IL TRIBUNALE

    Sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 6 dicembre 2002 in
ordine  all'eccezione  di  illegittimita' costituzionale dell'art. 14
comma  5-ter  decreto  legislativo n. 286/1998 per asserito contrasto
con  gli  artt. 2,  3  e  27  commi 1 e 2 della Cost. (cosi' definita
«inesigibilita'  della  condotta»)  -  25  e 24 Cost. (violazione del
principio  di tassativita' e determinatezza della norma penale) degli
artt. 3, 13, 27 comma 3 Cost. (eccessivita' della pena);

                            O s s e r v a

    In  data  31  ottobre  2002,  verso le ore 15, personale della II
sezione del N.O.P. della questura di Torino procedeva ad un controllo
all'interno  del pubblico locale denominato «Rayshtan Tandori» di via
Berthollet  e  fermava  Zidane  Mohamed nato a Casablanca il 22 marzo
1972 perche' privo di permesso di soggiorno e documenti d'identita'.
    Dagli  accertamenti esperiti immediatamente dopo risultava che il
soggetto   extracomunitario   era  stato  raggiunto  dall'ordine  del
Questore  di  Torino datato 22 ottobre 2002 di lasciare il territorio
dello Stato entro cinque giorni e non vi aveva ottemperato.
    A questo punto, il giovane veniva arrestato e presentato a questo
giudice  per  il  giudizio  direttissimo  in  data  2  novembre  2002
allorquando  veniva  convalidato  l'arresto.  Contestualmente  veniva
disposta  l'immediata  liberazione  dell'imputato se non detenuto per
altra causa.
    Il difensore chiedeva, a questo punto,termine a difesa al fine di
consentire  al  difensore  di  fiducia  dello Zidane di presenziare e
anche  anticipando la volonta' di sollevare questione di legittimita'
costituzionale  della  norma  violata.  In  data  4 novembre 2002, il
difensore  di  fiducia  chiedeva  ulteriore  termine  per studiare la
questione  di  legittimita'  costituziole,  anticipando  che, in ogni
caso,  era  munito  di  procura  speciale  per richiedere il giudizio
abbreviato.
    In data 6 dicembre 2002, il difensore prospettava la questione in
esame e chiedeva rimettersi gli atti alla Corte costituzionale per le
ragioni che di seguito si riassumono.
    La   difesa   lamenta  che  la  norma  in  esame  sia  del  tutto
indeterminata,   non   sussistendo   criteri  selettivi  e  parametri
oggettivi  di  apprezzamento a cui far riferimento per comprendere in
cosa  esattamente  consista  il  «giustificato motivo» la cui assenza
concreta  la  condotta  punibile e la cui eventuale presenza dovrebbe
intendersi quale causa scriminante.
    Non  si  condivide il percorso argomentativo, atteso che in altri
casi  il  legislatore  ha  usato  formule volutamente generiche (vedi
l'art. 4  legge n. 110/1975) rimettendo al prudente apprezzamento del
giudice  la  valutazione  caso  per  caso  dell'esistenza  o meno del
suddetto  «giustificato  motivo»:  appare incongruo pretendere che il
legislatore  elenchi  (rischiando  ovviamente di tralasciare casi, in
ipotesi,   altrettanto   meritevoli   di   considerazione)  tutte  le
innumerevoli  ragioni  per le quali la norma potrebbe lecitamente non
essere osservata.
    Del pari, non si condivide la doglianza relativa al profilo della
supposta  eccessivita'  della  pena,  ritenuto  che  questo parametro
rientri  nella  propria  ed  esclusiva  competenza  del legislatore e
rilevato  che  nel  caso  in  esame  si  e'  veramente  lontani dalla
violazione  di  quei  criteri  di  umanita' e conseguente inefficacia
degli  intenti rieducativi, richiamati dal secondo comma dell'art. 27
della Costituzione.
    Ne'  si  possono  dimenticare  la  particolare insidiosita' della
condotta  in esame e la sua preoccupante diffusione che sostengono la
scelta legislativa.
    Completamente  diverso e meritevole di accoglimento appare invece
