IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Il  giudice  letti  gli  atti del procedimento penale n. 21012/02
R.G.  Notizie di reato contro Laassel Mohamed, nato a Rabat (Marocco)
nel  1967  e Aopam Apmba, nato ad Algeri (Algeria) il 1 gennaio 1982,
imputati  per  violazione  all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. 25 luglio
1998,  n. 286,  modificato  dalla  legge  30  luglio 2002, n. 189 per
essersi trattenuti senza giustificato motivo sul territorio nazionale
in  qualita' di stranieri colpiti da provvedimento 8 ottobre 2002 del
questore di Torino ex art. 14 e V-bis d.lgs. n. 286/1998 (con oggetto
l'ordine di abbandono del territorio nazionale entro gg. 5);
    Vista  la  questione  di legittimita' costituzionale proposta dal
difensore degli imputati nel corso dell'udienza del 5 dicembre 2002;
    Sentito il parere del pubblico ministero;

                            O s s e r v a

    Gli imputati, in data 4 novembre 2002, venivano tratti in arresto
per  violazione  all'art. 14,  comma  5-ter,  d.lgs  25  luglio 1998,
n. 286, modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189.
    Gli  imputati  venivano  presentati dal pubblico ministero per la
convalida   dell'arresto  ed  il  conseguente  giudizio  direttissimo
all'udienza   del   5   novembre   2002,  a  norma  del  primo  comma
dell'art. 449 c.p.p.
    Effettuata  la  convalida  dell'arresto,  il difensore, dopo aver
chiesto   termine   a   difesa,  nell'udienza  successiva,  proponeva
questione   di   legittimita'  costituzionale  con  memoria  scritta,
illustrata oralmente.
    Come  risulta  dalle  argomentazioni  addotte,  le  lamentele del
difensore  sono  molteplici  ed  investono i principi contenuti negli
arrt. 2, 3, 13, 24, 25 e 27 della Costituzione.
    Il  complesso delle doglianze, dunque, e' estremamente articolato
ed e' stato esteso, forse, in maniera eccessiva dal difensore.
    Esso  riguarda  uno  dei  problemi piu' spinosi e difficili dell'
ordinamento,  quale  quello,  da una parte, di regolamentare i flussi
migratori   nel   nostro   Paese   in   modo   conforme  ai  principi
costituzionali  e  di  garantire  i  cittadini, dall'altra parte, dai
connessi  pericoli di trasgressione delle regole poste a salvaguardia
dell'ordine e della sicurezza dei consociati.
    La   questione   posta   dal   difensore,   comunque,   non  pare
manifestamente infondata, almeno con riferimento ad alcuni profili in
particolare.
    Non  si  ritiene  di dover ripercorrere l'intero quadro normativa
nel  quale  si  innesta  il  tema  proposto, apparendo sufficiente in
questa  sede  ricordare  che, alla stregua del d.lgs. 25 luglio 1998,
n. 286  e  delle successive modifiche apportate dalla legge 30 luglio
2002,  n. 189,  meglio  nota  sotto  il  nome  di  legge  Bossi-Fini,
l'espulsione  amministrativa  del  cittadino  straniero  puo'  essere
disposta  o dal Ministro dell'interno per motivi di ordine pubblico o
di  sicurezza  dello  Stato (art. 13, comma 1, d.lgs. 25 luglio 1998,
n. 286) ovvero dal prefetto quando lo straniero si trovi in una delle
situazioni previste dal 20 comma dell'art. 13 d.lgs. n. 286/1998 alle
lett. a), b) e c).
    L'espulsione  disposta  dal  prefetto - che e' quella relativa al
caso  in  esame - e' sempre eseguita dal questore con accompagnamento
alla  frontiera a mezzo della forza pubblica ad eccezione del caso in
cui  il  permesso di soggiorno sia scaduto da piu' di 60 giorni e non
ne  sia stato chiesto il rinnovo. In quest'ultimo caso, a seconda che
si  possa  o  no  ravvisare il pericolo che lo straniero si sottragga
all'esecuzione  dell'espulsione,  sara'  il  questore  a  valutare se
disporre  l'accompagnamento o se basti, invece, la sola intimazione a
lasciare il territorio dello Stato.
