IL TRIBUNALE

    Sciogliendo la riserva che precede;
    Rilevato  che  in limine all'odierno dibattimento, subito dopo la
costituzione   delle   parti,   l'avv.  Sergio  Bonatesta,  difensore
dell`imputato F. G., premesso che la propria richiesta di definizione
del processo con rito abbreviato, condizionata:
        alla perizia psichiatrica del proprio assistito;
        all'acquisizione  della  documentazione  sanitaria  esistente
presso   l'amministrazione  penitenziaria  all'atto  di  ingresso  in
carcere del 7 maggio 2000;
        all'interrogatorio del prevenuto;
        all'acquisizione della documentazione allegata alla richiesta
di giudizio abbreviato:
era   stata   disattesa   dal  g.u.p.  (onde,  in  esito  all'udienza
preliminare,  ne era derivate il rinvio a giudizio del suo assistito)
e osservato che, per il combinato disposto degli artt. 438, 441 e 442
c.p.p.,  a  fronte  del  diniego del g.u.p., della richiesta non puo'
piu'  essere  riproposta  dinanzi  al  giudice  del dibattimento, con
chiaro  pregiudizio  per  l'imputato,  che  si vede cosi' privato dei
benefici premiali di cui all'art. 442, terzo comma, c.p.p., sollevava
questione  di  legittimita'  costituzionale delle citate disposizioni
del  codice  di  rito  penale per violazione degli artt. 3 e 24 della
Costituzione;
        che  il  p.m. si associava alla richiesta mentre il difensore
della   coimputata  De  Mitri  Gabriella,  avv.  Giuseppe  Milli,  si
rimetteva alla decisione del Tribunale;
    Ritenuto  che  la  questione di legittimita' costituzionale degli
artt.  438,  441  e  442 c.p.p., in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.
appare  rilevante  e  non  manifestamente infondata per le ragioni di
seguito specificate:
    Come  e' noto, a seguito delle profonde modifiche apportate dalla
legge  n. 479/1999,  la  possibilita'  di  «decidere allo stato degli
atti»  non  costituisce  piu'  un  presupposto per la definizione del
procedimento  con rito abbreviato, che non si fonda piu' sul consenso
delle  parti,  ma  viene,  invece,  instaurato  sulla base della mera
richiesta   dell'imputato.  Residua,  peraltro,  una  valutazione  di
ammissibilita'  nell'ipotesi  in  cui la richiesta sia subordinata ad
integrazione  probatoria,  posto che, in tal caso, la valutazione del
giudice deve essere rapportata a quanto statuito dall'art. 438, comma
5  c.p.p.  (necessita'  della  prova  ai  fini  della decisione e sua
compatibilita'   con   le  esigenze  di  economia  processuale  e  di
speditezza proprie del procedimento).
    Ad  onta  di tali modifiche, permane, tuttavia, il problema delle
garanzie  contro errate decisioni di rigetto, anche se in termini del
tutto  nuovi  rispetto  al  sistema  pregresso.  Concretamente, detto
problema  si  pone  oggi nell'ipotesi di richiesta incondizionata che
venga  ingiustamente  rigettata  per  errore  del  giudice, ovvero di
richiesta  condizionata  disattesa  ai  sensi  dell'art.  438, quinto
comma, c.p.p. (come nel caso dell'odierno procedimento).
    Nel  sistema  precedente  l'entrata  in  vigore della c.d. «legge
Carotti» la Corte costituzionale (sentenza n. 23/1992), in ipotesi in
cui  l'accesso  al  rito  speciale  era  stato  negato  per  dissenso
(ritenuto)  ingiustificato  del  p.m.,  dopo aver posto in rilievo le
conseguenze   di   carattere   sostanziale   derivanti   all'imputato
dall'ammissione  -  o meno - al giudizio abbreviato, aveva dichiarato
illegittima   la   mancata  previsione  del  potere  del  giudice  di
sindacare,  in  esito  al  dibattimento, il rigetto ingiustificato da
parte  del  g.i.p.  della  richiesta, proprio perche' appariva lesivo
della  «posizione  sostanziale»  dell'imputato  l'attribuire,  in via
esclusiva,  al  giudice  per  le  indagini  preliminari del potere di
definire   in   senso   negativo  il  giudizio  sui  presupposti  per
l'ammissione al rito speciale, «senza alcun controllo al riguardo».
    Ora,  a  giudizio  di  questo Tribunale, le ricordate innovazioni
legislative,  che  hanno  ridefinito  anche  quanto ai presupposti il
«nuovo» giudizio abbreviato, non hanno intaccato i principi enucleati
dalla   Corte   nella   citata  sentenza  n. 23/1992,  permanendo  la
necessita'  costituzionale  di un sindacato successivo alla decisione
di  rigetto della richiesta, a prescindere dalle mutate condizioni di
ammissibilita'  del  rito, proprio per l'incidenza della misura della
pena  sulla  «posizione sostanziale» dell'imputato L'attenzione degli
interpreti si e' incentrata essenzialmente sul meccanismo di recupero
dello  sconto  di  pena all'esito del dibattimento e non sono mancate
decisioni  (Trib.  Milano, Sez. VII, 19 luglio/11 settembre 2001) che
hanno  ritenuto  applicabile  la  riduzione  di  un  terzo  di  pena,
all'esito  del  dibattimento, in caso di ingiustificato rigetto della
richiesta  di  giudizio  abbreviato condizionato, considerando ancora
valido ed efficace l'intervento additivo della Consulta sull'art. 442
con la ricordata sentenza n. 23/1992.
