ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 3,
della  legge della Regione Lombardia 26 aprile 1990, n. 25 (Modifiche
ed   integrazioni   alla   legge   regionale   7 gennaio  1986,  n. 1
"Riorganizzazione  e  programmazione  dei servizi socio-assistenziali
della  Regione Lombardia"), promosso con ordinanza del 13 maggio 2002
dal  Consiglio  di Stato, sezione quinta giurisdizionale, sul ricorso
proposto  dall'Azienda  sanitaria  USSL  n. 1 di Varese contro Barisi
Silvana,  iscritta al n. 377 del registro ordinanze 2002 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 35, 1a serie speciale,
dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  costituzione del Commissario liquidatore della
soppressa Azienda sanitaria USSL n. 1 di Varese;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  28 gennaio  2003  il  giudice
relatore Paolo Maddalena;
    Udito  l'avv.  Andrea  Manzi per il Commissario liquidatore della
soppressa Azienda sanitaria USSL n. 1 di Varese.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con  Ordinanza  emessa  il  13 marzo  2002,  il Consiglio di
Stato,  sezione  quinta  giurisdizionale, in sede di appello proposto
dall'Azienda  sanitaria  USSL n. 1 di Varese per l'annullamento della
sentenza  dal  Tribunale  amministrativo  regionale  della  Lombardia
n. 960  del  13 luglio 1995, ha sollevato, in riferimento all'art. 36
della  Costituzione e al principio di ragionevolezza (evocato solo in
motivazione  e  non anche nel dispositivo), questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 24,  comma  3,  della  legge  della Regione
Lombardia 26 aprile 1990, n. 25 (Modifiche ed integrazioni alla legge
regionale 7 gennaio 1986, n. 1 "Riorganizzazione e programmazione dei
servizi socio-assistenziali della Regione Lombardia").
    2. - Con   l'appellata   sentenza,  il  Tribunale  amministrativo
regionale  della Lombardia aveva accolto il ricorso di una dipendente
della  USSL  n. 1  di  Varese e, ritenendo di poter dare all'art. 24,
comma  3,  della  legge  della  Regione  Lombardia n. 25 del 1990 una
lettura  conforme  all'art. 36 della Costituzione, aveva riconosciuto
alla  medesima  le maggiori spettanze economiche per aver svolto, dal
7 giugno  1982  al  16 agosto  1992,  le mansioni di responsabile del
servizio  di  assistenza  sociale,  superiori  a quelle di assistente
sociale coordinatore, proprie della sua qualifica di appartenenza.
    3. - Il Consiglio di Stato, non condividendo l'iter argomentativo
del  giudice  di prime cure, ha ritenuto che la dizione letterale del
citato  art. 24,  comma  3, della legge della Regione Lombardia n. 25
del  1990, contrasti con quanto dispone l'art. 36 della Costituzione,
a  proposito della corrispondenza della retribuzione alla quantita' e
qualita'   del  servizio  prestato  (principio  di  proporzionalita),
nonche' con il principio di ragionevolezza.
    4. - Si  e'  costituito  il Commissario liquidatore della cessata
Azienda  sanitaria USSL n. 1 di Varese, il quale ha ritenuto la piena
legittimita' costituzionale della disposizione censurata.
    Il   Commissario   liquidatore,   nel   ricostruire   le  ragioni
ispiratrici della norma in questione, ha evidenziato, in primo luogo,
il carattere "eccezionale e transitorio" della disposizione medesima,
destinata  ad  esaurirsi  con  l'espletamento  dei  concorsi  per  la
copertura  in  via  definitiva  dei  posti  apicali vacanti in pianta
organica.  Ha  osservato,  inoltre, che il mantenimento, al personale
temporaneamente  affidatario delle funzioni apicali, del "trattamento
economico  di cui e' titolare" non si pone in contrasto con l'art. 36
della Costituzione. Si tratta, infatti, di personale non appartenente
a  quei  profili  professionali,  indicati nel medesimo art. 24 della
legge della Regione Lombardia n. 25 del 1990, necessari a svolgere la
funzione  apicale di responsabile del servizio (e cioe' di psicologo,
sociologo,  direttore  amministrativo  di  USSL, dirigente di primo e
secondo  livello di enti pubblici locali). Pertanto la "qualita'" del
lavoro  prestato  in  via  temporanea  dal  menzionato  personale  e'
evidentemente  inferiore  alla  "qualita'"  del  lavoro  di chi detti
profili  professionali invece ricopre; da cio' la giustificazione del
mantenimento dell'inferiore trattamento stipendiale in godimento.

