LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE

    Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 933702 proposto da
Giada-Bet  S.r.l.,  difesa  dal prof. avv. Nicolo' Zanon, dott. Mario
Spezia, dott. Antonio Campanini, avv. Antonio Papi Rossi. e dott. Ivo
Vannini depositato in data 2 agosto 2002 avverso l'atto n. 26572/2002
Agenzia  delle entrate - Ufficio di Pescia relativo all'imposta unica
sui  concorsi pronostici e le scommesse, di cui al d.lgs. 23 dicembre
1998, n. 504,
          Svolgimento del processo - Oggetto della domanda
    Con ricorso depositato in data 2 agosto 2002 n. 933/2002 Giadabet
S.r.l.   (codice   fiscale   n. 01422790475)  ricorre  contro  l'atto
n. 26572/2002,   dell'Agenzia   delle   entrate   Ufficio  di  Pescia
notificato  in  data  10 luglio 2002 e relativo all'imposta unica sui
concorsi  pronostici  e  le  scommesse,  di cui al d.lgs. 23 dicembre
1998,  n. 504.  La  contestazione  di  omesso  versamento riguarda il
periodo  dal 29 maggio 2001 al 17 giugno 2001, per le quali l'importo
da  versare  ammonterebbe,  secondo  l'ufficio  delle  entrate a lire
3.214.790.  Nello  stesso  atto e' stata irrogata la sanzione pari ad
Euro  6.517,36  per  omessi e ritardati versamenti. Dal fascicolo del
processo   risulta  che  l'emissione  del  suddetto  atto  sia  stata
preceduta  dai  seguenti  atti istruttori dell'Agenzia delle entrate:
richiesta  di  copia  della polizza fideiussoria; processo verbale in
data  11  giugno  2002 da cui risulta la richiesta di attestazione di
versamenti di imposta unica risultanti carenti o omessi dal controllo
incrociato  tra  imposta  dovuta  ed  imposta  versata, risultante da
documentazione di provenienza del Ministero delle finanze.
    La  ricorrente sostiene che la pretesa impositiva dovrebbe essere
annullata per i seguenti motivi:
        in   primo  luogo  per  l'illegittimita'  derivata  dell'atto
dall'illegittimita'  costituzionale  (violazione  dell'art. 23 Cost.)
delle norme di legge che disciplinano l'imposta unica;
        in  secondo  luogo,  perche' risulterebbe ancora in vigore il
regime di sospensione della riscossione della imposta unica, disposto
con  d.m. 28 maggio 2001 (essendo da disapplicare il d.m. 13 dicembre
2001,  che  disponeva  il  pagamento dell'imposta in data 17 dicembre
2001,   poiche'  pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  in  data  21
dicembre,  e  cioe'  successivamente  alla  scadenza  del termine per
l'adempimento);
        in   terzo   luogo  per  difetto  di  motivazione,  derivante
dall'omessa  esposizione dei criteri di calcolo e dei conteggi da cui
sono stati ricavati gli importi delle somme intimate.
    Sostenendo la configurabilita' di un periculum in mora, oltreche'
del  fumus boni iuris, la ricorrente ha formulato altresi' istanza di
sospensione ai sensi dell'art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992.
    L'Agenzia  delle  entrate  -  Ufficio di Pescia - ha formulato le
proprie controdeduzioni con atto depositato in data 28 agosto 2002 in
occasione  della  discussione  collegiale dell'istanza di sospensione
dell'atto impugnato.
    Sostiene  in  via  preliminare l'ufficio che l'atto impugnato non
sarebbe  un  atto  impositivo,  ovvero  ne'  di  liquidazione  ne' di
accertamento  ne'  di irrogazione di sanzioni. Quindi, non rientrando
tra quelli tassativamente previsti dall'art. 19 del d.lgs. n. 546 del
1992,  il  ricorso  non  sarebbe  proponibile,  anche  perche' l'atto
impugnato  non  sarebbe  in  grado di incidere sul piano patrimoniale
nella  sfera  del  contribuente.  Il  ricorso potrebbe percio' essere
presentato solo contro la cartella esattoriale.
    Nel  merito,  l'ufficio  nega  che  la  normativa  che disciplina
l'imposta  unica  sia  in  contrasto con l'art. 23 Cost., giacche' la
riserva   di   legge  prevista  da  tale  norma  per  le  prestazioni
patrimoniali  sarebbe  soddisfatta  dal  complesso della normativa in
questione.