    Tale    disciplina,   in   parte   gia'   esistente,   e'   stata
significativamente  modificata,  non  senza polemiche, proprio con la
legge  Bossi-Fini  (art. 12, comma 1, lett. c) e d) che, tra l'altro,
ha  sostituito  i  commi  4 e 5 dell'art. 13 d.lgs. n. 286/1998 ed ha
introdotto  nell'ordinamento  la  regola,  secondo  la quale la forma
ordinaria dell'esecuzione dell'espulsione amministrativa disposta dal
prefetto  e' quella dell'accompagnamento alla frontiera a mezzo della
forza pubblica.
    Nel   primo   comma  del  successivo  art. 14  -  che  disciplina
l'esecuzione  dell'espulsione  - sono previste delle eccezioni a tale
regola  (esse,  in verita', preesistevano alla legge Bossi-Fini e non
hanno  subito modifiche), perche' risulta stabilito che quando non e'
possibile    eseguire    con   immediatezza   l'espulsione   mediante
accompagnamento  alla  frontiera  ovvero  il  respingimento,  perche'
occorre  procedere  al  soccorso  dello  straniero,  ad  accertamenti
supplementari  in  ordine  alla  sua identita' o nazionalita', ovvero
all'acquisizione   di   documenti   per   il   viaggio,   ovvero  per
l'indisponibilita'  di  vettore o altro mezzo di trasporto idoneo, il
questore  dispone  che  lo  straniero  sia  trattenuto  per  il tempo
strettamente  necessario  presso il centro di permanenza temporanea e
assistenza  piu'  vicino,  tra  quelli  individuati  o costituiti con
decreto  del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri per la
solidarieta'   sociale   e   del   tesoro,   del   bilancio  e  della
programmazione economica.
    Tale  normativa  che,  come  si  e' osservato, era in buona parte
preesistente  alla  legge  Bossi-Fini, essendo stata introdotta dalla
cosiddetta  legge  Turco-Napolitano (legge 6 marzo 1998, n. 40) e che
gia'  nell'ambito  del  preesistente quadro normativo aveva suscitato
problemi  di  altro  genere,  relativi alla riserva di giurisdizione,
decisi  dalla  Corte  costituzionale con sentenza n. 105 del 2001, ha
finito  con  l'assumere  caratteri  di  maggior  risalto  proprio  in
conseguenza delle modifiche introdotte con la legge n. 189/2002.
    Non  solo  perche',  come  si  e'  visto,  l'accompagnamento alla
frontiera   e'   divenuto   l'unico   modo  ordinario  di  esecuzione
dell'espulsione  amministrativa disposta dal prefetto, ma soprattutto
perche',  con  la  legge n. 189/2002, sono stati introdotti - tra gli
altri  -  pure  i  commi 5-bis e 5-ter all'art. 14 d.lgs. n. 286/1998
(art. 13, comma 1, lett. b) legge n. 189/2002).
    Con  il comma 5-bis, in realta', e' stata introdotta un'eccezione
all'eccezione.  Ed  invero,  se  il mancato accompagnamento immediato
alla  frontiera  previsto nel comma 1 dell'art. 14 e' da considerarsi
eccezione  rispetto  al  modo ordinario di esecuzione dell'espulsione
del  prefetto,  il  caso  previsto nel comma 5-bis e' da considerarsi
eccezionale  in  una  situazione di per se' gia' eccezionale, perche'
con esso si e' disposto che quando non sia stato possibile trattenere
lo  straniero  presso un centro di permanenza temporanea, ovvero sono
trascorsi  i termini di permanenza senza aver eseguito l'espulsione o
il  respingimento,  il  questore ordina allo straniero di lasciare il
territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni. L'ordine e'
dato   con   provvedimento   scritto,   recante  l'indicazione  delle
conseguenze penali della sua trasgressione.
    La  disposizione in parola, come del resto gran parte dell'intera
normativa, non brilla per la chiarezza e per la precisione con cui e'
stata redatta.
    Non  risultano  chiariti,  ad  esempio,  i  casi  in cui si debba
ritenere  che  non sia stato possibile trattenere lo straniero presso
un  centro  di  permanenza  temporanea,  cosi' come non sono chiare e
specificate  le  ragioni  per  le  quali  il  questore possa non aver
eseguito  l'espulsione  (o  il respingimento) pur essendo trascorsi i
termini di permanenza.
