IL GIUDICE DI PACE Letti gli atti relativi all'arresto di Koziot Adam, nato in Polonia il 25 dicembre 1968 con alias come da e1enco allegato, compiutamente identificato a mezzo rilievi dattiloscopici di polizia, osserva, In fatto Alle ore 9,30 dell'11 febbraio 2003 una pattuglia della Polizia si portava presso la Coop di via Salvi Cristiani, ove era stato segnalato un episodio di taccheggio ad opera di un uomo che veniva poi identificato per l'odierno arrestato. Accompagnato presso il gabinetto regionale di polizia scientifica per i rilievi fotodattiloscopici si appurava che lo stesso presentava numerosi alias e precedenti specifici per furto, nonche' a proprio carico un ordine del questore di Firenze del 10 dicembre 2002 di lasciare lo Stato, ai sensi dell'art. 14, comma 5-bis, d.lgs. n. 286/1998, a seguito di decreto di espulsione del prefetto di Firenze in pari data, e per tali motivi veniva tratto in arresto. Dell'avvenuto arresto veniva notiziato il p.m. di turno, il quale ne richiedeva nel termine di legge la convalida esclusivamente in relazione al reato contravvenzionale di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286/1998 - con esclusione delle fattispecie di cui agli artt. 6, comma terzo, n. 286/1998 e art. 495 c.p., inserite ai soli evidenti fini della formale contestazione per ragioni di economia processuale - a questo giudice, competente inoltre per il giudizio direttissimo previsto ex lege. L'udienza di convalida veniva iniziata in data 13 febbraio 2003 avanti a questo giudice alla presenza dell'arrestato e si concludeva con la richiesta delle parti di verificare la sussistenza dei presupposti per sollevare questione di legittimita' costituzionale della norma in base alla quale si e' proceduto all'arresto del Koziot. Valutata la questione di conformita' costituzionale del dettato normativo processuale posto a fondamento dei provvedimenti restrittivi della liberta' personale adottati in danno dell'imputato, preliminarmente alla decisione sulla convalida dell'arresto il giudice ritiene rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di conformita' al dettato costituzionale della previsione normativa di cui all'art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286/1998, nel testo risultante dalla modifica introdotta dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, nella parte in cui prevede l'obbligatorieta' dell'arresto per il reato previsto dall'art. 14, comma 5-ter, stessa legge per i seguenti motivi. I n d i r i t t o Osserva il giudicante come la questione di conformita' al dettato costituzionale della disposizione processuale precedentemente richiamata debba essere valutata da questo giudice sia sotto il profilo della effettiva rilevanza in relazione alla fase procedimentale oggetto di giudizio, sia sotto il profilo della non manifesta infondatezza. In punto di rilevanza. Nel caso in esame nessun dubbio puo' sussistere sulla corrispondenza tra l'autore del reato e la persona fisica tratta in arresto, ne' puo' sussistere dubbio sulla circostanza che l'arresto e' stato eseguito in un caso espressamente previsto dalle norme processuali, introdotte nell'ordinamento con la legge 30 luglio 2002, n. 189; infine nessuna violazione delle disposizioni di cui agli artt. 386, comma 7, e 390, comma 3, c.p.p e' stata perpetrata dalla polizia giudiziaria operante l'arresto, la quale ha tempestivamente messo a disposizione del pubblico ministero l'arrestato, con conseguente richiesta di convalida al giudice competente nei termini previsti dalla legge. Nella attuale fase procedimentale, caratterizzata da una cognizione sommaria del fatto finalizzata dalla legge al mero controllo di legittimita' dei poteri coercitivi utilizzati dalla polizia giudiziaria, in presenza delle condizioni legittimanti l'arresto cosi' come precedentemente evidenziate, questo giudice dovrebbe convalidare il provvedimento adottato dalla polizia giudiziaria. Da tali considerazioni a parere del giudicante emerge la rilevanza della eccezione di costituzionalita' delle norme processuali denunciate nel procedimento in corso, e segnatamente ai fini della decisione da adottare sulla convalida o meno dell'arresto eseguito. In punto di non manifesta infondatezza. Il tema della privazione della liberta' personale e' regolato nel nostro ordinamento dall'art. 13 della Costituzione il quale, al primo comma, statuisce una riserva di giurisdizione. Nondimeno, avuto riguardo alle concrete esigenze di necessita' ed urgenza, tale riserva di giurisdizione subisce deroga in favore di provvedimenti adottati dalla autorita' di polizia, deroga introdotta e disciplinata dal comma secondo del medesimo articolo. Il provvedimento dell'arresto e' peraltro soltanto uno dei provvedimenti adottabili dalla autorita' di polizia e finalisticamente assunto a produrre limitazione alla