ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1,
primo   periodo,   della   legge   26 luglio   1975,   n. 354  (Norme
sull'ordinamento   penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle  misure
privative   e   limitative   della   liberta),  come  modificato  dal
decreto-legge  8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto
1992,   n. 356,   promosso,   nell'ambito   di   un  procedimento  di
sorveglianza,  dal Tribunale di sorveglianza di Firenze con ordinanza
del  6 marzo  2002,  iscritta al n. 502 del registro ordinanze 2002 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, 1ª serie
speciale, dell'anno 2002.
    Udito  nella  camera di consiglio del 26 febbraio 2003 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Il  Tribunale  di  sorveglianza  di Firenze ha sollevato, in
riferimento  all'art. 27,  terzo comma, della Costituzione, questione
di   legittimita'   costituzionale  dell'art. 4-bis,  comma 1,  primo
periodo,  della  legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento
penitenziario  e sulla esecuzione delle misure privative e limitative
della  liberta),  come  modificato  dal  decreto-legge 8 giugno 1992,
n. 306,  convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, nella parte in
cui  impedisce,  in  assenza  della collaborazione con la giustizia a
norma  dell'art. 58-ter  del  medesimo ordinamento, l'ammissione alla
liberazione  condizionale  dei  soggetti condannati all'ergastolo per
taluno  dei  delitti  indicati  nel  medesimo comma 1, primo periodo,
dell'art. 4-bis.
    Il  rimettente  premette  di essere investito di una richiesta di
liberazione  condizionale  presentata da un soggetto che sta espiando
la  pena  dell'ergastolo  per  effetto  di  due  condanne (la prima a
ventisei  anni  di reclusione e la seconda a pena perpetua), entrambe
per  sequestro  di  persona a scopo di estorsione, e che non si trova
nelle    condizioni    previste   dall'art. 58-ter   dell'ordinamento
penitenziario.  Al  riguardo,  il  giudice  a  quo  precisa  di avere
proceduto,  attraverso l'amministrazione penitenziaria, a sollecitare
il  condannato  a collaborare con la giustizia al fine di chiarire la
vicenda  relativa  al  secondo  sequestro,  per  il  quale  l'istante
«potrebbe  (e  dovrebbe,  se vuole vedere accolta la propria istanza)
dire  assai  di  piu' di quanto non ha detto», ma tale sollecitazione
era rimasta senza esito.
    Nell'ordinanza  si  espone inoltre che il condannato ha fruito di
permessi premio dal 1987, salvo due periodi di interruzione a seguito
dell'entrata  in vigore del decreto-legge n. 306 del 1992, convertito
nella  legge  n. 356  del  1992,  e  successivamente  a  causa  della
sottoposizione  tra  il  1993 e il 1994 al «regime di alta sicurezza,
con sospensione dei benefici di legge», per un'estorsione in danno di
un altro detenuto commessa nel 1993, oggetto di condanna a due anni e
sei  mesi di reclusione inflitta con sentenza divenuta definitiva nel
1998.
    Cio'   premesso,   il  rimettente  rileva  che  l'ammissione  del
condannato   alla   liberazione   condizionale   e'   preclusa  dalla
disposizione censurata in quanto:
        tale  disposizione  e' applicabile, secondo la giurisprudenza
prevalente,  anche  alla  liberazione  condizionale  in ragione della
natura  mobile  del  rinvio  contenuto  nell'art. 2 del decreto-legge
n. 152  del  1991  all'art. 4-bis,  si' che anche in relazione a tale
beneficio   e'   operante  la  condizione  che  il  condannato  abbia
collaborato con la giustizia;
        il   condannato   non   si   trova   in   una  situazione  di
collaborazione  inesigibile  e,  in particolare, in una situazione di
impossibilita'   di   collaborare   in   conseguenza   dell'integrale
accertamento dei fatti alla stregua della sentenza n. 68 del 1995;
        non   puo'   trovare  applicazione  nel  caso  di  specie  la
giurisprudenza  costituzionale  secondo  cui  anche  in  assenza  del
requisito  della  collaborazione possono essere ammessi ai benefici e
alle   misure   alternative   alla   detenzione  di  cui  al  capo VI
dell'ordinamento penitenziario i condannati che prima dell'entrata in
vigore  del  decreto-legge  n. 306  del  1992, convertito nella legge
n. 356  del 1992, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato
al beneficio richiesto (sentenza n. 445 del 1997), poiche' se e' vero
che il condannato prima della legge di modifica «era avviato da tempo
su un percorso riabilitativo», a seguito della condanna riportata per
i  fatti  commessi  nel 1993 si e' determinata una interruzione della
continuita'  di tale percorso nella fase e nel grado gia' maturati in
precedenza.