                       Considerato in diritto

    1. - Il  giudice remittente ritiene che l'art. 24, comma 3, della
legge  della  Regione  Lombardia  26 aprile 1990, n. 25 (Modifiche ed
integrazioni    alla    legge    regionale   7 gennaio   1986,   n. 1
"Riorganizzazione  e  programmazione  dei servizi socio-assistenziali
della Regione Lombardia") confligga con l'art. 36 della Costituzione,
nella  parte  in  cui  prevede, nei confronti dell'assistente sociale
coordinatore  che  abbia svolto le mansioni di dirigente responsabile
del  servizio  di  assistenza  sociale,  l'attribuzione  soltanto del
trattamento  economico  spettante  per la qualifica di appartenenza e
delle indennita' connesse all'esercizio delle mansioni concernenti la
qualifica   superiore,  e  non  anche  del  trattamento  fondamentale
corrispondente a tale ultima qualifica.
    Ritiene,  inoltre,  che la disposizione in esame contrasti con il
principio  di ragionevolezza (art. 3 Cost.), in quanto il legislatore
regionale   ha,  nella  specie,  individuato  i  presupposti  per  il
legittimo  espletamento  delle mansioni superiori, negando, pero', il
corrispondente trattamento economico.
    2. - La questione non e' fondata.
    Questa  Corte ha avuto occasione di affermare che il principio di
proporzionalita'   della   retribuzione,  di  cui  all'art. 36  della
Costituzione,  richiede che "il temporaneo svolgimento delle mansioni
superiori   sia   sempre  aggiuntivamente  compensato  rispetto  alla
retribuzione  della  qualifica  di  appartenenza (sentenze n. 101 del
1995,  n. 296  del  1990  e  n. 57  del 1989), ma non impone la piena
corrispondenza  al  complessivo  trattamento  economico  di  chi  sia
titolare  di  quelle  funzioni  appartenendo  ad  un ruolo diverso ed
essendo   stata   oggettivamente  accertata  con  apposita  selezione
concorsuale  la maggiore  qualificazione professionale, significativa
di  una  piu'  elevata qualita' del lavoro prestato" (sentenza n. 273
del 1997). In altri termini, lo svolgimento di mansioni superiori non
implica  l'automatica  applicazione  del  corrispondente  trattamento
economico,  ben potendo essere non pienamente omogenee le prestazioni
lavorative effettuate.
    3. - Alla  luce  del  predetto  indirizzo giurisprudenziale, deve
ritenersi  che  correttamente  l'art. 24,  comma 3, della legge della
Regione  Lombardia n. 25, del 1990, ha riconosciuto ai soggetti, che,
pur   appartenendo   ad  altra  qualifica,  svolgono  temporaneamente
funzioni  apicali, un trattamento complessivamente inferiore a quello
previsto  per  gli appartenenti alla qualifica superiore che svolgono
tali funzioni.
    Infatti,  come si e' visto, lo svolgimento temporaneo di mansioni
superiori  non comporta che non possa essere considerata la specifica
professionalita'  corrispondente al diverso livello di qualificazione
del  personale, accertato con le procedure previste. Tanto piu' se si
consideri  che,  sulla  base del chiaro tenore del censurato art. 24,
comma 3,  della  legge della Regione Lombardia n. 25 del 1990, per il
personale temporaneamente affidatario delle funzioni apicali, non era
prevista  l'appartenenza  ai  profili  professionali  indicati  nello
stesso  art. 24  per  poter  svolgere la funzione di responsabile del
servizio  (e  cioe'  il  profilo  di  psicologo, sociologo, direttore
amministrativo  di USSL, dirigente di primo e secondo livello di enti
pubblici locali).
    D'altro  canto,  l'articolo  della  legge  regionale  in esame ha
riconosciuto  il  diritto ad un compenso aggiuntivo, costituito dalle
indennita'   accessorie   spettanti   per   l'esercizio  di  funzioni
dirigenziali,   garantendo   cosi',  almeno  nel  minimo  essenziale,
l'attuazione  del  principio  di  proporzionalita' tra retribuzione e
qualita' del lavoro prestato.
    4. - Non  puo',  pertanto,  ritenersi  che  la norma in questione
confligga   con  l'art. 36  della  Costituzione  e  neppure  che  sia
irragionevole ai sensi dell'art. 3 della Costituzione.