IL TRIBUNALE Letti gli atti del procedimento cautelare ante causam iscritto al n. 2667/02, introdotto da Corsini Mario nei confronti di Pecciarini Agostino, Pecciarini Lorenza, Pascucci Lauta e Pieragalli Liliana. Sciogliendo la riserva del 4 marzo 2003, ha pronunciato la seguente ordinanza. E' rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 705, primo comma, c.p.c., come integrato dalla sentenza n. 25/1992 della Corte costituzionale, in relazione all'art. 3 della Costituzione, nei termini di seguito meglio indicati. 1. - Risulta dagli atti: a) che gli odierni resistenti, con ricorso ex art. 703 c.p.c. - assumendo che Corsini Mario aveva occupato alcune porzioni degli immobili di loro proprieta', siti in Castiglione della Pescaia, mediante costruzione, tra l'altro, di manufatti - chiedevano al pretore di Grosseto di essere reintegrati nel possesso dei medesimi immobili tramite l'ordine di sospensione dei lavori e la condanna alla demolizione delle opere gia' eseguite; b) che il pretore adito, accogliendo la richiesta di emissione del provvedimento interdittale, condannava il Corsini alla rimozione delle opere meglio descritte nella c.t.u. disposta nel corso della stessa fase sommaria, fissando l'udienza per la trattazione del merito possessorio; c) che avverso tale provvedimento non era proposto reclamo; d) che, con ricorso ex art. 700 c.p.c., in pendenza del procedimento possessorio davanti ad altro giudice, il Corsini - prospettando la sussistenza di un pericolo di pregiudizio grave ed irreparabile - chiedeva a questo giudice di disporre, in via d'urgenza, la sospensione dell'esecuzione del provvedimento di reintegra, assumendo nel merito di avere diritto alla conservazione delle opere realizzate in virtu' di una disposizione negoziale intervenuta tra le parti; e) che, in particolare, la parte ricorrente - ai fini dell'ammissibilita' dell'azione petitoria nonostante la pendenza del giudizio di merito possessorio davanti ad altro giudice - invocava la pronuncia della Corte costituzionale n. 25 del 1992, sostenendo la ravvisabilita', nel caso di specie, della irreparabilita' del pregiudizio quale presupposto per la deroga al divieto ex art. 705 c.p.c., in quanto l'ordine di reintegra consisteva nella condanna alla demolizione di un manufatto; f) che gli odierni resistenti, nel costituirsi in giudizio, eccepivano tra l'altro l'inammissibilita' della procedura cautelare in quanto strumentale all'azione di merito di natura petitoria, rilevando come la contestazione dell'esecuzione del provvedimento possessorio potesse essere sollevata solo nell'ambito dello stesso giudizio possessorio e che, comunque, anche nella ipotesi in cui fosse stato ravvisato il pregiudizio irreparabile richiamato dalla Corte costituzionale con la pronuncia gia' citata, le ragioni petitorie avrebbero potuto (e dovuto) essere dedotte esclusivamente nell'ambito del giudizio possessorio, e non anche con l'introduzione di un autonomo giudizio petitorio. 2. - Rilevanza della questione. 2.1. - Preliminarmente, si osserva che il pericolo di pregiudizio irreparabile prospettato dalla parte ricorrente rientra nella fattispecie di pericolo indicata dalla Corte costituzionale come giustificativa della deroga al divieto in questione, in quanto - dalla esecuzione del provvedimento di reintegra - deriverebbe la distruzione del manufatto realizzato dal Corsini. 2.2. - Alla luce del precedente rilievo, l'eccezione sollevata da parte resistente, meglio indicata sub. f) appare rilevante ed introduce una questione di carattere preliminare: occorre cioe' stabilire se l'art. 705, primo comma, c.p.c., come integrato dalla Corte costituzionale, consenta al proprietario dell'immobile, nel caso in cui dalla esecuzione dell'interdetto derivi o possa derivare un pregiudizio irreparabile, di dedurre le ragioni petitorie attraverso l'instaurazione di un autonomo giudizio ovvero se le stesse ragioni debbano essere necesariamente fatte valere davanti al giudice del possessorio. Dalla soluzione che si