    Inoltre,  nega  che la sospensione della riscossione dell'imposta
sia  perdurante, giacche' essa non e' stata disposta sine die e si e'
esaurita indipendentemente dalle vicende del d.m. 13 dicembre 2001.
    Nega infine che l'atto sia afflitto da un difetto di motivazione,
giacche'   esso,   al  contrario,  recherebbe  tutte  le  indicazioni
necessarie per individuare il debito d'imposta.
    Alla  Camera  di consiglio del 28 agosto 2002, per la trattazione
dell'istanza  di  sospensione, la parte ricorrente - preso atto della
costituzione  in  giudizio  dell'ufficio  -  ha domandato la riunione
della trattazione della domanda incidentale con il merito.
    L'ufficio e' risultato remissivo a giustizia.
    In  un'ulteriore memoria illustrativa, depositata il 19 settembre
2002,  la parte ricorrente ha esposto le ragioni per le quali ritiene
che  l'atto impugnato sia immediatamente impugnabile ed ha illustrato
le   modalita'   di   funzionamento   dell'imposta   nel  periodo  di
riferimento.
    Alla  pubblica udienza del 30 settembre 2002, la parte ricorrente
e  l'ufficio  hanno  ribadito  le  proprie  conclusioni.  Osserva  la
Commissione

                            D i r i t t o

    1.  -  La controversia riguarda l'applicazione dell'imposta unica
sui  concorsi pronostici e sulle scommesse, oggetto del provvedimento
di riordino di cui alla legge 3 agosto 1998 n. 288, contenente delega
al  Governo  che ha dato luogo all'emanazione del decreto legislativo
23   dicembre  1998  n. 504.  Nel  periodo  cui  la  controversia  si
riferisce,  la  liquidazione  dell'imposta  doveva  essere effettuata
giornalmente  dal  Ministero delle finanze (totalizzatore nazionale),
comunicata   ai   soggetti   passivi  (i  concessionari),  pagata  da
quest'ultimi  con  le  modalita'  previste  dalle norme in materia di
contabilita'    dello    Stato.    L'accertamento   degli   eventuali
insufficienti   versamenti   doveva  essere  effettuato  dall'ufficio
dell'Agenzia  delle  entrate  competente  per territorio, al quale il
Ministero   delle   finanze   avrebbe   dovuto  inviare  i  prospetti
giornalieri di liquidazione. Le sanzioni amministrative per ritardato
pagamento  dovevano  essere richieste dall'ufficio competente, sempre
sulla base dei dati forniti dal Ministero delle finanze.
    Il d.lgs. 8 marzo 2002 n. 66, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
n. 91  del  18  aprile  2002  ed  entrato in vigore il 3 maggio 2002,
emanato  in  forza  l'art.  6  decreto  legislativo  23 dicembre 1998
n. 504,  innova radicalmente il sistema normativo vigente e trasforma
l'imposta unica, da imposta liquidata dal Ministero delle finanze, in
un'imposta  che  ora  deve essere autoliquidata dal soggetto passivo.
Quest'intervento normativo relativo agli adempimenti dei contribuenti
costituisce  l'implicita  conferma che fino alla data dell'entrata in
vigore della nuova disposizione l'imposta era liquidata dal Ministero
delle finanze.
    Ritiene  preliminarmente  questa  Commissione  di dover affermare
l'ammissibilita'  del  ricorso.  Infatti,  le incertezze della stessa
amministrazione    finanziaria   nella   qualificazione   dell'avviso
impugnato  (che  in  casi diversi, da altri uffici dell'Agenzia delle
entrate, e' stato definito esplicitamente come atto impugnabile entro
il  termine  decadenziale di 60 giorni), e, ancor piu', le istruzioni
contenute  nella circolare ministeriale del 6 dicembre 2001 n. 102/E,
portano  a  ritenere  che  l'atto  impugnato  non costituisce un atto
istruttorio   bensi'   un  atto  che  contiene  l'accertamento  e  la
liquidazione   della   maggiore   imposta   dovuta   con  contestuale
irrogazione   della   sanzione.   e   rientra   pertanto  nel  novero
dell'art. 19, primo comma del d.lgs. n. 546/1992.