    Il  Tribunale  precisa  di  aver gia' sollevato nell'ambito dello
stesso    procedimento    identica    questione    di    legittimita'
costituzionale, dichiarata manifestamente inammissibile con ordinanza
n. 359  del  2001  per  difetto  di rilevanza, in quanto condizionata
dall'esito del procedimento sulla revoca della liberazione anticipata
conseguente  alla condanna per il reato commesso durante l'esecuzione
della pena.
    Intervenuta   la   decisione   di  non  revocare  la  liberazione
condizionale,  il rimettente ripropone la questione dando atto che il
condannato  ha  superato  il limite di ventisei anni di pena previsto
dall'art. 176   cod.   pen.   per   l'ammissione   alla   liberazione
condizionale.
    2. - In  ordine  alla  non  manifesta infondatezza, il rimettente
rileva  che  l'art. 4-bis,  comma 1,  primo periodo, dell'ordinamento
penitenziario,  impedendo  l'ammissione alla liberazione condizionale
dei  condannati  all'ergastolo  che non collaborano con la giustizia,
rende  «effettivamente»  perpetua  la  pena  nei  confronti  di  tali
soggetti.
    La  disciplina censurata determinerebbe percio' una situazione in
tutto  analoga  a  quella  presa  in esame dalla sentenza della Corte
costituzionale  n. 161  del  1997,  che ha dichiarato, in riferimento
all'art. 27,  terzo  comma,  Cost.,  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 177,  primo comma, ultimo periodo, del codice penale, nella
parte  in cui non prevede che il condannato alla pena dell'ergastolo,
cui  sia  stata  revocata  la  liberazione condizionale, possa essere
nuovamente  ammesso  a  fruire  del  beneficio  ove  ne  sussistano i
relativi presupposti.
    A  giudizio  del  rimettente,  il  divieto  di  concessione della
liberazione    condizionale    in   assenza   del   requisito   della
collaborazione con la giustizia e' causa di una esclusione permanente
ed  assoluta  dei condannati all'ergastolo dal processo rieducativo e
di  reinserimento  sociale,  in  violazione  del  precetto  contenuto
nell'art. 27,   terzo   comma,   Cost.,   cosi'  come  lo  era  prima
dell'intervento della Corte costituzionale il divieto di riammissione
di  tali soggetti alla liberazione condizionale in caso di revoca del
beneficio.
    Il  giudice  a  quo precisa che nella sentenza n. 161 del 1997 la
Corte  ha  infatti  affermato  che «se la liberazione condizionale e'
l'unico  istituto  che in virtu' della sua esistenza nell'ordinamento
rende  non contrastante con il principio rieducativo, e dunque con la
Costituzione,   la   pena   dell'ergastolo,   vale  evidentemente  la
proposizione  reciproca,  secondo  cui  detta  pena  contrasta con la
Costituzione  ove,  sia  pure  attraverso il passaggio per uno o piu'
esperimenti  negativi, fosse totalmente preclusa, in via assoluta, la
riammissione del condannato alla liberazione condizionale».
    Del  resto  gia' in precedenza - ricorda il rimettente - la Corte
costituzionale  aveva sottolineato come l'ammissione alla liberazione
condizionale  rivesta  valore preminente ai fini della compatibilita'
dell'ergastolo  con  la Costituzione e aveva affermato che sulla base
dell'art. 27,   terzo   comma,   Cost.  va  riconosciuto  in  capo al
condannato  il diritto «a che verificandosi le condizioni poste dalla
norma  di diritto sostanziale, il protrarsi della realizzazione della
pretesa punitiva venga riesaminato al fine di accertare se in effetti
la  quantita'  di  pena espiata abbia o meno assolto positivamente al
suo fine rieducativo» (sentenza n. 204 del 1974).
