IL TRIBUNALE Nel procedimento ex art. 310 c.p.p. promosso dal difensore nell'interesse di Mancuso Diego nato a Limbadi (Vibo Valentia) il 18 febbraio 1953; detenuto presso la casa circondariale di Pesaro; assistito e difeso dall'avv. Vincenzo Gennaro del foro di Vibo Valentia; con atto depositato in data 9 dicembre 2002 avverso l'ordinanza emessa da g.i.p. presso il Tribunale di Milano in data 3 dicembre 2002 con la quale veniva respinta l'istanza di scarcerazione per decorrenza del termine di fase della custodia cautelare in carcere disposta in relazione ai reati di cui agli artt. 416, commi 1, 2, ultimo comma c.p., 7 legge 12 luglio 1991, n. 203 (associazione per delinquere finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di truffe aggravate, accreditandosi come persone legate alla cosca della «ndrangheta» dei «Mancuso» di Limbadi e prospettando a soggetti titolari di attivita' la possibilita' di ricevere cospicui finanziamenti previo versamento, a titolo di anticipo, di una cauzione da attribuire sia al costo dell'operazione sia come contributo alla «ndrina» dei «Mancuso» che offriva la possibilita' di acquistare denaro «sporco» verso corresponsione di una somma inferiore, costituendo la proposta di finanziamento e di riciclaggio del denaro l'artifizio idoneo a indurre in errore le vittime che, ritenendo di aderire a un'operazione di riciclaggio, anticipavano la somma di denaro richiesta, in particolare Mancuso Diego dirigendo l'associazione di cui era uno dei capi, approvandone il programma, intervenendo nei momenti decisivi di diversi episodi criminosi e procedendo alla divisione dei proventi, su tutto il territorio nazionale nel periodo 1997-1998), 640, 61 n. 7, 110 c.p., 7 legge 12 luglio 1991, n. 203 (truffa di lire 180 milioni ai danni di Benedetto Giuseppe, in Torino nel marzo-luglio 1997), 640, 61 n. 7, 110 c.p., 7 legge 12 luglio 1991, n. 203 (truffa ai danni di Rahmani Mohamed Hassan dal quale si facevano consegnare titoli di credito per lire 400 milioni e tappeti per lire 213 milioni, in Firenze, Genova, Torino dal settembre 1997 al dicembre 1997) 640, 61 n. 7, 110 c.p., 7 legge 12 luglio 1991, n. 203 (truffa ai danni di Danilo Miotto, dal quale si facevano consegnare un caterpillar per un valore di lire 110 milioni, in Sorianello nel febbraio 1998) 640, 61 n. 7, 110 c.p., 7 legge 12 luglio 1991, n. 203 (truffa di lire 600 milioni al danni di Fustinoni Claudio, Magno Luciana, Raimondi Cominesi Angelo, in Bergamo, Galliate, San Giorgio Canadese, dall'aprile al novembre 1997), 640, 61 n. 7, 110 c.p., 7 legge 12 luglio 1991, n. 203 (truffa di oltre lire 80 milioni e di gasolio per un controvalore di lire 120 milioni ai danni di Vincenzo Minardo, in Nicotera, Limbadi, Villa San Giovanni, Gioia Tauro dall'agosto 1997 al febbraio 1998), 640, 61 n. 7, 110 c.p., 7 legge 12 luglio 1991, n. 203 (truffa di diverse centinaia di milioni di lire in assegni, di una partita di macchinette per il caffe' espresso e di una procura a vendere un immobile del valore di diverse centinaia di milioni di lire ai danni di Cicchetti Gabriele, in Cesano Maderno, Limbadi, Ivrea dall'agosto 1997 al maggio 1998), 640, 61 n. 7, 110 c.p., 7 legge 12 luglio 1991, n. 203 (truffa di lire 400 milioni ai danni di Saffioti Vincenzo, in Montecatini, Torino dal dicembre 1997 al febbraio 1998), 640, 61 n. 7, 110 c.p., 7 legge 12 luglio 1991, n. 203 (truffa di lire 200 milioni ai danni di Giacominelli Romano e Ricci Dino, in Santhia', Roma, Carisio, Nicotera e Vibo Valentia dal gennaio 1998 al marzo 1998), 640, 61 n. 7, 110 c.p., 7 legge 12 luglio 1991, n. 203 (truffa di lire 35 milioni in titoli ai danni di Ripepi Paolo, in Genova dall'agosto 1997 al dicembre 1997), tutti reati meglio indicati e descritti nell'impugnato provvedimento coercitivo ai capi 1, 6, 8, 10, 11, 12, 14, 15, 16 e 18; Letti gli atti pervenuti il 12 dicembre 2002; all'esito