IL TRIBUNALE

    Sciogliendo la riserva che precede;
    Rilevato  che  in limine all'odierno dibattimento, subito dopo la
costituzione  delle  parti,  l'avv.  Stefano  De Francesco, difensore
dell'imputato Quarta Antonio Ivano, premesso che la propria richiesta
di   definizione  del  processo  con  rito  abbreviato,  condizionata
all'esame  della parte offesa De Vincenti Antonio era stata disattesa
dal  g.u.p.  (onde, in esito all'udienza preliminare, ne era derivato
il  rinvio  a  giudizio  del  suo  assistito) e osservato che, per il
combinato  disposto  degli  artt. 438, 441 e 442 c.p.p., a fronte del
diniego  del  g.u.p., detta richiesta non puo' piu' essere riproposta
dinanzi  al  giudice  del  dibattimento,  con  chiaro pregiudizio per
l'imputato,  che  si  vede cosi' privato dei benefici premiali di cui
all'art. 442,  comma  30, c.p.p., sollevava questione di legittimita'
costituzionale  delle  citate  disposizioni del codice di rito penale
per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione;
        che  i  difensori  degli  altri imputati De Matteis Rosario e
Letizia Fernando, avv.ti Donata Perrone ed Umberto Leo si associavano
alla richiesta;
    Ritenuto  che  la  questione di legittimita' costituzionale degli
artt.  438,  441  e  442 c.p.p., in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.
appare  rilevante  e  non  manifestamente infondata per le ragioni di
seguito specificate.
    Come  e' noto, a seguito delle profonde modifiche apportate dalla
legge  n. 479/1999,  la  possibilita'  di  «decidere allo stato degli
atti»  non  costituisce  piu'  un  presupposto per la definizione del
procedimento  con rito abbreviato, che non si fonda piu' sul consenso
delle  parti,  ma  viene,  invece,  instaurato  sulla base della mera
richiesta dell'imputato.
    Residua, peraltro, una valutazione di ammissibilita' nell'ipotesi
in cui la richiesta sia subordinata ad integrazione probatoria, posto
che, in tal caso, la valutazione del giudice deve essere rapportata a
quanto statuito dall'art. 438, comma 5 c.p.p. (necessita' della prova
ai  fini  della  decisione  e  sua  compatibilita' con le esigenze di
economia processuale e di speditezza proprie del procedimento).
    Ad  onta  di tali modifiche, permane, tuttavia, il problema delle
garanzie  contro errate decisioni di rigetto, anche se in termini del
tutto  nuovi  rispetto  al  sistema  pregresso.  Concretamente, detto
problema  si  pone  oggi nell'ipotesi di richiesta incondizionata che
venga  ingiustamente  rigettata  per  errore  del  giudice, ovvero di
richiesta  condizionata  disattesa  ai  sensi  dell'art 438, 5 comma,
c.p.p. (come nel caso dell'odierno procedimento).
    Nel  sistema  precedente  l'entrata  in  vigore della c.d. «legge
Carotti» la Corte costituzionale (Sentenza n. 23/1992), in ipotesi in
cui  l'accesso  al  rito  speciale  era  stato  negato  per  dissenso
(ritenuto)  ingiustificato  del  p.m.,  dopo aver posto in rilievo le
conseguenze   di   carattere   sostanziale   derivanti   all'imputato
dall'ammissione  -  o meno - al giudizio abbreviato, aveva dichiarato
illegittima   la   mancata  previsione  del  potere  del  giudice  di
sindacare,  in  esito  al  dibattimento, il rigetto ingiustificato da
parte  del  g.i.p.  della  richiesta, proprio perche' appariva lesivo
della  «posizione  sostanziale»  dell'imputato  l'attribuire,  in via
esclusiva,  al  giudice  per  le  indagini  preliminari del potere di
definire   in   senso   negativo  il  giudizio  sui  presupposti  per
l'ammissione al rito speciale, «senza alcun controllo al riguardo».
    Ora,  a  giudizio  di  questo tribunale, le ricordate innovazioni
legislative,  che  hanno  ridefinito  anche  quanto ai presupposti il
«nuovo» giudizio abbreviato, non hanno intaccato i principi enucleati
dalla   Corte   nella   citata  sentenza  n. 23/1992,  permanendo  la
necessita'  costituzionale  di un sindacato successivo alla decisione
di  rigetto della richiesta, a prescindere dalle mutate condizioni di
ammissibilita'  del  rito, proprio per l'incidenza della misura della
pena  sulla «posizione sostanziale» dell'imputato. L'attenzione degli
interpreti si e' incentrata essenzialmente sul meccanismo di recupero
dello  sconto  di  pena all'esito del dibattimento e non sono mancate
decisioni  (Trib.  Milano, Sez. VII, 19.7/11.9.01) che hanno ritenuto
applicabile   la  riduzione  di  un  terzo  di  pena,  all'esito  del
dibattimento,  in  caso  di ingiustificato rigetto della richiesta di
giudizio  abbreviato  condizionato,  considerando  ancora  valido  ed
efficace  l'intervento  additivo  della Consulta sull'art. 442 con la
ricordata sentenza n. 23/1992.
