IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953 n. 87 (letta alla pubblica udienza del 6 febbraio 2002). In data 28 gennaio 2003 Viollita Krasnici e' stata arrestata dai carabinieri di Ravenna nella flagranza del reato previsto dall'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286/1998 e condotta davanti al giudice del dibattimento ex art. 555 c.p.p. per la convalida dell'arresto ed il giudizio direttissimo, avendo il pubblico ministero contestato il «reato previsto dall'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286/1998, introdotto dall'art. 13 della legge n. 189/2002 perche', avendo ricevuto in data 13 settembre 2002 l'ordine dal questore di Ravenna di lasciare il territorio nazionale entro cinque giorni ai sensi dell'art. 14, comma 5-bis, del d.lgs. n. 286/1998 (essendo stata espulsa dal territorio italiano con decreto del prefetto di Ravenna in data 28 giugno 2002), si tratteneva nel territorio dello Stato oltre il termine suindicato, senza giustjficato motivo». All'udienza del 29 gennaio 2003 il giudice convalidava l'arresto e disponeva l'immediata liberazione della Krasnici, non avendo il pubblico ministero richiesto l'applicazione di alcuna misura cautelare, cosi' come gli era precluso dalla natura del reato (la previsione di un arresto obbligatorio in relazione ad una contravvenzione, per la quale non e' poi consentita l'adozione di misure coercitive, e' certamente una delle maggiori incongruenze, sotto il profilo tecnico-giuridico, della legge n. 189/2002). L'imputata chiedeva termine a difesa ed il processo veniva rinviato all'odierna udienza, in apertura della quale il patrocinio della Krasnici ha sollevato, fra le altre, questione di costituzionalita' dell'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286/1998, con riferimento all'art. 24 della Costituzione, deducendo la grave violazione del diritto di difesa a causa della «indeterminatezza dei termini descrittivi e dell'assenza di parametri obiettivi per l'individuazione del giustificato motivo». La questione proposta appare rilevante. Risulta dimostrato per tabulas che il questore di Ravenna, preso atto del provvedimento di espulsione amministrativa adottato dal prefetto di Ravenna il 28 giugno 2002, emise nei confronti dell'odierna imputata un decreto di espulsione, datato e notificato il 13 settembre 2002, con il quale era ordinato alla cittadina straniera di lasciare il territorio nazionale entro il temine di cinque giorni, ai sensi dell'art. 14, comma 5-bis, d.lgs. n. 286/1998. Peraltro, l'imputata, nel corso dell'interrogatorio reso in sede di convalida, ha ammesso di avere deliberatamente violato l'ordine impartito dal questore, decidendo di rimanere in Italia al fine di guadagnare denaro (con l'esercizio della prostituzione), da inviare ai propri familiari residenti nel suo Paese di origine (ex Iugoslavia), i quali, in assenza di tale contributo, vivrebbero in condizioni di indigenza. E' pacifico, dunque, che l'imputata si sia trattenuta nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi dell'art. 14, comma 5-bis, d.lgs. n. 286/1998. Si tratta ora di accettare se vi fosse un giustificato motivo idoneo a scriminare la condotta illecita della Krasnici: piu' precisamente la presenza di tale giustificato motivo pare poter integrare un elemento negativo della condotta, la cui sussistenza farebbe venire meno, gia' sotto il profilo oggettivo, la configurabilita' del reato. In altre ordinanze emesse ex art. 23, legge n. 87/1953 da questo stesso Tribunale, si e' sostenuto che il giudice d'ufficio dovrebbe verificare la presenza o meno del requisito negativo in oggetto, indipendentemente dal tenore delle dichiarazioni dell'imputato ed in ogni caso, pertanto, si porrebbe un problema di costituzionalita' della norma incriminatrice, in considerazione della sua indeterminatezza. Ritiene il giudicante preferibile altra impostazione, secondo la quale sull'imputato graverebbe quantomeno un onere di allegazione in ordine alla sussistenza del giustificato motivo di permanenza nel territorio italiano (nel caso in cui dagli atti gia' non emergesse una situazione rilevante in tal senso). A tale proposito pare pertinente il richiamo alla costante giurisprudenza della suprema Corte in tema di esimenti ovvero in materia di detenzione di sostanze stupefacenti finalizzata all'esclusivo uso personale, fatto questo non piu' previsto dalla legge come reato, ai