liberta' personale, poiche' molti possono essere quei provvedimenti, ancorche' di diversa natura e finalita', in concreto idonei a realizzare la privazione o limitazione del diritto costituzionalmente protetto (vedasi in tal senso l'esauriente dibattito in sede prima, sottocommissione della Assemblea Costituente tenutosi nella seduta antimeridiana del 12 settembre 1946 - in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea Costituente, Camera dei deputati - Segretariato generale, vol. VI pag. 343 e segg.). La stessa legge n. 286/1998, nel testo vigente attualmente, allorquando prevede la possibilita' di accompagnamento coatto dello straniero alla frontiera su provvedimento emesso da autorita' amministrativa, disciplina in concreto un provvedimento idoneo a limitare la liberta' personale dello straniero per finalita' di ordine pubblico interno. L'istituto dell'arresto - cosi' come il fermo di polizia giudiziaria - ha pero', a differenza di altri provvedimenti amministrativi potenzialmente lesivi della liberta' personale del cittadino, caratteristiche proprie e peculiari, trattandosi da un lato di istituto interamente ed analiticamente disciplinato dalla legge processuale, e dall'altro di istituto finalizzato proprio a realizzare la completa privazione della liberta' personale del cittadino in forma anticipata e prodromica alla applicazione nei suoi confronti di una misura coercitiva. Su tale ultima caratteristica del provvedimento dell'arresto non e' mai sussistito il benche' minimo dubbio, ne' nella giurisprudenza di legittimita', ne' nella unanimita' della dottrina. Secondo una definizione unanime della dottrina processualistica infatti l'arresto, in senso lato, costituisce un mezzo di coazione preordinato a preparare le condizioni e i presupposti per l'attuazione della carcerazione preventiva (oggi custodia cautelare), della pena e della misura di sicurezza. Ma a ben vedere anche la normativa processuale regolatrice dell'istituto evidenzia senza ombra di dubbio la stretta interconnessione dei due istituti: l'arresto e la custodia cautelare. Ed infatti la disciplina processuale dei casi di arresto la si rinviene negli articoli 380 e 381 del codice di rito. Entrambe le disposizioni, relativa l'una all'arresto obbligatorio e la seconda all'arresto facoltativo, sono state redatte con la medesima tecnica legislativa: il primo comma prevede una disposizione di carattere generale, che fissa i limiti minimi di pena edittale in relazione ai quali il provvedimento restrittivo e' imposto ovvero autorizzato. Il secondo comma di entrambe le norme esemplifica una serie di reati, individuati con numero di articolo e nomen iuris, i quali fuoriescono per difetto dai limiti di pena edittale indicati nel comma primo, ed in relazione ai quali, per ragioni di politica criminale riservate alla discrezionalita' del legislatore, il provvedimento restrittivo e' comunque imposto o consentito. La richiamata elencazione ha peraltro carattere di tassativita' e non e' suscettibile di estensibilita' analogica, essendo ricompresa nella deroga alla riserva di giurisdizione in tema di privazione della liberta' personale fissata dall'art. 13 della Carta costituzionale (in tal senso vedasi Corte cost. 7 giugno 1996, n. 188). E' subito da osservare che, per quanto attiene ai reati di cui al secondo comma dell'art. 381 del codice di rito, la pena massima edittale prevista per ciascuno di essi esclude, in base alla disposizione generale di cui all'art. 280, comma primo, c.p.p., la applicazione di misure coercitive; tanto che la medesima disposizione prevede una espressa riserva in relazione al disposto dell'art. 391 del codice di rito, ove si disciplina espressamente, nella seconda parte del quinto comma, che «quando l'arresto e' stato eseguito per uno dei delitti indicati nell'art. 381, comma 2, ovvero per uno dei delitti per i quali e' consentito anche fuori dai casi di flagranza, l'applicazione della misura e' disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli artt. 274, comma 1, lettera c), e 280.». Tale ultima norma, eccezionale rispetto ai principi generali in tema di applicabilita' di misure coercitive, se da un lato rende armonico il sistema disegnato dal legislatore in tema di arresto in flagranza, rendendo effettiva la scelta di politica criminale del legislatore, dall'altro evidenzia normativamente quanto abbiamo affermato in precedenza, ovverosia la stretta dipendenza funzionale che esiste tra l'istituto dell'arresto e quello della applicazione di misure privative o limitative della liberta' personale da parte della autorita' giudiziaria, nel senso che l'istituto dell'arresto si pone quale anticipazione motivata da ragioni contingenti di necessita' ed urgenza della misura coercitiva, la cui eventuale applicazione e' demandata al provvedimento, motivato dell'autorita' giudiziaria. Ma al