    Sul  piano  interpretativo,  l'ipotesi  piu' verosimile, rispetto
all'impossibilita'  di  trattenere  lo  straniero presso un centro di
permanenza, sembra quella della mancanza totale di tale centro ovvero
della mancanza di posti, giacche' affollati, dei centri utilizzabili,
mentre  in  ordine all'omessa esecuzione dell'espulsione da parte del
questore, pur oltre i termini di permanenza nei centri di assistenza,
occorre  verosimilmente  ipotizzare  che  i problemi che possono aver
determinato la necessita' della permanenza temporanea dello straniero
nel centro di assistenza non siano stati risolti in tempo utile.
    Ebbene,  in  questi  casi,  e'  stabilito  che l'espulsione venga
eseguita  da  parte  del  questore  con un'intimazione scritta per lo
straniero  a lasciare il territorio dello Stato nel termine di cinque
giorni.
    E  dunque, alla stregua della normativa in esame, se si escludono
i  casi  non  rilevanti relativi alla necessita' di prestare soccorso
allo   straniero,   quasi  sempre  ricorrente  piu'  al  momento  del
respingimento  che in quello dell'espulsione e se si escludono i casi
dell'indisponibilita'  o inidoneita' del vettore, tanto astrattamente
improbabili,  quanto  assolutamente non rilevanti nel caso di specie,
la   situazione   che   si   deve  esaminare  riguarda  evidentemente
l'espulsione  dello  straniero,  disposta  dal  prefetto, che non sia
possibile eseguire da parte del questore con accompagnamento coattiva
alla  frontiera o perche' non e' chiara l'identita' o la nazionalita'
del soggetto da espellere ovvero per mancanza dei documenti necessari
per il viaggio.
    Vi  e'  bisogno,  in  questi  casi, di altre attivita' e di altre
indagini,  con  la  conseguente necessita' di trattenere lo straniero
entro  i  termini  stabiliti  dallo  stesso  art. 14, in un centro di
permanenza temporanea.
    Poiche' pero' o non vi e' il centro o non e' disponibile un posto
presso  uno  di tali centri ovvero poiche' non risulta sufficiente il
termine  di permanenza nel centro, che la legge Bossi-Fini ha portato
a  60  giorni di durata massima, per risolvere il problema che si era
posto  e  che aveva reso impossibile l'accompagnamento, allora con la
norma  si  prevede  che  venga intimato allo straniero di lasciare il
territorio dello Stato entro i successivi cinque giorni.
    Per  la  verita',  il  timore  che  le questure possano estendere
indiscriminatamente  i  casi  di  notifica dell'ordine di lasciare il
territorio    dello   Stato   anche   indipendentemente   da   quanto
espressamente    previsto   dalla   legge   conte   presupposto   del
provvedimento  stesso  e' forte e concreto e si fonda su una serie di
elementi che conducono proprio in tale direzione.
    La   previsione   in   bilancio  assolutamente  inadeguata  dello
specifico  stanziamento  per  la creazione o per il potenziamento dei
centri   di   permanenza  temporanea  e  di  assistenza;  il  mancato
stanziamento per spese straordinarie di accompagnamento e di viaggio;
il   mancato   potenziamento  delle  forze  di  polizia;  la  mancata
intensificazione  dei  rapporti diplomatici con i principali Paesi di
provenienza degli immigrati per cercare di risolvere piu' in fretta i
problemi  relativi all'identificazione dei singoli soggetti; il fatto
che  nei  relativi provvedimenti i questori indichino apoditticamente
in premessa che non e' stato possibile trattenere lo straniero presso
un  centro  di  permanenza  temporanea  ovvero  che  sono inutilmente
trascorsi  i termini di permanenza presso il CPTA, senza riferirsi ad
alcun  elemento  di  fatto concreto e, quindi, senza alcuna specifica
motivazione;  sono  solo  alcuni  elementi, ancorche' univoci e molto
significativi,  che  inducono  a  ritenere, almeno allo stato attuale
della  situazione,  che si vada diffondendo tra le questure la prassi
di  estendere  l'intimazione  prevista  dal  comma 5-bis dell'art. 14
indifferenziatamente  a  tutti  i  casi  di espulsione amministrativa
disposta dal prefetto.
