IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza. Il giudice letti gli atti del procedimento penale n. 21012/02 R.G. Notizie di reato contro Laassel Mohamed, nato a Rabat (Marocco) nel 1967 e Aopam Apmba, nato ad Algeri (Algeria) il 1 gennaio 1982, imputati per violazione all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 per essersi trattenuti senza giustificato motivo sul territorio nazionale in qualita' di stranieri colpiti da provvedimento 8 ottobre 2002 del questore di Torino ex art. 14 e V-bis d.lgs. n. 286/1998 (con oggetto l'ordine di abbandono del territorio nazionale entro gg. 5); Vista la questione di legittimita' costituzionale proposta dal difensore degli imputati nel corso dell'udienza del 5 dicembre 2002; Sentito il parere del pubblico ministero; O s s e r v a Gli imputati, in data 4 novembre 2002, venivano tratti in arresto per violazione all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs 25 luglio 1998, n. 286, modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189. Gli imputati venivano presentati dal pubblico ministero per la convalida dell'arresto ed il conseguente giudizio direttissimo all'udienza del 5 novembre 2002, a norma del primo comma dell'art. 449 c.p.p. Effettuata la convalida dell'arresto, il difensore, dopo aver chiesto termine a difesa, nell'udienza successiva, proponeva questione di legittimita' costituzionale con memoria scritta, illustrata oralmente. Come risulta dalle argomentazioni addotte, le lamentele del difensore sono molteplici ed investono i principi contenuti negli arrt. 2, 3, 13, 24, 25 e 27 della Costituzione. Il complesso delle doglianze, dunque, e' estremamente articolato ed e' stato esteso, forse, in maniera eccessiva dal difensore. Esso riguarda uno dei problemi piu' spinosi e difficili dell' ordinamento, quale quello, da una parte, di regolamentare i flussi migratori nel nostro Paese in modo conforme ai principi costituzionali e di garantire i cittadini, dall'altra parte, dai connessi pericoli di trasgressione delle regole poste a salvaguardia dell'ordine e della sicurezza dei consociati. La questione posta dal difensore, comunque, non pare manifestamente infondata, almeno con riferimento ad alcuni profili in particolare. Non si ritiene di dover ripercorrere l'intero quadro normativa nel quale si innesta il tema proposto, apparendo sufficiente in questa sede ricordare che, alla stregua del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e delle successive modifiche apportate dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, meglio nota sotto il nome di legge Bossi-Fini, l'espulsione amministrativa del cittadino straniero puo' essere disposta o dal Ministro dell'interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato (art. 13, comma 1, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286) ovvero dal prefetto quando lo straniero si trovi in una delle situazioni previste dal 20 comma dell'art. 13 d.lgs. n. 286/1998 alle lett. a), b) e c). L'espulsione disposta dal prefetto - che e' quella relativa al caso in esame - e' sempre eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica ad eccezione del caso in cui il permesso di soggiorno sia scaduto da piu' di 60 giorni e non ne sia stato chiesto il rinnovo. In quest'ultimo caso, a seconda che si possa o no ravvisare il pericolo che lo straniero si sottragga all'esecuzione dell'espulsione, sara' il questore a valutare se disporre l'accompagnamento o se basti, invece, la sola intimazione a lasciare il territorio dello Stato. Tale disciplina, in parte gia' esistente, e' stata significativamente modificata, non senza polemiche, proprio con la legge Bossi-Fini (art. 12, comma 1, lett. c) e d) che, tra l'altro, ha sostituito i commi 4 e 5 dell'art. 13 d.lgs. n. 286/1998 ed ha introdotto nell'ordinamento la regola, secondo la quale la forma ordinaria dell'esecuzione dell'espulsione amministrativa disposta dal prefetto e' quella dell'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Nel primo comma del successivo art. 14 - che disciplina l'esecuzione dell'espulsione - sono previste delle eccezioni a tale regola (esse, in verita', preesistevano alla legge Bossi-Fini e non hanno subito modifiche), perche' risulta stabilito che quando non e' possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera ovvero il respingimento, perche' occorre procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identita' o nazionalita', ovvero all'acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero per l'indisponibilita' di vettore o altro mezzo di trasporto idoneo, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza temporanea e assistenza piu' vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri per la solidarieta' sociale