ha pronunciato la seguente Sentenza nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 3, commi 181, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 188 e 189, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), promossi con ordinanze del 10 luglio 2001 dalla Commissione tributaria provinciale di Sassari e del 28 giugno 2001 (n. 4 ordinanze) dalla Commissione tributaria provinciale di Catania, iscritte ai nn. 92, 298, 299, 300 e 301 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 11 e 25, 1a serie speciale, dell'anno 2002. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 15 gennaio 2003 il giudice relatore Romano Vaccarella. Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un processo tributario, intrapreso da una farmacista di Cargeghe avverso un avviso di accertamento dell'Ufficio delle entrate di Sassari col quale veniva rettificato, determinando maggiori ricavi, il reddito d'impresa ed il volume di affari dichiarato dalla contribuente in relazione all'anno 1995 ai fini IRPEF, IVA e CSSN, la Commissione tributaria provinciale di Sassari, con ordinanza del 10 luglio 2001, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, commi 181, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 188 e 189, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) per asserito contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione. 1.1. - In punto di fatto, il giudice rimettente riferisce che l'avviso di accertamento impugnato, richiamando l'art. 39, primo comma, lettera d) del d.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973, motiva lo scostamento dei ricavi dichiarati dalla farmacista rispetto a quelli attribuibili in base ai parametri previsti dal d.P.C.m. 29 gennaio 1996, ritenendo sussistere una presunzione grave, precisa e concordante che legittimerebbe l'ufficio a procedere ai sensi dell'art. 3, comma 181, della legge n. 549 del 1995. Nel corso del giudizio, la ricorrente aveva lamentato che "i commi 181 e 189 della citata legge n. 549 del 1995 violerebbero il principio di uguaglianza contenuto nell'art. 3 della Costituzione in quanto non prevederebbero l'utilizzo differenziato dei parametri in relazione alla dislocazione territoriale delle attivita' imprenditoriali omettendo di considerare le differenti realta' economiche che ne derivano e che influiscono in maniera determinante sulla capacita' di reddito di coloro che svolgono identica professione o impresa"; cio' che sarebbe tanto piu' vero per le imprese operanti in Sardegna, quale territorio riconosciuto come particolarmente disagiato. Costituitosi in giudizio, l'Ufficio delle entrate, richiamando le circolari ministeriali nn. 117/1996 e 203/1999, ha dedotto che il contribuente sarebbe tutelato da un contraddittorio diretto preliminare che avrebbe consentito all'Amministrazione di conoscere le specifiche caratteristiche dell'attivita' esercitata. Di contro, la ricorrente aveva rilevato come per le imprese in contabilita' semplificata (compilanti il quadro G del Mod. 740), a differenza di quelle in regime di contabilita' ordinaria, non fosse prevista alcuna ispezione contabile nella fase di instaurazione del contraddittorio, con un'evidente disparita' di trattamento tra soggetti imprenditoriali risolto in una posizione di maggior favore per gli imprenditori in regime di contabilita' ordinaria. La questione assumerebbe peraltro maggior rilievo nel caso di specie nella misura in cui l'art. 3, comma 189, della legge n. 549 del 1995 ha esteso l'applicazione delle disposizioni sui parametri (pubblicate il 26 gennaio 1996) anche al periodo d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 1995, allorche' l'opponente non aveva la possibilita' di optare per il regime ordinario posto che la detta opzione avrebbe dovuto essere effettuata, ai sensi dell'art. 18, comma sesto, del d.P.R. n. 600 del 1973, all'inizio del precedente periodo d'imposta senza che la disposizione censurata ne consentisse l'esercizio a decorrere dal 1 gennaio 1995. 1.2. - Con riguardo alla rilevanza ed alla non manifesta infondatezza, osserva il giudice rimettente che l'omissione nella norma impugnata di ogni valutazione dei fattori di diversita' legati alle singole realta' territoriali con la conseguente indiscriminata applicazione dei medesimi parametri e coefficienti presuntivi di ricavi aziendali ad imprese che svolgono la propria attivita' in contesti molto diversi (ad es. la gestione di una farmacia in un piccolo paese sardo, come nel caso di specie, e in un grosso centro urbano) determina una violazione dei principi costituzionali di uguaglianza e capacita' contributiva sanciti negli artt. 3 e 53 della Costituzione. Osserva inoltre il giudice a quo che l'art. 3, comma 181, lettera a), della legge 28 dicembre 1995, n. 549 dispone l'applicazione generalizzata dei parametri e coefficienti presuntivi dei ricavi aziendali ai soggetti che, in regime naturale di contabilita' semplificata, non abbiano optato per quello di contabilita' ordinaria. La successiva lettera b) dispone, invece, che, per i soggetti in regime di contabilita' ordinaria, i medesimi parametri si applichino solo se dal verbale di ispezione risulti l'inattendibilita' della contabilita' da rilevarsi alla stregua di criteri da precisare con regolamento da emanarsi mediante d.P.R. ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge de qua. Secondo il giudice rimettente, tale disposizione genera una irragionevole disparita' di trattamento radicata nel fatto che, alla data di entrata in vigore della legge, le imprese in regime di contabilita' semplificata non avrebbero potuto piu' optare per il regime di contabilita' ordinaria per l'esercizio 1995, non avendo la norma previsto alcuna rimessione nel termine gia' scaduto per l'esercizio del diritto di opzione. Anche sotto tale aspetto il rimettente individua una violazione dei principi consacrati negli articoli 3 e 53 della Costituzione. Denuncia, pertanto, innanzi al Giudice delle leggi l'art. 3, commi 181--189, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 e, in particolare: 1) il comma 186 nella parte in cui non prevede che i parametri debbano necessariamente essere elaborati tenendo conto delle differenze esistenti tra le imprese operanti nelle diverse regioni e, comunque, a livello territoriale o locale; 2) del comma 181, lettera a), nella parte in cui non prevede che, per le imprese ed i professionisti in contabilita' semplificata, tali parametri debbano essere applicati solo qualora dal verbale di ispezione, redatto ai sensi dell'art. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, risulti l'inattendibilita' della contabilita'. 1.3. - Intervenuto in giudizio a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri preliminarmente eccepisce l'inammissibilita' della questione laddove assolutamente non risulta motivata con riferimento all'art. 53 Cost. Sarebbe del pari inammissibile, ovvero infondata nel merito, quanto ai profili dedotti in relazione all'art. 3 della Costituzione. In particolare, osserva il deducente che la "denuncia, testualmente riferita al comma 186 (il quale riguarda le forme di approvazione e di pubblicazione dei parametri de quibus), deve intendersi attinente - in effetti - al precedente comma 184 dello stesso art. 3, legge n. 549 del 1995", il quale "espressamente prescrive che i parametri debbano elaborarsi "in base alle caratteristiche e alle condizioni d'esercizio della specifica attivita' svolta , con cio' manifestamente alludendo ai connotati concreti dell'impresa esercitata ed agli elementi - anche territoriali e di mercato - che la diversifichino nell'ambito del "tipo di appartenenza". Di tanto avrebbe tenuto conto il d.P.C.m. 29 gennaio 1996 che, nella nota allegata, effettua una valutazione statistica riferita a gruppi omogenei di contribuenti applicando, per la parte non colta dal metodo statistico, un fattore di adeguamento personalizzato riferito alle "diverse situazioni gestionali e dall'influenza della localizzazione." Pertanto sospetta di illegittimita' costituzionale non potrebbe mai essere la norma di legge, ma, al piu', la relativa disposizione di attuazione la quale, per il rango subprimario assegnatole nella gerarchia delle fonti, sfuggirebbe al controllo della Corte costituzionale, con la necessita' di dichiarare l'inammissibilita' della questione testualmente riferita al comma 186 dell'art. 3 cit. Con riguardo al merito, l'Avvocatura rileva la evidente ragionevolezza del diverso sistema di accertamento tributario riservato alle imprese, rispettivamente in regime di contabilita' ordinaria e semplificata, osservando come per le prime, caratterizzate da una sistematica e puntuale rappresentazione dei fatti di gestione, sia ben possibile subordinare l'applicazione dei parametri di determinazione presuntiva degli imponibili alla constatata inattendibilita' delle registrazioni analitiche effettuate; cio' che non pare invece realizzabile per le seconde, per le quali il sistema semplificato di rilevamento dei fatti di gestione giustifica di per se' controlli ed accertamenti condotti secondo un criterio statistico di verosimiglianza, seppure mitigato da alcuni correttivi. Per altro verso, ritiene l'Avvocatura che (benche' non esplicitamente riferita dal rimettente al comma 189 dell'art. 3 cit., secondo il quale le disposizioni sui parametri presuntivi sono applicabili per gli accertamenti relativi al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 1995) la questione di legittimita' costituzionale sollevata con riguardo alla ritenuta irragionevolezza dell'applicabilita' del complesso di norme nei confronti di imprese minori alle quali, per il 1995, era ormai preclusa la facolta' di optare per il regime di contabilita' ordinaria e' infondata. Ed infatti, ferma la garanzia della tutela giudiziale mediante la contestazione dell'illegittimita' dell'accertamento presuntivo, "e' certo che irragionevole dovrebbe riconoscersi l'affidamento - non tutelato - del contribuente nella mancanza d'esercizio (ancorche' in forme nuove) dei poteri d'accertamento tributario a fronte d'un regime di contabilita' (semplificata) pur sempre riconducibile ad una libera scelta dello stesso soggetto passivo d'imposta". 