    Ma  siffatta  prassi  nell'esecuzione  dell'espulsione, oltre che
scorretta  e  in  contraddizione  con  il  nuovo  indirizzo normativa
introdotto   proprio  dalla  legge  Bossi-Fini,  comporterebbe  anche
conseguenze pratiche e giuridiche serie e gravi.
    Basti  solo considerare che l'espulsione del prefetto e' disposta
con  decreto  immediatamente  esecutivo,  la  cui  esecuzione  non e'
sospesa   neppure   dall'eventuale   impugnazione  del  provvedimento
(art. 13,  comma  3,  d.lgs.  n. 286/1998 come sostituito dalla legge
n. 189/2002)   e   basti  pure  ricordare  che,  a  norma  del  comma
5-quinquies dell'art. 14, in caso di accertata violazione della norma
in discussione e' previsto l'arresto obbligatorio.
    Sarebbero gravi e pesanti, dunque, le conseguenze sul piano della
concreta  limitazione del diritto di difesa e dei diritti di liberta'
personale  dei  cittadini,  se  i  casi  di intimazione a lasciare il
territorio dello Stato impartita dal questore dovessero allargarsi al
di la' delle ristrette condizioni previste dalla legge.
    In   questa  sede,  pero',  l'effettivo  modo  di  operare  delle
questure,  ancorche' pericolosamente orientato nel senso specificato,
non   richiede   particolare  attenzione,  dovendosi  -  in  sede  di
valutazione  della conformita' della legge ai principi costituzionali
-  effettuare  un  giudizio in astratto, sul presupposto che la legge
stessa venga correttamente interpretata ed applicata.
    Rimane  peraltro significativo il fatto che le questure e, cioe',
gli   uffici  territoriali  periferici  del  Ministero  dell'interno,
tendenzialmente  risultino  orientate  verso una pratica applicazione
della  nuova  disciplina  normativa  che  sconfessa  e  capovolge  le
premesse sulle quali si fonda ed e' stata creata la normativa stessa,
con conseguenze di immaginabile gravita'.
    Per  tornare  al  problema  da  risolvere in questa sede, dunque,
occorre   ribadire  che  l'intimazione  dell'ordine  di  lasciare  il
territorio  dello  Stato  in  cinque  giorni deve essere rivolto allo
straniero  proprio  nei  casi  in cui si sono riscontrate difficolta'
relativamente  all'individuazione dell'identita' o della nazionalita'
dello  straniero  stesso  o  in  ordine  ai documenti di viaggio e lo
Stato,  che  dovrebbe  provvedere  a  superare  tali  difficolta' per
eseguire    l'accompagnamento   alla   frontiera,   o   risulta   non
sufficientemente   organizzato   per   affrontate  siffatti  problemi
trattenendo  l'interessato  presso  centri  attrezzati  e organizzati
appositamente ovvero non e' in grado di risolvere questi problemi nel
periodo  di  ben  due mesi di permanenza dello straniero nei relativi
centri di assistenza.
    Cio'  nonostante,  proprio  in questi casi, e' previsto che venga
imposto l'ordine - e quindi l'obbligo - allo straniero di lasciare il
territorio dello Stato entro il breve termine di cinque giorni.
    Da  un punto di vista logico, percio', appare subito evidente che
tale disposizione non trova adeguata e sistematica giustificazione.
    Il problema ancor piu' rilevante in questa sede, pero', nasce dal
fatto   che  il  legislatore  del  2002  ha  introdotto  un'ulteriore
disposizione,   di   natura   penale,   contenuta   nel  comma  5-ter
dell'art. 14, con la quale viene stabilito che lo straniero che senza
giustificato  motivo  si  trattiene  nel  territorio  dello  Stato in
violazione  dell'ordine  impartita  dal  questore  ai sensi del comma
5-bis  e' punito con l'arresto da sei mesi ad un anno. In tal caso si
procede a nuova espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo
della forza pubblica.
