IL TRIBUNALE

    Letti gli atti del procedimento cautelare ante causam iscritto al
n. 2667/02,  introdotto  da Corsini Mario nei confronti di Pecciarini
Agostino, Pecciarini Lorenza, Pascucci Lauta e Pieragalli Liliana.
    Sciogliendo  la  riserva  del  4 marzo  2003,  ha  pronunciato la
seguente ordinanza.
    E'  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 705, primo comma, c.p.c., come
integrato  dalla  sentenza  n. 25/1992 della Corte costituzionale, in
relazione  all'art. 3  della  Costituzione,  nei  termini  di seguito
meglio indicati.
    1. - Risulta  dagli  atti:  a)  che  gli  odierni resistenti, con
ricorso  ex  art. 703  c.p.c.  -  assumendo  che  Corsini Mario aveva
occupato  alcune  porzioni degli immobili di loro proprieta', siti in
Castiglione  della  Pescaia,  mediante  costruzione,  tra l'altro, di
manufatti  -  chiedevano al pretore di Grosseto di essere reintegrati
nel  possesso  dei  medesimi immobili tramite l'ordine di sospensione
dei  lavori e la condanna alla demolizione delle opere gia' eseguite;
b)  che  il  pretore adito, accogliendo la richiesta di emissione del
provvedimento  interdittale,  condannava  il  Corsini  alla rimozione
delle  opere  meglio  descritte nella c.t.u. disposta nel corso della
stessa  fase  sommaria,  fissando  l'udienza  per  la trattazione del
merito  possessorio;  c)  che  avverso  tale  provvedimento  non  era
proposto reclamo; d) che, con ricorso ex art. 700 c.p.c., in pendenza
del  procedimento  possessorio davanti ad altro giudice, il Corsini -
prospettando  la  sussistenza  di un pericolo di pregiudizio grave ed
irreparabile  -  chiedeva  a  questo  giudice  di  disporre,  in  via
d'urgenza,   la  sospensione  dell'esecuzione  del  provvedimento  di
reintegra,  assumendo  nel merito di avere diritto alla conservazione
delle  opere  realizzate  in  virtu'  di  una  disposizione negoziale
intervenuta tra le parti; e) che, in particolare, la parte ricorrente
-  ai  fini  dell'ammissibilita'  dell'azione petitoria nonostante la
pendenza  del giudizio di merito possessorio davanti ad altro giudice
-  invocava  la  pronuncia della Corte costituzionale n. 25 del 1992,
sostenendo   la   ravvisabilita',   nel   caso   di   specie,   della
irreparabilita'  del  pregiudizio  quale presupposto per la deroga al
divieto   ex   art. 705  c.p.c.,  in  quanto  l'ordine  di  reintegra
consisteva  nella  condanna  alla demolizione di un manufatto; f) che
gli  odierni  resistenti, nel costituirsi in giudizio, eccepivano tra
l'altro   l'inammissibilita'  della  procedura  cautelare  in  quanto
strumentale  all'azione di merito di natura petitoria, rilevando come
la   contestazione   dell'esecuzione  del  provvedimento  possessorio
potesse  essere  sollevata  solo  nell'ambito  dello  stesso giudizio
possessorio  e  che, comunque, anche nella ipotesi in cui fosse stato
ravvisato   il   pregiudizio   irreparabile  richiamato  dalla  Corte
costituzionale  con  la  pronuncia  gia' citata, le ragioni petitorie
avrebbero potuto (e dovuto) essere dedotte esclusivamente nell'ambito
del  giudizio  possessorio,  e  non  anche  con  l'introduzione di un
autonomo giudizio petitorio.
    2. - Rilevanza della questione.
    2.1. - Preliminarmente, si osserva che il pericolo di pregiudizio
irreparabile   prospettato   dalla  parte  ricorrente  rientra  nella
fattispecie  di  pericolo  indicata  dalla  Corte costituzionale come
giustificativa  della  deroga  al  divieto  in questione, in quanto -
dalla  esecuzione  del  provvedimento  di  reintegra - deriverebbe la
distruzione del manufatto realizzato dal Corsini.
    2.2. - Alla luce del precedente rilievo, l'eccezione sollevata da
parte  resistente,  meglio  indicata  sub.  f)  appare  rilevante  ed
introduce  una  questione  di  carattere  preliminare:  occorre cioe'
stabilire  se  l'art. 705,  primo comma, c.p.c., come integrato dalla
Corte  costituzionale,  consenta  al  proprietario dell'immobile, nel
caso  in cui dalla esecuzione dell'interdetto derivi o possa derivare
un   pregiudizio   irreparabile,  di  dedurre  le  ragioni  petitorie
attraverso  l'instaurazione  di  un  autonomo  giudizio  ovvero se le
stesse  ragioni debbano essere necesariamente fatte valere davanti al
giudice del possessorio.