sceglie, infatti, dipende essenzialmente la pronuncia sulla ammissibilita/inammissibilita' di questo ricorso cautelare: nel caso in cui si ammettesse l'instaurazione del giudizio petitorio in via autonoma, l'eccezione di parte resistente risulterebbe infondata, per cui si dovrebbe procedere alla valutazione nel merito della domanda cautelare; diversamente, ove si ritenesse che le ragioni petitorie, nella ipotesi di pericolo di pregiudizio irreparabile, debbono essere dedotte necessariamente davanti al giudice del possessorio, non potrebbe che essere emessa una pronuncia di inammissibilita' della richiesta cautelare sull'assunto della improcedibilita' dell'azione di merito cui la prima risulta strumentale. Ritiene questo giudice che debba essere preferita la prima ipotesi. La norma di cui all'art. 705, primo commma, c.p.c., come integrata dalla Corte costituzionale con la pronuncia n. 25 del 1992 non consente di pervenire ad una interpretazione secondo cui la ragioni petitorie, nelle ipotesi eccezionali in cui dalla esecuzione della decisione possessoria derivi o possa derivare un pregiudizio irreparabile al convenuto, debbono essere dedotte necessariamente nell'ambito dello stesso giudizio possessorio. In primo luogo, appare d'ostacolo a tale interpretazione il contenuto letterale della disposizione negoziale in oggetto (come modificata dalla Corte delle leggi), nella parte in cui consente esplicitamente la proponibilita' di un giudizio petitorio e non semplicemente di una eccezione petitoria. Inoltre, da un'attenta disamina della motivazione della pronuncia della Corte costituzionale, gia' piu' volte citata, si evince che la stessa Corte, nell'introdurre la possibilita' (sia pure in via eccezionale) di instaurazione del giudizio petitorio da parte del convenuto nel giudizio possessorio, intendeva fare riferimento alla possibilita' di introdurre un autonomo giudizio. Depone in questo senso, infatti, sia la parte della motivazione in ordine alla pronuncia di inammissibilita' dell'eccezione sollevata in riferimento all'art. 1168, quarto comma, c.c., sia il riferimento fatto dalla Corte alla possibilita', per il convenuto-proprietario che dimostri lo ius possidendi, di ricorrere in via cautelare allo strumento del sequestro giudiziario. Riguardo al primo aspetto, non puo' non rilevarsi come la Corte abbia finito implicitamente per negare la possibilita' di sollevare davanti al giudice del possessorio un' eccezione riconvenzionale di natura petitoria che comporti deroghe alla competenza, con cio' smentendo l'interpretazione secondo cui - in caso di pregiudizio irreparabile - le ragioni petitorie dovrebbero essere necessariamente fatte valere davanti al giudice del possessorio. Relativamente all'altro aspetto, invece, deve osservarsi che il richiamo al sequestro giudiziario presuppone in qualche modo l'instaurazione del giudizio petitorio, posto che la misura cautelare e' strumentale a tale ultima domanda. Inoltre, va osservato che la Corte di cassazione, diversamente da quanto affermato dalla parte resistente, non ha mai affermato che, dopo l'emanazione della sentenza n. 25/1992 della Corte costituzionale, le ragioni petitorie (in caso di pregiudizio irreparabile) debbono essere necessariamente dedotte davanti al giudice del possessorio. Invero, la suprema Corte ha sempre sostenuto che le ragioni petitorie possono essere dedotte nel giudizio possessorio, purche' l'eccezione sia finalizzata solo al rigetto della domanda possessoria e non implichi, quindi, deroga delle ordinarie regole sulla competenza. Quest'ultima affermazione non significa che le eccezioni petitorie debbono necessariamente essere sollevate nel procedimento possessorio. Anzi, con la pronuncia n. 12579/1995, la Corte di cassazione ha ammesso esplicitamente la proponibilita' (da parte del convenuto in possessorio), in via autonoma, del giudizio petitorio nonostante la pendenza del procedimento possessorio, a condizione ovviamente che ricorra l'ipotesi eccezionale giustificativa dell'intervento