il  profilo  che  si  potrebbe  definire  della «inesigibilita» della
condotta  imposta  al  cittadino  extracomunitario:  invero,  secondo
l'iter  amministrativo  che  regola  i  casi in esame (art. 14, comma
5-bis   decreto  legislativo  n. 286/1998),  intanto  si  punisce  lo
straniero che, senza giustificato motivo, si trattiene sul territorio
dello  Stato,  nonostante  l'ordine  di  espulsione,  in quanto siano
decorsi 60 giorni senza che sia stato possibile eseguire l'espulsione
stessa.
    In  altre  parole,  quando  non e' possibile trattenere presso un
centro di permanenza temporanea lo straniero e non si e' riusciti per
i  motivi piu' diversi (impossibilita' di munirlo di valido documento
anche per mancata cooperazione delle autorita' consolari interessate,
mancanza  di  energie economiche per dotare tutti i destinatari della
norma  di  biglietto  di viaggio) si ricorre alla «speranza» di buona
volonta'  dell'extracomunitario,  punendolo pero' con sanzione penale
nel  momento  in  cui  dimostri  il pervicace intento di disattendere
l'ordine.
    Come  si  puo' notare, quella che dovrebbe essere un'eccezione e'
diventata la regola, anche perche' non si dubita che in nessun caso -
quanto meno - si tenti la prima parte della procedura.
    Quindi,    tutta    la   complessa   rappresentazione   dell'iter
amministrativo  secondo  cui  in prima battuta e' lo Stato con i suoi
propri  mezzi  a dover far fronte al dilagante fenomeno resta lettera
morta.
    Come  se  non  bastasse,  lo  straniero  dovrebbe miracolosamente
eseguire tutto cio' in soli cinque giorni.
    Orbene,  appare  davvero inesigibile che si chieda ad un soggetto
che  potrebbe  versare  in  condizioni  di  indigenza (come purtroppo
normalmente  si  verifica)  di  munirsi  di biglietto di viaggio e di
documenti, laddove nemmeno lo Stato e' riuscito in un termine davvero
piu'  cospicuo  e  con  la  possibilita', almeno teorica, di superare
tutta  una serie di barriere burocratiche, ad eseguire il «precetto».
Pertanto, si ritiene prospettabile una violazione dell'art. 27, primo
comma  Cost.,  introducendosi,  in  buona  sostanza,  una  ipotesi di
responsabilta' oggettiva.
    Ne  consegue  che  uno  straniero  che volesse, nonostante tutto,
eseguire  l'ordine  per non incorrere nella sanzione penale, dovrebbe
senza   alternative   commettere   altri   illeciti:   per   esempio,
attraversare  uno  dei  Paesi confinanti con il Nostro e regolati dal
trattato  di Schengen senza documenti o clandestinamente approfittare
di un vettore qualsiasi.
    Se,  poi,  il legislatore intendesse che, semplicemente, di volta
in  volta,  il destinatario della norma, dopo essere stato arrestato,
dimostrasse  al  giudice  di  versare  in una delle condizioni appena
descritte,  il  precetto  si  svuoterebbe  di  contenuto  perche' non
occorre  spendere  molte  parole  per  illustrare quanto comuni siano
queste situazioni.
    Ne'  appare  trascurabile,  a  questo  punto,  il  dato che cosi'
ragionando  si  determinerebbe un'irragionevole inversione dell'onere
della prova a carico dello straniero.
    Infine  appare evidente l'intasamento degli uffici giudiziari con
i   conseguenti   costi   attinenti   l'assistenza  giudiziaria,  del
traduttore  e delle scorte per dare concreta attuazione alla norma in
esame con violazione dell' art. 97, primo comma della Costituzione.
    Per  tutte  le ragioni sopra esposte, la prospettata questione di
violazione  degli  artt. 2  (  sotto  il  profilo  della  mancanza di
solidarieta'  sociale ed economica), 3, (disparita' di trattamento) e
27  (introduzione  di  casi di responsabilita' oggettiva) nonche' 97,
primo   comma  Cost.  (buon  andamento  dell'amministrazione)  appare
rilevante e non manifestamente infondata.