    Il  tribunale  di Napoli, evidentemente ritenendo (contrariamente
al  tribunale di Milano) travolta dalla riforma «Carotti» l'efficacia
«normativa»  delle  precedenti statuizioni della Corte costituzionale
sul  rito  abbreviato, ha sollevato questione di costituzionalita' in
riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. degli artt. 438, 441 e 443 c.p.p.
«nella  parte  in  cui  non prevedono che il giudice del dibattimento
possa  applicare,  all'esito  del  giudizio,  la  diminuzione di pena
prevista  dall'art. 442 c.p.p., ove ritenga ingiustificata o comunque
erronea  la  decisione con cui il giudice per le indagini preliminari
abbia  rigettato  la richiesta di giudizio abbreviato, subordinata ad
integrazione probatoria...».
    Con  sentenza  n. 54/02  la  Corte  costituzionale  ha dichiarato
inammissibile  la prospettata questione di costituzionalita', negando
che  la  situazione  presenti reali analogie con quella risolta dalla
citata  sentenza  n. 23/1992,  intervenuta  in  un  diverso «contesto
normativo,  in  cui  presupposti per l'introduzione del rito erano la
richiesta  dell'imputato  e  il  consenso del p.m.» ed inoltre «quale
condizione  di ammissibilita', una valutazione positiva del g.i.p. in
ordine  alla  possibilita'  di  definire il processo allo stato degli
atti».  Oggi  invece,  rileva  la  Corte, a seguito delle innovazioni
legislative  di  cui  alla legge n. 479/1999, l'unica «valutazione di
ammissibilita'  e' prevista soltanto nell'ipotesi in cui la richiesta
di   giudizio   abbreviato   sia   subordinata  ad  una  integrazione
probatoria», ma trattasi di valutazione «alla stregua di un parametro
molto   piu'   circoscritta,   il  cui  eventuale  riesame  non  deve
necessariamente essere collocato in esito al dibattimento». Di qui la
dichiarazione  di  inammissibilita' in quanto, «al fine di superare i
denunciati  profili  di  incostituzionalita', il rimettente prospetta
una   soluzione  incongrua  rispetto  alla  disciplina  del  giudizio
abbreviato».
    Appare, dunque, evidente anche da tale decisione la necessita' di
una  rivisitazione  (la  Corte  usa  l'espressione  «riesame»)  della
decisione  negativa del g.i.p. in ordine alla richiesta di abbreviato
condizionato, rivisitazione che, se pur non collocata necessariamente
in  esito  al  dibattimento,  deve  essere  tuttavia effettuata da un
giudice  diverso  da quello che gia' si e pronunciato (sia perche' il
concetto stesso di «riesame» pare implicare una siffatta «diversita»,
sia  perche' appare francamente difficile che il giudice dell'udienza
preliminare  riesamini  il  proprio provvedimento, onde una soluzione
siffatta e' da ritenere improponibile), che altri non puo' essere che
il  giudice  del  dibattimento.  Ma,  se cosi' e' - e non pare essere
altrimenti,  dovendosi  del pari escludere che all'impasse denunciata
possa  ovviarsi  con una richiesta di rito abbreviato incondizionato,
pure  prospettata da qualche autore, attesa la differenza sostanziale
fra  i  due  istituti  (si  consideri  per  esempio  l'ipotesi in cui
l'imputato  intenda  ottenere dalle dichiarazioni della parte offesa,
cui   ha   condizionato  il  rito,  il  riconoscimento  dell'avvenuto
risarcimento  del  danno, con le conseguenze che cio' comporta quanto
all'irrogazione della pena) - devesi poter consentire all'imputato di
rinnovare  la  richiesta di rito abbreviato condizionato in limine ed
al  giudice  di valutare siffatta richiesta, eventualmente ammettendo
l'imputato al rito speciale ove ritenga ingiustificato il rifiuto del
giudice  per  le  indagini  preliminari  (cosi' come avviene oggi per
l'istituto  del  patteggiamento,  ai  sensi  dell'art. 448,  comma 1,
c.p.p.).
    Ne  discende che l'attuale disciplina di cui agli artt. 438 e ss.
appare  incostituzionale  proprio  nella parte in cui non prevede che
l'imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di
primo   grado,   possa   rinnovare  la  medesima  richiesta  di  rito
abbreviato, gia' proposta al giudice per le indagini preliminari e da
questi  disattesa  e  che il tribunale, ove la ritenga fondata possa,
accogliendola, procedere a giudizio abbreviato.
    Le  considerazioni  che precedono portano, dunque, a ritenere non
manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
sollevata  dalla difesa di Quarta Antonio Ivano e fatta propria dagli
altri  difensori,  nei  termine  di  cui in narrativa, per violazione
degli  artt. 3  (irragionevolezza della norma, anche avuto riguardo a
quanto  previsto  per l'istituto del patteggiamento) e 24 (violazione
del diritto di difesa) della Costituzione.
    La  questione  e',  poi,  sicuramente rilevante, avendo il Quarta
formulato  richiesta  di rito abbreviato, subordinata all'esame della
persona  offesa dal reato, richiesta rigettata da g.u.p. e riproposta
in limine al presente giudizio.