LA CORTE DI CASSAZIONE

    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso
proposto  da:  Jackson  Harry, elettivamente domiciliato in Roma, via
Sicilia  n. 66, presso lo studio dell'avvocato Tieghi Roberto, difeso
dall'avvocato Brunori Piero, giusta procura in calce, ricorrente;
    Contro  Ministero  finanze,  in persona del Ministro pro tempore,
elettivamente  domiciliato  in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso
l'Avvocatura  generale  dello Stato, che lo rappresenta e difende ope
legis,  controricorrente;  avverso  la  decisione  n. 1491/1998 della
commissione tributaria centrale di Roma, depositata il 17 marzo 1998;
    Udita  la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
21 gennaio 2003 dal consigliere dott. Simonetta Sotgiu;
    Udito, per il ricorrente, l'avvocato Giuliani (con delega) che ha
chiesto  il  rinvio a nuovo ruolo del ricorso per condono fiscale, in
attesa   della  decisione  della  Corte  costitizionale;  nel  merito
l'accoglimento del ricorso;
    Udito il p.m. in persona del sostituto procuratore generale dott.
Maurizio Velardi che ha concluso per rinvio a nuovo ruolo del ricorso
in  attesa della decisione della Corte costituzionale sulla questione
del condono fiscale.

                      Svolgimento del processo

    L'Ufficio  imposte  dirette  di  Viareggio  notificava in data 29
novembre  1991  allo scultore Harry Jackson avviso di accertamento ex
art.  38,  comma 4, d.P.R. n. 600/1973, con cui veniva determinato in
via sintetica un reddito imponibile per l'anno 1983 di L. 53.377.355,
in  applicazione  dei  parametri  previsti  del  d.m.  31 luglio 1983
(possesso  di  n. 3  cavalli  da  equitazione;  di n. 2 collaboratori
familiari; di n. 1 auto Mercedes C.F. 45, immatricolata nel 1974).
    A seguito del ricorso del contribuente, la Commissione tributaria
di  primo  grado di Lucca, con decisione 16 febbraio 1993, dichiarava
l'illegittimita'   dell'accertamento,   e   tale   pronuncia   veniva
confermata  dalla  commissione tributaria di secondo grado in data 20
gennaio 1996.
    L'Ufficio  ricorreva  alla  C.T.R.,  la  quale  con  decisione 13
gennaio   -   17   marzo  1998  dichiarava  legittimo  l'accertamento
dell'ufficio.
    Harry  Jackson  ha  chiesto  la cassazione di tali pronunce sulla
base di due motivi incentrati sulla parziale strumentalita' dei beni,
rispetto  alla  sua attivita' di scultore di soggetti prevalentemente
equestri,  e  sull'assenza  del  carattere  reddituale  dei proventi,
introitati   a   titolo  di  prestiti  «in  conto  spese  personali»,
regolarmente dichiarati, effettuati dalla ditta artigiana di scultura
intestata allo stesso Jackson.
    Il   Ministero   delle  finanze  si  e'  costituito  al  fine  di
partecipare alla discussione orale.

                       Motivi della decisione

    Ritiene  la  corte che la istanza di rinvio della discussione del
ricorso  avanzata  dal  difensore  dello  Jackson  con  riguardo alle
disposizioni in materia di condono introdotte dalla legge 27 dicembre
2002,  n. 289  -  recante disposizioni per la formazione del bilancio
annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge finanziaria 2003) - non
possa  essere  sic  et  simpliciter  disattesa, in considerazione del
fatto  che  la  previsione  di  una  sospensione  delle liti pendenti
risulta  stabilita  (art.  16, legge n. 282/2002 cit.) unicamente con
riguardo  a  quelle innanzi alle commissioni tributarie ed innanzi ai
tribunali  ed  alle Corti di appello e non, anche, innanzi alla Corte
di cassazione.