    L'immediata  reazione alla lettura di tale disposizione e' quella
di   chiedersi   come   potrebbe   essere   concretamente  realizzata
l'esecuzione  di  questa  seconda espulsione mediante accompagnamento
alla  frontiera,  quando  proprio  l'impossibilita'  di eseguire tale
accompagnamento  dovrebbe  aver  determinato la situazione venutasi a
creare  in precedenza, ma cio' che va posto adeguatamente in evidenza
e'  soprattutto  l'indeterminatezza  del  precetto  penale  di cui si
tratta.
    Per  poter  valutare  pacatamente  e  serenamente  la  questione,
occorre  partire  da  una premessa, da un insegnamento che proprio la
Corte  costituzionale  ha  riaffermate nella citata, recente sentenza
n. 105/2001:  "per  quanto  gli  interessi  pubblici  incidenti sulla
materia  dell'immigrazione  siano  molteplici  e  per  quanto possano
essere  percepiti  come  gravi  i  problemi  di sicurezza e di ordine
pubblico   connessi   a  flussi  migratori  incontrollati,  non  puo'
risultarne   minimamente   scalfito  il  carattere  universale  della
libreria   personale,  che,  al  pari  degli  altri  diritti  che  la
Costituzione  proclama  inviolabili  spetta  ai singoli non in quanto
partecipi  di una determinata comunita' politica, ma in quanto esseri
umani".
    E,  dunque,  alla  stregua  di  quanto  fin qui considerato, deve
essere  valutata  la  condotta  che il legislatore ha descritto nella
fattispecie  come  quella  di  chi  "... senza giustificato motivo si
trattiene  nel  territorio  dello  Stato  in  violazione  dell'ordine
impartito dal questore ...".
    Anche  in  questo  caso,  non si puo' dire che la norma sia stata
formulata in modo chiaro facilmente comprensibile, soprattutto se poi
si  considera  che essa e' pure destinata ad essere tradotta in altra
lingua, per soggetti che normalmente non parlano l'italiano.
    Da  un  punto  di vista letterale, infatti, trattenersi vuol dire
fermarsi,  restare, indugiare e simili, per cui si tratta di un verbo
che non esprime movimento, anzi presuppone un'inattivita'.
    Ecco,  allora,  che  la  condotta,  descritta  dal legislatore in
apparente  forma  commissiva  ("si  trattiene"),  e'  da  intendersi,
invece,  sostanzialmente  come  una condotta omissiva, soprattutto se
riferita  -  come  pure  e' dato ricavare dalla testuale formulazione
della norma - all'"ordine impartita dal questore".
    Il  fatto di trattenersi nel territorio dello Stato in violazione
dell'ordine  impartito  dal  questore,  in  altri  termini,  consiste
esattamente  nell'omettere  di ottemperare all'ordine di allontanarsi
impartito  dal  questore, tanto e' vero che come quasi sempre avviene
per  i  reati  omissivi  propri,  anche in questo caso e' previsto un
termine entro il quale ottemperare.
    La  precisazione  non  ha  carattere solo formale per definire la
natura  della  condotta  richiesta, ma e' importante per capire quale
concreto tipo di comportamento si richiede allo straniero mancando il
quale, scatta la sanzione penale.
    Che cosa, dovrebbe fare, in concreto, il destinatario dell'ordine
di allontanamento impartito dal questore per potervi ottemperare?
    Ebbene,  se  l'intimazione  del  questore  e' stata correttamente
emessa  nei  casi espressamente previsti dal comma 5-bis dell'art. 14
d.lgs. n. 286/1998  se,  cioe', davvero ci si trova in presenza di un
caso  in  cui  vi  sia la necessita' di accertamenti supplementari in
ordine  all'identita'  o  alla  nazionalita'  dello  straniero ovvero
all'acquisizione  di  documenti  per  il viaggio e, o perche' non sia
stato   possibile   trattenere  lo  straniero  presso  un  centro  di
permanenza o perche' siano trascorsi i termini di permanenza indicati
nello stesso art. 14 senza che si sia provveduto all'espulsione dello
straniero,    cio'    nonostante,   venga   impartito   l'ordine   di
allontanamento  da  parte del questore, allora non si comprende quale
comportamento  si richieda allo straniero, non per meritare - si badi
- ma per evitare la sanzione penale.