caducatorio da parte della Corte delle leggi (nella fattispecie, infatti, la suprema Corte - annullando l'ordinanza del giudice del petitorio che aveva sospeso il giudizio ex art. 295 c.p.c. in attesa della definizione del possessorio - ha ammesso la possibilita' di introdurre il primo giudizio). Ne', d'altra parte, risulta pertinente il richiamo operato da parte resistente alla sentenza n. 5672/1997 della Corte di cassazione, in quanto tale pronuncia si occupa semplicemente delle problematiche in materia di esecuzione del provvedimento possessorio nelle ipotesi ordinarie, cioe' in tutte quelle ipotesi in cui non sussista alcuna possibilita' di invocare la deroga al divieto ex art. 705 c.p.c. (basti notare che la fattispecie esaminata dalla Corte riguardava un caso di spoglio realizzato tramite la sostituzione di una serratura, ipotesi certamente estranea a quella introdotta dalla Corte costituzionale con la pronuncia additiva piu' volte indicata). Infine, si deve segnalare quell'orientamento della giurisprudenza di merito che riconosce, dopo l'intervento della Corte costituzionale, la possibilita' di ricorrere allo strumento cautelare, nell'ambito di un autonomo giudizio petitorio, al fine di paralizzare l'efficacia esecutiva di un provvedimento di reintegra (v., per tutte, Trib. Verona, 16 febbraio 1993). Per tutte queste ragioni, si ritiene che, sulla base della disciplina attualmente vigente, non vi sia spazio per un'interpretazione che porti ad escludere la proponibilita' di un autonomo giudizio petitorio, da parte del proprietario-convenuto nel giudizio possessorio, in tutte le ipotesi in cui dalla esecuzione del provvedimento possessorio derivi o possa derivare un pregiudizio irreparabile. 2.3. - Alla luce di quest'ultima constatazione, pertanto, l'eccezione di inammissibilita' sollevata dalla parte resistente non potrebbe essere accolta se non a seguito di una pronuncia di illegittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 705, primo comma, c.p.c., cosi' come integrata dalla sentenza n. 25/1992 della Corte costituzionale, nella parte in cui consente la proposizione del giudizio petitorio prima della definizione della controversia possessoria e della esecuzione della decisione nel caso che ne derivi o possa derivare un pregiudizio irreparabile al convenuto, anziche' limitarsi a consentire la deducibilita' delle ragioni petitorie davanti al giudice del possessorio al solo fine di chiedere la reiezione della domanda possessoria. Eccezione, quest'ultima, che si ritiene rilevante per le ragioni sin qui addotte, e non manifestamente infondata per quelle che si vengono ad indicare. 3. - Non manifesta infondatezza della questione. 3.1. - Prima della sentenza n. 25/1992 della Corte costituzionale, il principio dell'esclusione dell'eccezione petitoria in ambito petitorio aveva una valenza assoluta, nel senso che il convenuto nel giudizio possessorio non poteva far valere le sue ragioni petitorie, potendo al piu' soltanto sollevare l'eccezione feci sed iure feci ma al limitato fine di far valutare il titolo ad colorandam possessionem: il convenuto, tramite di essa, poteva solo dimostrare di aver agito nell'ambito della sua relazione di fatto con il bene, mentre non era consentito l'accertamento del suo diritto sul bene medesimo. Ovviamente, il divieto in questione riguardava sia la proponibilita' dell'eccezione petitoria che la possibilita' di promuovere il giudizio petitorio (questa affermazione trova conferma nella motivazione della sentenza della Corte costituzionale, laddove si dice che l'art. 705, cosi' come formulato prima della pronuncia caducatoria, impediva al convenuto sia la proposizione di eccezioni ex iure proprio nel processo possessorio, sia la proposizione di un separato giudizio). La Corte costituzionale, dopo aver dichiarato non fondata analoga questione di legittimita' costituzionale con la sentenza n. 41 del 1974, con la pronuncia n. 25/1992 ha dichiarato illegittimo l'art. 705, primo comma, c.p.c., nella parte in cui subordinava