IL TRIBUNALE Letti gli atti a carico dell'on. Vendola Nicola, querelato dal senatore Curto Eupreprio per diffamazione a mezzo stampa per un articolo pubblicato sul giornale l'«Unita» del 2 marzo 2003; Rilevato che il senatore Curto Eupreprio nella sua querela escludeva che nel caso di specie ricorresse a favore dell'on. Vendola la scriminante ex art. 68, comma 1 della Costituzione, in quanto le dichiarazioni sarebbero state rese al di fuori dell'esercizio delle funzioni di parlamentare; O s s e r v a Il problema della liberta' di pensiero e di espressione affrontato nei tempi e nelle condizioni piu' diverse, come dai redattori della dichiarazione di indipendenza americana e della costituzione italiana, ha sempre dato la stessa risposta: si tratta di un diritto essenziale e inalienabile. «L'informazione e' un diritto fondamentale dell'uomo ed e' la pietra di paragone di tutte le liberta» dichiara la Risoluzione n. 59 del 14 dicembre 1946 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite. L'art. 2 della nostra Costituzione sancisce che: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita». Tra questi diritti vi e' la liberta' di pensiero, d'informazione e di espressione, richiamate come uno dei pilastri della democrazia dagli artt. 9 e 10 della Convenzione europea dei Diritti dell'uomo e dagli artt. 18 e 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani recepiti dal nostro sistema normativo grazie anche alla norma di inglobamento dell'art. 10 che recita: «L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute». Soprattutto la liberta' di espressione del pensiero e' garantita dall'art. 21 della nostra Costituzione la' dove afferma che: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non puo' essere soggetta ad autorizzazioni o censure». La liberta' di espressione e l'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge in riferimento a questa liberta', a parere del giudicante, e' compromessa dall'immunita' parlamentare, richiamata peraltro nelle carte di questo processo vista la qualifica delle parti, istituto il cui fine e di permettere ai parlamentari di agire e dire in piena liberta' e indipendenza nella loro funzione politica al riparo da pressioni esterne. Specificamente l'art. 68 della Costituzione modificato dalla legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3, disciplina nella prima parte l'insindacabilita' dei membri del Parlamento per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni (primo comma). Orbene di fatto questa norma discrimina cittadini che esprimono le loro idee, soggetti a incriminazione in caso di diffamazione, e cittadini parlamentari i quali, invece, possono impunemente «diffamare» in nome della funzione politica svolta. Cio' malgrado i parlamentari siano rappresentanti del popolo e, quindi, virtuali paradigmi di comportamento etico ineccepibile, essendo invece portatori di prerogative diversificanti, in nome delle quali possono usare espressioni che per i cittadini comuni portano alla diffamazione e alla pena e per i parlamentari no. Se quella prerogativa parlamentare dev'esserci, come c'e', il principio di eguaglianza impone che ogni cittadino possa esprimere il propri pensiero ed eventualmente «stigmatizzare in maniera virulenta» che agisca in chiave politica, senza incorrere nelle maglie della legge penale. In tale prospettiva appare il problema di fondo della concezione della politica. Da tempo nel linguaggio e' invalso l'uso di dare il titolo di «politico» solo in relazione a coloro che si dedicano all'attivita' di partito e di governo. Siamo molto lontani da quanto intendeva Aristotele quando definiva la «Politica la scienza e l'arte di organizzare la Polis o la Citta» ovvero in modo che i suoi abitanti possano vivere felici, cioe' nella soddisfazione delle proprie esigenze, e da quanto intendeva Montesquieu quando introdusse la distinzione tra «Potere Legislativo, Potere Esecutivo e Potere Giudiziario», motivando che «puo' dirsi libera quella Costituzione in cui nessun governante possa abusare del potere a lui confidato. L'unica garanzia contro tale abuso e' che il potere arresti il potere cioe' la divisione dei poteri, e che tali poteri fondamentali possano essere affidati a mani diverse in modo che ciascuno di essi possa impedire all'altro di esorbitare dai suoi limiti convertendosi in abuso dispotico». Tra i poteri in grado di controllare i detentori della res publica e denunziare qualunque stortura, devianza, strumentalizzazione, per far si' che essa in trasparenza sia retta da persone integerrime, c'e' in primis il Terzo Potere, la Magistratura, cui spetta non solo un compito di conservazione dello status quo ma di critica dinamica a cui sistema per renderlo eguale realmente democratico, con metodi rigorosamente legittimi tra cui rientra anche la stilanda ordinanza d'incostituzionalita'. Alla magistratura si affiancano il Quarto Potere, la Stampa, il Quinto Potere, la Televisione, e, ultimo