    Se davvero si riscontrano le difficolta' indicate nel primo comma
dell'art. 14,  valutate dallo stesso legislatore come gravi e, cioe',
di  natura  tale  da  impedire  o  ritardare  l'accompagnamento  alla
frontiera  dello straniero e se, cio' nonostante, o non si interviene
in  alcun  modo  per  impossibilita' di trattenere lo straniero o pur
dopo  averlo  trattenuto per il tempo consentito ugualmente non si e'
eseguita  l'espulsione  -  il  che  dovrebbe equivalere a dire che le
difficolta'  permangono  o non sono state completamente superate - se
questa   e'   la  situazione  in  cui  viene  impartito  l'ordine  di
allontanamento  del  questore, che cosa sarebbe richiesto che facesse
lo  straniero  nei cinque giorni successivi per evitare di commettere
il reato de quo?
    Se  il  destinatario del provvedimento di allontanamento si trova
davvero  in  una  situazione  di  grave  difficolta'  per mancanza di
documenti  di  riconoscimento,  per mancanza di documenti di viaggio,
per  mancanza  di  denaro  o  per altre ragioni simili - il che e' il
presupposto  necessario  che,  a  norma  del comma 1 dell'art. 14, le
stesse  autorita' che eseguono l'espulsione dovrebbero aver accertato
quale  causa  di  impossibilita'  di accompagnamento alla frontiera -
allora  che  cosa  si richiede che faccia da solo in cinque giorni lo
straniero?
    Non  e'  forse  questa  la previsione di una condotta ancora piu'
generica   di   quanto   non   fosse   descritta   quella   contenuta
nell'art. 7-bis, comma 1 del decreto legge n. 416/1989, convertito in
legge n. 39/1990 (introdotto dall'art. 8 del decreto legge n. 187/93,
convertito in legge n. 296/1993)?
    Con  quella  norma  veniva  punita,  invero,  la  condotta  dello
straniero  che  non  si  adoperasse  per  ottenere  dalla  competente
autorita'  diplomatica  o  consolare  il  rilascio  del  documento di
viaggio occorrente per l'esecuzione del provvedimento di espulsione.
    La   Corte   costituzionale,  con  la  sentenza  n. 34  del  1995
dichiarava  l'illegittimita'  di  tale  norma  per l'indeterminatezza
della   fattispecie  e,  quindi,  per  violazione  del  principio  di
legalita'    contenuto   nel   secondo   comma   dell'art. 25   della
Costituzione.
    "Ma nella previsione in esame - si legge nella sentenza - neppure
la  valorizzazione  dell'elemento  finalistica  ("... per ottenere il
rilascio del documento") risulta idonea a delimitare e specificare in
qualche  modo  la  condotta  dell'"adoperarsi",  giacche'  la  natura
omissiva del reato non consente di prestabilire una relazione causale
tra  condotta  e  finalita': al di fuori e prima dell'ottenimento del
documento  e'  indeterminata e potenzialmente illimitata la serie dei
comportamenti che possono dirsi non orientati a quel fine".
    Tenendo  canto  di tale decisione della Corte, il legislatore del
2002,  forse,  non  ha  indicato  piu' come condotta un comportamento
finalizzato  ad uno scopo, ma ha individuato la condotta direttamente
nel risultato finale ("si trattiene") da evitare ed ha indicato anche
un   termine   preciso   di  commissione  del  reato  (cinque  giorni
dall'ordine del questore).
    A parere di questo giudice, pero', la tecnica descrittiva seguita
dal  legislatore  non  ha  superato  il problema rilevato dalla Corte
costituzionale,  anzi  lo ha aggravato, perche' mentre con la vecchia
disposizione, ancorche' in modo indeterminato, comunque era stabilito
che  ci si dovesse adoperare per ottenere il documento occorrente per
l'esecuzione  dell'espulsione,  nell'attuale situazione ancor meno si
riesce a capire quale comportamento sia richiesto allo straniero, per
uscire  dalla descritta situazione di grave difficolta' e per evitare
di  trattenersi  nel  territorio  dello  Stato  oltre i cinque giorni
successivi all'ordine di allontanamento del questore.
    E  neppure  puo'  essere  utilizzato, a tal riguardo, l'argomento
relativo  alla  previsione  del  giustificato  motivo  che renderebbe
diversa  l'attuale  fattispecie  da quella cancellata dalla Corte nel
1995, per un doppio ordine di motivi.