e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. Tale normativa che, come si e' osservato, era in buona parte preesistente alla legge Bossi-Fini, essendo stata introdotta dalla cosiddetta legge Turco-Napolitano (legge 6 marzo 1998, n. 40) e che gia' nell'ambito del preesistente quadro normativo aveva suscitato problemi di altro genere, relativi alla riserva di giurisdizione, decisi dalla Corte costituzionale con sentenza n. 105 del 2001, ha finito con l'assumere caratteri di maggior risalto proprio in conseguenza delle modifiche introdotte con la legge n. 189/2002. Non solo perche', come si e' visto, l'accompagnamento alla frontiera e' divenuto l'unico modo ordinario di esecuzione dell'espulsione amministrativa disposta dal prefetto, ma soprattutto perche', con la legge n. 189/2002, sono stati introdotti - tra gli altri - pure i commi 5-bis e 5-ter all'art. 14 d.lgs. n. 286/1998 (art. 13, comma 1, lett. b) legge n. 189/2002). Con il comma 5-bis, in realta', e' stata introdotta un'eccezione all'eccezione. Ed invero, se il mancato accompagnamento immediato alla frontiera previsto nel comma 1 dell'art. 14 e' da considerarsi eccezione rispetto al modo ordinario di esecuzione dell'espulsione del prefetto, il caso previsto nel comma 5-bis e' da considerarsi eccezionale in una situazione di per se' gia' eccezionale, perche' con esso si e' disposto che quando non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporanea, ovvero sono trascorsi i termini di permanenza senza aver eseguito l'espulsione o il respingimento, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni. L'ordine e' dato con provvedimento scritto, recante l'indicazione delle conseguenze penali della sua trasgressione. La disposizione in parola, come del resto gran parte dell'intera normativa, non brilla per la chiarezza e per la precisione con cui e' stata redatta. Non risultano chiariti, ad esempio, i casi in cui si debba ritenere che non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporanea, cosi' come non sono chiare e specificate le ragioni per le quali il questore possa non aver eseguito l'espulsione (o il respingimento) pur essendo trascorsi i termini di permanenza. Sul piano interpretativo, l'ipotesi piu' verosimile, rispetto all'impossibilita' di trattenere lo straniero presso un centro di permanenza, sembra quella della mancanza totale di tale centro ovvero della mancanza di posti, giacche' affollati, dei centri utilizzabili, mentre in ordine all'omessa esecuzione dell'espulsione da parte del questore, pur oltre i termini di permanenza nei centri di assistenza, occorre verosimilmente ipotizzare che i problemi che possono aver determinato la necessita' della permanenza temporanea dello straniero nel centro di assistenza non siano stati risolti in tempo utile. Ebbene, in questi casi, e' stabilito che l'espulsione venga eseguita da parte del questore con un'intimazione scritta per lo straniero a lasciare il territorio dello Stato nel termine di cinque giorni. E dunque, alla stregua della normativa in esame, se si escludono i casi non rilevanti relativi alla necessita' di prestare soccorso allo straniero, quasi sempre ricorrente piu' al momento del respingimento che in quello dell'espulsione e se si escludono i casi dell'indisponibilita' o inidoneita' del vettore, tanto astrattamente improbabili, quanto assolutamente non rilevanti nel caso di specie, la situazione che si deve esaminare riguarda evidentemente l'espulsione dello straniero, disposta dal prefetto, che non sia possibile eseguire da parte del questore con accompagnamento coattiva alla frontiera o perche' non e' chiara l'identita' o la nazionalita' del soggetto da espellere ovvero per mancanza dei documenti necessari per il viaggio. Vi e' bisogno, in questi casi, di altre attivita' e di altre indagini, con la conseguente necessita' di trattenere lo straniero entro i termini stabiliti dallo stesso art. 14, in un centro di permanenza temporanea. Poiche' pero' o non vi e' il centro o non e' disponibile un posto presso uno di tali centri ovvero poiche' non risulta sufficiente il termine di permanenza nel centro, che la legge Bossi-Fini ha portato a 60 giorni di durata massima, per risolvere il problema che si era posto e che aveva reso impossibile l'accompagnamento, allora con la norma si prevede che venga intimato allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro i successivi cinque giorni. Per la verita', il timore che le questure possano estendere indiscriminatamente i casi di notifica dell'ordine di lasciare il territorio dello Stato anche indipendentemente da quanto espressamente previsto dalla legge conte presupposto del provvedimento stesso e' forte e concreto e si fonda su una serie di elementi che conducono proprio in tale direzione. La previsione in bilancio