    Il  Tribunale  di Napoli, evidentemente ritenendo (contrariamente
al  Tribunale di Milano) travolta dalla riforma «Carotti» l'efficacia
«normativa»  delle  precedenti statuizioni della Corte costituzionale
sul  rito  abbreviato, ha sollevato questione di costituzionalita' in
riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. degli artt. 438, 441 e 443 c.p.p.
«nella  parte  in  cui  non prevedono che il giudice del dibattimento
possa  applicare,  all'esito  del  giudizio,  la  diminuzione di pena
prevista  dall'art. 442 c.p.p., ove ritenga ingiustificata o comunque
erronea  la  decisione con cui il giudice per le indagini preliminari
abbia  rigettato  la richiesta di giudizio abbreviato, subordinata ad
integrazione probatoria ...».
    Con  sentenza  n. 54/2002  la  Carte costituzionale ha dichiarato
inammissibile  la prospettata questione di costituzionalita', negando
che  la  situazione  presenti reali analogie con quella risolta dalla
citata  sentenza  n. 23/1992,  intervenuta  in  un  diverso «contesto
normativo,  in  cui  presupposti per l'introduzione del rito erano la
richiesta  dell'imputato  e  il  consenso del p.m.» ed inoltre «quale
condizione  di  ammissibilita' una valutazione positiva del g.i.p. in
ordine  alla  possibilita'  di  definire il processo allo stato degli
atti».  Oggi  invece,  rileva  la  Corte, a seguito delle innovazioni
legislative  di  cui  alla legge n. 479/1999, l'unica «valutazione di
ammissibilita'  e' prevista soltanto nell'ipotesi in cui la richiesta
di   giudizio   abbreviato   sia   subordinata  ad  una  integrazione
probatoria», ma trattasi di valutazione «alla stregua di un parametro
molto   piu'   circoscritto,   il  cui  eventuale  riesame  non  deve
necessariamente essere collocato in esito al dibattimento». Di qui la
dichiarazione  di  inammissibilita' in quanto, «al fine di superare i
denunciati  profili  di  incostituzionalita', il rimettente prospetta
una   soluzione  incongrua  rispetto  alla  disciplina  del  giudizio
abbreviato».  Appare,  dunque,  evidente  anche  da tale decisione la
necessita'   di   una   rivisitazione  (la  Corte  usa  l'espressione
«riesame»)  della  decisione  negativa  del  g.i.p.  in  ordine  alla
richiesta  di  abbreviato condizionato, rivisitazione che, se pur non
collocata  necessariamente  in  esito  al  dibattimento,  deve essere
tuttavia  effettuata  da  un giudice diverso da quella che gia' si e'
pronunciato  (sia  perche'  il  concetto  stesso  di  «riesame»  pare
implicare  una  siffatta  «diversita», sia perche' appare francamente
difficile  che  il  Giudice  dell'udienza  preliminare  riesamini  il
proprio  provvedimento,  onde  una  soluzione siffatta e' da ritenere
improponibile),  che  altri  non  puo'  essere  che  il  giudice  del
dibattimento.  Ma,  se  cosi'  e'  -  e  non  pare essere altrimenti,
dovendosi   del  pari  escludere  che  all'impasse  denunciata  possa
avviarsi  con  una  richiesta di rito abbreviato incondizionato, pure
prospettata da qualche autore, attesa la differenza sostanziale fra i
due  istituti  (si  consideri per esempio l'ipotesi in cui l'imputato
intenda  ottenere  dalle  dichiarazioni  della  parte  offesa, cui ha
condizionato  il  rito,  il riconoscimento dell'avvenuto risarcimento
del   danno,   con   le   conseguenze   che   cio'   comporta  quanto
all'irrogazione   della  pena,  ovvero,  come  nel  caso  di  specie,
l'accertamento  in  ordine  alla  capacita'  di intendere e di volere
dell'imputato   al   momento   del  fatto,  onde  poterne  conseguire
l'eventuale applicazione di quanto disposto dagli artt. 88 e 89 c.p.)
-  devesi  poter consentire all'imputato di rinnovare la richiesta di
rito  abbreviato  condizionato  in  limite  ed al giudice di valutare
siffatta  richiesta,  eventualmente  ammettendo  l'imputato  al  rito
speciale  ove  ritenga  ingiustificato  il rifiuto del giudice per le
indagini  preliminari  (cosi'  come  avviene  oggi per l'istituto del
patteggiamento, ai sensi dell'art. 448, primo comma c.p.p.).
    Ne  discende che l'attuale disciplina di cui agli artt. 438 e ss.
appare  incostituzionale  proprio  nella parte in cui non prevede che
l'imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di
primo   grado,   possa   rinnovare  la  medesima  richiesta  di  rito
abbreviato, gia' proposta al giudice per le indagini preliminari e da
questi  disattesa  e che il tribunale, ove la ritenga fondata, possa,
accogliendola, procedere a giudizio abbreviato.
    Le  considerazioni  che precedono portano, dunque, a ritenere non
manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
sollevata dalla difesa di F. G. e fatta propria dal p.m., nei termine
di  cui  in  narrativa, per violazione degli art. 3 (irragionevolezza
della  norma,  anche  avuto riguardo a quanto previsto per l'istituto
del  patteggiamento)  e  24  (violazione del diritto di difesa) della
Costituzione.
    La  questione, poi, sicuramente rilevante, avendo il F. formulato
richiesta  di  rito  abbreviato,  subordinata  all'espletamento degli
adempimenti  istruttori  sopra  evidenziati,  richiesta rigettata dal
g.u.p. e riproposta in limine al presente giudizio.