IL TRIBUNALE

    Letti  gli  atti relativi all'arresto di El Mansouri Essaid, nato
in  Marocco  il  1°  maggio  1975, compiutamente identificato a mezzo
rilievi dattiloscopici di polizia, osserva

                              In fatto

    Alle  ore  23,50  del  3  marzo 2003 una pattuglia della Polizia,
durante  un normale controllo del territorio, avvicinava il prevenuto
allo  scopo di identificarlo. Effettuata interrogazione al C.E.D., si
appurava  che a suo carico esisteva un ordine del questore di Firenze
del 31 gennaio 2003 di lasciare lo Stato, ai sensi dell'art. 14 comma
5-bis  d.lgs.  n. 286/1998,  a  seguito  di decreto di espulsione del
Prefetto  di Firenze in pari data, e per tali motivi veniva tratto in
arresto.
    Dell'avvenuto arresto veniva notiziato il p.m. di turno, il quale
ne richiedeva nel termine di legge la convalida in relazione al reato
contravvenzionale   di   cui   all'art. 14  comma  5-ter  del  d.lgs.
n. 286/1998  -  tale  essendo  in  fatto  l'addebito  contestato, pur
essendo erroneamente riportato in imputazione l'art. 14, comma 5-bis,
legge  189/02  - a questo giudice, competente inoltre per il giudizio
direttissimo previsto ex lege.
    L'udienza  di  convalida  veniva  iniziata  in  data 4 marzo 2003
avanti  a questo giudice alla presenza dell'arrestato e si concludeva
con  la  richiesta  della  difesa  di  verificare  la sussistenza dei
presupposti  per  sollevare  questione di legittimita' costituzionale
della  norma  in  base  alla  quale si e' proceduto all'arresto di El
Mansouri  Essaid. Valutata la questione di conformita' costituzionale
del   dettato   normativo   processuale   posto   a   fondamento  dei
provvedimenti  restrittivi della liberta' personale adottati in danno
dell'imputato,   preliminarmente   alla   decisione  sulla  convalida
dell'arresto  il  giudice  ritiene  rilevante  e  non  manifestamente
infondato  il  dubbio  di conformita' al dettato costituzionale della
previsione  normativa  di  cui  all'art. 14,  comma  5-quinquies, del
decreto  legislativo n. 286/l998, nel testo risultante dalla modifica
introdotta  dalla  legge  30  luglio  2002 n. 189, nella parte in cui
prevede   l'obbligatorieta'   dell'arresto   per  il  reato  previsto
dall'art. 14, comma 5-ter, stessa legge per i seguenti motivi.

                             In diritto

    Osserva il giudicante come la questione di conformita' al dettato
costituzionale   della   disposizione   processuale   precedentemente
richiamata  debba  essere  valutata  da  questo  giudice sia sotto il
profilo   della   effettiva   rilevanza   in   relazione   alla  fase
procedimentale  oggetto  di  giudizio, sia sotto il profilo della non
manifesta infondatezza.
                        In punto di rilevanza
    Nel   caso   in   esame   nessun  dubbio  puo'  sussistere  sulla
corrispondenza  tra  l'autore del reato e la persona fisica tratta in
arresto,  ne'  puo' sussistere dubbio sulla circostanza che l'arresto
e'  stato  eseguito  in  un  caso  espressamente previsto dalle norme
processuali,  introdotte nell'ordinamento con la legge 30 luglio 2002
n. 189;  infine  nessuna  violazione  delle  disposizioni di cui agli
art. 386,  comma  7,  e 390, comma 3, c.p.p e' stata perpetrata dalla
polizia  giudiziaria  operante l'arresto, la quale ha tempestivamente
messo   a   disposizione  del  pubblico  ministero  l'arrestato,  con
conseguente  richiesta di convalida al giudice competente nei termini
previsti dalla legge.
    Nella   attuale   fase   procedimentale,  caratterizzata  da  una
cognizione  sommaria  del  fatto  finalizzata  dalla  legge  al  mero
controllo  di  legittimita'  dei  poteri  coercitivi utilizzati dalla
polizia   giudiziaria,  in  presenza  delle  condizioni  legittimanti
l'arresto  cosi'  come  precedentemente  evidenziate,  questo giudice
dovrebbe   convalidare   il   provvedimento  adottato  dalla  polizia
giudiziaria.