assolutamente inadeguata dello specifico stanziamento per la creazione o per il potenziamento dei centri di permanenza temporanea e di assistenza; il mancato stanziamento per spese straordinarie di accompagnamento e di viaggio; il mancato potenziamento delle forze di polizia; la mancata intensificazione dei rapporti diplomatici con i principali Paesi di provenienza degli immigrati per cercare di risolvere piu' in fretta i problemi relativi all'identificazione dei singoli soggetti; il fatto che nei relativi provvedimenti i questori indichino apoditticamente in premessa che non e' stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporanea ovvero che sono inutilmente trascorsi i termini di permanenza presso il CPTA, senza riferirsi ad alcun elemento di fatto concreto e, quindi, senza alcuna specifica motivazione; sono solo alcuni elementi, ancorche' univoci e molto significativi, che inducono a ritenere, almeno allo stato attuale della situazione, che si vada diffondendo tra le questure la prassi di estendere l'intimazione prevista dal comma 5-bis dell'art. 14 indifferenziatamente a tutti i casi di espulsione amministrativa disposta dal prefetto. Ma siffatta prassi nell'esecuzione dell'espulsione, oltre che scorretta e in contraddizione con il nuovo indirizzo normativa introdotto proprio dalla legge Bossi-Fini, comporterebbe anche conseguenze pratiche e giuridiche serie e gravi. Basti solo considerare che l'espulsione del prefetto e' disposta con decreto immediatamente esecutivo, la cui esecuzione non e' sospesa neppure dall'eventuale impugnazione del provvedimento (art. 13, comma 3, d.lgs. n. 286/1998 come sostituito dalla legge n. 189/2002) e basti pure ricordare che, a norma del comma 5-quinquies dell'art. 14, in caso di accertata violazione della norma in discussione e' previsto l'arresto obbligatorio. Sarebbero gravi e pesanti, dunque, le conseguenze sul piano della concreta limitazione del diritto di difesa e dei diritti di liberta' personale dei cittadini, se i casi di intimazione a lasciare il territorio dello Stato impartita dal questore dovessero allargarsi al di la' delle ristrette condizioni previste dalla legge. In questa sede, pero', l'effettivo modo di operare delle questure, ancorche' pericolosamente orientato nel senso specificato, non richiede particolare attenzione, dovendosi - in sede di valutazione della conformita' della legge ai principi costituzionali - effettuare un giudizio in astratto, sul presupposto che la legge stessa venga correttamente interpretata ed applicata. Rimane peraltro significativo il fatto che le questure e, cioe', gli uffici territoriali periferici del Ministero dell'interno, tendenzialmente risultino orientate verso una pratica applicazione della nuova disciplina normativa che sconfessa e capovolge le premesse sulle quali si fonda ed e' stata creata la normativa stessa, con conseguenze di immaginabile gravita'. Per tornare al problema da risolvere in questa sede, dunque, occorre ribadire che l'intimazione dell'ordine di lasciare il territorio dello Stato in cinque giorni deve essere rivolto allo straniero proprio nei casi in cui si sono riscontrate difficolta' relativamente all'individuazione dell'identita' o della nazionalita' dello straniero stesso o in ordine ai documenti di viaggio e lo Stato, che dovrebbe provvedere a superare tali difficolta' per eseguire l'accompagnamento alla frontiera, o risulta non sufficientemente organizzato per affrontate siffatti problemi trattenendo l'interessato presso centri attrezzati e organizzati appositamente ovvero non e' in grado di risolvere questi problemi nel periodo di ben due mesi di permanenza dello straniero nei relativi centri di assistenza. Cio' nonostante, proprio in questi casi, e' previsto che venga imposto l'ordine - e quindi l'obbligo - allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il breve termine di cinque giorni. Da un punto di vista logico, percio', appare subito evidente che tale disposizione non trova adeguata e sistematica giustificazione. Il problema ancor piu' rilevante in questa sede, pero', nasce dal fatto che il legislatore del 2002 ha introdotto un'ulteriore disposizione, di natura penale, contenuta nel comma 5-ter dell'art. 14, con la quale viene stabilito che lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartita dal questore ai sensi del comma 5-bis e' punito con l'arresto da sei mesi ad un anno. In tal caso si procede a nuova espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. L'immediata reazione alla lettura di tale disposizione e' quella di chiedersi come potrebbe essere concretamente realizzata l'esecuzione di questa seconda espulsione mediante accompagnamento alla frontiera, quando proprio l'impossibilita' di eseguire tale accompagnamento dovrebbe