d.lgs.  n. 269/1993  ha  fatto si che tale riordino non divenisse mai
operativo,   con   la  conseguenza  che  gli  Istituti  sono  rimasti
assoggettati  alla  disciplina  contenuta  nel d.p.r. 31 luglio 1980,
n. 617  (emanao  a  suo  tempo  in forza del menzionato art. 42 della
legge  n. 833/1978), del quale il d.lgs. n. 269 aveva bensi' disposto
(all'art. 8)   l'abrogazione   espressa,   condizionandola   tuttavia
all'approvazione di detti regolamenti.
    Da  allora  si  e'  aperto  per gli Istituti di ricovero e cura a
carattere  scientifico  un periodo di grande incertezza e precarieta'
normativa  e un vero e proprio «stallo istituzionale», formalizzato a
partire  dal  decreto-legge 30 giugno 1994, n. 419, in una situazione
di  commissariamento  che,  sulla  base  di  ulteriori  provvedimenti
nominato  d'urgenza  emanati  allo scopo, perdura tuttora (si veda da
ultimo il decreto-legge 19 giugno 1997, n. 171).
    La gia' accentuata tendenza alla assimilazione alle strutture del
servizio  sanitario  e'  confermata in tempi piu' recenti dal decreto
legislativo  19  giugno  1999,  n. 229 (c.d. riforma-ter del Servizio
sanitario  nazionale),  che  ha  modificato  l'art.  4  del d.lgs. 30
dicembre  1992,  n. 502,  prevedendo  la possibilita' di costituire o
confermare   gli  Irccs  in  aziende,  cui  applicare  la  disciplina
organizzativa   generale   delle   aziende   del  Servizio  sanitario
nazionale,   «con   le  particolarita'  procedurali  e  organizzative
previste  dalle disposizioni attuative dell'art. 11, comma 1, lettera
b)  della legge 15 marzo 1997, n. 59» (peraltro anche in tal caso non
adottate)  e  prevedendo  comunque  che,  sino  all'emanazione ditali
disposizioni  attuative,  agli  istituti  stessi  si  applichino  «le
disposizioni   generali   relative   alla   dirigenza  sanitaria,  ai
dipartimenti,  alla  direzione sanitaria e amministrativa aziendale e
al  collegio  di  direzione».  La  stessa  tendenza  ha  poi  trovato
ulteriore conferma, sotto il profilo del finanziamento, nell'art. 10,
comma   1,   lett. a)   della   legge  n. 133/1999,  come  modificato
dall'art. 83, comma 1, della legge n. 388/2000.
    L'esame   dell'evoluzione   della  disciplina  legislativa  degli
istituti di ricovero e cura a carattere scientifico mostra dunque con
chiarezza  la  loro  progressiva  attrazione nell'ambito del servizio
sanitario,  e  dunque  verso  la  competenza  regionale,  con la sola
perdurante  eccezione  del profilo dell'attivita' di ricerca, materia
nella quale le Regioni non avevano competenza costituzionale.
    Tuttavia,  la competenza anche in tale materia e' stata data alle
Regioni  dalla  nuova  versione dell'art. 117 Cost, ove essa si trova
inserita  nell'elenco  delle  materie  in  cui  la  Regione ha potere
legislativo,  entro  i  principi  fondamentali»  definiti dalla legge
dello Stato.
    1.   -   Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  42,  nel  suo
complesso,  per  violazione  dell'art.  117, comma 3, Cost. in quanto
delega  il  Governo  al  riordino  degli  Istituti anziche' fissare i
principi  fondamentali  per  l'attuazione del riordino da parte delle
Regioni.
    Come  sopra  esposto,  dell'art. 42  della legge 16 gennaio 2003,
n. 3  delega  il  Governo  ad  adottare, entro sei mesi dalla data di
entrata  in  vigore della legge, un decreto legislativo recante norme
per  un riordino della disciplina degli istituti di ricovero e cura a
carattere  scientifico.  Si tratta di disciplina rientrante sia nella
materia  tutela  della salute - alla quale l'attivita' degli istituti
e'  in larghissima e crescente misura finalizzata - sia nella materia
ricerca   scientifica.   Entrambe   tali   materie  sono  individuate
dall'art. 117,   comma   3,  della  Costituzione,  quali  materie  di
legislazione  concorrente. Ed in tali materie, a termini della stessa
disposizione, «spetta alle regioni la potesta' legislativa, salvo che
per  la  determinazione  dei  principi  fondamentali,  riservata alla
legislazione dello Stato».
    Ne  deriva,  di  conseguenza,  che  la  legislazione statale, sia
espressa  direttamente  dal Parlamento, sia eventualmente posta nella
forma  del  decreto  legislativo, sulla base di apposita delega, deve
avere   quale   proprio   oggetto   la  determinazione  dei  principi
fondamentali,  al  cui  interno le Regioni sono chiamate a dettare la
disciplina specifica ed operativa.