carattere di eccezionalita' della previsione di cui all'art. 391, comma quinto, seconda parte c.p.p. consegue inoltre che la disposizione processuale di cui all'art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286/1998 fuoriesce dalla medesima previsione normativa, non potendo essere ricompresa ne' nei reati di cui al comma secondo dell'art. 381 c.p.p., ne' tantomeno nei delitti per i quali e' consentito l'arresto anche fuori dai casi di flagranza. La esclusione deriva dalla semplice lettura della disposizione, e comunque sarebbe sufficiente il rilievo che le deroghe previste dalla norma afferiscono tutte espressamente a delitti, mentre la previsione della normativa processuale introdotta dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 sopra richiamata fa riferimento a reati contravvenzionali. La sommaria ricostruzione dell'istituto effettuata consente di poter affermare che l'arresto obbligatorio previsto dall'art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286/1998 si qualifica come provvedimento restrittivo della liberta' personale tipico e disciplinato dalla normativa generale codicistica in tema di arresto, ma non finalizzato alla applicazione anticipata di misura coercitiva, poiche' quest'ultima, in base alla normativa generale di riferimento, non e' applicabile per difetto dei presupposti di legge. Trattasi pertanto di restrizione della liberta' personale priva di finalita' ne' di cautela processuale, ne' di prevenzione speciale, ma, a ben considerare priva di alcuna finalita'. Ed infatti, ancorche' si volesse sostenere che l'arresto, destinato inevitabilmente alla perenzione nel termine massimo di quarantotto ore, e' comunque finalizzato a consentire l'immediata espulsione del cittadino straniero il quale rimarrebbe comunque nella disponibilita' fisica delle Forze di Polizia, tale affermazione urterebbe con il chiaro dettato della legge n. 286/1998. Infatti, nel caso di consumazione del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, le stesse disposizioni prevedono l'accompagnamento immediato alla frontiera. Inoltre, il successivo comma 5-quinquies oltre all'arresto obbligatorio, prevede espressamente che «al fine di assicurare l'esecuzione della espulsione il questore puo' disporre i provvedimenti di cui al comma primo del presente articolo». Dall'esame attento delle disposizioni in esame emerge quindi che il legislatore ha affidato ad altri istituti rispetto all'arresto la effettivita' della espulsione dello straniero. E non potrebbe essere altrimenti, poiche' l'arresto, nel caso di specie, non potrebbe essere utilizzato neppure ai fini sopra richiamati, ancorche' certamente estranei alle finalita' dell'istituto. Stante la inapplicabilita' di misure coercitive in relazione ai reati contestabili al trasgressore, il pubblico ministero, il quale deve essere notiziato dalla polizia giudiziaria immediatamente a norma del primo comma dell'art. 386 c.p.p., altrettanto immediatamente dovrebbe ordinare la liberazione dell'arrestato a norma dell'art. 121 disp. att. c.p.p., con il risultato concreto che la persona arrestata si troverebbe nella disponibilita' della autorita' di pubblica sicurezza per un lasso di tempo eccessivamente breve per poter consentire alla predetta di apprestare la espulsione coatta. Devesi pertanto concludere che l'arresto, nella forma obbligatoria prevista dalle norme processuali introdotte dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, e' provvedimento restrittivo della liberta' personale privo di giustificazione e di finalita', sia processuali che estraprocessuali, qualificandosi quindi espressamente come previsione normativa meramente vessatoria e costituente inammissibile anticipazione di applicazione di una pena detentiva in relazione ad una ipotesi di reato contravvenzionale tutta da accertare, e comunque ad opera della autorita' amministrativa in aperta violazione del dettato degli articoli 3, 13, comma primo, e 27, comma secondo, della Costituzione. Ritiene il giudicante che la disposizione denunciata violi anche i principi costituzionali di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione, per come i predetti sono stati fissati in numerose pronunce della Corte costituzionale e segnatamente nelle sentenze nn. 531/2000 e 4/1994. Non puo' sussistere dubbio infatti che la adozione di una misura restrittiva della liberta' personale senza giustificazione e finalita' costituisce ad un tempo inaccettabile strumento di coercizione personale per qualunque cittadino, ed al contempo inutile dispendio di energie e mezzi da parte della pubblica amministrazione con grave pregiudizio del principio costituzionale di buona amministrazione della cosa pubblica. La necessita' di sospensione del procedimento impone comunque l'immediata rimessione in liberta' dell'imputato in mancanza di adeguato titolo detentivo.