    Nell'affermazione della Corte vi sarebbe dunque il riconoscimento
di un vero e proprio «diritto soggettivo che trova la sua fonte nella
Costituzione»,   il  quale  tuttavia  per  effetto  della  disciplina
censurata si traduce, secondo il rimettente, in un «diritto a rischio
di non-fruizione».

                       Considerato in diritto

    1. - Il   Tribunale  di  sorveglianza  di  Firenze  sottopone  al
giudizio  di questa Corte l'art. 4-bis, comma 1, primo periodo, della
legge  26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e
sulla  esecuzione delle misure privative e limitative della liberta),
come  modificato  dal decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito
nella  legge  7 agosto  1992,  n. 356, nella parte in cui, in assenza
della  collaborazione  con  la giustizia a norma dell'art. 58-ter del
medesimo  ordinamento  penitenziario, non consente al condannato alla
pena  dell'ergastolo  per uno dei delitti indicati nella disposizione
censurata di essere ammesso alla liberazione condizionale.
    Il rimettente afferma che secondo la giurisprudenza prevalente la
collaborazione  con la giustizia e' condizione anche per l'ammissione
al  beneficio della liberazione condizionale (stante la natura mobile
del  rinvio  operato  dall'art. 2  del  decreto-legge 13 maggio 1991,
n. 152,  convertito  con  modificazioni  nella  legge 12 luglio 1991,
n. 203,  all'art. 4-bis,  comma 1,  dell'ordinamento penitenziario) e
che  il  condannato  non si trova in una situazione di collaborazione
inesigibile  alla  stregua  della sentenza n. 68 del 1995, ne' in una
situazione   in   cui   potrebbe   essere  ammesso  alla  liberazione
condizionale  per  avere raggiunto prima dell'entrata in vigore della
disciplina  censurata  un grado di rieducazione adeguato al beneficio
richiesto (sentenza n. 445 del 1997).
    Cio'  posto,  il  giudice a quo rileva che l'art. 4-bis, comma 1,
primo    periodo,    dell'ordinamento    penitenziario,   precludendo
l'ammissione    alla    liberazione   condizionale   dei   condannati
all'ergastolo   che   non   collaborano   con   la  giustizia,  rende
effettivamente  perpetua  la pena nei loro confronti, escludendoli in
via  permanente dal processo rieducativo, in contrasto con l'art. 27,
terzo comma, Cost.
    Ad  avviso del rimettente, la disciplina impugnata determinerebbe
una  situazione del tutto analoga a quella scrutinata dalla Corte con
la  sentenza  n. 161  del  1997,  che  ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 177, primo comma, ultimo periodo, del codice
penale,  nella  parte  in cui non prevede che il condannato alla pena
dell'ergastolo,  cui  sia stata revocata la liberazione condizionale,
possa  essere  nuovamente  ammesso  a  fruire  del  beneficio  ove ne
sussistano   i   relativi   presupposti,   perche'   tale  disciplina
determinava appunto una esclusione permanente e assoluta dal processo
rieducativo, in violazione dell'art. 27, terzo comma, Cost.
    2. - E' opportuno precisare che, successivamente all'ordinanza di
rimessione, il comma 1 dell'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario
e' stato integralmente sostituito dall'art. 1 della legge 23 dicembre
2002,  n. 279; ma per quanto rileva ai fini della presente questione,
l'intervento  legislativo  non ha modificato la disciplina censurata,
in quanto si e' limitato a recepire il contenuto delle sentenze della
Corte  costituzionale n. 357 del 1994 e n. 68 del 1995, ammettendo il
condannato  ai benefici penitenziari anche nelle situazioni in cui la
limitata   partecipazione   al  fatto  criminoso  ovvero  l'integrale
accertamento   dei  fatti  e  delle  responsabilita'  rende  comunque
impossibile un'utile collaborazione con la giustizia.
    3. - La questione e' infondata.
    4. - Diversamente  da quanto mostra di ritenere il rimettente, la
preclusione all'ammissione alla liberazione condizionale che discende
dalla  disciplina  censurata  non  e' equiparabile al divieto che era
previsto  dall'art. 177, primo comma, cod. pen. prima dell'intervento
della sentenza n. 161 del 1997.