    La  disposizione  impugnata  delega invece il Governo al riordino
della   disciplina   degli   istituti   suddetti,  e  non  alla  sola
determinazione dei nuovi principi fondamentali. Inoltre, i principi e
criteri  direttivi  costituiscono  gia'  essi i principi fondamentali
della  materia  (pur  se,  come  si dira', ad avviso della ricorrente
Regione in parte essi stessi incostituzionali): sicche' il Governo e'
in  realta' delegato a porre la disciplina di dettaglio di competenza
delle   Regioni.   Di   piu',  l'esistenza  stessa  della  competenza
legislativa regionale in tale materia risulta estranea al complessivo
impianto della delega.
    Cosi',   se   anche   non  si  volesse  interpretare  la  formula
legislativa per quello che appare dal suo tenore letterale («riordino
della disciplina», appunto), ma intendere tale espressione come se si
riferisse   ai   «principi   fondamentali   per   il  riordino  della
disciplina»,  tale  interpretazione  «adeguatrice» non troverebbe poi
riscontro  concreto nei singoli criteri e principi della delega, come
si  evince  facilmente dai compiti affidati al legislatore delegato e
dal  tenore  stesso  delle  parole  impiegate dal legislatore statale
delegante  per  indirizzarne  l'attivita':  disciplinare, individuare
misure,  prevedere  strumenti,  rendere  provvedimenti  ministeriali,
disciplinare   modalita',   regolamentare   procedimenti,  trasferire
patrimonio e personale, e cosi' via.
    Del  resto,  i  principi  e  criteri direttivi che il legislatore
delegante  ha  posto per l'esercizio della delega sono in molti casi,
come  si  dira'  appresso,  di natura tale da consentire uno sviluppo
solo  mediante  una normativa di mero dettaglio, la quale costituisce
la soglia minima di cio' che spetta alle Regioni.
    Quanto  qui affermato non e' certo smentito dalla circostanza che
la  lettera  a)  del  comma  1  disponga  che la trasformazione degli
Istituti  (peraltro,  come  si  dira',  da parte del Ministro e in un
regime   di  vigilanza  ministeriale)  avvenga  «nel  rispetto  delle
attribuzioni  delle  regioni».  Invero,  a  parte  il  fatto che tale
rispetto  avrebbe ovviamente dovuto essere riferito all'intera delega
e  non  solo  a  un suo pur importante principio, tale formula, letta
sistematicamente   nel  contesto  di  una  delega  all'emanazione  di
disciplina   dettagliata   in   un  quadro  di  gestione  accentrata,
costituisce  una mera formula di stile, smentita dal contenuto stesso
della   delega  e  dunque  insuscettibile  di  guidare  l'azione  del
legislatore delegato.
    Non  varrebbe  poi  apporre  che  la  riserva  allo  Stato  della
disciplina  degli  Istituti  scientifici  di ricovero e' tradizionale
nell'ordinamento  italiano.  Infatti,  la  ragione  per la quale tali
istituti  non  erano  stati  riportati  alla  competenza  piena delle
Ragioni consisteva, come detto, nell'intersecazione di due attivita',
quella  di  ricerca  e  quella  di  assistenza,  rientranti  la prima
(secondo   le   ricostruzioni   prevalenti)  nella  competenza  anche
amministrativa  statale  e  la  seconda fra le funzioni legislative e
amministrative   regionali  in  materia  di  assistenza  sanitaria  e
ospedaliera.
    Ne consegue che oggi, ricondotta anche la ricerca scientifica nel
novero  delle  materie  di  legislazione  concorrente,  la disciplina
dell'assetto   degli   istituti   di  ricovero  e  cura  a  carattere
scientifico va considerata come compresa interamente nella competenza
regionale,  fermi  restando  ovviamente i principi fondamentali posti
dalla legislazione statale.
    Ne'   a  tale  inevitabile  conclusione  puo'  fare  ostacolo  la
competenza   esclusiva  dello  Stato  in  materia  di  ordinamento  e
organizzazione amministrativa degli «enti pubblici nazionali», di cui
all'art. 117, comma 2, lett. g).
    E'  chiaro, infatti, che tale competenza non si riferisce a tutti
gli  enti  che nel precedente riparto costituzionale fossero soggetti
alla  potesta'  legislativa  statale, ma esclusivamente a quelli che,
anche  nell'ambito  del  nuovo  riparto, non possano che continuare a
vivere quali enti nazionali: o perche' operano in materie esse stesse
riservate  allo  Stato  (come  ad  esempio  accade  per la previdenza
sociale),  o  perche'  fonti  legittimate  prevedano in altre materie
l'esistenza di enti nazionali, a tutela di interessi infrazionabili.
    Questo  non  e'  certamente  il caso degli Istituti di ricovero e
cura  a  carattere scientifico, che al contrario hanno sempre operato
su  base  marcatamente  territoriale. La qualifica di «nazionali» che
talora  e'  stata  ad  essi  data (ad esempio, dall'art. 1 del citato
d.lgs.  n. 269/1993,  mentre  l'art. 1, comma 1, lett. t) della legge
delega  n. 421/1992  parlava  di  «istituti  di  rilievo nazionale»),
dipendeva  dalla  loro  natura di enti di ricerca, funzione all'epoca
esclusivamente statale-nazionale. D'altronde, che le funzioni statali
concernenti   il   regime  giuridico-amministrativo  degli  Irccs  si
giustificassero  proprio in forza della competenza in tema di ricerca
e'   stato  affermato  a  chiare  lettere  da  codesta  ecc.ma  Corte
costituzionale  nella  sent.  n. 338  del 1994 (punto 3, in fine, del
«considerato  in  diritto»;  in  senso  conforme v. altresi' la sent.
n. 285  del  1974):  in  piena  armonia,  sulla questione, con quanto
affermato sia da parte regionale che da parte statale.