    Intanto,  perche'  e'  difficile che un giustificato motivo possa
essere  ritenuto sussistente. La fattispecie in parola, infatti, gia'
tiene  conto delle difficolta' descritte dallo stesso legislatore nel
primo  comma  e  nel comma 5-bis dell'art. 14, per cui e' da ritenere
che  il  giustificato  motivo  invocabile  da  chi  si  trattiene nel
territorio  dello  Stato  non possa risiedere e coincidere con quelle
stesse  difficolta'  che hanno indotto il legislatore a prevedere una
modalita'  di esecuzione dell'espulsione diversa dall'accompagnamento
alla frontiera e, quindi, l'intimazione stessa del questore.
    Come  ha  fondatamente  osservato  il  difensore,  se  si potesse
invocare un giustificato motivo, adducendo proprio la prova di quelle
difficolta'  poste  a  fondamento  dell'ordine  di allontanamento del
questore,   allora   la  norma  stessa  finirebbe  per  perdere  ogni
significato.
    Se,  percio',  il  giustificato  motivo  deve  essere  cercato  e
individuato  in  cause  ed  elementi  diversi  da quelli posti a base
dell'intimazione  del  questore,  come e' ragionevole che sia, allora
diventa  difficile  ipotizzare  una  situazione  utile  ad evitare la
sanzione   e,  comunque,  si  tratterebbe  di  casi  isolati  e  poco
ricorrenti.
    La seconda ragione e' ancora piu' evidente, perche' la previsione
di  un motivo che possa giustificare il trattenimento dello straniero
nel   territorio   dello  Stato  oltre  i  cinque  giorni  successivi
all'ordine  di  allontanamento  del  questore  e'  requisito  che non
attiene  alla  condotta,  ne'  serve  a  renderla  piu' chiara o meno
indeterminata.
    La  condotta  del  reato  de  quo,  come  si  e' visto, consiste,
infatti,  nel  trattenersi  o,  se  si vuole, nel non ottemperare nel
termine  di  cinque giorni all'ordine di allontanamento impartito dal
questore  e  continua, percio', ad essere assolutamente indeterminata
proprio  perche'  il  legislatore ha indicato come condotta cio' che,
invece, avrebbe dovuto essere il risultato finale da evitare, quello,
cioe', che lo straniero si trattenesse nel territorio detto Stato.
    Ma la condotta non puo' consistere nel fine che il legislatore si
prefigge di raggiungere con la previsione della fattispecie.
    Anche  nei  reati  cosiddetti a forma libera, quelli cioe' in cui
non  viene  effettuata dal legislatore la descrizione analitica della
condotta,  il risultato da evitare non coincide con la condotta; esso
anzi  di  regola  consiste  in un evento naturalistico, raggiuigibile
attraverso  una  condotta  normalmente  attiva,  e  non omissiva, che
l'autore del reato, appunto, deve evitare di tenere.
    Ma  quando, come nel caso di specie, la condotta si identifica in
uno  stato  inattivo  e preesistente del soggetto (che "si trattiene"
nel  territorio  statale),  allora sarebbe necessario specificare che
cosa  sia  richiesto  al  soggetto  attivo  di  fare  per  evitare di
incorrere  nella  sanzione  penale,  con  l'obbligo  di specificare e
descrivere  cio'  che  e'  vietato, in modo che risulti evidente, per
converso, anche cio' che e' consentito.
    Il  rispetto  del  principio  a  legalita',  insomma,  impone che
vengano    osservati,    nell'ottica   della   determinatezza   della
fattispecie,  anche  i  criteri  i  tassativita'  e  tipicita'  della
condotta.
    Nel  caso  che  si  esamina,  in  altri  termini, dovrebbe essere
specificato  che  cosa  debba  fare  lo  straniero senza documenti di
riconoscimento  e/o  senza  documenti  di  viaggio e/o senza denaro o
senza  denaro  sufficiente,  che  cosa egli debba fare per evitare di
trattenersi nel territorio dello Stato.
    E' richiesto che lo straniero si faccia respingere alla frontiera
dai Paesi confinanti o dai Paesi di destinazione?
    E'  richiesto  che  egli  faccia  ingresso da clandestino in tali
Paesi?
