ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 459 e 460 del
codice   di   procedura  penale,  promossi,  nell'ambito  di  diversi
procedimenti  penali,  dal  Tribunale  di  Taranto e dal Tribunale di
Macerata   con   ordinanze   in  data  28 maggio  e  19  giugno 2002,
rispettivamente iscritte al n. 379 e al n. 452 del registro ordinanze
2002  e  pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36 e
n. 41, 1a serie speciale, dell'anno 2002.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 13 marzo 2003 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  con  ordinanza del 28 maggio 2002 (r.o. n. 379 del
2002)  il  Tribunale  di  Taranto,  su  eccezione  della  difesa,  ha
sollevato,  in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, terzo comma, della
Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale  degli
artt. 459  e  460  del codice di procedura penale, nella parte in cui
non  prevedono  la  nullita'  della  richiesta  di decreto penale del
pubblico  ministero  e  del successivo decreto del giudice in caso di
omissione  dell'avviso  di  conclusione  delle  indagini preliminari,
ovvero  dell'invito a presentarsi per rendere interrogatorio ai sensi
dell'art. 375,   comma 3,   cod.   proc.  pen.,  qualora  la  persona
sottoposta  alle  indagini lo abbia richiesto entro il termine di cui
al comma 3 dell'art. 415-bis cod. proc. pen;
        che ad avviso del rimettente le modifiche apportate al codice
di  procedura penale dalla legge 19 dicembre 1999, n. 479, e il nuovo
art. 111  Cost.  consentono di ritenere la non manifesta infondatezza
della questione di costituzionalita' prospettata, nonostante la Corte
costituzionale  abbia  respinto  analoghe  questioni con le ordinanze
n. 326 e n. 325 del 1999 e n. 432 del 1998;
        che,  in  particolare,  il  terzo  comma  dell'art. 111 Cost.
assicurerebbe   all'accusato   di  un  reato  il  diritto  ad  essere
informato,  nel  piu'  breve  tempo  possibile,  riservatamente,  "ma
soprattutto  prima  della  conclusione  delle  indagini preliminari",
della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico;
        che  l'attuazione  di  tale  precetto  costituzionale sarebbe
assicurata,  nel procedimento ordinario, dalla disciplina dell'avviso
di  conclusione  delle  indagini  preliminari, introdotto dalla legge
n. 479 del 1999;
        che  nel  procedimento  per  decreto la mancata previsione, a
pena di nullita', dell'avviso di cui all'art. 415-bis cod. proc. pen.
violerebbe  percio'  l'art. 3  Cost.  per  l'evidente  disparita'  di
trattamento  tra l'imputato nei cui confronti e' emesso il decreto di
condanna  e  l'imputato  tratto  a  giudizio  con le forme ordinarie,
nonche'  gli  artt. 24  e  111,  terzo  comma,  Cost.,  in quanto "la
"assolutezza"  del  livello  di  tutela costituzionale del diritto di
difesa"  mal si concilia con un procedimento in cui la tutela di tali
diritti  e'  ""differita"  ad  un  contesto  dibattimentale  soltanto
eventuale",  si'  che  l'imputato  e'  privato  del diritto di essere
informato  della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico
nel  piu'  breve  tempo  possibile,  e  comunque  entro la fase delle
indagini preliminari;
        che analoga questione e' stata sollevata con ordinanza del 19
giugno 2002  (r.o.  n. 452  del  2002)  dal Tribunale di Macerata, il
quale  dubita  della  legittimita'  costituzionale dell'art. 459 cod.
proc.  pen.,  nella  parte  in  cui  non  prevede  "quale adempimento
"pregiudiziale"  all'esercizio  dell'azione  penale  sotto  forma  di
richiesta  di  decreto  penale di condanna" che all'imputato sia dato
avviso   di   conclusione   delle   indagini   preliminari   a  norma
dell'art. 415-bis cod. proc. pen;
        che   ad   avviso   del  tribunale  l'assetto  normativo  del
procedimento per decreto, "unico modello di esercizio dell'azione che
non   prevede   "comunicazioni   obbligatorie"   all'indagato   quale
presupposto   di   validita'  dell'azione  stessa",  si  porrebbe  in
contrasto  con  gli  artt. 3,  24, secondo comma, e 111, terzo comma,
Cost.,  in  quanto,  "in antitesi con il modello processuale "minimo"
delineato  dall'art. 111  Cost.", determina disparita' di trattamento
tra soggetti nei cui confronti l'azione penale e' esercitata mediante
richiesta  di  decreto penale di condanna e "soggetti che beneficiano
del  diritto  all'informazione sull'accusa previsto dall'art. 415-bis
cod.  proc.  pen." e impedisce una effettiva esplicazione del diritto
di  difesa, privando l'indagato del suo diritto ad interloquire sulla
decisione  relativa  all'esercizio dell'azione penale e pregiudicando
la ricerca e l'acquisizione delle fonti di prova a sua difesa;
        che  nei  giudizi  e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate.