    I  principi di diritto affermati in giurisprudenza ed in dottrina
definiscono   l'accertamento   tributario  come  «atto  efficace  nei
confronti   del   soggetto   passivo   d'imposta,  conclusivo  di  un
procedimento,  cioe', che accerta e dichiara la sussistenza, in tutto
o  in  parte, dell'obbligazione tributaria o di un suo elemento e che
l'accertamento  di  siffatto  obbligo  e'  in  ogni  caso impugnabile
dinanzi  ai  giudici, in ispecie le Commissioni tributarie, qualunque
sia la forma e la denominazione che ha l'atto che lo contiene» (Corte
costituzionale,   6   dicembre   1985,   n. 313),   o  «ogni  atto  o
provvedimento  che,  a  prescindere  dalla sua denominazione, spieghi
efficacia   nei   confronti   del   soggetto  passivo,  accertando  o
dichiarando  il  debito  d'imposta».  (Cass. civ. Sez. I, sentenza 14
novembre  1990, n. 11006). Non e' la qualificazione formale dell'atto
quello  che conta, bensi' la sua efficacia nei confronti del soggetto
passivo.
    Nel  caso  all'esame  l'atto  impugnato  costituisce,  secondo le
indicazioni  del  Ministero, la premessa sufficiente per l'escussione
della  garanzia  prestata  dal  contribuente.  In tale situazione, la
dichiarazione   d'inammissibilita'   del   ricorso  costituirebbe  un
ingiusto  diniego  della  tutela giurisdizionale prevista e garantita
dall'art. 24 della Costituzione.
    Il  fatto  che  l'atto  non  contenga  in calce le modalita' ed i
termini  per  il  ricorso  alla  Commissione tributaria, non preclude
certamente  al  contribuente il diritto di impugnarlo, ma costituisce
piuttosto   una   irregolarita'  dell'atto  che  puo'  consentire  la
remissione  in  termini ai fini dell'instaurazione del giudizio (cfr.
Cons.   Stato   30  marzo  2002,  n. 1814;  Tribunale  amministrativo
regionale  Sicilia  3 maggio 1995, n. 1267; Cass. civ, 4 giugno 1999,
n. 5453; Cass. civ. 25 luglio 2000, n. 9725; Cass. civ. Sez. unite 18
maggio 2000, n. 362).
    La  Commissione  rileva  che  l'atto impugnato non presenta, poi,
alcuna  analogia con il c.d. «Avviso bonario» previsto per le imposte
sui  redditi I.R.P.E.F. e I.R.P.E.G. dagli artt. 36-bis, e 36-ter del
d.P.R.  n. 600/1972  (come  modificati  dal  d.lgs.  26 gennaio 2001,
n. 32,  art. 1, comma 1), in quanto detta comunicazione e' emessa dal
fisco  ad  esito  dei  controlli  formali  aventi  ad  oggetto i dati
dichiarati   dal  contribuente,  per  tributi  che  sono  oggetto  di
liquidazione  da  parte  del  contribuente stesso. L'«avviso bonario»
deve precedere l'iscrizione a ruolo per consentire ai contribuenti di
addurre   ulteriori  elementi  non  risultanti  dalla  dichiarazione,
evitare  la reiterazione di errori nella successiva dichiarazione, ed
eventualmente  ravvedersi  con  il  beneficio  della  riduzione della
sanzione amministrativa.
    2.  -  Nel  merito,  quanto  ai  vizi  dell'atto,  ritiene questa
Commissione  che  l'amministrazione  finanziaria abbia fatto corretta
applicazione  delle  norme di legge e di regolamento che disciplinano
l'imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, che l'atto
sia  sufficientemente  motivato  e che, d'altro canto, non si possano
ritenere  rilevanti  nella  specie  le  vicende  relative  al d.m. 13
dicembre 2001.
    3  -  Cio'  posto,  dovrebbe la Commissione rigettare il ricorso,
accogliendo  le  ragioni  dell'Agenzia  delle  entrate.  Tuttavia, la
Commissione  ritiene  di  considerare non manifestamente infondate le
prospettate  violazioni  dell'art. 23  della  Costituzione  da  parte
dell'art.  3,  comma  231, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (come
modificato  dall'art. 24,  comma  26,  della  legge 27 dicembre 1997,
n. 449), e dell'art. 4 del d.lgs. 23 dicembre 1998, n. 504.