    Tale  qualifica non era peraltro ripresa dall'art. 121 del d.lgs.
n. 112/1998,  il  quale  al  contrario si occupa al primo comma delle
funzioni  dello  Stato  nei confronti degli enti che operano su scala
nazionale,  mentre  al secondo comma affianca gli Irccs agli istituti
zooprofilattici  sperimentali,  pacificamente  non rientranti tra gli
enti pubblici nazionali. Dunque, il carattere «nazionale» degli Irccs
non  solo  si  ricollegava,  del tutto pacificamente, all'idea che la
ricerca  scientifica  spettasse esclusivamente allo Stato (competenza
ribadita  dagli  art. 121  e  125  del menzionato decreto legislativo
112/1998),  ma  era  gia'  stato superato dalla legislazione di rango
primario ancor prima della riforma costituzionale operata dalla legge
costituzionale n. 3 del 2001.
    Del  resto, lo stesso art. 42, comma 1, lett. a), della legge qui
impugnata  qualifica  le  fondazioni che verrebbero a risultare dalla
trasformazione  degli  IRCCS come «fondazioni di rilievo nazionale» e
non come enti nazionali.
    Ma   in   denitiva,   come  sopra  accennato,  al  di  la'  delle
qualificazioni  legislative,  e'  chiaro  che ai sensi dell'art. 117,
comma  secondo,  gli  enti  nazionali  sono esclusivamente quelli che
abbiano   necessariamente   un   ambito   di   operativita'   e   una
organizzazione  di  carattere  nazionale;  e  che  non possono essere
qualificati,  al  contrario,  come  enti nazionali enti che vivono ed
operano in un ambito territoriale localizzato.
    Neppure  varrebbe  obiettare  che, essendo stati finora gli IRCCS
soggetti  alla  sola  disciplina statale, il legislatore statale puo'
intanto  porre in essere una disciplina completa di riordino, fondata
sia su norme di principio che di dettaglio, e che le Regioni potranno
in futuro sostituire norme proprie a quelle statali di dettaglio.
    In  primo  luogo,  infatti,  va  ricordato  che  l'attuale  testo
dell'art. 117,   comma   terzo,   espressamente   limita   il  potere
legislativo dello Stato alla posizione dei principi.
    In  secondo  luogo, l'obiezione potrebbe avere consistenza, se si
superasse  quanto  ora  detto, se i principi fondamentali posti dalla
legge  statale  fossero  concepiti  come  principi  regolatori  di un
sistema  regionale,  con  norme di dettaglio comunque adeguate a tale
sistema: mentre quelli posti dalle disposizioni qui impugnate sono al
contrario principi regolatori di un sistema a legislazione e in larga
misura anche ad amministrazione statale centralizzata.
    In  terzo luogo, nel momento in cui il legislatore pone norme che
costituiscono  in  realta',  come detto, concrete e specifiche scelte
organizzative  -  e che dunque sono gia' eccessivamente dettagliate e
concrete  rispetto  alla  attribuzione  in  materia  di «tutela della
salute»  -  non  vi  e'  alcuna  ragione  che  possa giustificare una
ulteriore  fase  di  legislazione  statale  (nella  forma del decreto
legislativo)   anziche'   direttamente   la   fase  della  attuazione
regionale.  Una  simile  ragione  non  puo'  trovarsi  neppure in una
eventuale  urgenza di realizzare il nuovo ordinamento degli istituti:
perche'  un  termine  non dissimile a quello concesso per l'esercizio
della  delega  puo'  essere  ugualmente dato alle Regioni per la loro
disciplina, all'interno dei principi stabiliti dalla legge statale.
    Se dunque gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico
sono  semplicemente  enti  pubblici  operanti  in  materia  ormai  di
competenza concorrente delle Regioni, ne consegue la piena fondatezza
della  censura qui rivolta all'art. 42, comma 1, della legge n. 3 del
2003,  di avere delegato il Governo a dettare la disciplina integrale
del   riordino   di   tali  istituti,  anziche'  dettare  i  principi
fondamentali  tenendo  conto  della  potesta' legislativa concorrente
delle  Regioni: come emerge dal tenore dei singoli principi e criteri
direttivi,  e  dalla  mancanza,  tra  essi, di un criterio rivolto al
rispetto  dei  limiti  derivanti  dalla  potesta'  legislativa  delle
Regioni.  In  sostanza,  la  legge  pone per il Governo quegli stessi
principi  fondamentali  che avrebbe dovuto porre per le Regioni, e li
pone  con  il contenuto proprio di un sistema legislativo, e in parte
persino   amministrativo,   centralizzato   anziche'  conformarsi  ai
principi costituzionali.