    Considerato   che   il   dubbio  di  legittimita'  costituzionale
prospettato  da  entrambi  i rimettenti investe la mancata estensione
della  disciplina  dell'avviso  di cui all'art. 415-bis del codice di
procedura penale al procedimento per decreto;
        che,  essendo  le  questioni  sollevate sulla base di censure
sostanzialmente  analoghe,  va  disposta  la  riunione  dei  relativi
giudizi;
        che con l'ordinanza n. 32 del 2003, successiva alle ordinanze
di  rimessione,  la  Corte  ha  dichiarato  manifestamente  infondata
questione  analoga,  rilevando  che,  precedentemente  alla  modifica
dell'art. 111   della   Costituzione   aveva   gia'  escluso  che  il
procedimento  monitorio,  configurato  come  rito  a  contraddittorio
eventuale e differito ed improntato a criteri di economia processuale
e di massima speditezza, si ponesse in contrasto con gli artt. 3 e 24
Cost;
        che, in particolare, la Corte aveva osservato che "l'esigenza
di  garantire  la conoscenza dell'indagine [...] si trasferisce [...]
sulla  fase  processuale, conseguente all'esercizio dell'opposizione,
operando  il  decreto  solo  quale mezzo di contestazione dell'accusa
definitiva  [...],  che  e'  essenziale  per  garantire il diritto di
difesa",   e   che  "il  decreto  penale  costituisce  una  decisione
preliminare,  soggetta  a  opposizione,  cosicche'  l'esperimento dei
mezzi di difesa, con la stessa ampiezza dei procedimenti ordinari, si
colloca  nel  vero  e proprio giudizio che segue all'opposizione" (v.
ordinanza  n. 432 del 1998 ed i precedenti ivi menzionati, nonche' le
successive ordinanze n. 325, n. 326 e n. 458 del 1999);
        che,   con  specifico  riferimento  alla  mancata  previsione
dell'avviso  di  cui  all'art. 415-bis cod. proc. pen., richiamandosi
anche  a questioni di costituzionalita' concernenti la disciplina del
giudizio  immediato (ordinanza n. 203 del 2002), nell'ordinanza n. 32
del  2003  la  Corte  ha sottolineato che "l'innesto della disciplina
dell'avviso  di conclusione delle indagini nel procedimento monitorio
ne   snaturerebbe  la  struttura  e  le  finalita',  inserendovi  una
procedura   incidentale   che   potrebbe   determinare  una  notevole
dilatazione temporale, e si sostanzierebbe in una garanzia che, oltre
ad  essere  costituzionalmente  non imposta, si rivelerebbe del tutto
incongrua rispetto ai caratteri del rito speciale";
        che,  quanto alle censure riferite all'art. 111, terzo comma,
Cost.,  la Corte, richiamando l'ordinanza n. 8 del 2003 (con la quale
sono  state dichiarate manifestamente infondate numerose questioni di
legittimita' costituzionale della medesima disciplina, nella parte in
cui  non  consente  alla  difesa  dell'imputato di interloquire sulla
richiesta  del  pubblico  ministero  prima  che  il giudice emetta il
decreto  penale di condanna), ha osservato che "in via generale [...]
il  dettato  del terzo comma non esclude che il diritto dell'indagato
di  essere  informato  nel  piu'  breve  tempo  possibile  dei motivi
dell'accusa   possa   essere   variamente  modulato  dal  legislatore
ordinario  in  relazione  ai  singoli  riti  alternativi"  e  che "la
disciplina  del procedimento per decreto non si pone in contrasto con
il  secondo e terzo comma di tale norma, in quanto il decreto penale,
al  di  la'  della  denominazione  formale  di "decreto di condanna",
costituisce una sorta di decisione "preliminare", destinata ad essere
posta  nel  nulla  ove sia proposta opposizione ed a svolgere in tale
caso la mera funzione di informazione dei motivi dell'accusa";
        che,  non  risultando  profili  diversi  o  aspetti ulteriori
rispetto a quelli gia' valutati con la precedente ordinanza n. 32 del
2003, la questione va dichiarata manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.