2. - Nel corso di quattro distinti processi tributari, intrapresi da altrettanti contribuenti avverso gli avvisi di accertamento notificati dell'Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Catania con i quali venivano rettificati, determinando maggiori ricavi, i redditi d'impresa ed il volume di affari dichiarati in relazione all'anno 1995 ai fini IVA, IRPEF e CSSN, la Commissione tributaria provinciale di Catania, con ordinanze del 28 giugno 2001, ha sollevato d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, commi 181, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 188 e 189, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, per asserito contrasto con gli articoli 3, 23, 24 e 53, primo comma, della Costituzione. 2.1. - In punto di fatto, il giudice a quo riferisce che, ad avviso dei ricorrenti, l'accertamento operato dall'Ufficio sulla base dei parametri di cui all'art. 3, commi 181-189, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 ed emanati con d.P.C.m. 29 gennaio 1996, era da considerarsi nullo in quanto erroneo per non aver tenuto conto dei criteri variabili a seconda della fattispecie concreta in valutazione. Di contro, l'Ufficio distrettuale II.DD. chiedeva il rigetto del ricorso, ribadendo la legittimita' dell'accertamento effettuato secondo i criteri di cui al comma 181 dell'art. 3 cit. 2.2. - In sede di scrutinio della rilevanza e non manifesta infondatezza della questione, la Commissione rimettente rileva che l'accertamento compiuto sulla base dei parametri di cui al d.P.C.m. 29 gennaio 1996 in relazione all'art. 3, comma 181, della legge 28 dicembre del 1995, n. 549 non puo' ritenersi legittimo dal punto di vista costituzionale perche' in contrasto con gli artt. 3, 23, 24 e 53, primo comma, della Costituzione. In particolare, sussisterebbe secondo il rimettente violazione della riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. posto che la "prestazione tributaria", conseguente all'accertamento per cui e' processo, risulta fondata sul d.P.C.m. 29 gennaio 1996 che ha invece natura amministrativa. Ne discenderebbe la incostituzionalita' dell'art. 3, commi 181-189 della legge n. 549 del 1995, nella parte in cui rimette al Presidente del Consiglio dei ministri l'emanazione dei decreti integrativi della norma anziche' prevedere essa stessa una compiuta disciplina degli elementi che fanno scaturire l'obbligazione tributaria. La stessa normativa violerebbe, inoltre, il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. "dal momento che per alcune categorie di soggetti l'obbligazione tributaria personale e patrimoniale non scaturirebbe da una norma di legge, bensi' da un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri", in contrasto col "diritto di vedere usato dall'Amministrazione finanziaria un trattamento identico, ossia normativamente previsto e non gia' rimesso al Presidente del Consiglio dei ministri" il quale, peraltro, non e' autorizzato ad emanare norme in materia fiscale da alcuna disposizione dell'ordinamento giuridico. La Commissione solleva, pertanto, la questione di costituzionalita' della norma menzionata "nella parte in cui demanda al Presidente del Consiglio dei ministri l'emanazione dei parametri attuativi della legge stessa e, dunque, da applicare da parte dei competenti Uffici finanziari negli accertamenti dagli stessi eseguiti, in relazione agli artt. 3, 23, 24 e 53 primo comma, della Costituzione. 2.3. - Costituitosi in giudizio a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri preliminarmente eccepisce l'inammissibilita' della questione, avendo omesso il giudice rimettente qualsiasi motivazione circa la sua rilevanza. In particolare, non avrebbe preso posizione in ordine ai motivi di impugnazione dell'avviso di accertamento ne' avrebbe motivato circa gli effetti che sul giudizio a quo avrebbe l'invocata pronunzia di incostituzionalita'. Nel merito, la questione sarebbe infondata in quanto sia la dottrina che la giurisprudenza dominante interpretano il dettato l'art. 23 Cost. nel senso della previsione di una riserva di legge relativa; pertanto, le disposizioni tributarie possono essere legittimamente contenute anche in atti normativi di tipo e forza diversi dalla legge e di rango inferiore purche' - secondo l'insegnamento