    2.  - Specifica illegittimita' costituzionale dell'art. 42, comma
1, lettera a), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost.
    Secondo  l'art. 42,  comma  1,  lettera a) della legge 16 gennaio
2003,  n. 3,  il  Governo  dovra',  come  primo  principio e criterio
direttivo della delega, «prevedere e disciplinare, nel rispetto delle
attribuzioni  delle  regioni e delle province autonome di Trento e di
Bolzano, le modalita' e le condizioni attraverso le quali il Ministro
della  salute, d'intesa con la regione interessata, possa trasformare
gli  istituti  di  ricovero e cura a carattere scientifico di diritto
pubblico,  esistenti  alla  data  di entrata in vigore della presente
legge, in fondazioni di rilievo nazionale, aperte alla partecipazione
di  soggetti  pubblici  e  privati  e  sottoposte  alla vigilanza del
Ministero della salute e del Ministero dell'economia e delle finanze,
ferma restando la natura pubblica degli istituti medesimi».
    La formulazione, che riprende quella del menzionato art. 28 della
legge  n. 448/2001  (che  peraltro  ai  riferiva ad un regolamento di
delegificazione),  e'  in  primo luogo oscura e contraddittoria. Essa
dispone  che  si faccia salva la «natura pubblica degli istituti», ma
nel  contempo  altre  lettere  (vedi  le lett. e ed l) qualificano le
neoistituite fondazioni come enti aventi una natura no-profit.
    E' previsto il «rispetto delle attribuzioni delle Regioni», ed e'
altresi' prevista una «intesa con la regione interessata». Ma l'uno e
l'altra si riferiscono soltanto alla determinazione delle modalita' e
delle  condizioni  attraverso  le  quali  il  Ministro  della  salute
provvederebbe  a  «trasformare  gli  istituti  di  ricovero  e cura a
carattere  scientifico  di  diritto  pubblico, esistenti alla data di
entrata  in  vigore  della  presente  legge, in fondazioni di rilievo
nazionale,  aperte alla partecipazione di soggetti pubblici e privati
e  sottoposte  alla  vigilanza  del  Ministero  della  salute  e  del
Ministero  dell'economia  e delle finanze». Il presunto «rispetto» e'
dunque contraddetto dal tenore stesso del criterio direttivo.
    E'  palese  che,  anziche'  disporre  che  il decreto legislativo
delegato  stabilisca  i  principi  per  la legislazione regionale, la
lett.  a)  illegittimamente  dispone la competenza del Ministro della
salute  alla «trasformazione» e non meno illegittimamente dispone che
le  nuove  fondazioni  pubbliche  siano soggette alla vigilanza dello
stesso  Ministero  della  salute  oltre  che  a  quella del Ministero
dell'economia  e  delle  finanze, per vero del tutto estraneo ad ogni
competenza in materia.
    Si  noti  che  la  disposizione,  oltre che violare il riparto di
competenze  legislative  previsto  dall'art.  117, comma terzo, viola
anche   i  criteri  dati  ai  legislatori  per  la  disciplina  della
titolarita'  delle  funzioni amministrative dall'art. 118 Cost, posto
che  -  se  pure  vi  fosse  in  materia  una competenza statale alla
disciplina  diretta  -  e'  fuori di dubbio che la Regione sarebbe il
livello  adeguato per deliberare e gestire l'eventuale trasformazione
casi  come  per  esercitare la vigilanza, in connessione con i propri
compiti  generali in materia di tutela della salute e di gestione del
servizio sanitario.
    3.  - Illegittimita' costiluzionale dell'art 42, comma 1, lettera
b), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost.
    Secondo  l'art. 42,  comma  1,  lettera  b),  il Governo dovrebbe
«prevedere  che  i  nuovi  enti adeguino la propria organizzazione al
principio di separazione tra le funzioni di indirizzo e controllo, da
un  lato, e gestione e attuazione dall'altro, garantendo, nell'organo
di  indirizzo,  composto  dal  consiglio  di  amministrazione  e  dal
presidente  eletto  dal  consiglio  di  amministrazione,  la presenza
maggioritaria   di  membri  designati  dalle  istituzioni  pubbliche,
Ministero   della   salute,  regioni  e  comuni,  con  rappresentanza
paritetica  del Ministero della salute e della regione interessata, e
assicurando  che  la  scelta  di tutti i componenti del consiglio sia
effettuata  sulla  base  di  idonei  requisiti  di professionalita' e
onorabilita',  periodicamente  verificati;  dell'organo  di  gestione
fanno  parte  il direttore generale-amministratore delegato, nominato
dal   consiglio   di  amministrazione,  e  il  direttore  scientifico
responsabile  della  ricerca,  nominato  dal  Ministero della salute,
sentita la regione interessata».
    Si  tratta, tipicamente, di un indirizzo che dovrebbe essere dato
non  al  Governo per la emanazione di un decreto legislativo, ma alle
Regioni  per  l'esercizio  della  potesta' legislativa loro spettante
nella  materia:  sicche'  anche  qui  si  manifesta  quella  generale
illegittimita' della delega di cui si e' detto al punto 1).