la proposizione del giudizio petitorio alla definizione della controversia possessoria e all'esecuzione della decisione nel caso che ne derivasse o potesse derivare un pregiudizio irreparabile al convenuto. I punti centrali della motivazione della Corte possono cosi' riassumersi: a) in primo luogo, e' stata dichiarata inammissibile la questione di legittimita' dell'art. 1168, quarto comma, c.c., sull'assunto che l'introduzione della possibilita' di sollevare l'eccezione riconvenzionale petitoria davanti al giudice possessorio avrebbe significato un'incidenza sulla disciplina della competenza, potere che la Corte ha ritenuto ad essa non spettante; b) inoltre, ha affermato che la cognizione sommaria del giudice del possessorio e' giustificata dall'urgenza di intervento del braccio della legge per ripristinare uno stato di cose alterato dal comportamento arbitrario del terzo, ma che tale sistema puo' giustificarsi solo fintantoche' il sacrificio imposto al titolare del diritto sia transuente e reversibile, nel senso cioe' che lo stesso sacrificio deve poter essere recuperato con il successivo giudizio petitorio; c) di conseguenza, laddove il medesimo sacrificio risulti (o rischi di risultare) definitivo ed irreversibile, la norma di cui all'art. 705 appare irrazionale e lesiva del diritto di difesa, in quanto il divieto, oltre a non consentire la sollevabilita' dell'eccezione riconvenzionale petitoria nel giudizio possessorio, esclude anche la proponibilita' di un autonomo giudizio petitorio, nell'ambito del quale il titolare del diritto potrebbe invocare in via cautelare la misura del sequestro giudiziario. 3.2. - L'importanza della pronuncia (dovuta sia alla particolare materia oggetto di declaratoria sia alla autorevolezza dell'organo pronunciante) ha fatto subito registrare posizioni dottrinali diverse. In questa sede, tuttavia, pare opportuno concentrare l'attenzione sulla interpretazione della norma in commento, cosi' come modificata dalla pronuncia additiva, fornita dalla Corte di cassazione. Ebbene, successivamente a tale pronuncia, la suprema Corte ha seguito un orientamento a tal punto consolidato da potersi ritenere diritto vivente (v. Cass. 22 aprile 1994, n. 3825; 28 aprile 1995, n. 12579; 3 febbraio 1998, n. 1042; 3 giugno 1998, n. 10862), secondo cui - con la pronuncia di incostituzionalita' dell'art. 705, primo comma, c.p.c - il convenuto nel giudizio possessorio e' legittimato a dedurre le sue ragioni petitorie davanti al giudice del possessorio sia pure al limitato fine di far rigettare la domanda possessoria (cioe', secondo la stessa affermazione della suprema Corte, senza chiedere un accertamento con efficacia di giudicato sulla questione petitoria). Come gia' rilevato precedentemente, da questa affermazione non discende affatto che il convenuto-proprietario sia obbligato a dedurre le ragioni petitorie nell'ambito del giudizio possessorio, potendo decidere di instaurare separatamente il giudizio petitorio (nel cui ambito potrebbe anche chiedere un provvedimento urgente di inibitoria o la misura del sequestro giudiziario). In altri termini, puo' affermarsi che il divieto di cui all' art. 705, primo comma, c.p.c., come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale, secondo il diritto vivente della Suprema Corte, si sostanzia: a) nella inammissibilita' di qualsiasi difesa di natura petitoria da parte del convenuto nel possessorio (la sola possibilita' riconosciuta a quest'ultimo e' quella di chiedere la valutazione del titolo ad colorandam possessionem, ma giammai per il riconoscimento dello ius possidendi); b) nella inammissibilita' della proposizione in via autonoma del giudizio petitorio. Lo stesso diritto vivente della suprema Corte, invece, nella ipotesi in cui dalla esecuzione della decisione possessoria derivi o possa derivare un pregiudizio irreparabile, consente al convenuto-proprietario: a) di dedurre le ragioni petitorie davanti allo stesso giudice del possessorio, purche' la deduzione sia diretta soltanto a far