IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza. Il giudice dott. Giuseppe Casalbore, letti gli atti del procedimento sopra indicato a carico Denjeli Agron, nato in Fukruya (Albania) il 6 luglio 1981, domiciliato in Bussoleno, via Traforo n. 51, imputato del reato previsto e punito dall'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998 perche', espulso con provvedimento del prefetto di Torino, senza giustificato motivo, si tratteneva sul territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore di Torino in data 20 dicembre 2002 a lui notificato nel medesimo giorno; Rilevato che tale reato risulta essere stato accertato in Bussoleno in data 2 febbraio 2003; Osservato che il giudice del dibattimento competente per tale reato e' il giudice della sezione distaccata di Susa; Considerato che il presidente del tribunale, con il provvedimento adottato a norma dell'art. 48-quinquies, comma 1, dell'ord. giud. ha trasferito la competenza dalla sezione distaccata di Susa a questo giudice; O s s e r v a Con l'entrata in vigore della legge n. 189 del 2002 riguardante la disciplina di immigrazione e asilo di cittadini stranieri, con la quale il legislatore ha introdotto nuove ipotesi di reato ovvero modificato preesistenti ipotesi criminose, sono stati previsti nuovi casi di arresto, talvolta facoltativo e tal'altra obbligatorio, ed e' stato stabilito che, in ogni caso, per le ipotesi di reato previste da tale normativa si proceda con il rito direttissimo. Cio' ha creato una certa inquietudine interpretativa e un ingiustificato allarme organizzativo negli uffici giudiziari. Per quanto riguarda la sede di Torino, in particolare, singolare e' la posizione assunta dai giudici per le indagini preliminari che, in ordine a tale normativa, in alcuni provvedimenti, hanno dichiarato la propria incompetenza funzionale sulla richiesta di convalida di arresto del pubblico ministero, sul presupposto che, dovendosi celebrare necessariamente il giudizio direttissimo, l'ufficio del giudice per le indagini preliminari sarebbe sostanzialmente estraneo all'intera procedura, dovendosi applicare - a loro dire - la disciplina conseguente al combinato del primo comma dell'art. 449 e del quarto comma dell'art. 558 c.p.p. Secondo il parere di chi scrive, invece, i casi di arresto previsti dalla normativa sull'immigrazione clandestina non sono riconducibili alle ipotesi disciplinate dagli artt. 449 e 558 c.p.p. se non altro perche' non rientrano nei casi di arresto, facoltativo o obbligatorio, previsti dallo stesso codice di procedura penale. Con la legge n. 189/2002, inoltre, non si richiede neppure sempre la flagranza quale condizione per l'arresto, contrariamente a quanto stabilito dagli artt. 449, primo comma, e 558, quarto comma, c.p.p. Si pensi al caso - ad esempio - dello straniero espulso che rientri nel territorio dello Stato senza autorizzazione (art. 13, comma 13, d.lgs. n. 286/1998 coma modificato dall'art. 12 legge 30 luglio 2002, n. 189) ovvero si pensi al trasgressore del divieto di reingresso nel caso di espulsione disposta dal giudice (art. 13, comma 13-bis, d.lgs. n. 286/1998, come modificato dall'art. 12 legge n. 189/2002). E' difficile ipotizzare in questi casi un arresto in flagranza, sempre che non si voglia pensare ad un improbabile intervento della polizia che vada a cadere proprio nel momento in cui lo straniero varchi la frontiera per far ritorno in Italia. Il legislatore del 2002, cio' nonostante, ha stabilito che si procede all'arresto in flagranza del trasgressore ovvero addirittura che ne e' consentito il fermo nell'ipotesi di cui al comma 13-bis, disponendo che in ogni caso contro l'autore del fatto si proceda col rito direttissimo. Cio' vuol dire che giudizio direttissimo "deve" essere instaurato sia che si proceda all'arresto, sia che si proceda al fermo del, trasgressore, sia che si proceda a piede libero contro di lui, ad esempio per mancanza di flagranza oppure perche' gli organi di polizia non ritengano di procedere al fermo, oppure perche' il pubblico ministero, in ossequio a quanto disposto dall'art. 121 delle norme di attuazione al codice di procedura penale, provveda alla immediata liberazione dell'arrestato o del fermato. Il giudizio direttissimo, come si vede, non e' inscindibilmente collegato all'arresto in flagranza dell'autore del fatto e, di conseguenza, neppure alla relativa convalida e, pertanto, tale giudizio direttissimo non puo' ritenersi disciplinato dalle richiamate disposizioni del codice di procedura penale, almeno per quanto riguarda i relativi