aver determinato la situazione venutasi a creare in precedenza, ma cio' che va posto adeguatamente in evidenza e' soprattutto l'indeterminatezza del precetto penale di cui si tratta. Per poter valutare pacatamente e serenamente la questione, occorre partire da una premessa, da un insegnamento che proprio la Corte costituzionale ha riaffermate nella citata, recente sentenza n. 105/2001: "per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia dell'immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non puo' risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libreria personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunita' politica, ma in quanto esseri umani". E, dunque, alla stregua di quanto fin qui considerato, deve essere valutata la condotta che il legislatore ha descritto nella fattispecie come quella di chi "... senza giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore ...". Anche in questo caso, non si puo' dire che la norma sia stata formulata in modo chiaro facilmente comprensibile, soprattutto se poi si considera che essa e' pure destinata ad essere tradotta in altra lingua, per soggetti che normalmente non parlano l'italiano. Da un punto di vista letterale, infatti, trattenersi vuol dire fermarsi, restare, indugiare e simili, per cui si tratta di un verbo che non esprime movimento, anzi presuppone un'inattivita'. Ecco, allora, che la condotta, descritta dal legislatore in apparente forma commissiva ("si trattiene"), e' da intendersi, invece, sostanzialmente come una condotta omissiva, soprattutto se riferita - come pure e' dato ricavare dalla testuale formulazione della norma - all'"ordine impartita dal questore". Il fatto di trattenersi nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore, in altri termini, consiste esattamente nell'omettere di ottemperare all'ordine di allontanarsi impartito dal questore, tanto e' vero che come quasi sempre avviene per i reati omissivi propri, anche in questo caso e' previsto un termine entro il quale ottemperare. La precisazione non ha carattere solo formale per definire la natura della condotta richiesta, ma e' importante per capire quale concreto tipo di comportamento si richiede allo straniero mancando il quale, scatta la sanzione penale. Che cosa, dovrebbe fare, in concreto, il destinatario dell'ordine di allontanamento impartito dal questore per potervi ottemperare? Ebbene, se l'intimazione del questore e' stata correttamente emessa nei casi espressamente previsti dal comma 5-bis dell'art. 14 d.lgs. n. 286/1998 se, cioe', davvero ci si trova in presenza di un caso in cui vi sia la necessita' di accertamenti supplementari in ordine all'identita' o alla nazionalita' dello straniero ovvero all'acquisizione di documenti per il viaggio e, o perche' non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di permanenza o perche' siano trascorsi i termini di permanenza indicati nello stesso art. 14 senza che si sia provveduto all'espulsione dello straniero, cio' nonostante, venga impartito l'ordine di allontanamento da parte del questore, allora non si comprende quale comportamento si richieda allo straniero, non per meritare - si badi - ma per evitare la sanzione penale. Se davvero si riscontrano le difficolta' indicate nel primo comma dell'art. 14, valutate dallo stesso legislatore come gravi e, cioe', di natura tale da impedire o ritardare l'accompagnamento alla frontiera dello straniero e se, cio' nonostante, o non si interviene in alcun modo per impossibilita' di trattenere lo straniero o pur dopo averlo trattenuto per il tempo consentito ugualmente non si e' eseguita l'espulsione - il che dovrebbe equivalere a dire che le difficolta' permangono o non sono state completamente superate - se questa e' la situazione in cui viene impartito l'ordine di allontanamento del questore, che cosa sarebbe richiesto che facesse lo straniero nei cinque giorni successivi per evitare di commettere il reato de quo? Se il destinatario del provvedimento di allontanamento si trova davvero in una situazione di grave difficolta' per mancanza di documenti di riconoscimento, per mancanza di documenti di viaggio, per mancanza di denaro o per altre ragioni simili - il che e' il presupposto necessario che, a norma del comma 1 dell'art. 14, le stesse autorita' che eseguono l'espulsione dovrebbero aver accertato quale causa di impossibilita' di accompagnamento alla frontiera - allora che cosa si richiede che faccia da solo in cinque giorni lo straniero? Non e' forse questa la previsione di una condotta ancora piu' generica di quanto non fosse descritta quella contenuta nell'art. 7-bis, comma 1 del decreto legge n. 416/1989, convertito in legge n. 39/1990 (introdotto dall'art. 8 del decreto legge n. 187/93, convertito in legge n. 296/1993)? Con quella norma veniva punita, invero, la condotta dello straniero che non si adoperasse per ottenere dalla competente autorita' diplomatica o consolare il rilascio del documento di viaggio occorrente per l'esecuzione del provvedimento di espulsione. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 34 del 1995 dichiarava l'illegittimita' di tale norma per l'indeterminatezza della fattispecie e, quindi, per violazione del principio di legalita' contenuto nel secondo comma dell'art. 25 della Costituzione. "Ma nella previsione in esame - si legge nella sentenza - neppure la valorizzazione dell'elemento finalistica ("... per ottenere il rilascio del documento") risulta idonea a delimitare e specificare in qualche modo la condotta dell'"adoperarsi", giacche' la natura omissiva del reato non consente di prestabilire una relazione causale tra condotta e finalita': al di fuori e prima dell'ottenimento del documento e' indeterminata e potenzialmente illimitata la serie dei comportamenti che possono dirsi non orientati a quel fine". Tenendo canto di tale decisione della Corte, il legislatore del 2002, forse, non ha indicato piu' come condotta un comportamento finalizzato ad uno scopo, ma ha individuato la condotta direttamente nel risultato finale ("si trattiene") da evitare ed ha indicato anche un termine preciso di commissione del reato (cinque giorni dall'ordine del questore). A parere di questo giudice, pero', la tecnica descrittiva seguita dal legislatore non ha superato il problema rilevato dalla Corte costituzionale, anzi lo ha aggravato, perche' mentre con la vecchia disposizione, ancorche' in modo indeterminato, comunque era stabilito che ci si dovesse adoperare per ottenere il documento occorrente per l'esecuzione dell'espulsione, nell'attuale situazione ancor meno si riesce a capire quale comportamento sia richiesto allo straniero, per uscire dalla descritta situazione di grave difficolta' e per evitare di trattenersi nel territorio dello Stato oltre i cinque giorni successivi all'ordine di allontanamento del questore. E neppure puo' essere utilizzato, a tal riguardo, l'argomento relativo alla previsione del giustificato motivo che renderebbe diversa l'attuale fattispecie da quella cancellata dalla Corte nel 1995, per un doppio ordine di motivi. Intanto, perche' e' difficile che un giustificato motivo possa essere ritenuto sussistente. La fattispecie in parola, infatti, gia' tiene conto delle difficolta' descritte dallo stesso legislatore nel primo comma e nel comma 5-bis dell'art. 14, per cui e' da ritenere che il giustificato motivo invocabile da chi si trattiene nel territorio dello Stato non possa risiedere e coincidere con quelle stesse difficolta' che hanno indotto il legislatore a prevedere una modalita' di esecuzione dell'espulsione diversa dall'accompagnamento alla frontiera e, quindi, l'intimazione stessa del questore. Come ha fondatamente osservato il difensore, se si potesse invocare un giustificato motivo, adducendo proprio la prova di quelle difficolta' poste a fondamento dell'ordine di allontanamento del questore, allora la norma stessa finirebbe per perdere ogni significato. Se, percio', il giustificato motivo deve essere cercato e individuato in cause ed elementi diversi da quelli posti a base dell'intimazione del questore, come e' ragionevole che sia, allora diventa difficile ipotizzare una situazione utile ad evitare la sanzione e, comunque, si tratterebbe di casi isolati e poco ricorrenti. La seconda ragione e' ancora piu' evidente, perche' la previsione di un motivo che possa giustificare il trattenimento dello straniero nel territorio dello Stato oltre i cinque giorni successivi all'ordine di allontanamento del questore e' requisito che non attiene alla condotta, ne' serve a renderla piu' chiara o meno indeterminata. La condotta del reato de quo, come si e' visto, consiste, infatti, nel trattenersi o, se si vuole, nel non ottemperare nel termine di cinque giorni all'ordine di allontanamento impartito dal questore e continua, percio', ad essere assolutamente indeterminata proprio perche' il legislatore ha indicato come condotta cio' che, invece, avrebbe dovuto essere il risultato finale da evitare, quello, cioe', che lo straniero si trattenesse nel territorio detto Stato. Ma la condotta non puo' consistere nel fine che il legislatore si prefigge di raggiungere con la previsione della fattispecie. Anche nei reati cosiddetti a forma libera, quelli cioe' in cui non viene effettuata dal legislatore la descrizione analitica della condotta, il risultato da evitare non coincide con la condotta; esso anzi di regola consiste in un evento naturalistico, raggiuigibile attraverso una condotta normalmente attiva, e non omissiva, che l'autore del reato, appunto, deve