    Premesso dunque che l'intero principio dovrebbe essere rivolto al
legislatore regionale e non al Governo, illegittimo poi nel contenuto
e'  il  vincolo  posto di assicurare la rappresentanza paritetica del
Ministero  della  salute  e  della  Regione «interessata» (in realta'
competente),  che rappresenta una indebita ingerenza del Ministero in
compiti  di  gestione  locali.  Illegittima  altresi',  in quanto non
costituisce  affatto  norma  di principio in materia di «tutela della
salute»,   la   disciplina   della   composizione   degli  organi  di
amministrazione,  compresa  la  riserva  della  nomina del «direttore
generale amministratore delegato» al consiglio di amministrazione, ed
evidentemente ancora piu' illegittima la previsione che «il direttore
scientifico  responsabile  della ricerca» sia «nominato dal Ministero
della salute, sentita la regione interessata», anziche' dalla Regione
competente.  Il  mero  ruolo  consultivo della Regione in ordine alla
nomina  del  direttore  scientifico, se poteva poi avere una qualche,
sia   pur   discutibile,   giustificazione   nel  precedente  assetto
costituzionale,  non  appare  piu'  rispondente  all'inclusione della
ricerca scientifica tra le materie di legislazione concorrente.
    Si  tratta  comunque,  in  generale,  di norma di dettaglio sulla
composizione  degli  organi  degli  Irccs,  che  appare  lesiva delle
competenze regionali.
    4.  - Specifica illegittimita' costituzionale dell'art. 42, comma
1,  lettera  c),  per  violazione  degli artt. 3, 117, comma 3, e 118
Cost.
    L'art. 42,  comma 1, lettera c) della legge 16 gennaio 2003, n. 3
stabilisce,  tra  i  principi  e  criteri  direttivi,  quello  di «di
trasferire  ai  nuovi  enti,  in  assenza  di oneri, il patrimonio, i
rapporti attivi e passivi e il personale degli istituti trasformati».
Inoltre  «il personale gia' in servizio all'atto della trasformazione
puo'  optare  per  un  contratto  di lavoro di diritto privato, fermi
restando, in ogni caso, i diritti acquisiti».
    La  previsione  del trasferimento del personale ai nuovi enti con
disciplina  statale  concretizza  un'evidente lesione di attribuzioni
regionali, tenuto conto che si tratta di personale regionale e il cui
stato  giuridico  e'  del  tutto  assimilabile  a quello del restante
personale  delle  aziende sanitarie regionali. Inoltre, la previsione
derogatoria  di un diritto del personale in servizio ad un «contratto
di  lavoro  di  diritto privato» - previsione davvero originale se si
considera  che  si tratta di personale gia' «privatizzato» - non puo'
che   significare   un'opzione   per   la   fuoriuscita   dall'ambito
disciplinato dal d.lgs. n. 165/2001.
    Sembra  evidente  che  si  tratta  non  di un principio, ma di un
privilegio  che  si  vorrebbe  dare  ad  una  specifica  categoria di
personale  regionale,  in violazione dell'autonomia legislativa delle
Regioni e dello stesso art. 3 Cost. In ogni modo, nella misura in cui
si trattasse di una differenziazione legittima, si tratterebbe di una
scelta  operativa  e  organizzativa necessariamente da riservare alla
Regione,  anche  considerato  il riverbero che essa verrebbe ad avere
sul restante personale del Servizio sanitario regionale.
    5. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 42, comma 1, lettera
d), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost.
    L'art. 42, comma 1, lettera d) della legge 16 gennaio 2003, n. 3,
stabilisce,   tra   i   principi   e  criteri  direttivi,  quello  di
«individuare,  nel  rispetto  della  programmazione regionale, misure
idonee di collegamento e sinergia con le altre strutture di ricerca e
di  assistenza  sanitaria, pubbliche e private, e con le universita',
al   fine  di  elaborare  e  attuare  programmi  comuni  di  ricerca,
assistenza e formazione».
    La  disposizione  concerne  materia  chiaramente rientrante nelle
competenze  regionali di assistenza sanitaria e di ricerca e pertanto
spetta  alla  Regione l'esercizio dei compiti di coordinamento con le
altre  strutture  di  ricerca  e sanitarie locali. D'altronde, non si
vede  come  l'individuazione  di  «misure  idonee  di  collegamento e
sinergia»  possa  concretizzarsi  nella  fissazione  di  un principio
fondamentale  da  attuarsi  dalla  legge  regionale,  laddove  invece
proprio  quanto  disposto  dalla  lett.  d) e' suscettibile di valere
direttamente quale principio guida della legge regionale attuativa.
    6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 42. comma 1, lettera
e), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost.
    L'art. 42, comma 1, lettera e) della legge 16 gennaio 2003, n. 3,
stabilisce,  tra i principi e criteri direttivi, quello di «prevedere
strumenti  che  valorizzino  e  tutelino  la proprieta' dei risultati
scientifici,  ivi  comprese  la  costituzione  e la partecipazione ad
organismi  ed enti privati, anche aventi scopo di lucro, operanti nel
settore  della ricerca biomedica e dell'industria, con modalita' atte
a salvaguardare la natura no-profit delle fondazioni».