presupposti. In altri termini, nei casi in esame, per volonta' del legislatore del 2002, si applica obbligatoriamente la disciplina del giudizio direttissimo, indipendentemente dall'arresto del trasgressore e dalla conseguente convalida, analogamente ai casi previsti dai commi quarto e quinto dell'art. 449 c.p.p. in cui si prescinde totalmente dall'arresto dell'autore del fatto ovvero dalla contestualita' della convalida effettuata dallo stesso giudice del dibattimento e, cio' nonostante, ugualmente si applica la disciplina del giudizio direttissimo. Ad analoga conclusione si deve pervenire ove si consideri che il giudice per il dibattimento non tiene udienza nei giorni festivi per espresso divieto di legge e, soprattutto quando piu' giorni festivi dovessero essere consecutivi, si potrebbe determinare una situazione in cui il pubblico ministero non saprebbe a chi chiedere la convalida dell'arresto, se si aderisse all'interpretazione che e' stata proposta secondo la quale tale convalida non puo' funzionalmente essere richiesta all'ufficio del g.i.p. Pare inutile ribadire, dunque, come l'interpretazione che i giudici per le indagini preliminari hanno proposto nel dichiararsi incompetenti per la convalida dell'arresto abbia esattamente rovesciato l'impostazione che il legislatore del 1988 ha dato all'attuale codice processuale. Risulta infatti evidente come il giudice naturale dell'udienza di convalida sia il giudice per le indagini preliminari e non il giudice per il dibattimento, rimanendo a quest'ultimo assegnata, in via strumentale ed eccezionale, la competenza in ordine alla convalida del solo arresto, all'unico fine di incardinare immediatamente dopo l'eventuale giudizio direttissimo, limitatamente ai casi espressamente previsti. Dal momento che, come si e' visto, pero', il giudizio direttissimo riguardante i reati commessi in violazione della disciplina sull'immigrazione prescinde dall'arresto in flagranza, prescinde dalla applicazione di misura cautelare (di regola inapplicabile), prescinde dalla convalida dell'arresto e cioe' prescinde come si e' anticipato dai presupposti richiesti dagli artt. 449, primo comma, e 558, quarto comma, c.p.p., non si comprende allora perche' alla celebrazione dell'udienza di convalida debba ritenersi incompetente il giudice per le indagini preliminari. Tanto premesso in via di interpretazione, occorre pero' osservare che il pubblico Ministero presso questo tribunale ha aderito alla prospettata interpretazione dell'ufficio del g.i.p., presentando l'arrestato al giudice del dibattimento per la convalida dell'arresto ed il conseguente giudizio direttissimo. Il presidente del tribunale, inoltre, ha ritenuto di dover adottare il provvedimento in atti in base alla propria interpretazione dell'art. 48-quinquies dell'ord. giud. Il fatto che in questo caso il processo e' stato assegnato a questo giudice all'ultimo momento, a poche ore dalla scadenza prevista dall'art. 390 c.p.p., e, soprattutto, con un provvedimento del presidente del tribunale che non pare neppure coincidere con quanto espressamente previsto dallo stesso art. 48-quinquies dell'ordinamento giudiziario, posto a fondamento del provvedimento predetto, impone altre osservazioni. Non e' compito di chi scrive, infatti, sindacare i provvedimenti adottati del presidente del tribunale, ma poiche', nel caso di specie, tale provvedimento va ad incidere pesantemente sulla competenza di questo giudice, sembra consentito rilevare come tutto il tenore della disposizione contenuta nell'art. 48-quinquies ord. giud., riguardi intere udienze gia' fissate, sia civili che penali, che il presidente del tribunale puo' spostare dalla sezione distaccata al tribunale e viceversa, in considerazione di "particolari esigenze". Si tratta, come osservato, di intere udienze prefissate, e non di singoli procedimenti, come e' accaduto in questo caso. Va altresi' rilevato come, nello stesso articolo, al secondo comma, in relazione a gruppi omogenei di procedimenti, e cioe' quando, su presupposti analoghi, il problema dello spostamento della competenza si dovesse riproporre, proprio il legislatore imponga al presidente del tribunale, prima dell'adozione del provvedimento, di sentire il Consiglio giudiziario e il Consiglio dell'ordine degli avvocati. Che dire, allora, quando, come in questo caso, non si tratta soltanto di spostare la competenza del dibattimento da Susa a Torino, ma, in sostanza, di assegnare anche al giudice del dibattimento cio' che, per naturale destinazione, avrebbe dovuto essere assegnato al giudice per le indagini