arrivato, il Sesto Potere, l'Internet, dove a chiunque e' concesso di accedere per manifestare con grande liberta' il proprio pensiero e la propria critica. Orbene tutti questi poteri alternativi hanno il diritto ma soprattutto il dovere morale e sociale di stigmatizzare il Potere Poilitico che contravvenga ai suoi doveri di tutela della cosa pubblica, essendo cio' contenuto nell'art. 3 della Cost. che al comma 2 recita: «E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Nella fattispecie sottoposta al verdetto di questo giudice, poiche' di fatto l'art. 68 della Costituzione crea disuguaglianza tra i cittadini quanto alla libera espressione del pensiero, la sua permanenza, alla luce degli articoli 2, 21 Cost., non puo' non risolversi in un'incostituzionalita' della normativa penale sulla diffamazione a mezzo stampa che crea una disparita' di trattamento tra privati e soggetti pubblici con prerogative parlamentari, trattati questi ultimi diversamente quanto alla loro capacita' di esprimersi, criticare, attaccare l'altrui reputazione senza incorrere nella legge penale. Cio' in contrasto irrefragabile con l'art. 3, primo comma della Costituzione che recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». In definitiva le liberta' globalizzate di pensiero, di parola, d'informazione e di espressione appaiono piu' che mai principi fondamentali su cui, nella costituzionalizzazione di fatto delle norme, si deve provare a ricostruire un nuovo mondo di realmente liberi ed eguali di fronte alla legge, eliminando le prerogative oggi esistenti o meglio estendendole ai cittadini comuni. Necessita' imperante oggi piu' che mai nell'era di Internet che ha ampliato le frontiere di espressione e pubblicazione delle proprie idee a tutti i cittadini che non possono essere discriminati rispetto ai politici che sono i loro stessi rappresentanti. Cio' affinche' la comunicazione politica su cui l'esercizio della democrazia si basa, sia plurale ed efficace, in grado di coinvolgere la cittadinanza e di renderla partecipe al sistema di governo in maniera davvero cooperante, solidale, egualitaria, com'e' proprio del concetto antico di politica, cioe' di dimensione in cui ogni uomo partecipa alla vita dell'urbe in pari condizioni con tutti gli altri. In via generale quindi, al cittadino, che e' politico in ogni sua azione, dovrebbe essere concesso di esprimere le proprie opinioni sulla res publica senza incorrere nella legge penale. Nello specifico al cittadino dovrebbe essere consentito di attaccare verbalmente o con scritti il politico cosi' come fa il politico col cittadino o con un altro politico, quando entrambe le categorie agiscano in virtu' di un'azione politica strictu sensu, ovvero di denunzia sociale di un comportamento commissivo o omissivo ritenuto criminale, illecito, immorale, etc., tale da ingenerare effetti negativi per lo Stato. Cio' sia che quel comportamento afferisca alla sfera pubblica sia che attenga a quella privata, quando si tratti di fatti di rilevante interesse pubblico, concernenti la collettivita' e il diritto supremo di questa ad essere informata. Tale discorso e' in linea anche con l'intervento delle sezioni unite della Cassazione (16 ottobre 2001/37140) con cui si e' dato amplissimo spazio al diritto di cronaca qualora sussista un interesse pubblico alla conoscenza della notizia poiche', in tal caso, «la situazione giuridica del giornalista si sposta sempre piu' verso la sua polarita' passiva: a fronte di fatti massimamente rilevanti la cronaca diviene sempre meno potere del giornalista e sempre piu' suo dovere, sempre meno un semplice interesse del cittadino e sempre piu' un suo diritto di natura pubblicistica» (Trib. Monza, 10 aprile 1995, Bossi in Cass. Pen., 1995). In conclusione la normativa sulla diffamazione a mezzo stampa che dovrebbe applicare questo giudice e che porta addirittura a una repressione penalistica (e non al piu' meramente civilistica) della fattispecie, appare in contrasto con i principi fondamentali della liberta di pensiero, di in formazione e di espressione garantiti dalla Costituzione agli artt. 2, 3, 21, soprattutto in rapporto all'art. 68 della Costituzione la' dove si crea una discriminazione ingiustificata visto che ogni soggetto del popolo e' politico) tra parlamentare e cittadino comune, categorie dichiarate piu' che mai eguali davanti alla costituzione del nostro stato democratico. Alias in ipotesi parallele di «diffamazione con pretesto politico» il primo potrebbe avvalersi dello scudo parlamentare; il secondo e' soggetto alla multa o addirittura al carcere. Una disparita' che porta la coscienza del giudicante a sollevare questione d'incostituzionalita', apparendo la repressione penale della diffamazione a mezzo stampa contraria allo spirito di democrazia reale espressa nei diritti fondamentali della nostra Costituzione, rimettendo la decisione in merito alla saggezza illuminata di codesto Eccellentissimo Consesso.