    Si  tratta,  a  tutta  evidenza,  di  un oggetto rientrante nella
potesta' regionale concorrente.
    Si   noti   infatti  che  non  si  tratta  qui  della  disciplina
civilistica  della  proprieta'  intellettuale  scientifica,  ma degli
strumenti   organizzativi   per   la  incentivazione  e  la  migliore
utilizzazione delle proprieta' dei risultati scientifici.
    Anche  in  questo  caso, la disposizione puo' valere direttamente
come  principio  di  indirizzo  per la legislazione regionale, mentre
l'individuazione  concreta  degli  strumenti  organizzativi  e  delle
modalita' e' cio' che spetta alla legislazione regionale.
    Tenuto   conto  che  a  tali  «fondazioni»  andrebbe  pur  sempre
assicurato  un  rilevante margine di autonomia gestionale, non appare
residuare  alcuno  spazio,  per  scelte  ulteriori «di principio» del
legislatore  delegato, le quali non potrebbero che occupare lo spazio
della legge regionale.
    7.  - Illegittimita' costituzionale dell'art 42. comma 1, lettera
f), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost.
    L'art. 42,  comma 1, lettera f) della legge 16 gennaio 2003, n. 3
stabilisce,  tra i principi e criteri direttivi, quello di «prevedere
che  il  Ministro  della  salute  assegni  a ciascuna fondazione, o a
fondazioni aggregata a rete, diversi e specifici progetti finalizzati
di  ricerca,  anche  fra quelli proposti dalla comunita' scientifica,
sulla  base dei quali aggregare scienziati e ricercatori considerando
la  necessita'  di garantire la qualita' della ricerca e valorizzando
le   specificita'   scientifiche   gia'  esistenti  o  nelle  singole
fondazioni ovvero nelle singole realta' locali».
    A  parte  l'oscurita'  e  la  genericita'  del  riferimento  alle
«singole   realta'  locali»  (se  si  riferisse  anche  alle  aziende
sanitarie, per le quali e' pacifico che la competenza oggetto di tale
principio  di  delega  sia  regionale, sarebbe certamente invasivo di
competenze  gia'  in  essere  in  capo alle Regioni), la disposizione
conferisce  compiti amministrativi allo Stato in sede di assegnazione
di  progetti  che  gia'  attualmente  sono  assegnati  sulla  base di
appositi  bandi  il cui testo e' definito mediante Accordo sancito in
sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni
e  le  Province autonome di Trento e di Bolzano (si veda, a titolo di
esempio,  il verbale della seduta della suddeta Conferenza in data 18
aprile  2002).  Una  siffatta  previsione, oltre a contrastare con la
situazione  in  atto,  non  tiene  minimamente  in  considerazione la
circostanza  che,  in  seguito  alle  modificazioni  del  sistema  di
finanziamento  del Fondo sanitario nazionale, la ricerca finalizzata,
compresa    quella   svolta   dagli   Irccs,   e'   oggi   finanziata
prevalentemente  su  fondi di provenienza regionale e che pertanto si
impone  una  revisione della relativa disciplina in senso esattamente
apposto a quello del principio di delega in esame.
    La  disposizione  censurata,  in altre parole, viene a ridurre le
competenze  dei livelli di governo regionali, rispetto a procedimenti
gia'  attualmente  in  essere:  mentre il compito del legislatore era
invece  quello  di  dettare  i  principi  in base ai quali le Regioni
possano   esercitare   la   loro   competenza  legislativa  e  quella
amministrativa  di  coordinamento  del  sistema  locale della ricerca
finalizzata agli obiettivi di salute.
    8. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 42, comma 1, lettera
g), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost.
    L'art.  42,  comma  1,  lettera  g), della legge 16 gennaio 2003,
n. 3,  stabilisce,  tra  i  pricipi  e  criteri  direttivi, quello di
«disciplinare  le  modalita' attraverso le quali applicare i principi
di  cui  al  presente  articolo  agli  istituti  di ricovero e cura a
carattere    scientifico   di   diritto   privato,   salvaguardandone
l'autonomia giuridico-amministrativa».
    Al  pari  della  precedente  lettera f), anche questo criterio di
delega  invade  direttamente le competenze legislative delle regioni,
come  si  evidenzia  dalla  stessa  formula  impiegata:  «applicare i
principi»  anziche'  dettare  o  stabilire  i  principi. Si tratta in
realta'  anche  in  questo  caso  di un principio di indirizzo che e'
suscettibile   di   essere   attuato   direttamente  dal  legislatore
regionale, mentre ogni ulteriore specificazione uscirebbe dall'ambito
della potesta' legislativa statale.
    9. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 42, comma 1, lettera
i), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost.
    L'art. 42,  comma  1,  lettera  i),  della legge 16 gennaio 2003,
n. 3,  stabilisce,  tra  i  principi  e  criteri direttivi, quello di
«disciplinare  le  modalita'  attraverso  le quali le fondazioni, nel
rispetto  degli scopi, dei programmi e degli indirizzi deliberati dal
consiglio  di  amministrazione,  possono concedere ad altri soggetti,
pubblici   e  privati,  compiti  di  gestione,  anche  di  assistenza
sanitaria,  in funzione della migliore qualita' e maggiore efficienza
del servizio reso».