    La  questione  di  legittimita'  costituzionale riferita alle due
citate  norme  e sicuramente rilevante nel giudizio, giacche' l'esito
dello   stesso   e'   condizionato   dall'esito  dello  scrutinio  di
costituzionalita'    che    dovra'    essere   svolto   dalla   Corte
costituzionale,  dipendendo  l'accoglimento  o il rigetto del ricorso
dalla  conformita'  -  o  meno  -  alla  Costituzione delle norme che
regolano l'imposta unica.
    4.   -   Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  ritiene  la
Commissione di formulare le seguenti osservazioni.
    Si  deve  procedere dal d.lgs. 23 dicembre 1998, n. 504 in cui si
stabilisce,  all'art. 4, che le aliquote per le scommesse non vengano
stabilite  in  modo  fisso ma siano rapportate alle quote di prelievo
stabilite  per  ciascuna  scommessa.  In particolare per le scommesse
diverse dalla TRIS e da altre tipologie ad essa assimilabili quanto a
modalita'  di  accettazione  e  di  totalizzazione,  l'aliquota e' il
20,20% della quota di prelievo stabilita per ciascuna scommessa.
    Ne  deriva che l'aliquota relativa alle scommesse non puo' essere
determinata  se  non  per relationem: ad essa si giunge attraverso un
riferimento  a  un  dato  che  non riguarda gli elementi dell'imposta
unica  in  se',  ma  che deve essere ricavato aliunde. E la questione
diventa  percio'  quella  di  stabilire  se la riserva di legge posta
dalla  Costituzione  sia soddisfatta dalle disposizioni normative che
consentono di determinare l'ammontare delle quote di prelievo.
    Tale  giudizio,  incentrato sulle quote di prelievo, non puo' non
«reagire»  anche  sulla  disciplina  legislativa  in  tema di imposta
unica,  quanto  meno  per  la  parte che fa esplicito rinvio - per la
determinazione delle aliquote sulle scommesse - alle quote stesse.
    5.  -  La  norma  di  rango legislativo che disciplina i prelievi
sull'introito  lordo delle scommesse sportive a favore del C.O.N.I e'
contenuta  nell'art.  3,  comma  231  della  legge  28 dicembre 1995,
n. 549,  cosi' come sostituito dall'art. 24, comma 26, della legge 27
dicembre  1997,  n. 449.  Essa si limita a prevedere che «con decreto
del  Ministro  delle  finanze  sono  stabilite  le  quote di prelievo
sull'introito  lordo  delle  scommesse,  da destinarsi al C.O.N.I. al
netto dell'imposta unica di cui alla legge 22 dicembre 1951, n. 1379,
con  aliquota  del 5%, e delle spese relative all'accettazione e alla
raccolta  delle  scommesse medesime e alla gestione del totalizzatore
nazionale».
    Il   decreto   del   ministro  delle  finanze  e'  effettivamente
intervenuto  ed e' il decreto 15 febbraio 1999. Esso, in premessa, si
riferisce   ad   alcuni   criteri   che   dovrebbero   aver   guidato
l'amministrazione  nella  determinazione dell'ammontare del prelievo.
In   particolare,   si  dice  che  «la  rimodulazione  dei  prelievi,
effettuata  tenendo  conto  della  propensione degli scommettitori ai
diversi  tipi  di scommesse, risponde a un criterio volto a garantire
che  l'ammontare  dei  prelievi  stessi  a  favore  del  C.O.N.I. sia
determinato   in   proporzione  e  in  relazione  al  crescere  delle
difficolta'  del tipo di scommessa». Inoltre, si fornisce un giudizio
di  congruita' circa il fatto che l'ammontare delle quote, cosi' come
determinato,  garantisca  al C.O.N.I. l'espletamento dei suoi compiti
istituzionali  e  consenta il raggiungimento di un congruo livello di
gettito   erariale   derivante  dall'effettuazione  delle  scommesse,
scoraggiando  nel  contempo  il  ricorso  alle scommesse clandestine.
Infine,  si  sottolinea la necessita' di rideterminare le quote sulle
scommesse   predette  in  modo  tale  da  assicurare  un  tendenziale
equilibrio  con  le  quote  di prelievo sulle scommesse relative alle
corse dei cavalli.
    Tali  criteri  portano  alla determinazione contenuta nell'art. 2
del  decreto,  ove  le  quote  di  prelievo sull'introito lordo delle
scommesse  a  totalizzatore  e  a  quota  fissa,  sono  stabilite con
percentuali  crescenti  in  base  al  numero degli eventi (dal 10% su
scommesse  a  due  eventi,  fino  al 40% su scommesse con oltre 2.700
eventi).