    Al  riguardo  va  subito  detto  che  il  principio  dell'impulso
d'ufficio  che regola il giudizio di cassazione - tanto da consentire
la  decisione  della causa in base al ricorso ed agli altri eventuali
atti  difensivi  delle parti, indipendentemente dall'intevento o meno
all'udienza  delle  parti  stesse  (ovviamente,  ritualmente avvisate
della  udienza  di  discussione  - non puo' non trovare un necessario
contemperamento  nel  diritto  della  parte ad avvalersi di eventuali
benefici  di  legge  laddove  questi prevedano la possibilita' di una
chiusura  agevolata  delle liti in essere e non sussistano specifiche
ragioni  che  giustifichino la non usufruibilita' dei benefici stessi
da  parte  di  coloro  che,  nell'esercizio  del  diritto  di  difesa
costituzionalmente  garantito,  abbiano  ritenuto  di  rivolgersi  al
giudice  di  legittimita'  ovvero  che  innanzi  allo  stesso giudice
evocati abbiano del pari ritenuto di esercitarvi il proprio diritto.
    Cio'  posto,  si ritiene di dovere sollevare, d'ufficio, ai sensi
degli artt. 1 legge cost. 9 febbraio 1948 n. 1 e 23 legge n. 87/1953,
e  nei  termini  in  appresso  specificati, questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 16 legge n. 289/2002 (attinente appunto alla
«chiusura  delle  liti  pendenti») per contrasto con gli artt. 3 e 24
della Costituzione.
    La  questione  appare di evidente rilevanza ai fini del decidere,
posto  che,  nella  specie,  alla  eventuale  reiezione  del  ricorso
proposto  dal  contribuente  conseguirebbe  l'obbligo dello stesso di
adeguarsi  al  decisum  della  CTR,  con  relativo aggravio di ordine
economico.
    Pertanto,   in   capo  al  contribuente  medesimo  non  puo'  non
individuarsi  un  interesse  concreto  ed  attuale ad avvalersi delle
disposizioni agevolative, ove valutate di convenienza.
    D'altro canto, la questione appare non manifestamente infondata.
    In  proposito,  al  fine  di  verificare  la configurabilita' del
denunziato  contrasto,  occorre  soffermarsi sul complessivo impianto
normativo  predisposto,  al  riguardo, dalla legge finanziaria per il
2003.
    Il  capo  II - disposizioni in materia di concordato - del titolo
II  (disposizioni  in materia di entrata), legge n. 282/2002 cit. (in
vigore  dal  1°  gennaio  2003,  ai sensi dell'art. 95, terzo comma),
contiene  diciassette  articoli  (dall'art. 6  all'art. 17) aventi ad
oggetto  la regolamentazione - particolarmente sotto il profilo della
regolarizzazione  - dei rapporti tra l'amministrazione finanziaria ed
il contribuente.
    In questa sede e' opportuno ricordare alcuni dei principi fissati
nell'  art. 16  cit.  -  della  cui conformita' al richiamato dettato
costituzionale  questa  questa Corte ha, come gia' accennato, fondati
motivi  per  dubitare  -  poiche' essi danno un quadro indicativo del
sistema   che   il   legislatore  ha  realizzato  con  riguardo  alla
definibilita'   delle   liti   pendenti  fra  contribuente  e  fisco,
escludendo  in  modo  inequivoco  (seppur non esplicitamente), quelle
pendenti innanzi alla Corte di cassazione.
    L'art. 16,  al  comma 1, stabilisce che «Le liti fiscali pendenti
dinanzi alle commissioni tributarie in ogni grado del giudizio, anche
a  seguito  di  rinvio, nonche' quelle gia' di competenza del giudice
ordinario,  ancora  pendenti  innanzi  al  tribunale  o alla corte di
appello,  possono  essere  definite,  a  domanda  del soggetto che ha
proposto l'atto introduttivo del giudizio,con il pagamento: a) di 150
euro,  se  il valore della lite e' di importo fino a duemila euro; b)
pari  al 10% del valore della lite, se questo e' di importo superiore
2.000 euro».
    Al comma 2 e' stabilito che «le somme dovute ai sensi del comma 1
sono versate entro il 16 marzo 2003 ...».
    Al  comma  quarto,  poi,  che,  «per  ciascuna  lite  pendente e'
effettuato  entro il termine di cui al comma 2 un separato versamento
ed  e'  presentata,  entro  il 21 marzo 2003, una distinta domanda di
definizione ...».