    Qui  l'invasione del campo regionale e' per cosi' dire dichiarata
(ed  enfatizzata,  anche  rispetto  all'assetto precedente la riforma
costituzionale, dall'inciso «anche di assistenza sanitaria»). In tali
campi il legislatore statale deve limitarsi a porre una disciplina di
principio, che esclude in quanto tale la «disciplina delle modalita».
La  disposizione  potrebbe semmai valere direttamente quale principio
di indirizzo per il legislatore regionale.
    10.   -  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 42,  comma  1,
lettera m), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost.
    L'art. 42,  comma  1,  lettera  m),  della legge 16 gennaio 2003,
n. 3,  stabilisce,  tra  i  principi  e  criteri direttivi, quello di
«regolamentare  i  criteri generali per il riconoscimento delle nuove
fondazioni  e  le  ipotesi  e  i  procedimenti  per la revisione e la
eventuale  revoca dei riconoscimenti gia' concessi, sulla base di una
programmazione  nazionale  riferita  ad ambiti disciplinari specifici
secondo criteri di qualita' ed eccellenza».
    Il   riconoscimento  delle  nuove  fondazioni  e  la  revoca  dei
riconoscimenti  concessi  possono  al piu' essere oggetto di principi
legislativi  statali di livello generale, al cui interno trovi spazio
la  legislazione  specifica  regionale. Inoltre, spetta alle Regioni,
come sembra evidente, tanto il riconoscimento di nuovi enti quanto la
revoca di tale riconoscimento.
    Inoltre,  la  mancata  menzione  del  rispetto delle attribuzioni
regionali  consente  che il ruolo delle Regioni venga persino ridotto
rispetto  alla  normativa  vigente.  Infatti,  l'art.  2  del  d.lgs.
n. 266/1993    prevede,   nel   testo   risultante   dalla   sentenza
interpretativa  di  accoglimento  n. 338  del  1994 di codesta ecc.ma
Corte,  che  per  il  riconoscimento  del carattere scientifico degli
Irccs e la relativa revoca sia almeno sentita la Regione interessata.
    11.  -  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  42,  comma  1,
lettera n), per violazione dell'art. 117, comma 3, Cost.
    L'art.  42,  comma  1,  lettera  n), della legge 16 gennaio 2003,
n. 3, pone, tra i principi e criteri direttivi, quello di «prevedere,
in  caso  di  estinzione,  la devoluzione del patrimonio in favore di
altri   enti  pubblici  disciplinati  dal  presente  articolo  aventi
analoghe finalita».
    Si tratta di per se' di un criterio quasi ovvio, cui si ispira la
legislazione di altri settori, ad esempio nel campo della assistenza.
Come  altri  principi,  esso potrebbe essere considerato legittimo in
quanto lo si considerasse come guida della legislazione regionale, ma
non  certo  come base di ulteriori disposizioni di dettaglio statali.
Va   invece   osservato  che  nella  sua  formulazione  il  principio
irrazionalmente  gia'  troppo rigido: sembra evidente infatti che, in
caso  di  estinzione di un istituto, sara' da valutare in concreto la
convenienza  che  le  strutture  maggiormente  legate  all'assistenza
sanitaria  conservino  tale  destinazione  nell'ambito  del  Servizio
sanitario  generale,  senza  il vincolo alla devoluzione esclusiva in
favore di altri Istituti scientifici.
    12. - Illegittimita' costituzionale dell'art 42, comma 1, lettera
p), per violazione dell'art 117, comma 3 Cost.
    L'art. 42, comma 1, lettera p) della legge 16 gennaio 2003, n. 3,
stabilisce,  tra i principi e criteri direttivi, quello di «prevedere
che  gli  istituti  di  ricovero  e  cura  a carattere scientifico di
diritto pubblico, non trasformati ai sensi della lettera a), adeguino
la  propria organizzazione e il proprio funzionamento ai principi, in
quanto  applicabili,  di cui alle lettere d), e), h) e n), nonche' al
principio  di  separazione  fra  funzioni  di  cui  alla  lettera b),
garantendo  che  l'organo  di  indirizzo  sia  composto  da  soggetti
designati  per la meta' dal Ministro della salute e per l'altra meta'
dal  presidente  della  regione,  scelti  sulla  base di requisiti di
professionalita'  e di onorabilita', periodicamente verificati, e dal
presidente  dell'istituto,  nominato dal Ministro della salute, e che
le  funzioni  di  gestione  siano  attribuite a un direttore generale
nominato  dal  consiglio  di  amministrazione,  assicurando  comunque
l'autonomia  del  direttore  scientifico, nominato dal Ministro della
salute, sentito il presidente della regione interessata».
    La  disposizione  si occupa degli istituti «non trasformati». Sia
consentito   in   primo   luogo   osservare  che  per  «istituti  non
trasformati» si puo' intendere quelli non ancora trasformati o quelli
che non sono oggetto di trasformazione. Nel primo caso si tratterebbe
di  un regime transitorio in attesa della trasformazione, nel secondo
di   una  stabile  categoria  di  enti,  peraltro  priva  di  precisi
riferimenti normativi. In entrambi i casi sembra violato il principio
della certezza del diritto.