    6.  -  Le  quote  di  prelievo  possono essere classificate quali
prestazioni  patrimoniali  imposte, e ricadono quindi anch'esse nella
sfera di applicabilita' dell'art. 23 Cost.
    Cio'  si  desume  applicando  al caso delle quote di prelievo gli
indici che la giurisprudenza della Corte costituzionale ha ampiamente
elaborato attraverso una giurisprudenza ormai risalente.
    Nell'intento di precisare gli essenziali elementi per individuare
le  prestazioni  patrimoniali  imposte  che  giustificano la garanzia
della  riserva  di legge prevista dall'art. 23 della Costituzione e i
consequenziali    limiti   alla   discrezionalita'   della   pubblica
amministrazione,  la  Corte  aveva  originariamente fatto riferimento
solo   alla   natura   autoritativa   dell'atto  che  costituisce  la
prestazione,  in  quanto  emesso indipendentemente dalla volonta' del
soggetto  passivo  (sentenze  nn. 4, 30, 47 e 122 del 1957; n. 36 del
1959; nn. 51 e 70 del 1960; n. 65 del 1962; n. 55 del 1963.
    Successivamente,  pero',  la  Corte  ha  ravvisato  la  natura di
prestazione imposta anche nelle ipotesi in cui la prestazione stessa,
pur  nascendo  da un contratto privatistico volontariamente stipulato
dall'utente col titolare del bene o del servizio e quindi dando luogo
a un rapporto negoziale di diritto privato si riferisca a un servizio
che,   in  considerazione  della  sua  particolare  rilevanza,  venga
riservato  alla  mano  pubblica  e  l'uso  di esso sia da considerare
essenziale ai bisogni della vita. In tale situazione, il cittadino e'
certo  libero  di  stipulare  o non stipulare il contratto, ma questa
liberta'  si riduce alla possibilita' di scegliere fra la rinuncia al
soddisfacimento   di   un  bisogno  essenziale  e  l'accettazione  di
condizioni   e   di   obblighi  unilateralmente  e  autoritativamente
prefissati  (sentenza n. 72 del 1969, in tema di tariffe del servizio
telefonico;  sentenza  n. 127  del  1988,  che  qualifica prestazione
patrimoniale  imposta  il  pagamento  del diritto di approdo da parte
dell'utente del bene demaniale).
    Nel  complesso,  la  giurisprudenza costituzionale ha qualificato
prestazioni patrimoniali imposte (oltre ai casi gia' citati) i canoni
per  la derivazione dai bacini imbriferi montani (sentenza n. 122 del
1957),  quelli per le pubbliche affissioni (sentenza n. 36 del 1959),
per  lo sconto obbligatorio sui prezzi dei medicinali (sentenza n. 70
del  1960),  per  l'occupazione  di suolo pubblico (sentenza n. 2 del
1962)  per  i  contributi ad un consorzio di bonifica (sentenza n. 55
del 1963).
    Da    questa   giurisprudenza   complessiva   la   stessa   Corte
costituzionale  (sentenza  n. 236 del 1994) ha infine estratto alcuni
principi,  che  servono  ad  individuare  le prestazioni patrimoniali
imposte:
        non  e' elemento determinante, ma secondario e supplementare,
la formale qualificazione della prestazione;
        non  e'  elemento  determinante  la  fonte  negoziale  o  non
negoziale (legislativa) dell'atto costitutivo dell'obbligazione;
        non  rileva in modo decisivo l'inserimento di obbligazioni ex
lege  in  contratti privatistici, ovvero la maggiore o minore valenza
sinallagmatica delle prestazioni rispettive.
    Cio'  che  conta  ed e' decisivo, dice la Corte, sono gli aspetti
pubblicistici  dell'intervento  delle autorita'. In particolare, cio'
che  conta  e'  la disciplina della destinazione e dell'uso di beni o
servizi, per i quali - in considerazione della loro natura giuridica,
della  situazione  di  monopolio  pubblico  o  della essenzialita' di
alcuni  bisogni  di  vita soddisfatti da quei beni o servizi - accade
che  la  determinazione della prestazione sia unilateralmente imposta
con  atti  formali autoritativi, che, incidendo sostanzialmente sulla
sfera  dell'autonomia  privata,  giustificano  la  previsione  di una
riserva di legge.