rigettare la domanda possessoria; b) di far valere le proprie ragioni petitorie con l'introduzione di un autonomo giudizio (nel cui ambito egli potra' anche invocare misure cautelari volte a neutralizzare gli effetti pregiudizievoli del provvedimento possessorio). Si e' gia' rilevato in precedenza che le due vie non sono in relazione di alternativita' (v. la sentenza n. 12579/1995 della Cassazione gia' citata), in quanto le ragioni petitorie fatte valere nell'ambito del giudizio possessorio non vengono accertate con efficacia di giudicato, per cui non sussiste alcuna pregiudizialita' tra i due giudizi. 3.3. - Ebbene, qui si ritiene che la portata normativa dell'attuale art. 705, cosi' come interpretato dalla Corte di cassazione, sia in contrasto con il parametro della ragionevolezza, desumibile dal principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., in quanto riconosce al convenuto-proprietario, in caso di pericolo di pregiudizio irreparabile, piu' di quanto sarebbe strettamente necessario a soddisfare la specifica esigenza ispiratrice della pronuncia di incostituzionalita' della stessa norma. Una volta riconosciuta, infatti, la possibilita' per il convenuto nel possessorio di sollevare nello stesso processo le ragioni petitorie, sia pure al limitato fine di paralizzare la domanda possessoria, non e' piu' ravvisabile una ragionevole giustificazione al riconoscimento dell'ulteriore possibilita' di introdurre il giudizio petitorio, posto che la prima difesa e' da sola idonea a scongiurare il pregiudizio (o il pericolo di pregiudizio) irreparabile conseguente alla esecuzione della decisione possessoria. Il riconoscimento della possibilita' di agire in petitorio (nonostante che il convenuto-proprietario possa ottenere il rigetto della domanda possessoria sollevando le ragioni petitorie nella stessa sede) configura una disparita' di trattamento nei confronti di tutti gli altri convenuti-proprietari nei cui confronti vige il divieto ex art. 705 c.p.c. (perche' non ravvisabile, nei confronti di essi, l'ipotesi del pregiudizio irreparabile). Infatti, il divieto in questione rimane, anche dopo la pronuncia della Corte costituzionale, un caposaldo del sistema processuale civile, per cui le deroghe a tale divieto (che riguardano una categoria ristretta di convenuti-proprietari) debbono essere contenute nel riconoscimento di cio' che e' strettamente necessario a soddisfare l'esigenza ispiratrice della deroga stessa, giacche' diversamente, cioe' nella ipotesi in cui si riconoscesse un quid pluris, il trattamento differenziato finirebbe per risultare irragionevole. A sommesso avviso di questo giudice, alla luce appunto anche dell'orientamento consolidato della Cassazione, la possibilita' per il convenuto-proprietario, nei cui confronti sia ravvisabile il pregiudizio irreparabile ex art. 705, di proporre il giudizio petitorio, nonostante che lo stesso sia legittimato a far valere le sue ragioni petitorie davanti al giudice del possessorio, comporta un ingiustificato trattamento di favore rispetto alla generalita' dei convenuti-proprietari nei cui confronti non sia ravvisabile lo stesso pregiudizio. Ingiustificato come gia' detto, perche' il risultato che la Corte costituzionale mirava a perseguire con la declaratoria di incostituzionalita' era quello di impedire che il sacrificio del convenuto-proprietario risultasse di natura definitiva ed irreparabile, risultato certamente perseguibile con la deduzione delle ragioni petitorie nell'ambito del giudizio possessorio (sia pure al limitato fine di chiedere il rigetto della domanda interdittale). Di favore, in secondo luogo, perche' il riconoscimento della possibilita' di agire in giudizio in petitorio, anziche' semplicemente di far valere le ragioni petitorie per ottenere il rigetto della domanda possessoria, consente al proprietario di ottenere una pronuncia accertativa del proprio diritto con efficacia di giudicato (e non semplicemente una pronuncia di rigetto del possessorio) prima dell'esito del processo