IL TRIBUNALE 1. - In data 24 settembre 2001 il p.m. presentava richiesta di archiviazione nel procedimento penale iscritto al n. 3810/00 r.n.r. della locale procura a carico di Restivo Massimo per il reato di cui all'art. 640 e 61 n. 7 c.p. Presentata opposizione dalla parte offesa, veniva fissata udienza camerale ex art. 409 c.p.p. All'esito dell'udienza, superato il profilo di inammissibilita' dell'opposizione non presentata personalmente dalla parte offesa ma dal difensore non munito di procura speciale (rientrando nei poteri del giudice valutare l'opposizione come memoria difensiva ex art. 121 c.p.p.), emergeva all'attenzione del ricorrente una questione di legittimita' costituzionale da ritenersi rilevante e non infondata, con conseguente obbligo di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Il caso in esame puo' essere cosi' riassunto: le indagini preliminari avevano evidenziato gli estremi di una truffa contrattuale perpetrata negli anni 1991, 1992, 1993 e 1994 da un sedicente consulente finanziario che prospettando alle parti offese profitti cospicui derivanti dalle sue attivita' finanziarie, di fatto avevano causato la perdita di oltre 300.000.000 di lire; il p.m., pertanto, aveva ravvisato la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 7 c.p. che rende procedibile d'ufficio il reato in esame; concludeva, peraltro, che, essendosi il fatto da ritenersi consumato nel marzo 1995, ed essendo il termine prescrizionale di anni cinque, ai sensi dell'art. 157 n. 4 c.p., il reato cosi' ipotizzato era da considerarsi estinto e con tale motivazione chiedeva l'archiviazione del procedimento. Invero, e con riferimento alla rilevanza della questione, dal fascicolo processuale emerge con evidenza che la dazione dei danari nel corso degli anni 1991-1994 e' avvenuta sulla base di un rapporto fiduciario che rende inevitabile l'integrazione dell'ulteriore aggravante di cui all'art. 61 n. 11 c.p.; tale aggravante produrebbe un innalzamento del limite edittale della pena oltre i cinque anni di reclusione con conseguente applicazione dell'art. 157 n. 3 c.p. che prevede il termine prescrizionale di anni dieci. D'altronde, ritiene il remittente che nel caso in esame potrebbero non solo concedersi all'indagato le circostanze attenuanti generiche, ma anche valutarle equivalenti alle aggravanti contestate, con conseguente declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Tale indagine di merito, peraltro, appare preclusa dall'art. 411 c.p.p. e dalla giurisprudenza, anche costituzionale, formatasi intorno alle ipotesi di estinzione del reato, mancanza di condizione di procedibilita' e fatto non piu' previsto dalla legge come reato, dove, come e' stato precisato, il giudice si limita a "prendere visione degli atti d'indagine, senza esprimere alcuna valutazione contenutistica, di merito, sui risultati delle indagini stesse" (Corte costituzionale del 30 aprile 1999 n. 152). 2. - In particolare, l'ipotesi relativa alla estinzione del reato passa inevitabilmente attraverso l'esame delle cause indicate dagli artt. 150 e ss. c.p.: morte del reo, amnistia, oblazione e prescrizione. Qui i poteri valutativi del g.i.p. appaiono del tutto disomogenei. Invero, se la ratio sottesa alla formulazione dell'art. 411 c.p.p. puo' rinvenirsi, parallelamente a quanto sostenuto dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 88 del 1991) per l'art. 408 c.p.p., nella superfluita' del processo intesa come inutilita' dell'accertamento giurisdizionale, va evidenziato come per le ipotesi di morte del reo e oblazione il g.i.p. possa emettere decreto di archiviazione constatando la sussistenza della singola causa estintiva, laddove, nel caso di amnistia e prescrizione, vengono in rilievo da un lato aspetti relativi alla possibilita' di rinuncia al beneficio e dall'altro elementi valutativi tipici della fase processuale piena che impediscono l'adozione del provvedimento di archiviazione ed impongono l'esercizio dell'azione penale. Poiche' il caso sottoposto al remittente attiene alla valutazione delle circostanze del reato, sotto tale profilo va segnalata la evidente disparita' di trattamento tra le situazioni processuali che producono sul piano sostanziale l'effetto finale dell'estinzione del reato, ma sul piano valutativo l'impossibilita' del previo esame del fatto circostanziale determinante ai fini della produzione del predetto effetto estintivo. 