ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale degli artt. 216, primo
comma,  n. 1,  e  219, secondo comma, n. 1 del regio decreto 16 marzo
1942,  n. 267  (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo,
dell'amministrazione   controllata   e   della   liquidazione  coatta
amministrativa)   promosso  con  ordinanza  dell'8 ottobre  2001  dal
giudice  per  le  indagini  preliminari del Tribunale di Camerino nel
procedimento penale a carico di P.R., iscritta al n. 484 del registro
ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 44, 1a serie speciale, dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 26 febbraio 2003 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che con ordinanza emessa l'8 ottobre 2001, nel corso di
un  procedimento penale nei confronti di persona imputata del delitto
di  bancarotta  fraudolenta  -  ordinanza  pervenuta  alla  Corte  il
14 ottobre  2002  -  il  giudice  per  le  indagini  preliminari  del
Tribunale di Camerino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27,
terzo   comma,   della   Costituzione,   questione   di  legittimita'
costituzionale  degli  artt. 216,  primo  comma,  numero  1),  e 219,
secondo  comma,  numero  1),  del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267
(Disciplina    del    fallimento,    del    concordato    preventivo,
dell'amministrazione   controllata   e   della   liquidazione  coatta
amministrativa),  nella  parte  in  cui  escludono  che,  in  caso di
contestazione  al  medesimo soggetto di distinti fatti di distrazione
nell'ambito  di  procedimenti  penali separati e non riunibili, possa
applicarsi  la  disciplina  della  continuazione, di cui all'art. 81,
secondo  comma,  cod. pen., ovvero quella del giudizio di valenza tra
l'aggravante  prevista dal citato art. 219, secondo comma, numero 1),
della  legge fallimentare ed eventuali circostanze aggravanti (recte:
attenuanti);
        che   il   giudice  a  quo  premette  che  con  sentenza  del
18 febbraio  1999  il  Tribunale  di  Camerino  aveva  condannato tre
persone  per  fatti di bancarotta fraudolenta commessi nella gestione
di una societa' in nome collettivo dichiarata fallita;
        che  contro  la  decisione  era  stato proposto appello ed il
relativo giudizio risultava ancora pendente;
        che  con  la  medesima  sentenza  il Tribunale aveva altresi'
disposto  la  trasmissione  degli atti al pubblico ministero, essendo
emersi  sospetti riguardo al possibile concorso di uno degli imputati
-  socio  amministratore  della societa' fallita, condannato per aver
distratto  merci  ed attrezzature - nei fatti di distrazione di somme
di   denaro  ascritti  originariamente  in  via  esclusiva  ad  altro
coimputato;
        che,  espletate  ulteriori  indagini,  il  pubblico ministero
aveva chiesto il rinvio a giudizio di detto socio amministratore, per
i fatti in questione;
        che  nell'udienza  preliminare  l'imputato  era  stato quindi
ammesso al giudizio abbreviato;
        che,  cio'  premesso,  il rimettente osserva come l'art. 219,
secondo  comma,  numero 1), della legge fallimentare - con disciplina
speciale  che  deroga  alle  norme  sul concorso di reati e sul reato
continuato,  nella  prospettiva di mitigarne il rigore - configuri la
realizzazione  di  una  pluralita' di fatti tra quelli previsti dagli
artt. 216,  217  e  218  della stessa legge come semplice circostanza
aggravante  (soggetta,  in  quanto  tale,  all'ordinario  giudizio di
bilanciamento   con   eventuali  attenuanti),  unificando,  cosi',  i
molteplici  comportamenti  criminosi  posti  in  essere da uno stesso
soggetto in relazione al medesimo fallimento;
        che  la posizione dell'imputato nel giudizio a quo - prosegue
il   rimettente   -  risulterebbe  senza  dubbio  riconducibile  alla
previsione   normativa  in  parola,  a  prescindere  dalla  dibattuta
questione  se  la  predetta  unificazione  investa  esclusivamente le
condotte  che  ricadono in uno solo degli articoli richiamati, ovvero
anche  quelle  contemplate  da  due  o  piu'  di essi: cio' in quanto
l'imputato e' accusato, nella specie, di fatti di bancarotta non solo
tutti previsti dall'art. 216 della legge fallimentare, ma integranti,
addirittura,  una  medesima  ipotesi  fra quelle in esso contemplate,
ossia la bancarotta fraudolenta per distrazione;
        che,  di  conseguenza, la difesa aveva eccepito che - dovendo
la bancarotta relativa al medesimo fallimento essere considerata come
un  unico  reato  ed  i  singoli episodi in cui essa si articola come
semplici  aggravanti - l'esistenza di ulteriori fatti di distrazione,
rispetto  a  quelli  per  i  quali  gia'  pendeva giudizio davanti al
Tribunale  di Camerino, avrebbe dovuto essere contestata all'imputato
nelle   forme   previste   dall'art. 517   cod.  proc.  pen.  per  la
contestazione delle aggravanti;
        che,  non  essendo  cio'  avvenuto, la contestazione stessa -
sempre  ad  avviso  della  difesa  -  sarebbe  rimasta preclusa: ne',
d'altro  canto,  il Tribunale avrebbe potuto disporre la restituzione
degli atti al pubblico ministero, dato che l'art. 521 cod. proc. pen.