della Corte costituzionale (sentenze n. 47 del 1957, n. 36 del 1959, n. 51 del 1960, n. 129 del 1969, n. 11 del 1997 e n. 215 del 1998) - l'imposizione abbia base in una legge che stabilisca criteri idonei a regolare eventuali margini di discrezionalita' lasciati alla P.A. nella determinazione in concreto della prestazione e ne determini direttamente l'oggetto (sentenza n. 250 del 1992). Individuati i soggetti obbligati e fissato adeguatamente l'oggetto dell'imposta, nonche' il modulo procedimentale per l'emanazione dei relativi provvedimenti amministrativi (sentenze n. 507 del 1988 e n. 34 del 1986), non e' necessario che la legge detti la restante disciplina dell'imposizione tributaria. Senza dire, poi, che, ad avviso di larga parte della dottrina, l'art. 23 Cost. riguarderebbe soltanto le norme tributarie c.d. impositive o sostanziali e non anche quelle - tra le quali le norme impugnate - che disciplinano la riscossione e l'accertamento del tributo, le quali ultime attengono al solo momento realizzativo della pretesa tributaria. Nella specie, le norme impugnate delineano ogni aspetto fondamentale dell'accertamento fiscale fondato su parametri presuntivi, definendone la tipologia di accertamento (analitico presuntivo ex art. 39, primo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973), l'ambito di applicazione soggettivo ed oggettivo (art. 3, commi 181 e 182), le modalita' di determinazione dell'aliquota media ai fini del calcolo della maggiore imposta dovuta (comma 183), i criteri generali di elaborazione dei parametri (comma 184), il procedimento di accertamento (comma 185) e l'ambito temporale di applicazione (comma 189). Stante l'ampia determinazione degli elementi dell'accertamento fiscale ad opera della legge, anche la censura relativa alla presunta violazione dell'art. 3 Cost. sarebbe manifestamente infondata. Inammissibile e' infine la questione con riguardo alle denunciate violazioni degli artt. 24 e 53 della Costituzione posto che, alla formale enumerazione dei parametri, non e' seguita, ad opera del giudice a quo, alcuna motivazione. Considerato in diritto 1. - La Commissione tributaria provinciale di Sassari dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 3, commi 181, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 188 e 189, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 in relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione, in particolare: laddove (comma 186) non prevede che i parametri per la determinazione dei ricavi, dei compensi e del volume di affari attribuibili al contribuente in base alle caratteristiche e alle condizioni di esercizio della specifica attivita' svolta, debbano necessariamente essere elaborati tenendo conto delle differenze esistenti tra le imprese operanti nelle diverse regioni e, comunque, a livello territoriale e locale; inoltre, laddove (comma 181, lettera a) non prevede che, per le imprese ed i professionisti, in contabilita' semplificata, i parametri debbano essere applicati solo qualora dal verbale di ispezione, redatto ai sensi dell'art. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, risulti l'inattendibilita' della contabilita'. A sua volta, la Commissione tributaria provinciale di Catania dubita - nelle quattro ordinanze di cui in epigrafe - della legittimita' costituzionale dell'art. 3, commi 181, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 188 e 189, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 in relazione agli artt. 3, 23, 24 e 53, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui demanda al Presidente del Consiglio dei ministri l'emanazione dei parametri attuativi della legge stessa e, come tali, applicabili da parte dei competenti uffici finanziari negli accertamenti dagli stessi eseguiti. 2. - L'evidente connessione delle questioni sollevate dalle cinque ordinanze di rimessione impone la loro riunione in unico giudizio. 3. - Entrambe le questioni poste dalla Commissione tributaria provinciale di Sassari sono infondate. 3.1. - Il rimettente censura, in primo luogo, la mancata previsione, ad opera dell'art. 3, comma 186, della legge n. 549 del 1995, di una differenziazione dei parametri in relazione alle diverse realta' territoriali in cui operano le imprese (art. 3 Cost.). In realta' (non gia' il comma 186, ma) il comma 184 dell'art. 3 cit., dispone espressamente che i parametri devono essere elaborati "in base alle caratteristiche e alle condizioni di esercizio della specifica attivita' svolta". Sul piano operativo, poi, la nota tecnica allegata al d.P.C.m. emanato nel 1996 ai sensi del comma 186 dell'art. 3 cit., al punto 1 ("Criteri per la costituzione dei parametri"), chiarisce che le tecniche statistiche di elaborazione dei parametri sono finalizzate, tra l'altro, a cogliere ... le differenze territoriali e locali" ed al punto 