dell'udienza camerale odierna e sciogliendo la riserva ha emesso la seguente ordinanza. Con l'istanza respinta la difesa chiedeva la scarcerazione di Mancuso per decorrenza del termine di custodia cautelare previsto per la fase delle indagini preliminari, posto che, a seguito del regresso del procedimento a detta fase (a seguito della sentenza dichiarativa di incompetenza territoriale emessa in data 17 ottobre 2002 dalla Corte di appello di Firenze), risultava trascorso il doppio del predetto termine (atteso che Mancuso era stato arrestato per questi fatti in data 12 gennaio 1999). Con il provvedimento impugnato, il g.i.p. respingeva l'istanza richiamandosi all'indirizzo interpretativo di cui alla sentenza della Cassazione a sezioni unite n. 4 del 29 febbraio 2000: sentenza che aveva precisato come, anche a seguito del provvedimento interpretativo di rigetto della Corte cost. n. 292/1998 (che aveva stabilito come il divieto di superamento del doppio dei termini di fase dovesse applicarsi in ogni caso di regresso del procedimento a una fase precedente), ai fini del calcolo relativo alla verifica del superamento del doppio dei termini di fase in caso di regresso, occorresse calcolare i soli periodi relativi a fasi omogenee. Aggiungeva poi il g.i.p. che, dalla stessa successiva sentenza della Cassazione a sezioni unite in data 10 luglio 2002 (con la quale la questione era stata nuovamente rimessa alla Corte costituzionale), si evinceva come il cumulo di tutti i periodi di custodia anche relativi a fasi eterogenee, non fosse il metodo di calcolo previsto dall'art. 304, comma 6 c.p.p. Con l'atto di appello la difesa richiamava e ripercorreva le considerazioni di cui all'ordinanza n. 529 15-22 novembre 2000 della Corte costituzionale, che aveva precisato come il principio enunciato dalle sezioni unite con la citata sentenza n. 4/2000 non fosse quello stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 292/1998 ed occorresse quindi tenere conto anche dei periodi relativi a fasi eterogenee rispetto a quella nella quale era regredito il procedimento. Aggiungeva poi il difensore che, anche in attesa della decisione sulla nuova rimessione della questione alla Corte costituzionale da parte delle sezioni unite, criterio logico avrebbe voluto che si fosse optato per una interpretazione che non fosse a danno del detenuto. Insisteva quindi per la scarcerazione di Mancuso. In udienza la difesa illustrava anche oralmente i motivi di appello e insisteva per l'accoglimento delle precisate conclusioni. Questo tribunale ritiene che debba essere sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 303, comma 2 c.p.p. - nella parte in cui impedisce di computare, ai fini dei termini massimi di fase determinati dal successivo art. 304, comma 6, i periodi di detenzione sofferti in una fase o in un grado diversi da quelli in cui il procedimento e' regredito - e che conseguentemente il presente procedimento incidentale debba essere sospeso in attesa della decisione della Corte costituzionale, ferma restando la misura cautelare in atto. Invero, la lettura delle norme adottata dal g.i.p. presso il Tribunale di Milano nel provvedimento impugnato in adesione all'indirizzo interpretativo della nota sentenza Cass. sez. un. n. 4/2000 - secondo cui la disposizione di cui all'art. 304, comma 6 c.p.p. (contenente il divieto di superamento del doppio del termine di fase) non poteva applicarsi fuori dai casi di sospensione dei termini massimi di custodia cautelare, come esplicitato dalla sedes materiae e dal fatto che l'avverbio «comunque» doveva interpretarsi come «nonostante le sospensioni previste dai commi precedenti» - pur aderente all'indirizzo interpretativo che si era tradizionalmente e pressoche' unanimemente affermato (cfr. ex plurimis Cass. sez. V n. 5057, 14 gennaio 1997 Cavallo, RV 206573; Cass. sez. I n. 4301 28 settembre 1998 Accardo RV 