    Cio'  premesso, la disposizione risulta illegittima sia in quanto
non  pone un principio che possa essere sviluppato dalla legislazione
regionale,  sia  in  quanto  riserva  al  Ministro  della  salute  la
designazione  della meta' dei membri del consiglio di amministrazione
e   in  quanto  attribuisce  al  Ministro  la  nomina  del  direttore
scientifico,  in  violazione  sia  dell'art. 117,  comma  terzo,  sia
dell'art. 118 della Costituzione.
    13.  -  Illegittimita' costituzionale dell'art. 43 per violazione
degli artt. 117, comma 3 e comma 6, e 118 Cost.
    L'art.  43 della legge 16 gennaio 2003, n. 3, stabilisce che, «al
fine  di  favorire  la  ricerca  nazionale  e  internazionale e poter
acquisire  risorse  anche  a  livello  comunitario, il Ministro della
salute, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le  regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, individua,
con  proprio  decreto,  l'organizzazione  a  rete  degli  istituti di
ricovero  e  cura  a  carattere  scientifico  dedicati  a particolari
discipline».
    La   disposizione   censurata  conferisce  un  potere  di  natura
sostanzialmente    regolamentare    e   praticamente   di   contenuto
indeterminato,   in  violazione  dell'art. 117,  sesto  comma,  della
Costituzione.
    In  subordine, il decreto dovrebbe essere assunto, trattandosi di
materia  rientrante  nella  potesta' legislativa concorrente, in ogni
modo d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni (e non sulla base di un
mero  parere):  come  era  prescritto  per  gli  atti  di indirizzo e
coordinamento nel vigore del precedente Titolo V.
    14.  - Illegittimita' costituzionale dell'art. 46, per violazione
dell'art 117, commi terzo e quarto Cost.
    L'art. 46  e'  dedicato  alla  Semplificazione in materia di sedi
farmaceutiche.
    Precisamente,  secondo il comma 1, i farmacisti che gestiscono in
via  provvisoria  una  sede farmaceutica, «anche se hanno superato il
limite  di  eta'  di  cui all'art. 4, comma 2, della legge 8 novembre
1991,  n. 362,  hanno  diritto  a  conseguire  per  una sola volta la
titolarita'  della  farmacia,  purche' alla data di entrata in vigore
della presente legge risultino assegnatari della gestione provvisoria
da  almeno  due  anni  e  non sia stata pubblicata la graduatoria del
concorso  per  l'assegnazione  della  relativa sede farmaceutica». Il
comma  2  esclude  dal  beneficio  «il  farmacista  che, alla data di
entrata  in  vigore  della  presente  legge, abbia gia' trasferito la
titolarita'  di  altra  farmacia  da  meno di dieci anni ai sensi del
quarto  comma  dell'articolo  12  della  legge 2 aprile 1968, n. 475,
nonche' il farmacista che abbia gia' ottenuto, da meno di dieci anni,
altri benefici o sanatorie».
    I  commi  3  e  4  disciplina  addirittura il procedimento per la
concessione  del  beneficio,  prescrivendo,  rispettivamente, che «le
domande  devono  pervenire,  a pena di decadenza, alle regioni e alle
province  autonome di Trento e di Bolzano entro sessanta giorni dalla
data   di   entrata   in   vigore   della   presente  legge»,  e  che
«l'accertamento  dei  requisiti e delle condizioni previste dai commi
1,  2  e  3  e'  effettuato  entro  un mese dalla presentazione delle
domande».
    Tutte   tali   disposizioni   sono   lesive   delle   prerogative
costituzionali  della  Regione Emilia-Romagna, e disciplinano oggetti
dei  quali  solo  la legge regionale puo' disporre. La materia incisa
e',  essenzialmente,  il commercio, che ricade nella competenza piena
regionale.  Infatti,  nonostante  la collocazione della disposizione,
non  si  puo'  dire che la disciplina statale abbia a che fare con la
«tutela  della  salute»,  nella  quale pure spetta allo Stato la sola
determinazione   dei  principi  fondamentali  della  materia.  Sembra
evidente,  infatti, che la tutela della salute non e' suscettibile di
essere  incisa dalla circostanza che determinati farmacisti ottengano
o  non  ottengano  la  titolarita'  della  farmacia  di  cui hanno la
provvisoria gestione.
    Comunque,  se  pure  si  trattasse  di  una  materia  di potesta'
concorrente, e' altresi' evidente che non si tratta di una disciplina
che  detti  alcun principio fondamentale in materia. Si tratta invece
di  disciplina  dettagliata  di un aspetto particolare, rimesso ormai
alla   competenza   piena  delle  Regioni:  alle  quali,  invece,  la
disposizione  qui  impugnata riconosco solo il compito della gestione
amministrativa  della legge statale, per di piu' stabilendo i termini
della  presentazione  delle  domande,  e  persino  i  termini  per la
risposta da parte delle Regioni.
    La   disposizione   risulta   dunque   in   tutte  le  sue  parti
illegittimamente invasiva della competenza regionale.