    Ora,  non  e'  difficile  riscontrare  la presenza degli elementi
ricordati  nella  complessiva  disciplina che impone ai concessionari
del servizio di scommesse il versamento delle quote:
        vi e' una situazione di monopolio, giacche' l'organizzazione,
la  gestione  e l'esercizio delle scommesse e' riservato in principio
all'autorita',   e  puo'  essere  affidato  a  privati  solo  tramite
concessioni.  Si  osservi che l'attivita' di raccolta, accettazione e
intermediazione  di  scommesse, in assenza di concessione, e' vietata
penalmente (art. 4, legge 13 dicembre 1989, n. 401; art. 37, comma 4,
legge 23 dicembre 2000, n. 388);
        dal  canto  suo,  il  privato  che aspira alla concessione e'
certo libero di sottoscrivere o non sottoscrivere la convenzione (che
fa  parte integrante della concessione stessa), ma questa liberta' si
riduce  alla  scelta  fra  la  rinuncia alla gestione del servizio di
scommesse    e   l'accettazione   di   condizioni   e   di   obblighi
unilateralmente  e  autoritativamente  imposti.  Sul  contenuto della
convenzione - e in particolare sulle obbligazioni di versare le quote
in  essa  previsto  -  il  privato  non  puo'  infatti  incidere:  la
percentuale   di   prelievo   non   e'  contrattabile  da  parte  del
concessionario,  ma e' imposta dalle fonti pubblicistiche che abbiamo
ampiamente  esaminato.  Ne'  rileva  che  l'importo  complessivo  del
prelievo  vari  al  variare  dell'ammontare  totale  delle  scommesse
(elemento  che,  in  principio  almeno,  non  e'  del tutto sottratto
all'influenza  del  concessionario),  giacche'  quel  che conta e' la
determinazione autoritativa della percentuale;
        non varrebbe ad escludere la natura di prestazione imposta la
qualifica   delle   quote   di  prelievo  quali  corrispettivi  della
concessione:  come si e' visto, la Corte non attribuisce rilievo alla
qualificazione formale della prestazione, ne' alla natura negoziale o
non negoziale della fonte dell'obbligazione, ne' alla circostanza che
l'obbligazione   imposta  ex  lege  si  inserisca  entro  uno  schema
negoziale.
    Quel  che  conta, alla fine, per qualificare le quote di prelievo
quali   prestazioni  patrimoniali  imposte,  e'  proprio  e  solo  la
determinazione   autoritativo-pubblicistica   della   percentuale   -
differenziata  per tipi e fasce di scommesse - utile al calcolo delle
quote di prelievo.
    Trattandosi di prestazione patrimoniale imposta, ne deriva che la
disciplina  sulle  quote  di  prelievo  deve essere assoggettata allo
scrutinio di legittimita' costituzionale alla luce dell'art. 23 Cost.
    7.  -  Secondo  il  pacifico  orientamento  della  giurisprudenza
costituzionale,  il principio della riserva di legge ex art. 23 Cost.
va  inteso in senso relativo, ponendo l'obbligo per il legislatore di
determinare  preventivamente  e sufficientemente criteri direttivi di
base  e  linee  generali  di disciplina dell'attivita' amministrativa
(cfr.  da  ultimo  Corte cost., sentenza n. 157 del 1996, e ordinanze
nn. 7 e 323 del 2001).
    Detto  altrimenti,  il  principio  enunciato  nell'art. 23 Cost.,
secondo  cui l'imposizione di prestazioni patrimoniali e' autorizzata
solo  «in  base  alla  legge»,  esprime  una  riserva  di  legge solo
relativa,  nel  senso  che  non  impedisce  l'assegnazione  ad organi
amministrativi  di compiti non meramente esecutivi (compiti esecutivi
potrebbero  essere  il  fissare  forme  e termini per il pagamento di
un'imposta),  ma  in  qualche  sorta integrativi come, ad esempio, la
determinazione   di   elementi,   presupposti  o  limiti,  variamente
individuabili,  di  una  prestazione  imponibile,  in  base  a dati e
apprezzamenti  tecnici: unica condizione come si diceva, e' che nella
legge  siano  preventivamente  indicati  -  e  in  modo sufficiente -
criteri  direttivi  di  base  o  linee  generali idonee a limitare la
discrezionalita'  nella  produzione  di  fonti secondarie (cfr. Corte
cost. n. 129 del 1969, n. 27 del 1979).