sensi dell'art. 75 d.P.R. n. 309/1990 (qualora il detentore di sostanza stupefacente asserisca di farne uso personale, la prova della non veridicita' di tale destinazione deve essere fornita dall'accusa, la quale deve dimostrare i presupposti oggettivi e soggettivi del reato oggetto della contestazione, ma all'imputato spetta un onere di allegazione circa l'uso personale della droga, in presenza del quale sorge l'obbligo del giudicante di valutare la sussistenza della relativa prova al fine di escludere o meno l'applicazione della sanzione penale). Nel caso di specie, tuttavia, l'imputata - come sopra ricordato - ha allegato una situazione di fatto che impone di verificare se la stessa configuri o meno un giustificato motivo della sua permanenza in Italia: nessun dubbio sussiste, pertanto, in ordine alla rilevanza della questione proposta, questione che appare altresi' non manifestamente infondata. Come gia' rilevato in altre ordinanze emesse da giudici di merito, il significato dell'espressione «senza giustificato motivo», non chiarito in alcuna parte della disciplina nella quale essa si inserisce ne' altrimenti meglio definibile alla luce dei principi generali del nostro ordinamento, appare vago, indeterminato, generico, soggettivamente interpretabile, ed anche «un raffronto con beni costituzionali che riguardano anche lo straniero, come il diritto alla vita, alla salute, alla famiglia, al lavoro, offrono ipotesi interpretative talmente ampie da non potersi porre come argine ermeneutico» (cosi', efficacemente, ord. Trib. Ferrara, 29 novembre 2002, in proc. Abdoulaye + 3, nella quale pure si e' evidenziato, con riferimento all'art. 4 legge n. 110/1975 in materia di armi, come la medesima espressione possa apparire determinata se inserita in un contesto dal quale si possa dedurre agevolmente il senso del precetto). In primo luogo, dunque, risulta violato il principio di tassativita' sancito dall'art. 25 della Costituzione, in quanto l'espressione «senza giustificato motivo» e' di ampiezza tale da non consentire allo stesso giudicante di comprendere quando sia configurabile o meno il reato de quo. Un certo margine di discrezionalita' e di soggettivita' nell'interpretazione e nella conseguente applicazione della legge costituisce un dato «normale» per gli operatori del diritto, che si attendono l'imparzialita' del giudice, non certo la falsa «neutralita» (rispetto ai valori, non alle parti) del giudice «burocrate» e «bocca della legge». Tuttavia, la fisiologica scelta di una fra le varie opzioni interpretative non puo' sconfinare nell'arbitrio e nell'affidamento alla sensibilita' od alle convinzioni del singolo giudice della scelta in ordine all'operativita' della sanzione penale, in violazione del principio di tassativita' della fattispecie contenuto nella riserva di legge in materia penale, sancito dall'art. 25, comma 2, della Costituzione. E' evidente come in presenza di determinate situazioni le risposte in ordine alla sussistenza o meno di un «giustificato motivo» ben potrebbero essere diverse, ma non in base a criteri predeterminati od a principi comunque evincibili dal sistema, bensi' a seconda delle opzioni ideali, culturali, politiche del singolo interprete che da sole fornirebbero la chiave di lettura della norma da applicare. Gli esempi potrebbero essere infiniti: si pensi alla fattispecie di cui si tratta (ragazza che esercita un'attivita' di per se' non illecita e punibile, come la prostituzione, la quale rimane in Italia per essere in grado di mantenere i familiari con il proprio «lavoro») ovvero all'ipotesi dello straniero clandestino ma con il coniuge «regolare» e stabilmente inserito nel contesto sociale, od ancora ai casi di chi nel frattempo ha trovato un'occupazione lavorativa ovvero di colui che intende farsi curare in Italia e non nel proprio Paese di origine. L'indeterminatezza della norma censurata comporta la violazione anche dell'altro precetto costituzionale (art. 24), inerente il diritto inviolabile di difesa: l'imputato, per potere apprestare una difesa efficace, anche sul piano probatorio, finalizzata all'affermazione della insussistenza del reato, deve essere posto nelle condizioni di conoscere preventivamente e compiutamente i criteri (se non le specifiche situazioni) in base ai quali la propria permanenza nel territorio italiano non configurerebbe la contravvenzione de qua per la presenza di un giustificato motivo.