2 ("Applicazione dei parametri all'universo dei contribuenti") prevede "un fattore di adeguamento personalizzato in modo da tener conto della probabilita' di errore nella stima", considerando le "diverse situazioni gestionali e dell'influenza della localizzazione per la parte non colta" dalla stima. In tale quadro, la lamentata assenza di una differenziazione di parametri non e' certamente riferibile alla legge oggetto del presente giudizio, ma semmai alle concrete modalita' applicative del metodo statistico e dei suoi correttivi; sicche' la censura e' rivolta, di fatto, avverso disposizioni subprimarie di attuazione, come tali sottratte al controllo di questa Corte, ma sindacabili dal giudice competente per il merito. 3.2. - La seconda censura - relativa alla mancata previsione, per le imprese ed i professionisti in contabilita' semplificata, della sequenza procedimentale, prevista invece per gli imprenditori in regime di contabilita' ordinaria (ai quali i parametri sono applicati solo qualora dal verbale di ispezione, redatto ai sensi dell'art. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, risulti l'inattendibilita' della contabilita) - e' sollevata nei confronti dell'art. 3, comma 181, lettera a). Il meccanismo di accertamento in base ai "parametri", previsto dalla norma impugnata, costituisce disciplina transitoria (applicabile ai soli esercizi 1995, 1996 e 1997) collocata tra il vecchio sistema dell'accertamento secondo i "coefficienti presuntivi" di cui al d.l. n. 69 del 2 marzo 1989 ed il nuovo sistema degli "studi di settore" (in vigore dall'esercizio 1998). A differenza dei coefficienti presuntivi, i "parametri" prevedono un sistema basato su presunzione semplice la cui idoneita' probatoria e' rimessa alla valutazione del giudice di merito, in assenza di previsioni "procedimentalizzate" circa la partecipazione del soggetto passivo alla fase istruttoria che precede l'emanazione dell'atto di accertamento (anche se, in realta', le circolari n. 136/1999 e n. 157/2000 prevedono forme di contatto preventivo tra amministrazione e contribuente assoggettato). Posta la differenza, riconosciuta anche da questa Corte (v. sentenza n. 384 del 1997), tra il sistema di contabilita' ordinaria e quello di contabilita' semplificata, e' evidente che, per gli imprenditori che abbiano scelto quest'ultimo regime contabile, l'assenza di dati contabili documentali da verificare rende priva di senso la previsione di un contraddittorio in una sede ispettiva, la quale rimarrebbe, in fin dei conti, sprovvista di oggetto: sicche' la questione sollevata con riguardo alla mancata previsione del meccanismo ispettivo non e' meritevole di accoglimento. Con riguardo, poi, al problema della mancata possibilita' di scelta preventiva del sistema di contabilita', merita di essere condivisa la sostanzialmente uniforme giurisprudenza di legittimita', elaborata in relazione ai coefficienti del "redditometro", la quale nega l'esistenza di un problema di retroattivita' con riguardo a redditometri contenuti in decreti ministeriali emanati successivamente al periodo di imposta da verificare, poiche' il potere in concreto disciplinato e' quello di accertamento, sul quale non viene ad incidere il momento della elaborazione. 4. - La questione sollevata, con quattro ordinanze, dalla Commissione tributaria provinciale di Catania, relativamente alla violazione della riserva di legge ex art. 23 Cost., e' manifestamente infondata. Il rimettente mostra di ignorare che - secondo la costante giurisprudenza di questa Corte - la riserva di legge di cui all'art. 23 (riferibile anche alle norme procedimentali che disciplinano gli accertamenti presuntivi) pone al legislatore l'unico obbligo di determinare preventivamente e sufficientemente criteri direttivi di base e linee generali di disciplina della discrezionalita' amministrativa (v., da ultimo, ordinanze n. 323 del 2001 e n. 7 del 2000). Nel caso di specie, come esattamente osservato dall'Avvocatura dello Stato, "le norme impugnate valgono a delineare ogni aspetto fondamentale dell'accertamento fiscale fondato su parametri presuntivi, definendone la tipologia di accertamento (analitico presuntivo ex art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973), l'ambito di applicazione soggettivo ed oggettivo (art. 3, commi 181 e 182), le modalita' di determinazione dell'aliquota media ai fini del calcolo della maggiore imposta dovuta (comma 183), i criteri generali di elaborazione dei parametri (comma 184), il procedimento di accertamento (comma 185) e l'ambito temporale di applicazione (comma 189)". Cio' che rende manifestamente infondata anche la questione sollevata in relazione all'art. 3 Cost. 4.1. - Manifestamente inammissibili, per totale carenza di motivazione, sono le questioni sollevate in riferimento agli artt. 24 e 53 Cost.