possessorio, e quindi con largo anticipo rispetto ai tempi con cui la generalita' dei convenuti-proprietari ottiene lo stesso risultato (il riconoscimento da parte delle sezioni unite della Cassazione del c.d. merito possessorio ha evidentemente inciso sui tempi di durata del medesimo processo, per cui il trattamento di favore suddetto non e' di poco conto). Infatti, la mera difesa petitoria in ambito possessorio, pur essendo completamente satisfattiva dell'esigenza di scongiurare il rischio di produzione del pregiudizio irreparabile piu' volte richiamato, in quanto in grado di impedire l'emissione del provvedimento possessorio, rappresenta un minus rispetto alla richiesta di accertamento con efficacia di giudicato delle ragioni petitorie. Di conseguenza, il riconoscimento di quest'ultima possibilita', non essendo strettamente necessaria per scongiurare il pregiudizio irreparabile, finisce per non avere una razionale giustificazione e quindi per configurarsi come un trattamento di favore illegittimo. A tale ultimo proposito, non puo' non rilevarsi come la deroga al divieto de quo, nei casi di spoglio di beni immobili, operi a favore proprio di quei soggetti che hanno posto in essere atti di spoglio di rilevante entita' (costruzione di manufatti), per cui e' necessaria un'interpretazione restrittiva della portata applicativa della stessa disposizione derogativa, posto che, diversamente, mal si giustificherebbe la diversita' di trattamento rispetto alla generalita' delle ipotesi in cui, paradossalmente, l'atto di spoglio risulti di minore gravita'. In altri termini, col rischio di apparire troppo scolastici, la diversita' di trattamento tra colui che ha violato il possesso tramite la costruzione, per fare un esempio, di un grattacielo e colui che lo ha violato, sempre a titolo di esempio, con la sostituzione di una serratura puo' giustificarsi, in relazione all'esigenza evidenziata dalla Corte costituzionale, limitatamente al fine di impedire l'esecuzione del provvedimento possessorio da cui potrebbe derivare un pregiudizio irreparabile, ma non anche relativamente alla possibilita' di avere subito una pronuncia petitoria con efficacia di giudicato, per la semplice ragione che il primo risultato puo' essere ottenuto (stando al diritto vivente della Cassazione) valutando incidenter tantum le questioni petitorie in ambito possessorio. Del resto, all'obiezione che al riconoscimento della mera difesa petitoria non puo' che accompagnarsi anche il riconoscimento della esperibilita' della relativa azione, deve replicarsi che non esiste un principio assoluto (cioe' non derogabile) di parificazione tra eccezione ed azione (o tra mera difesa, eccezione riconvenzionale ed azione, a seconda della impostazione dogmatica che si segue), giacche' nel nostro sistema non mancano esempi di deroga a tale principio come si evince anche dall'art. 1442, ultimo comma, c.c. Ne' puo' obiettarsi che l'accertamento del diritto con efficacia di giudicato si giustifica in virtu' del principio di economia processuale richiamato dalla Corte costituzionale con la pronuncia piu' volte indicata. Tale principio, infatti, e' stato richiamato in stretta correlazione con l'esigenza di scongiurare che il sacrificio imposto al convenuto-proprietario potesse risultare definitivo e irreversibile: in altri termini, in assenza di quest'ultimo pericolo ovvero nel caso in cui tale pericolo possa essere scongiurato con specifici meccanismi processuali (deducibilita' delle ragioni petitorie nel possessorio), il principio di economia processuale non puo' piu' essere invocato, giacche' diversamente lo stesso dovrebbe essere applicato sempre nella relazione possessorio - petitorio. (La Corte costituzionale, infatti, con la pronuncia in questione, ha ribadito la razionalita' del sistema che, anziche' prevedere la trattazione congiunta delle questioni petitorie e possessorie davanti ad uno stesso giudice, rimette la disamina del petitorio ad un momento successivo: pertanto, una volta riconosciuta la possibilita' di