    Da   tali  considerazioni  a  parere  del  giudicante  emerge  la
rilevanza   della   eccezione   di   costituzionalita'   delle  norme
processuali  denunciate  nel procedimento in corso, e segnatamente ai
fini  della decisione da adottare sulla convalida o meno dell'arresto
eseguito.
               In punto di non manifesta infondatezza
    Il tema della privazione della liberta' personale e' regolato nel
nostro ordinamento dall'art. 13 della Costituzione il quale, al primo
comma, statuisce una riserva di giurisdizione.
    Nondimeno, avuto riguardo alle concrete esigenze di necessita' ed
urgenza,  tale  riserva  di giurisdizione subisce deroga in favore di
provvedimenti  adottati dalla autorita' di polizia, deroga introdotta
e disciplinata dal comma secondo del medesimo articolo.
    Il  provvedimento  dell'arresto  e'  peraltro  soltanto  uno  dei
provvedimenti adottabili dalla autorita' di polizia e fmalisticamente
assunto a produrre limitazione alla liberta' personale, poiche' molti
possono  essere  quei  provvedimenti,  ancorche'  di diversa natura e
finalita',   in   concreto   idonei  a  realizzare  la  privazione  o
limitazione  del  diritto  costituzionalmente protetto (vedasi in tal
senso  l'esauriente  dibattito  in  sede prima sottocommissione della
Assemblea  costituente  tenutosi  nella  seduta  antimeridiana del 12
settembre  1946  -  in  La  Costituzione  della Repubblica nei lavori
preparatori  della  Assemblea  Costituente,  Camera  dei  Deputati  -
Segretariato  generale,  vol.  VI  pag. 343 e segg.). La stessa legge
n. 286/1998,  nel  testo  vigente attualmente, allorquando prevede la
possibilita' di accompagnamento coatto dello straniero alla frontiera
su  provvedimento  emesso  da Autorita' amministrativa, disciplina in
concreto  un  provvedimento  idoneo  a limitare la liberta' personale
dello straniero per finalita' di ordine pubblico interno.
    L'istituto   dell'arresto  -  cosi'  come  il  fermo  di  polizia
giudiziaria   -   ha  pero',  a  differenza  di  altri  provvedimenti
amministrativi  potenzialmente  lesivi  della  liberta' personale del
cittadino,  caratteristiche  proprie  e  peculiari, trattandosi da un
lato  di  istituto  interamente  ed analiticamente disciplinato dalla
legge  processuale,  e  dall'altro  di istituto finalizzato proprio a
realizzare  la  completa  privazione  della  liberta'  personale  del
cittadino in forma anticipata e prodromica alla applicazione nei suoi
confronti di una misura coercitiva.
    Su  tale ultima caratteristica del provvedimento dell'arresto non
e'  mai sussistito il benche' minimo dubbio, ne' nella giurisprudenza
di  legittimita',  ne'  nella  unanimita' della dottrina. Secondo una
definizione   unanime   della   dottrina   processualistica   infatti
l'arresto,   in   senso   lato,  costituisce  un  mezzo  di  coazione
preordinato   a   preparare   le   condizioni  e  i  presupposti  per
l'attuazione della carcerazione preventiva (oggi custodia cautelare),
della pena e della misura di sicurezza.
    Ma  a  ben  vedere  anche  la  normativa  processuale regolatrice
dell'istituto   evidenzia   senza   ombra   di   dubbio   la  stretta
interconnessione dei due istituti: l'arresto e la custodia cautelare.
    Ed  infatti  la  disciplina processuale dei casi di arresto la si
rinviene negli artt. 380 e 381 del codice di rito.