    Al  comma  3, lettera a) della disposizione in esame e' precisato
che  per lite pendente si intende «quella avente ad oggetto avvisi di
accertamento,  provvedimenti  di  irrogazione  delle  sanzioni e ogni
altro atto di imposizione, per i quali alla data di entrata in vigore
della  presente  legge,  e'  stato  proposto  l'atto introduttivo del
giudizio,  nonche'  quella per la quale l'atto introduttivo sia stato
dichiarato  inammissibile  con  pronuncia non passata in giudicato» e
infine  che  «si  intende comunque pendente la lite per la quale alla
data  del  29  settembre 2002 non sia intervenuta sentenza passata in
giudicato».
    Al  comma  6 e' stabilito che «Le liti fiscali che possono essere
definite  ai  sensi  del  presente  articolo  sono sospese fino al 30
giugno 2003; qualora sia stata gia' fissata la trattazione della lite
nel  suddetto  periodo,  i  giudizi  sono  sospesi  a  richiesta  del
contribuente  che dichiari di volersi avvalere delle disposizioni del
presente articolo».
    Al  comma  8  e'  previsto  che  «gli  Uffici  di cui al comma 1»
(l'inciso   di  cui  al  comma  1  appare  frutto  di  un  errore  di
coordinazione,  posto che, come si e' prima illustrato, diverso e' il
tenore  di tale comma: ndr) «trasmettono alle commissioni tributarie,
ai  tribunali  e  alle  corti di appello, entro il 30 giugno 2003, un
elenco  delle  liti pendenti per le quali e' stata presentata domanda
di definizione. Tali liti sono sospese fino al 31 luglio 2005».
    Cosi'   richiamate  quelle  che  appaiono  le  disposizioni  piu'
significative  dell'art. 16  in  esame,  si  impongono,  al riguardo,
alcune considerazioni.
    In   primo   luogo   che,   non   potendosi  prescindere  da  una
interpretazione  di  carattere  logico  - oltre che letterale - della
disciplina  anzidetta,  appare da escludere che il periodo finale del
comma  2,  lettera  a), dell'art. 16 «si intende comunque pendente la
lite per la quale alla data del 29 settembre 2002 non sia intervenuta
sentenza  passata  in giudicato» sia riferibile a qualsiasi lite, si'
da  comprendervi  anche  a  quelle  pendenti  innanzi  alla  Corte di
cassazione.
    Se  cosi'  fosse,  invero,  non vi sarebbe luogo a dubitare della
coerenza del sistema.
    Invece, in senso chiaramente contrario depone il tenore letterale
e  logico  del  primo  comma  dell'art.  16 (che si riferisce in modo
chiaro  alle commissioni tributarie in ogni grado del giudizio «anche
a  seguito  di  rinvio»  nonche' alle liti ancora pendenti innanzi al
tribunale o alla corte di appello).
    Del   resto,  la  nozione  di  lite  pendente  risulta  elaborata
esplicitamente  (comma  3,  dell'art. 16  cit.) «ai fini del presente
articolo»:  sicche',  gia'  sotto  questo  profilo deve ritenersi non
consentita  una  interpretazione  estensiva  della  nozione  di  lite
pendente.
    Per  altro verso, la indicata precisa delimitazione della nozione
di  lite  pendente  trova  riscontro nel menzionato comma 6 - laddove
cioe'  il legislatore, nel disporre la sospensione delle liti fino al
30  giugno  2003,  si riferisce esplicitamente a «le liti fiscali che
possono essere definite ai sensi del presente articolo» - nonche' nel
comma  7  (ove  e'  stabilito che «per le liti di cui al comma 6 sono
altresi'  sospesi  fino  al  17 marzo 2003 i termini per impugnare le
sentenze  delle commissioni tributarie nonche' quelle dei tribunali e
delle  corti  di appello) e nel comma 8, posto che la trasmissione da
parte  degli uffici finanziari dell'elenco delle liti pendenti ha per
destinatari  soltanto  le  commissioni  tributarie,  i tribunali e le
corti di appello.
    Il   sistema,   rigoroso   e  chiuso,  non  consente  quindi  una
interpretazione  estensiva  della relativa disciplina che dia modo al
contribuente  -  la  cui  lite  sia occasionalmente, alla data del 29
settembre  2002,  pendente  innanzi  alla  Corte  di  cassazione,  di
usufruire del meccanismo di chiusura agevolata.