ovviare al pericolo di pregiudizio irreparabile tramite la deducibilita' delle ragioni petitorie rei possessorio, deve tornare a farsi applicazione della regola generale, cioe' della sfasatura temporale tra possessorio e petitorio). Pare, invero, a questo giudice che la Corte costituzionale abbia voluto consentire la proponibilita' del giudizio petitorio sull'assunto della impossibilita' di sollevare eccezioni petitorie davanti al giudice del possessorio se non determinando modifiche delle regole di competenza. Per cui, ritenendo la Corte che non potesse essere riconosciuta al convenuto la possibilita' di sollevare l'eccezione petitoria in ambito possessorio (perche' cio' avrebbe determinato modifiche alla regole di competenza), l'unica strada percorribile - al fine di scongiurare il pregiudizio irreparabile piu' volte indicato - era quella di consentire il giudizio petitorio in via autonoma. Successivamente a tale pronuncia, pero', si sono verificati fatti nuovi. In primo luogo, il legislatore ha abolito la figura del pretore, introducendo quella del giudice unico di tribunale, per cui anche volendosi ammettere che l'eccezione riconvenzionale petitoria possa incidere sulla competenza del giudice, quasi mai il petitorio apparterrebbe alla competenza per materia di altro giudice. In secondo luogo, ed in maniera del tutto assorbente ai fini della fondatezza di questa eccezione, si e' gia' detto del diritto vivente della Cassazione, secondo cui il convenuto-proprietario, a seguito della sentenza n. 25/1992 della Corte costituzionale, puo' dedurre le ragioni petitorie in ambito possessorio, purche' lo faccia solo per chiedere il rigetto della domanda possessoria. In virtu' di tale orientamento, infatti, deve affermarsi che certamente il convenuto-proprietario puo' scongiurare il pregiudizio (o il pericolo di pregiudizio) irreparabile che gli deriverebbe dalla esecuzione della decisione possessoria semplicemente deducendo le sue ragioni petitorie davanti al giudice del possessorio. Ed e' proprio in virtu' di tale orientamento che la scelta di consentire la proponibilita' del giudizio petitorio appare irragionevole, posto che la possibilita' riconosciuta al convenuto-proprietario di ottenere il rigetto della domanda possessoria tramite la deduzione delle ragioni petitorie e' di per se' sufficiente a soddisfare l'esigenza ispiratrice della pronuncia declaratoria. 3.4. - Va, poi, rilevato come questo giudice non possa pervenire ad una interpretazione costituzionalmente orientata della norma in questione, la quale dovrebbe condurre alla esclusione della proponibilita' del giudizio petitorio in via autonoma anche nei casi di pregiudizio o di pericolo di pregiudizio irreparabile. Tale interpretazione, infatti, per tutte le ragioni meglio indicate al precedente punto 2.2. , non e' possibile alla stregua: a) del tenore letterale dell'art. 705 c.p.c.; b) dell'autorevole spunto interprerativo offerto dalla Corte costituzionale con la pronuncia di illegittimita'; c) nonche', infine, dell'orientamento della Cassazione (v., in particolare, sent. n. 12579/1995). 4. - Rimane, infine, da esaminare la questione relativa alla legittimazione a sollevare l'eccezione da parte di questo giudice che risulta investito semplicemente della decisione cautelare. Secondo costante giurisprudenza della Corte costituzionale, il giudice adito ex art. 700 c.p.c. e' legittimato a sollevare questioni di costituzionalita' fino a quando non abbia emesso o respinto il richiesto provvedimento, in quanto solo la conclusione della fase cautelare esaurisce ogni sua potesta' in quella sede e comporta che l'ulteriore potere decisionale competa al giudice della fase di merito (v. Corte cost., sentenze, n. 108 del 1995; nn. 498 e 444 del 1990; n. 186 del 1976). Nella fattispecie, pertanto, poiche' questo giudice e' chiamato a decidere in ordine ad un ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto anteriormente alla causa di merito, e' ravvisabile la legittimazione a sollevare la questione.