    Entrambe le disposizioni, relativa l'una all'arresto obbligatorio
e  la  seconda  all'arresto  facoltativo,  sono  state redatte con la
medesima tecnica legislativa: il primo comma prevede una disposizione
di  carattere generale, che fissa i limiti minimi di pena edittale in
relazione  ai  quali  il  provvedimento restrittivo e' imposto ovvero
autorizzato.  Il  secondo  comma di entrambe le norme esemplifica una
serie  di  reati, individuati con numero di articolo e nomen iuris, i
quali  fuoriescono  per  difetto dai limiti di pena edittale indicati
nel  comma  primo,  ed in relazione ai quali, per ragioni di politica
criminale   riservate   alla  discrezionalita'  del  legislatore,  il
provvedimento restrittivo e' comunque imposto o consentito.
    La richiamata elencazione ha peraltro carattere di tassativita' e
non  e'  suscettibile di estensibilita' analogica, essendo ricompresa
nella  deroga  alla  riserva  di  giurisdizione in tema di privazione
della   liberta'   personale   fissata   dall'art. 13   della   Carta
costituzionale  (in  tal  senso  vedasi  Corte  cost.  7  giugno 1996
n. 188).
    E' subito da osservare che, per quanto attiene ai reati di cui al
secondo  comma  dell'art. 381  del  codice  di  rito, la pena massima
edittale  prevista  per  ciascuno  di  essi  esclude,  in  base  alla
disposizione  generale  di  cui  all'art. 280  comma primo c.p.p., la
applicazione di misure coercitive; tanto che la medesima disposizione
prevede  una  espressa riserva in relazione al disposto dell'art. 391
del  codice  di  rito, ove si disciplina espressamente, nella seconda
parte  del  quinto comma, che «quando l'arresto e' stato eseguito per
uno  dei  delitti indicati nell`art. 381, comma 2, ovvero per uno dei
delitti  per i quali e' consentito anche fuori dai casi di flagranza,
l'applicazione  della misura e' disposta anche al di fuori dei limiti
di pena previsti dagli artt. 274, comma 1, lett. c), e 280.»
    Tale  ultima  norma, eccezionale rispetto ai principi generali in
tema  di  applicabilita'  di  misure  coercitive, se da un lato rende
armonico  il  sistema disegnato dal legislatore in tema di arresto in
flagranza,  rendendo  effettiva  la  scelta di politica criminale del
legislatore,   dall'altro  evidenzia  normativamente  quanto  abbiamo
affermato  in  precedenza, ovverosia la stretta dipendenza funzionale
che esiste tra l'istituto dell'arresto e quello della applicazione di
misure privative o limitative della liberta' personale da parte della
Autorita'  giudiziaria, nel senso che l'istituto dell'arresto si pone
quale  anticipazione motivata da ragioni contingenti di necessita' ed
urgenza  della  misura  coercitiva,  la cui eventuale applicazione e'
demandata al provvedimento motivato dell'Autorita' giudiziaria.
    Ma  al  carattere  di  eccezionalita'  della  previsione  di  cui
all'art. 391  comma  quinto seconda parte c.p.p. consegue inoltre che
la disposizione processuale di cui all'art. 14, comma 5-quinquies del
d.lgs  n. 286/1998 fuoriesce dalla medesima previsione normativa, non
potendo  essere  ricompresa  ne'  nei  reati  di cui al comma secondo
dell'art. 381  c.p.p.,  ne'  tantomeno  nei  delitti  per  i quali e'
consentito l'arresto anche fuori dai casi diflagranza.
    La esclusione deriva dalla semplice lettura della disposizione, e
comunque sarebbe sufficiente il rilievo che le deroghe previste dalla
norma afferiscono tutte espressamente a delitti, mentre la previsione
della  normativa  processuale  introdotta  dalla legge 30 luglio 2002
n. 189 sopra richiamata fa riferimento a reati contravvenzionali.
    La  sommaria  ricostruzione  dell'istituto effettuata consente di
poter  affermare  che  l'arresto  obbligatorio  previsto dall'art. 14
comma  quinto/quinquies  del  D.L.vo  n. 286/1998  si  qualifica come
provvedimento   restrittivo   della   liberta'   personale  tipico  e
disciplinato dalla normativa generale codicistica in tema di arresto,
ma non finalizzato alla applicazione anticipata di misura coercitiva,
poiche' quest'ultima, in base alla normativa generale di riferimento,
non e' applicabile per difetto dei presupposti di legge.