preliminari? Cio' avrebbe oltretutto eliminato ogni problema derivante dalla impossibilita' di fissazione dell'udienza di convalida dinanzi al giudice dibattimentale, essendo il g.i.p. ovviamente territorialmente competente per tutto il circondario. Come detto questo giudice non puo' disattendere tale provvedimento che gli impone di assumere la cognizione del processo in questione. Sembra allora non manifestamente infondato ritenere che il provvedimento adottato induca a ravvisare un contrasto con il principio stabilito dal primo comma dell'art. 24 della Costituzione. Se, infatti, l'interpretazione data da pubblico ministero (che evidentemente ne ha fatto richiesta) e dal presidente del tribunale, che ha adottato il provvedimento in parola, e' da ritenere vincolante per questo giudice, ne' si vede come chi scrive potrebbe disattendere tale provvedimento, la questione che si pone assume specifica rilevanza giacche' occorre stabilire se attraverso il provvedimento in atti del presidente del tribunale non rimanga violato il principio secondo il quale nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Si consideri che il Consiglio superiore anche con la recente circolare del 21 dicembre 2001 in materia di formazione della tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari per il biennio 2002/2003, ha stabilito al capo sesto punto 50.1 che: "il dirigente dell'ufficio, il presidente della sezione, ovvero il magistrato che la dirige, nella materia civile e in quella penale, debbono assegnare gli affari alle sezioni, ai collegi ed ai giudici in base a criteri oggettivi e preordinati, allo scopo di assicurare la realizzazione del principio di precostituzione del giudice, riferibile anche al giudice persona fisica". Nella stessa circolare ai punti 58.1, 58.2 e 58.3 lo stesso Consiglio superiore stabilisce: "la determinazione dei criteri di priorita' indicati in via transitoria dall'art. 227 del d.lgs. n. 51/1998, non deve interferire con i criteri predeterminati per l'assegnazione degli affari. Allo scopo di dare attuazione all'art. 227 d.lgs. 51/1998, in ogni distretto dovra' essere organizzata una conferenza degli uffici con la partecipazione dei dirigenti di tutti gli uffici giudicanti e requirenti del distretto o loro delegati, cui competera' di elaborare soluzioni organizzative operative dirette alla piu' sollecita definizione dei processi pendenti alla data di efficacia della riforma (2 giugno 1999). La conferenza, che sara' preceduta da riunioni aperte a tutti i magistrati dei singoli uffici, verra' convocata per ciascun distretto dal Presidente della Corte d'appello, con lo scopo di armonizzare e di individuare i moduli organizzativi piu' idonei per la corretta attuazione dell'art. 227 nel concreto contesto di ciascuna realta' territoriale. I verbali relativi ai lavori della conferenza dovranno essere allegati alla proposta di composizione degli uffici che i dirigenti sono tenuti a formulare in base alla presente circolare. Nelle proposte saranno specificate eventuali modifiche ai criteri di priorita' di cui all'art. 227 d.lgs. n. 51/1998, che fossero gia' stati indicati nelle proposte tabellari relative al biennio 2000/2001.". Se, dunque, il Consiglio superiore della magistratura ha assegnato tanto rilievo alla questione della precostituzione per legge del giudice naturale; individuato anche nella sua entita' fisica, risulta allora evidente come possa apparire illegittima per contrasto con gli artt. 3 e 25 della Costituzione la disciplina dell'art. 48-quinquies dell'ord. giud., cosi' come interpretato ed applicato dal Presidente del Tribunale di Torino. Va da ultimo posto nel giusto rilievo che anche nella piu' benevola delle possibili interpretazioni da dare alla norma di legge in questione, pare evidente che essa e' stata applicata in modo che possa risultare lesa la garanzia del giudice naturale, giacche', per consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, tale garanzia risulta lesa non tanto quando si deroghi a norme previste dallo stesso legislatore, ma soprattutto quando il giudice competente venga designato con criteri non automatici e non precostituiti. Che cosa dire, come nel caso in esame, in relazione ad uno specifico processo e quando il giudice era gia' personalmente individuato o individuabile? Ritenuto pertanto che la questione sopraindicata e' rilevante nel caso concreto dal momento che l'attuale giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione stessa e ritenuto che essa non appare manifestamente infondata per le ragioni appena esposte;