IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza. Nel procedimento penale contro S.G. nato a Dielsdorf (Svizzera) il 2 maggio 1983, imputato per il reato di cui agli artt. 624 e 625, nn. 1 e 2 c.p. per essersi impossessato ed al fine di trarne profitto, dell'utenza telefonica 0924.84133 intestata a Causi Nicolo' ed installata nell'abitazione di villeggiatura dello stesso, al cui interno si introduceva dopo aver forzato l'infisso esterno del salone, effettuando un numero imprecisato di telefonate extraurbane ed a cellulari. In Castelvetrano il 12 maggio 2000. Premesso, in fatto, che le fonti di prova a carico dell'imputato sono costituite: dagli accertamenti sui luoghi espletati dalla p.g. operante; dalla circostanza che venne ivi rinvenuto un blocco-notes, non appartenente ad alcun membro della famiglia proprietaria dell'abitazione, su cui erano trascritti numerosi numeri di utenze cellulari e linee erotiche nonche' dalla circostanza che spontaneamente, dopo due giorni dalla commissione del fatto, S.G. si era recato, - accompagnato dalla di lui madre, presso la Stazione dei C.C. competente, confessando di essere stato l'autore dell'effrazione e delle telefonate e manifestando pentimento e desiderio di risarcire il danno alla persona offesa. Rilevato che questo collegio, ritenendo di poter esprimere un giudizio prognostico positivo sulla effettiva volonta' dell'imputato di astenersi per il futuro dal commettere ulteriori reati, attesa la spontanea ammissione degli addebiti e la positiva relazione sociale in atti e di poter, quindi concedere il perdono giudiziale ovvero anche la irrilevanza del fatto, considerata la occasionalita' del comportamento, non ha potuto procedere alla definizione allo stato degli atti ex art. 32 d.P.R. n. 448/1988 come novellato dall'art. 22 della legge n. 63/2001 per mancanza di consenso dell'imputato, il quale e' rimasto contumace. Cio' premeso, visti gli artt. 23 e s.s., legge 11 marzo 1953, n. 87, solleva questione di incostituzionalita' del predetto art. 32, d.P.R. n. 448/1988 come novellato dall'art. 22 legge n. 63/2001 con riferimento agli artt. 10, 3 e 31 della Costituzione, riprendendo i concetti gia' parzialmente espressi nell'ordinanza del 24 aprile 2001, a seguito della quale la Corte costituzionale con sentenza del 9 maggio 2002, depositata il 16 maggio 2002, ha dichiarato la illegittimita' costituzionale del predetto art. 32, comma 1 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, nella parte in cui, in mancanza di consenso dell'imputato, preclude al giudice di pronunciare sentenza di non luogo a procedere che non presuppone un accertamento di responsabilita'. Nel caso di specie, questo giudicante ripropone la questione anche con riferimento alla illegittimita' della norma nella parte in cui preclude al giudice la possibilita' di pronunciare sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto, nell'interesse del minore. Infatti, la predetta norma sancisce testualmente: "nell'udienza preliminare, prima dell'inizio della discussione, il giudice chiede all'imputato se consente alla definizione del processo in quella stessa fase, salvo che il consenso sia prestato validamente in precedenza. Se il consenso e' prestato, il giudice, al termine della discussione pronuncia sentenza di non luogo a procedere nei casi previsti dall'art. 425 c.p.p. o per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto". Premette questo giudice che l'art. 10 della Costituzione sancisce al primo comma che l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute. L'art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991 n. 176, prevede al primo comma che: "in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorita' amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere considerato preminente". L'art. 31, comma secondo della Cost. prevede inoltre che la Repubblica "protegge la maternita', l'infanzia e la gioventu', favorendo gli istituti necessari a tale scopo". Orbene, precludere al giudicante la possibilita' di concedere il beneficio del perdono giudiziale o della irrilevanza del fatto, nel caso di mancato consenso dell'imputato minorenne che sia contumace o assente, comporta la violazione dei predetti artt. 10 e 31 della Cost., atteso che non puo' dubitarsi che sia interesse preminente del minore evitare la sottoposizione ad un dibattimento inutile. Peraltro le esigenze difensive dell'imputato minorenne devono ritenersi comunque garantite dalla possibilita' riconosciutagli, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 77 del 1993, di proporre opposizione avverso le sentenze di proscioglimento che presuppongono un accertamento di responsabilita'. Inoltre, deve considerarsi che a seguito delle modifiche legislative introdotte dalla legge Carotti e con la sostanziale obbligatorieta' per il g.u.p. di ammettere al rito abbreviato l'imputato che ne faccia richiesta, si sono sensibilmente trasformate le finzioni del giudice dell'udienza preliminare, al quale e' demandato un ampio potere istruttorio, ai sensi degli artt. 421, 422 e 438 e ss. c.p.p.: Cio' comporta per l'imputato un ampliamento delle garanzie difensive, essendo il g.u.p. chiamato, non soltanto a verificare la fondatezza della notizia di reato, ma anche ad espletare l'ulteriore attivita' istruttoria ritenuta necessaria per l'accertamento dei fatti. Tali garanzie difensive sono maggiormente tutelate nell'ambito del processo penale minorile, laddove il giudicante deve coniugare le esigenze di soddisfazione della pretesa punitiva dello Stato con le esigenze educative e l'interesse del minore. Il giudice minorile, nella sua composizione collegiale, e' ampiamente qualificato ad espletare il bilanciamento delle due esigenze ed e' particolarmente chiamato a svolgere una finzione super partes di tutela degli interessi del minore. I principi connessi alle esigenze del cd. "giusto processo", che si sostanziano, fra l'altro, nella necessita' del contraddittorio nella formazione della prova, non possono, a parere di questo giudicante, essere esasperati al punto da rendere irragionevole e contraria al buon senso, il prolungamento di un processo che non puo' che essere contrario agli interessi del minore. D'altra parte, come gia' detto, nella specie, non si sacrifica alcuna garanzia difensiva, attesa la possibilita' per il minore di proporre allo stesso giudice che ha emesso la sentenza, l'opposizione prevista dall'art. 32, comma 3, d.P.R. n. 448/1988 e dalla menzionata sentenza n. 77/1993 della Corte costituzionale. Tale opposizione, intervenendo in una fase immediatamente successiva alla emissione della sentenza (cinque giorni dalla emissione ovvero dalla notifica dell'estratto) viene a concretizzare una forma di garanzia difensiva possiamo dire differita, ma pur sempre facente parte del procedimento di primo grado, atteso che rimangono impregiudicati gli ordinari mezzi di impugnazione avverso la sentenza emessa a seguito dell'opposizione. Si ravvisa, pertanto, la illegittimita' della norma nella parte in cui non prevede che il giudice possa comunque emettere sentenza di proscioglimento che presuppone un accertamento di responsabilita' e, quindi, di concessione del perdono giudiziale o irrilevanza del fatto, anche in mancanza di consenso, nei casi previsti dallo stesso art. 32, d.P.R. n. 448/1988, nel preminente interesse del minore.