    Trattasi  pertanto  di restrizione della liberta' personale priva
di finalita' ne' di cautela processuale, ne' di prevenzione speciale,
ma, a ben considerare priva di alcuna finalita'.
    Ed   infatti,  ancorche'  si  volesse  sostenere  che  l'arresto,
destinato  inevitabilmente  alla  perenzione  nel  termine massimo di
quarantotto  ore,  e'  comunque  finalizzato a consentire l'immediata
espulsione del cittadino straniero il quale rimarrebbe comunque nella
disponibilita'  fisica  delle  Forze  di  polizia,  tale affermazione
urterebbe con il chiaro dettato della legge n. 286/1998.
    Infatti,  nel  caso di consumazione del reato di cui all'art. 14,
comma  5-ter,  le  stesse  disposizioni  prevedono  l'accompagnamento
immediato  alla  frontiera. Inoltre, il successivo comma 5/quinquies,
oltre all'arresto obbligatorio, prevede espressamente che «al fine di
assicurare  l'esecuzione della espulsione il questore puo' disporre i
provvedimenti di cui al comma primo del presente articolo».
    Dall'esame  attento delle disposizioni in esame emerge quindi che
il  legislatore ha affidato ad altri istituti rispetto all'arresto la
effettivita'  della espulsione dello straniero. E non potrebbe essere
altrimenti,  poiche'  l'arresto,  nel  caso  di  specie, non potrebbe
essere   utilizzato  neppure  ai  fini  sopra  richiamati,  ancorche'
certamente estranei alle finalita' dell'istituto.
    Stante  la  inapplicabilita' di misure coercitive in relazione ai
reati  contestabili  al trasgressore, il pubblico ministero, il quale
deve  essere  notiziato  dalla  polizia  giudiziaria immediatamente a
norma    del    primo   comma   dell'art. 386   c.p.p.,   altrettanto
immediatamente  dovrebbe  ordinare  la  liberazione  dell'arrestato a
norma  dell'art. 121 disp. att. c.p.p., con il risultato concreto che
la   persona  arrestata  si  troverebbe  nella  disponibilita'  della
autorita'  di pubblica sicurezza per un lasso di tempo eccessivamente
breve  per poter consentire alla predetta di apprestare la espulsione
coatta.
    Devesi   pertanto   concludere   che   l'arresto,   nella   forma
obbligatoria  prevista dalle norme processuali introdotte dalla legge
30  luglio  2002, n. 189, e' provvedimento restrittivo della liberta'
personale  privo  di  giustificazione e di finalita', sia processuali
che   estraprocessuali,   qualificandosi  quindi  espressamente  come
previsione normativa meramente vessatoria e costituente inammissibile
anticipazione  di  applicazione di una pena detentiva in relazione ad
una ipotesi di reato contravvenzionale tutta da accertare, e comunque
ad  opera  della  Autorita'  amministrativa  in aperta violazione del
dettato  degli  articoli 3, 13 comma primo e 27, comma secondo, della
Costituzione.
    Ritiene  il giudicante che la disposizione denunciata violi anche
i principi costituzionali di ragionevolezza e di buon andamento della
Pubblica  Amministrazione,  per come i predetti sono stati fissati in
numerose  pronunce  della  Corte  Costituzionale e segnatamente nelle
sentenze nn. 531/2000 e 4/1994.
    Non  puo' sussistere dubbio infatti che la adozione di una misura
restrittiva   della   liberta'   personale  senza  giustificazione  e
finalita'   costituisce   ad  un  tempo  inaccettabile  strumento  di
coercizione personale per qualunque cittadino, ed al contempo inutile
dispendio  di energie e mezzi da parte della pubblica amministrazione
con   grave   pregiudizio   del  principio  costituzionale  di  buona
amministrazione della cosa pubblica.
    La  necessita'  di  sospensione  del procedimento impone comunque
l'immediata  rimessione  in  liberta'  dell'arrestato  in mancanza di
adeguato titolo detentivo.