211413; Cass. sez. I n. 2120 23 giugno 1992 Mamare RV 191169), non tiene tuttavia conto della sentenza n. 292/1998 della Corte costituzionale che ha dichiarato l'infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 303, comma 4 c.p.p. in riferimento all'art. 3 Cost. nella parte in cui non prevede che, oltre al superamento del termine complessivo, possa essere causa di scarcerazione anche il superamento del doppio del termine di fase, allorche' si verifichi la regressione del procedimento a norma dell'art. 303, comma 2 c.p.p. («a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione o per altra causa» e quindi anche nel caso, come quello di specie, di regresso a seguito di dichiarazione di incompetenza territoriale) e di tutta l'evoluzione giurisprudenziale a cio' seguita, non esauritasi dopo la pronuncia della sentenza Musitano. Sintetizzando brevemente i termini della questione, occorre osservare che, con la citata sentenza n. 292/1998 la Corte costituzionale ha sostenuto che la norma di cui all'art. 304, comma 6 cit., in punto di scarcerazione dell'imputato per superamento del doppio del termine di fase, ha carattere autonomo, rispetto alle altre disposizioni di cui all'art. 304, e deve pertanto essere applicata sia nel caso in cui quel termine sia stato sospeso o prorogato (art. 304, commi 1, 2 e 4), sia nel caso in cui il termine sia cominciato a decorrere nuovamente a seguito di regressione del procedimento (art. 303, comma 2). Cio', argomentava il giudice delle leggi, doveva ricavarsi dal fatto che nel previgente codice di rito il tetto massimo della custodia cautelare era disciplinato in un'unica norma (l'art. 272), insieme alla regressione del procedimento e alla sospensione dei termini di fase, cosi' che non poteva esservi dubbio che esso si riferisse anche alle ipotesi di regressione e non solo a quelle di sospensione. Anche nel nuovo testo l'avverbio «comunque» risultava significativo della generalita' di applicazione del divieto di superamento del doppio del termine di fase, quindi anche alle ipotesi di regressione previste nell'articolo precedente. Tale soluzione ermeneutica doveva poi ritenersi conforme al principio del favor libertatis che aveva ispirato la novella del 1995 e alla logica dell'art. 13 Cost., che non potevano incontrare limiti nei casi, quali quello del regresso del procedimento, in cui il ritardo nella definizione del procedimento non dipendeva da comportamenti colpevoli dell'imputato. Detta sentenza era stata criticata e ritenuta non convincente sotto piu' profili, in quanto proprio l'evoluzione storica della normativa (che aveva contemplato un termine massimo complessivo nell'art. 303 c.p.p., ove era disciplinato anche il caso del regresso, mentre aveva stabilito il divieto del superamento del doppio del termine di fase in altra disposizione, l'art. 304, concernente la sospensione dei termini) dimostrava come la norma di cui all'art. 304, comma 6 si riferisse ai soli casi di sospensione e non fosse quindi applicabile al di fuori della sede che le era propria, l'avverbio «comunque» dovendosi interpretare come un riferimento alla sussistenza del divieto nonostante la possibilita' di sospendere. Al contrario, l'esegesi seguita dalla Corte costituzionale nella citata sentenza, non consentiva di spiegare le ragioni per le quali l'art. 303, comma 2 disponesse che, in caso di regressione del procedimento, i termini decorressero «di nuovo» «dalla data del provvedimento che dispone il regresso o il rinvio» «relativamente a ciascuno stato e grado del procedimento», a conferma di come la soluzione ermeneutica del giudice delle leggi contraddicesse la lettera della norma e il sistema codicistico cosi' come risultante dalla nuova formulazione legislativa. Pertanto, accanto a decisioni che avevano integralmente aderito alla linea interpretativa della sentenza della Corte costituzionale (cfr. Cass. sez. VI 9 luglio 1999, Latella RV 214680; Cass. sez. VI 16 giugno 1999 Piscopo RV 214737), si trovavano altre sentenze in cui si era profilato un diverso orientamento del giudice di legittimita', che faceva leva sul limitato effetto vincolante della decisione della Corte e proponeva pertanto un diverso insegnamento. Risulta invero fuor di dubbio che la citata sentenza n. 292/1998 dovesse qualificarsi come sentenza interpretativa di rigetto, trattandosi di sentenza che non aveva dichiarato l'illegittimita' della norma, ma aveva solamente ritenuto infondata la questione di costituzionalita' proposta per la presenza di una ulteriore soluzione interpretativa dell'enunciato normativo sospettato di illegittimita', tale da ritenersi compatibile con la nostra Carta costituzionale. E' noto infatti come, a seguito di un lungo dibattito giurisprudenziale, si sia affermata la tesi, da ritenersi del tutto convincente, secondo cui le sentenze interpretative di rigetto della Corte costituzionale hanno valore vincolante solo nel giudizio «a quo», mentre nell'ambito di giudizi diversi costituiscono un precedente autorevole dal quale peraltro i giudici possono discostarsi purche' optino per una soluzione ermeneutica che, ancorche' non coincidente con quella proposta dalla Corte, cio' nondimeno debba ritenersi non collidente con le norme e i principi costituzionali affermati. In caso contrario, al giudice che ritenesse non convincente la soluzione interpretativa proposta dalla Corte costituzionale e che non rinvenisse altra interpretazione conforme ai principi costituzionali enunciati dalla Corte medesima, non resterebbe che riproporre il quesito di costituzionalita' in ordine alle norme controverse (cfr. Cass. sez. un. 29 gennaio 1996, Clarke; Cass. sez. un. 24 settembre 1998, Gallieri; Cass. sez. un. 18 gennaio 1999, Alagni). Proprio in detta linea si e' inserita la citata decisione delle sezioni unite della Cassazione n. 4 del 29 febbraio 2000, Musitano, che ha precisato come l'art. 303, comma 2 costituisca applicazione del principio di autonomia dei singoli termini di fase, in conformita' alla previsione di cui alla direttiva di cui all'art. n. 61 della legge delega per l'approvazione del codice di procedura penale, cosi' che, pur non potendosi prescindere dall'affermazione della Corte costituzionale secondo cui il divieto del superamento del doppio dei termini di fase deve applicarsi anche ai casi di regresso del procedimento prescindendo dalla sospensione dei termini, cio' nondimeno ai fini del calcolo del doppio del termine di fase devono computarsi i soli periodi relativi a fasi tra loro omogenee (in cio' concretandosi la predetta autonomia dei termini di fase) e non anche tutti gli intervalli di tempo relativi a fasi diverse da quelle in cui il procedimento e' regredito. Dopo l'intervento delle Sezioni unite, la Corte costituzionale e' stata chiamata a pronunciarsi nuovamente sulla questione e ha ribadito nuovamente l'infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, confutando nel contempo la tesi seguita dalle sezioni unite della Cassazione in tema di computo dei soli termini omogenei ai fini del calcolo per il superamento del doppio dei termini di fase: il giudice delle leggi ha infatti rimarcato come la sentenza n. 292/1998 concernesse proprio il caso di imputato per il quale il superamento del doppio del termine si era determinato in relazione al decorso temporale in fasi eterogenee (cfr. Corte cost. n. 429/1999, n. 214/2000 e n. 529/2000). Cio' ha provocato un nuovo contrasto interpretativo in merito alla questione se dovesse calcolarsi, ai fini del superamento del doppio dei termini di fase, solo il periodo di custodia trascorso in relazione a fasi tra loro omogenee, ovvero anche in relazione al tempo trascorso in fasi eterogenee, questione sulla quale veniva chiamata a pronunciarsi nuovamente la Cassazione a sezioni