evitare di tenere. Ma quando, come nel caso di specie, la condotta si identifica in uno stato inattivo e preesistente del soggetto (che "si trattiene" nel territorio statale), allora sarebbe necessario specificare che cosa sia richiesto al soggetto attivo di fare per evitare di incorrere nella sanzione penale, con l'obbligo di specificare e descrivere cio' che e' vietato, in modo che risulti evidente, per converso, anche cio' che e' consentito. Il rispetto del principio a legalita', insomma, impone che vengano osservati, nell'ottica della determinatezza della fattispecie, anche i criteri i tassativita' e tipicita' della condotta. Nel caso che si esamina, in altri termini, dovrebbe essere specificato che cosa debba fare lo straniero senza documenti di riconoscimento e/o senza documenti di viaggio e/o senza denaro o senza denaro sufficiente, che cosa egli debba fare per evitare di trattenersi nel territorio dello Stato. E' richiesto che lo straniero si faccia respingere alla frontiera dai Paesi confinanti o dai Paesi di destinazione? E' richiesto che egli faccia ingresso da clandestino in tali Paesi? Occorre che lo straniero si metta in viaggio senza biglietto e senza denaro, col rischio di commettere altri reati? E cosi' di seguito. Sono interrogativi questi, ai quali il legislatore dovrebbe preventivamente dare soluzione, attraverso la descrizione analitica e determinata della condotta da tenere. La circostanza, poi, che a fatto realizzato sia invocabile un giustificato motivo e' requisito che non cambia la condotta sul piano oggettivo, ma se mai la rende giuridicamente giustificata e, dunque, non illecita. L'esistenza del giustificato motivo, in altre parole, e' sicuramente utile per evitare la sanzione, ma la relativa previsione non rende per questo meno indeterminata la condotta stabilita per l'integrazione del reato, ancor piu' se si considera che, come si e' visto, non e' ben chiaro neppure in che cosa possa consistere il giustificato motivo. Se, pero', si volesse propone un'interpretazione per cosi' dire piu' allargata del giustificato motivo, in modo da ricomprendere, in qualche maniera, anche i casi in cui l'ordine del questore non sia stato impartito nel rigoroso rispetta dei presupposti indicati dal legislatore e si volesse, in tal modo, affermare, sul piano interpretativo che, non essendosi di fatto partiti dall'accertamento delle difficolta' esecutive del comma 1 dell' art. 14, la sussistenza di esse potrebbe utilmente essere invocata come legittimo impedimento, per sostenere - insomma - che in ipotesi di questo tipo l'indeterminatezza della condotta non conseguirebbe alcun pratico effetto negativo e la norma in parola de facto non contrasterebbe con i principi della Costituzione, anche un siffatto modo di ragionare non potrebbe essere condivisa. Intanto, perche' esso non e' corretto e poi, da una parte, perche' la polizia operante non e' tenuta ne' qualificata per verificare al momento dell'arresto l'esistenza del giustificato motivo, con le evidenti conseguenze negative per la liberta' personale del soggetto interessato, e, dall'altra parte, perche' in ogni caso si verificherebbe una pericolosa inversione dell'onere della prova, con conseguente violazione del diritto di difesa, consacrato nel secondo comma dell'art. 24 della Costituzione, violazione che la Corte costituzionale ha ravvisato pure nella sentenza n. 34/1995 di cui si' e' detto, perche' "... trattandosi di una condotta omissiva, il soggetto e' esposto alla possibilita' della contestazione (e dell'arresto, a norma del comma 2 dell'art. 7-bis impugnato) per il solo fatto di essere destinatario di un provvedimento di espulsione e, dall'altra parte, viene addossato al soggetto stesso l'onere di fornire nel processo la prova di "essersi adoperato" per ottenere il documento di viaggio, senza neppure essere in grado, a causa della censurata indeterminatezza della fattispecie, di stabilire quale sia la prova sufficiente a far ritenere soddisfatto il precetto". Risulta chiaro come anche per la norma in esame, pur cambiando il tipo di prova che dovrebbe essere allegata dallo straniero, non dovendo piu' egli documentare - di "essersi adoperato", bensi' di "essersi trattenuto" nel territorio dello Stato per un "giustificato motivo", ugualmente si determinerebbe quell'inversione dell'onere della prova che la Corte ha censurato nella richiamata sentenza, con analoghe incertezze, anche nei casi in esame, di prevedere, in anticipo quale possa essere la prova sufficiente a far ritenere soddisfatto il precetto. Ritenuto, alla luce di quanto esposto, che l'attuale giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di cui si e' detto e ritenuto che tale questione non sia manifestamente infondata per le ragioni sopra considerate;