    Con  riferimento alle quote di prelievo sulle scommesse sportive,
spettanti  al  C.O.N.I.,  i  criteri  direttivi  di  base  e le linee
generali  di disciplina non sono effettivamente contenute in legge o,
comunque, in una fonte primaria.
    Come  gia'  evidenziato,  la  legge  (art. 3, comma 231, legge 28
dicembre  1995, n. 549, come modificato) si limita a stabilire che le
quote  di  prelievo  sono  stabilite  con  decreto del Ministro delle
finanze. Ma l'identificazione dell'Ente competente alla decisione non
e'  sufficiente,  perche'  ovviamente  non  costituisce  un  criterio
direttivo  di  base ne' una linea generale di disciplina. La restante
parte  della  norma  citata  si  limita  a  dire che le quote vengono
destinate  al C.O.N.I., al netto dell'imposta unica e delle spese. Ma
quel che conta, e' la determinazione delle percentuali che consentono
di  calcolare  l'importo  delle  quote.  Ora,  pur  se non si ritiene
necessario    che   tali   percentuali   siano   dettagliatamente   e
definitivamente   indicate  in  legge  (anche  se  cio'  non  sarebbe
inopportuno),  e'  pero'  indispensabile  che  la  legge fornisca dei
criteri  e  delle  linee-guida  che  delimitino  sufficientemente  la
discrezionalita'  dell'amministrazione  nella determinazione concreta
di    tali   percentuali.   Ebbene:   sui   criteri   che   conducono
l'amministrazione  al  calcolo  di tali percentuali, e che dovrebbero
servire  a  vincolare l'amministrazione e ad impedirne l'arbitrio, la
fonte legislativa tace.
    Non  tace invece il decreto del Ministro delle finanze, il quale,
in  premessa,  come pure si e' detto, indica una serie di criteri che
dovrebbero  aver  guidato  il  Ministero  nella  decisione circa tali
percentuali.  Ora,  a  parte la genericita' di alcuni di tali criteri
(garantire    al   C.O.N.I.   l'espletamento   delle   sue   funzioni
istituzionali; garantire che l'ammontare dei prelievi sia determinato
in  proporzione  al crescere della difficolta' della scommessa ecc.),
il  punto  e'  che  tali criteri avrebbero dovuto essere decisi dalla
legge,  perche'  questo  e' il senso della riserva posta dall'art. 23
Cost.  laddove  si  abbia  a  che  fare  con prestazioni patrimoniali
imposte.
    Il  fatto che, invece, tali criteri figurino nella premessa di un
atto normativo secondario e' la prova decisiva dell'insufficienza - e
percio'  dell'incostituzionalita'  -  della disciplina legislativa in
materia.
    8.    -   Come   si   e'   detto   in   precedenza,   l'eventuale
incostituzionalita'  della  disciplina  in  tema di quote di prelievo
«reagisce»  sulla  stessa  valutazione  da  svolgere sulla disciplina
legislativa  in tema di imposta unica. E, si badi, tale «reazione» si
verifica  anche  a  non  accettare la tesi per cui le stesse quote di
prelievo   sono   prestazioni   patrimoniali   imposte,  soggette  al
necessario  rispetto dell'art. 23 Cost.: si verifica infatti comunque
la  circostanza  per cui la norma di legge sull'imposta unica risulta
non conforme all'art. 23 Cost., dovendosi dedurre da fonti secondarie
e non primarie un elemento essenziale della prestazione tributaria.
    Infatti, l'art. 4, comma 1, lett. b) del d.lgs. 23 dicembre 1998,
n. 504,  prevede  che le aliquote dell'imposta per le scommesse siano
legate,  in  percentuali prefissate, alle quote di prelievo stabilite
per  ciascuna  scommessa.  Proprio in quanto le aliquote in questione
siano  da  determinarsi  con  riferimento ai prelievi sulle scommesse
sportive, si puo' affermare che l'incostituzionalita', per violazione
dell'art.  23  Cost.,  della  disciplina  relativa  a  quel  tipo  di
scommesse,     «reagisca»    sull'art.    4    cit.    determinandone
l'incostituzionalita'  «derivata»:  risulta  alla fine che l'aliquota
dell'imposta  unica  sulle  scommesse sportive non e' determinata con
riferimento  a criteri e parametri chiaramente prestabiliti in legge,
ma  dipende  di  fatto  da  decisioni  amministrative (sulle quote di
prelievo)  a loro volta non ancorate a parametri e criteri fissati in
fonte primaria.