    Il dato va sottolineato, posto che in caso di avvenuta cassazione
con  rinvio  della  sentenza impugnata la lite cosi' pendente diviene
nuovamente  definibile,  per  via  di  quanto  espressamente disposto
dall'art. 16, al comma 1.
    Sotto  altro aspetto, e' da rilevare che l'impianto normativo non
consente  al  contribuente di definire in altro modo le proprie liti,
ove pendenti in Cassazione.
    Invero,  la  definizione  automatica  di  redditi  d'impresa e di
lavoro autonomo per gli anni pregressi mediante autoliquidazione, con
effetti  anche  ai fini dell'imposta sul valore aggiunto (oggetto del
presente  giudizio) di cui all'art. 7, legge n. 282/2002 e' esclusa -
comma  3,  lettera c) - per i soggetti ai quali «alla data di entrata
in  vigore  della  presente  legge  e' stato notificato ... avviso di
accertamento  ai  fini  delle  imposte  sui redditi, dell'imposta sul
valore aggiunto ...».
    Del  pari, le disposizioni sull'integrazione degli imponibili per
gli  anni  pregressi  (art. 8,  legge  n. 282/2002)  non si applicano
(comma  10,  lettera  a), nel ricorrere delle medesime circostanze di
fatto   ora  menzionate,  cosi'  come  non  si  applicano,  ai  sensi
dell'art. 9  comma  14 legge cit. quelle sulla definizione automatica
per  gli  anni  pregressi  (tutti  i  periodi d'imposta per i quali i
termini  per  la  presentazione  delle  relative  dichiarazioni  sono
scaduti entro il 31 ottobre 2002).
    Tale  essendo il sistema predisposto dal legislatore, e' indubbio
che il contribuente - il quale abbia proposto ricorso per cassazione,
o sia stato quivi evocato dall'amministrazione finanziaria e vi abbia
esplicato  difesa  -  viene  ad essere, in base all'art. 16, escluso,
senza  una  qualsiasi ragionevole giustificazione, dalla possibilita'
di  avvalersi  di  una  definizione  agevolata  dalla controversia in
essere con il fisco.
    La  mancanza di giustificazione - e quindi la irrazionalita' - di
siffatta soluzione legislativa perseguita con l'art. 16 - e' palese e
tale   da  risultare  in  evidente  contrasto  con  il  principio  di
uguaglianza  e  con  la  inviolabilita' del diritto di difesa fissati
negli artt. 3 e 24 della Costituzione.
    Tale irrazionalita' maggiormente risalta ove si abbia riguardo al
piu'  favorevole  regime  stabilito  per  la  definizione dei tributi
locali  (delle  regioni,  delle  province  e dei comuni) dall'art. 13
della  legge  n. 282/2002,  che,  al  comma  2,  prevede  infatti  la
sospensione, su istanza di parte del procedimento giurisdizionale «in
qualunque  stato  e  grado questo sia eventualmente pendente»: in tal
modo consentendosi ai contribuenti che ne abbiano interesse di sanare
liti pendenti con i predetti enti locali anche se pendenti in sede di
legittimita'.
    In  definitiva,  la  esclusione,  ai  sensi  dell'art. 16,  legge
n. 282/2002,  della  possibilita'  per il contribuente di chiudere la
lite  fiscale pendente - ove questa si trovi in tale stato in sede di
legittimita'  e soltanto per tale motivo - non rappresenta una scelta
di  diritto  sostanziale,  tale  da  rientrare  nella  sfera  di  una
insindacabile  discrezionalita'  legislativa  (pur dovendosi rilevare
che la finalita' dei condoni fiscali e' sempre quella di un sollecito
recupero  di  risorse  finanziarie, anche attraverso la riduzione del
contenzioso), ma di ordine strettamente processuale.
    Sicche',  finendo  per  discriminare  il  legittimo esercizio del
diritto  di  difesa,  garantito  a  tutti  in  ogni stato e grado del
procedimento, determina la violazione dei gia' menzionati principi di
ordine costituzionale.
    Il  giudizio in corso deve essere sospeso e gli atti rimessi alla
Corte costituzionale.
    La  cancelleria  provvedera'  agli  adempimenti  di cui al quarto
comma dell'art. 23, legge n. 87/1953.