    L'art. 177,   primo   comma,   cod.   pen.  e'  stato  dichiarato
illegittimo  con  la menzionata sentenza in quanto, nel prevedere che
in  caso  di  revoca  della liberazione condizionale conseguente alla
commissione  di  un  delitto  o  di  una contravvenzione della stessa
indole,  ovvero  alla  trasgressione  degli  obblighi  inerenti  alla
liberta'  vigilata,  la  posizione  del  condannato non poteva essere
riesaminata  ai fini di una nuova ammissione al beneficio, dettava un
divieto assoluto e definitivo, come tale incompatibile con l'art. 27,
terzo comma, Cost.
    Al  contrario,  la preclusione prevista dall'art. 4-bis, comma 1,
primo  periodo, dell'ordinamento penitenziario non e' conseguenza che
discende  automaticamente  dalla  norma  censurata,  ma  deriva dalla
scelta   del   condannato  di  non  collaborare,  pur  essendo  nelle
condizioni  per  farlo:  tale  disciplina  non  preclude  pertanto in
maniera  assoluta  l'ammissione al beneficio, in quanto al condannato
e' comunque data la possibilita' di cambiare la propria scelta.
    La   giurisprudenza  costituzionale  in  tema  di  collaborazione
impossibile,  irrilevante  o  comunque  oggettivamente inesigibile e'
significativamente  volta  ad  escludere  qualsiasi automatismo degli
effetti  nel  caso  in cui la mancata collaborazione non possa essere
imputata  ad  una libera scelta del condannato. Nelle sentenze n. 306
del  1993,  n. 357  del  1994,  n. 68  del  1995  la Corte ha appunto
individuato  varie  ipotesi  di  impossibilita'  di prestare un'utile
collaborazione  (perche'  fatti  e  responsabilita'  sono  gia' stati
completamente   accertati,  ovvero  perche'  la  posizione  marginale
nell'organizzazione  criminale  non  consente  di  conoscere  fatti e
compartecipi  al livello superiore, ipotesi che, come detto, sono ora
tutte  normativamente previste). La Corte ha poi chiarito, proprio in
tema  di  liberazione condizionale, che «ancorare alla collaborazione
la  stessa  astratta possibilita' di fruire di fondamentali strumenti
rieducativi,  ha  un  senso  solo  ove  [...]  si versi in ipotesi di
«collaborazione  oggettivamente esigibile», giacche' un comportamento
che  il  legislatore presupponga come condizionante l'applicazione di
istituti  costituzionalmente rilevanti, non puo' che essere frutto di
una   libera   scelta  dell'interessato  e,  quindi,  essere  in  se'
naturalisticamente  e giuridicamente «possibile»» (sentenza n. 89 del
1999).
    Alla  luce  di  tali principi, non vi e' dubbio che la disciplina
censurata non impedisce in maniera assoluta e definitiva l'ammissione
alla  liberazione  condizionale, ma ancora il divieto alla perdurante
scelta  del  soggetto di non collaborare con la giustizia; scelta che
e'  assunta  dal  legislatore a «criterio legale di valutazione di un
comportamento   che   deve  necessariamente  concorrere  ai  fini  di
accertare  il  "sicuro ravvedimento" del condannato» (sentenza n. 273
del  2001). A condizione, beninteso, che la scelta se prestare o meno
la  collaborazione sia oggettivamente e giuridicamente possibile, nei
termini  sopra precisati; termini che lo stesso rimettente afferma di
aver verificato, escludendo che il condannato versi in una situazione
di  collaborazione  inesigibile  e  segnalando,  in  particolare, che
avrebbe potuto e dovuto «dire assai di piu' di quanto non ha detto».
    5. - Conclusivamente   la   disciplina   censurata,  subordinando
l'ammissione alla liberazione condizionale alla collaborazione con la
giustizia, che e' rimessa alla scelta del condannato, non preclude in
modo  assoluto  e  definitivo  l'accesso al beneficio, e non si pone,
quindi,   in   contrasto   con  il  principio  rieducativo  enunciato
dall'art. 27, terzo comma, Cost.