    Occorre  che  lo  straniero si metta in viaggio senza biglietto e
senza  denaro,  col  rischio  di  commettere  altri reati? E cosi' di
seguito.
    Sono  interrogativi  questi,  ai  quali  il  legislatore dovrebbe
preventivamente dare soluzione, attraverso la descrizione analitica e
determinata della condotta da tenere.
    La  circostanza,  poi,  che  a fatto realizzato sia invocabile un
giustificato motivo e' requisito che non cambia la condotta sul piano
oggettivo,  ma se mai la rende giuridicamente giustificata e, dunque,
non illecita.
    L'esistenza   del   giustificato  motivo,  in  altre  parole,  e'
sicuramente  utile per evitare la sanzione, ma la relativa previsione
non  rende  per  questo  meno indeterminata la condotta stabilita per
l'integrazione  del reato, ancor piu' se si considera che, come si e'
visto,  non  e'  ben  chiaro  neppure in che cosa possa consistere il
giustificato motivo.
    Se,  pero',  si volesse propone un'interpretazione per cosi' dire
piu'  allargata del giustificato motivo, in modo da ricomprendere, in
qualche  maniera,  anche  i casi in cui l'ordine del questore non sia
stato  impartito  nel  rigoroso rispetta dei presupposti indicati dal
legislatore   e  si  volesse,  in  tal  modo,  affermare,  sul  piano
interpretativo  che, non essendosi di fatto partiti dall'accertamento
delle difficolta' esecutive del comma 1 dell' art. 14, la sussistenza
di   esse   potrebbe   utilmente   essere   invocata  come  legittimo
impedimento,  per sostenere - insomma - che in ipotesi di questo tipo
l'indeterminatezza  della  condotta  non  conseguirebbe alcun pratico
effetto negativo e la norma in parola de facto non contrasterebbe con
i  principi  della  Costituzione, anche un siffatto modo di ragionare
non potrebbe essere condivisa.
    Intanto,  perche'  esso  non  e'  corretto  e  poi, da una parte,
perche'  la  polizia  operante  non  e'  tenuta  ne'  qualificata per
verificare  al  momento  dell'arresto  l'esistenza  del  giustificato
motivo,   con  le  evidenti  conseguenze  negative  per  la  liberta'
personale  del  soggetto interessato, e, dall'altra parte, perche' in
ogni  caso  si  verificherebbe  una  pericolosa inversione dell'onere
della  prova,  con  conseguente  violazione  del  diritto  di difesa,
consacrato   nel   secondo  comma  dell'art. 24  della  Costituzione,
violazione  che  la  Corte  costituzionale  ha  ravvisato  pure nella
sentenza  n. 34/1995 di cui si' e' detto, perche' "... trattandosi di
una condotta omissiva, il soggetto e' esposto alla possibilita' della
contestazione  (e  dell'arresto,  a norma del comma 2 dell'art. 7-bis
impugnato)   per   il   solo  fatto  di  essere  destinatario  di  un
provvedimento  di  espulsione e, dall'altra parte, viene addossato al
soggetto  stesso l'onere di fornire nel processo la prova di "essersi
adoperato" per ottenere il documento di viaggio, senza neppure essere
in grado, a causa della censurata indeterminatezza della fattispecie,
di   stabilire   quale  sia  la  prova  sufficiente  a  far  ritenere
soddisfatto il precetto".
    Risulta chiaro come anche per la norma in esame, pur cambiando il
tipo  di  prova  che  dovrebbe  essere  allegata dallo straniero, non
dovendo  piu'  egli  documentare  - di "essersi adoperato", bensi' di
"essersi  trattenuto" nel territorio dello Stato per un "giustificato
motivo",  ugualmente  si  determinerebbe  quell'inversione dell'onere
della  prova che la Corte ha censurato nella richiamata sentenza, con
analoghe  incertezze,  anche  nei  casi  in  esame,  di prevedere, in
anticipo  quale  possa  essere  la  prova  sufficiente a far ritenere
soddisfatto il precetto.
    Ritenuto, alla luce di quanto esposto, che l'attuale giudizio non
possa  essere  definito  indipendentemente  dalla  risoluzione  della
questione  di  cui  si e' detto e ritenuto che tale questione non sia
manifestamente infondata per le ragioni sopra considerate;