3. - I parametri che si assumono violati sono, a parere del remittente, l'art. 3 e 97 della Costituzione. Invero, occorre partire dalla constatazione che le circostanze sono elementi di fatto di carattere personale, materiale e psichico che, pur essendo estranee al reato riguardato nella sua essenza ontologica, hanno, pero', l'attitudine, oltre che a qualificare e graduare la responsabilita' del colpevole, anche a rendere piu' o meno grave, in se' o nelle sue conseguenze, il fatto criminoso tipico; esse ineriscono alla struttura stessa del reato inteso come entita' naturalistica e giuridica composita (elementi costitutivi ed elementi accessori) ed incidono sull'entita' non solo della pena in concreto irrogabile, ma - quel che qui piu' conta - anche di quella comminata in astratto dalla legge. Ed allora l'incidenza di un provvedimento giurisdizionale su una delle componenti non puo' non coinvolgere l'intera fattispecie legale che risulta dalla combinazione di fatto tipico, circostanze e pena edittale. E poiche' la scansione dei termini prescrizionali e' collegata dall'art. 157 c.p. proprio alla pena edittale prevista da ciascuna norma incriminatrice, diminuita o aumentata in misura predeterminata per effetto del concorso di eventuali circostanze, il giudice, cosi' come ha sicuramente l'obbligo, ad esempio, di dichiarare l'abolitio criminis, la morte del reo o l'intevenuto pagamento della somma a titolo di oblazione che siano nelle more sopravvenuti, dovrebbe essere parimenti tenuto a prendere in considerazione, ai fini dell'applicazione della causa estintiva della prescrizione, la piu' favorevole pena edittale prevista per il reato circostanziato. L'attuale impossibilita' di attivare tale potere valutativo produce una sostanziale disparita' di trattamento nella disciplina delle cause di estintive del reato che conducono all'emissione del decreto di archiviazione. Tale disparita' assume ancora maggior ampiezza laddove si esamini la forte incidenza valutativa del g.i.p. che, ex art. 125 disp. att. c.p.p., puo' disporre l'archiviazione del procedimento laddove ritenga l'infondatezza della notizia di reato "perche' gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l'accusa in giudizio". Ed invero, in tal caso il g.i.p. puo' spingersi nella valutazione prognostica a sondare la "tenuta" degli elementi di accusa in un ipotetico scenario di cognizione piena, per poi disporre la archiviazione in caso di fonti di prova deboli e non univoche, laddove, in caso di reato circostanziato, non potendo formulare la fondata prognosi di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, il giudice dovra' attivare il meccanismo dell'imputazione coatta per condurre il procedimento alla cognizione piena e consentire la valutazione delle predette circostanze al fine della dichiarazione di estinzione del reato. Nelle due ipotesi in esame, pertanto, l'indagato si trova in situazioni entrambe meritevoli di definizione analoga, ma nel primo caso l'art. 125 disp. att. c.p.p. fornisce al g.i.p. quei poteri di valutazione che non sono riconosciuti nella disciplina dell'art. 411 c.p.p. Anche per tale motivo appare violato l'art. 3 Cost. L'ulteriore parametro violato, infine, sembra quello ex art. 97 Cost. del buon andamento dell'amministrazione sotto il profilo della contrarieta' ai canoni di corretta ed efficiente distribuzione delle risorse gestionali degli affari giurisdizionali con riferimento alla situazione processuale sottoposta al vaglio del remittente che produrrebbe la necessita' di stimolare il p.m. ad esercitare l'azione penale, e il g.u.p. a fissare l'udienza preliminare (o il giudice monocratico a fissare il dibattimento) e solo all'esito di fase processuale applicare l'art. 425, comma secondo, c.p.p., o 531 c.p.p., con evidente, irrazionale e superfluo dispendio di risorse.