unite. Con ordinanza 10 luglio 2002, n. 28 (depositata in data 25 luglio 2002) le sezioni unite sollevavano questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 303, comma 2 c.p.p. in relazione agli artt. 3 e 13 della Costituzione, nella parte in cui la norma processuale citata impedisce di computare, ai fini dei termini massimi di fase determinati dal successivo art. 304, comma 6 i periodi di detenzione sofferti in una fase o in un grado diversi da quelli in cui il procedimento e' regredito, questione di illegittimita' sulla quale non risulta che la Corte costituzionale si sia ancora pronunciata. Con detta ordinanza il supremo collegio osservava che il metodo di calcolo proposto con la sentenza Musitano risulta coerente con la lettera dell'art. 302, comma 2 c.p.p. (secondo cui i termini decorrono «di nuovo» a seguito del regresso, escludendo quindi che nel frattempo siano continuati a decorrere) e con la concezione definita «monofasica» o «endofasica» dell'impianto codicistico in materia di termini di custodia cautelare, come puo' rilevarsi dal fatto che il codice conosce solo la distinzione tra termine di fase e termine complessivo (riguardante cioe' tutte le fasi), mentre in nessun luogo viene in considerazione il periodo «interfasico», cosi' che la fictio iuris giustificativa di un indifferenziato inglobamento delle fasi intermedie tra quella originaria e quella in cui il procedimento e' regredito risulta priva di base normativa. Lo stesso metodo di calcolo della sentenza Musitano risulta poi rispettoso del principio di proporzionalita' del termine di custodia cautelare, posto che questo non va riferito alla sola gravita' del reato ma deve altresi' essere ancorato alla ragionevole durata delle attivita' previste nella singola fase, cosi' che la durata del relativo termine risulta discrezionalmente fissata anche in relazione alla fase del procedimento avuto riguardo alle attivita' da compiere in questo, con la conseguenza che il calcolo di intervalli temporali propri di fasi eterogenee, al fine del superamento del doppio del termine stabilito per una determinata fase, risulterebbe del tutto arbitrario e sganciato dai predetti canoni di proporzionalita' e ragionevolezza. Ne', secondo il supremo collegio, sarebbe ragionevole addossare all'autorita' il rischio dell'invalidita' del passaggio di fase in quanto non dovuto a comportamento colpevole dell'imputato, posto che la lettura dell'art. 304 comma 6 effettuata dalla Corte costituzionale accomuna indifferentemente l'ipotesi di regressione incolpevole ex art. 303, comma 2, a quella di evasione (certamente colpevole ex art. 303 comma 3), conclusione necessitata dal fatto che il citato comma 6 dell'art. 304 richiama sia il comma 2 sia il comma 3 del codice di rito. Allontanarsi dal criterio di calcolo indicato dalla sentenza Musitano risulterebbe pertanto foriero di ulteriori irrazionalita' e contraddizioni del sistema. Quanto poi al principio del minimo sacrificio della liberta' personale, l'esperienza successiva al pronunciamento della sentenza Musitano ha dimostrato come il calcolo dei termini «interfase» ovvero il solo calcolo dei termini «omogenei» (quelli della sola fase in cui il procedimento e' regredito, prima della regressione e dopo la regressione), non siano di per se stessi e in astratto uno piu' favorevole e l'altro meno favorevole all'imputato: basti pensare che gli imputati di cui alle sentenze Cass. sez. VI n. 5874 23 maggio 2001, Martinelli e Cass. sez. I n. 42794 28 novembre 2001 Schiavone, non erano stati scarcerati proprio perche' l'intera detenzione antecedente al regresso era stata imputata alla fase in cui il procedimento era regredito, mentre sarebbero stati rimessi in liberta' se si fosse seguito il sistema Musitano. Per queste ragioni doveva ritenersi che la soluzione proposta dalla sentenza Musitano, pur diversa da quella proposta dalla