contempla  tale  modus procedendi solo nel caso di fatto diverso o di
contestazione  effettuata  fuori delle ipotesi consentite, ma mai per
la mancata contestazione di un'aggravante;
        che  l'azione  penale  successivamente promossa risulterebbe,
dunque  - secondo il conclusivo assunto difensivo - improcedibile, in
quanto  avente  ad  oggetto  un  reato  che, configurandosi come mera
aggravante   di   quello  per  il  quale  l'imputato  e'  gia'  stato
condannato, non potrebbe dar luogo ad un'autonoma imputazione, stante
il disposto degli artt. 15 e 84 cod. pen;
        che,  ad  avviso  del rimettente, tale eccezione non potrebbe
peraltro  essere accolta, in quanto - alla stregua di un orientamento
interpretativo  che il giudice a quo ritiene qualificabile in termini
di  "diritto  vivente" l'unificazione disposta dall'art. 219, secondo
comma, numero 1), della legge fallimentare opererebbe solamente quoad
poenam;  e  non  implicherebbe  il  venir  meno,  ad ogni altro fine,
dell'"ontologica"   autonomia   dei   singoli  fatti  di  bancarotta,
facendoli confluire in una ipotesi di reato complesso;
        che la sequenza procedimentale posta in essere, nella specie,
dal  Tribunale e dal pubblico ministero andrebbe considerata pertanto
corretta:  con  la  conseguenza,  peraltro, che all'imputato - la cui
responsabilita'  per  gli  ulteriori  fatti  distrattivi  ascrittigli
risulterebbe  comprovata  dalle  risultanze  processuali  -  dovrebbe
essere  inflitta  una pena autonoma rispetto a quella irrogatagli con
la  precedente  sentenza  di condanna, e non gia' un mero aumento nei
sensi  previsti  dall'art. 219, secondo comma, numero 1), della legge
fallimentare, ovvero dall'art. 81, secondo comma, cod. pen. (riguardo
all'ipotesi della continuazione);
        che  siffatto  assetto  normativo  si  porrebbe, tuttavia, in
contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost;
        che  l'irrogazione  di  una  pena  autonoma  o di un semplice
aumento  finirebbe infatti per dipendere dalla circostanza, puramente
casuale,  che  i diversi fatti di bancarotta vengano contestati in un
unico  procedimento, ovvero in differenti procedimenti non riunibili:
con  una  conseguente  irragionevole discriminazione tra soggetti che
pure si trovano nella medesima situazione sostanziale;
        che  la  "duplicazione"  di  pena,  cui  si  assisterebbe nel
secondo  caso,  confliggerebbe, inoltre, con la finalita' rieducativa
assegnata  dalla Costituzione alla sanzione criminale: finalita' che,
per  un  verso,  non  potrebbe  considerarsi  propria della sola fase
esecutiva,   ma   investirebbe   anche   quella   della  comminatoria
legislativa  e  della  concreta  irrogazione;  e, per un altro verso,
implicherebbe,  alla  luce del necessario collegamento tra l'art. 27,
terzo  comma,  e  l'art. 25,  secondo comma, Cost., che la pena debba
risultare proporzionata alla gravita' del fatto commesso;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione sia dichiarata non fondata.
    Considerato che il giudice rimettente, nel sottoporre a scrutinio
di  costituzionalita',  per  asserito contrasto con gli artt. 3 e 27,
terzo  comma,  Cost.,  gli  artt. 216, primo comma, numero 1), e 219,
secondo  comma,  numero  1),  della  legge  fallimentare,  invoca una
pronuncia  additiva  che  consenta  al giudice della cognizione - nel
caso  di  contestazione  al  medesimo  soggetto  di  diversi fatti di
bancarotta per distrazione in procedimenti separati e non riunibili -
di  applicare la disciplina del reato continuato, di cui all'art. 81,
secondo comma, cod. pen., "ovvero" quella del giudizio di valenza tra
l'aggravante  prevista dal citato art. 219, secondo comma, numero 1),
della legge fallimentare ed eventuali attenuanti;
        che  in  tal  modo,  il  giudice  a quo prospetta, onde porre
rimedio  alla denunciata violazione dei parametri costituzionali, due
distinte soluzioni in rapporto di alternativita' irrisolta, tanto sul
piano  formale  che  su quello sostanziale: e' lo stesso rimettente a
rimarcare,  infatti, come l'art. 219, secondo comma, numero 1), della
legge  fallimentare  detti  una  disciplina  speciale,  derogativa di
quella  ordinaria,  non  soltanto sul concorso di reati, ma anche sul
reato  continuato;  il  che  logicamente  esclude  la possibilita' di
un'applicazione congiunta, nell'ipotesi considerata, dei due istituti
evocati    nella   formulazione   della   questione   (regime   della
continuazione e del reato circostanziato);
        che    la   questione   deve   essere   pertanto   dichiarata
manifestamente  inammissibile, in quanto prospettata in modo ancipite
(cfr.,  ex  plurimis,  ordinanze n. 366 del 2002; n. 227 e n. 322 del
2001).
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.