Corte, fosse stata ritenuta rispettosa dei principi di cui agli artt. 3 e 13 della Costituzione. Tale conclusione, osservavano le sezioni unite nell'ordinanza 10 luglio 2002 citata, non poteva peraltro riaffermarsi oggi, posto che la Corte costituzionale con la citata ordinanza n. 529/2000 ha espressamente chiarito che il cumulo di tutti i periodi di custodia cautelare anche relativi a fasi eterogenee fosse l'unico metodo di calcolo coerente con l'art. 13 Cost. che impone di ridurre al minimo il sacrificio della liberta' personale. D'altro canto, osservavano sempre le sezioni unite l'art. 303, comma 2 cosi' come redatto esprime una norma che impedisce di addizionare, ai fini del superamento del doppio del termine di fase, anche gli intervalli temporali decorsi in fasi eterogenee, cio' per le ragioni gia' sopra indicate, rispetto alle quali la recente modifica dell'art. 303 non consente di discostarsi. In particolare le ultime modifiche di cui alle leggi 5 giugno 2000, n. 144 e 19 gennaio 2001, n. 4, non hanno toccato il comma discusso (il secondo) e l'aver consentito la legge n. 4/2001, in casi eccezionali, una interconnessione tra le fasi, deve ritenersi viceversa confermativa del principio generale dell'autonomia dei termini di fase, che non puo' essere derogato se non da espresse disposizioni legislative, mancanti in punto di superamento del doppio del termine di fase. Mancando quindi qualsiasi soluzione alternativa compatibile con la Costituzione e non potendosi ritenere in via interpretativa che l'art. 303, comma 2 c.p.p. consenta il calcolo di termini di fase eterogenei, le sezioni unite hanno quindi sollevato questione di costituzionalita' nei termini prima ricordati. La medesima questione si pone negli esatti termini anche nel caso di specie, posto che calcolando i soli termini omogenei (secondo il metodo della sentenza Musitano), Mancuso Diego non dovrebbe essere scarcerato, cosa che dovrebbe invece avvenire se si calcolasse anche il periodo di tempo interfase. D'altro canto, per le ragioni sopra viste, questo collegio ritiene che l'art. 303, comma 2 c.p.p., cosi' come formulato, non consenta il calcolo di termini relativi a fasi eterogenee ai fini della verifica del superamento del doppio del termine, metodo di calcolo gia' indicato dalla corte come unico in grado di assicurare il rispetto degli artt. 3 e 13 della Costituzione. Ne' si vede a quale logica possa attenersi il giudice se non a quella imposta dalle norme e dagli strumenti che l'ordinamento prevede nel caso in cui si ritenga non sussistano soluzioni ermeneutiche alternative a quelle considerate incostituzionali e la norma da applicare presenti pertanto profili di illegittimita'. Il g.i.p., pur citando il provvedimento delle sezioni unite che ha rimesso nuovamente la questione di costituzionalita' ha omesso di prenderne in esame le ragioni e di trarne le uniche conseguenze consentite, alle quali deve pertanto provvedere questo tribunale in sede di appello ex art. 310 c.p.p. Infatti, poiche' la decisione del presente appello non puo' prescindere dalla decisione sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 303, comma 2 citato, per tutte le ragioni sopra indicate risulta rilevante e non manifestamente infondata detta questione in relazione agli artt. 3 e 13 della Costituzione, nella parte in cui l'art. 303, comma 2 del codice di procedura penale impedisce di computare, ai tini dei termini massimi di fase determinati dal successivo art. 304, comma 6 i periodi di detenzione sofferti in una fase o in un grado diversi da quelli in cui il procedimento e' regredito. Il presente procedimento incidentale va quindi sospeso in attesa della decisione della Corte ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953, ferma restando la misura cautelare in atto, mandandosi alla cancelleria per gli adempimenti previsti dalla medesima legge n. 87 del 1953.