    Dalla  soluzione  che si sceglie, infatti, dipende essenzialmente
la  pronuncia  sulla ammissibilita/inammissibilita' di questo ricorso
cautelare: nel caso in cui si ammettesse l'instaurazione del giudizio
petitorio   in   via   autonoma,   l'eccezione  di  parte  resistente
risulterebbe   infondata,   per   cui   si  dovrebbe  procedere  alla
valutazione  nel merito della domanda cautelare; diversamente, ove si
ritenesse  che  le  ragioni  petitorie,  nella ipotesi di pericolo di
pregiudizio  irreparabile,  debbono  essere  dedotte  necessariamente
davanti  al  giudice  del possessorio, non potrebbe che essere emessa
una   pronuncia   di   inammissibilita'   della  richiesta  cautelare
sull'assunto  della  improcedibilita'  dell'azione  di  merito cui la
prima risulta strumentale.
    Ritiene  questo  giudice  che  debba  essere  preferita  la prima
ipotesi.
    La   norma  di  cui  all'art. 705,  primo  commma,  c.p.c.,  come
integrata  dalla Corte costituzionale con la pronuncia n. 25 del 1992
non  consente  di  pervenire  ad  una  interpretazione secondo cui la
ragioni  petitorie, nelle ipotesi eccezionali in cui dalla esecuzione
della  decisione  possessoria  derivi o possa derivare un pregiudizio
irreparabile  al  convenuto,  debbono  essere dedotte necessariamente
nell'ambito dello stesso giudizio possessorio.
    In  primo  luogo,  appare  d'ostacolo  a  tale interpretazione il
contenuto  letterale  della  disposizione  negoziale in oggetto (come
modificata  dalla  Corte  delle  leggi),  nella parte in cui consente
esplicitamente  la  proponibilita'  di  un  giudizio  petitorio e non
semplicemente di una eccezione petitoria.
    Inoltre, da un'attenta disamina della motivazione della pronuncia
della  Corte costituzionale, gia' piu' volte citata, si evince che la
stessa  Corte,  nell'introdurre  la  possibilita'  (sia  pure  in via
eccezionale)  di  instaurazione  del  giudizio petitorio da parte del
convenuto  nel  giudizio possessorio, intendeva fare riferimento alla
possibilita'  di  introdurre  un  autonomo giudizio. Depone in questo
senso,  infatti,  sia  la  parte  della  motivazione  in  ordine alla
pronuncia di inammissibilita' dell'eccezione sollevata in riferimento
all'art. 1168,  quarto  comma,  c.c.,  sia il riferimento fatto dalla
Corte  alla  possibilita', per il convenuto-proprietario che dimostri
lo  ius  possidendi, di ricorrere in via cautelare allo strumento del
sequestro giudiziario.
    Riguardo  al  primo aspetto, non puo' non rilevarsi come la Corte
abbia  finito  implicitamente per negare la possibilita' di sollevare
davanti  al  giudice del possessorio un' eccezione riconvenzionale di
natura  petitoria  che  comporti  deroghe  alla  competenza, con cio'
smentendo  l'interpretazione  secondo  cui  -  in caso di pregiudizio
irreparabile - le ragioni petitorie dovrebbero essere necessariamente
fatte valere davanti al giudice del possessorio.
    Relativamente  all'altro  aspetto, invece, deve osservarsi che il
richiamo   al   sequestro  giudiziario  presuppone  in  qualche  modo
l'instaurazione del giudizio petitorio, posto che la misura cautelare
e' strumentale a tale ultima domanda.
    Inoltre, va osservato che la Corte di cassazione, diversamente da
quanto  affermato  dalla  parte resistente, non ha mai affermato che,
dopo    l'emanazione    della   sentenza   n. 25/1992   della   Corte
costituzionale,   le   ragioni  petitorie  (in  caso  di  pregiudizio
irreparabile)  debbono  essere  necessariamente  dedotte  davanti  al
giudice del possessorio. Invero, la suprema Corte ha sempre sostenuto
che   le  ragioni  petitorie  possono  essere  dedotte  nel  giudizio
possessorio,  purche'  l'eccezione  sia  finalizzata  solo al rigetto
della  domanda  possessoria  e  non  implichi,  quindi,  deroga delle
ordinarie  regole  sulla  competenza.  Quest'ultima  affermazione non
significa  che  le eccezioni petitorie debbono necessariamente essere
sollevate nel procedimento possessorio.
    Anzi,  con  la pronuncia n. 12579/1995, la Corte di cassazione ha
ammesso  esplicitamente  la proponibilita' (da parte del convenuto in
possessorio),  in  via autonoma, del giudizio petitorio nonostante la
pendenza  del  procedimento  possessorio, a condizione ovviamente che
ricorra    l'ipotesi   eccezionale   giustificativa   dell'intervento
caducatorio  da  parte  della  Corte  delle leggi (nella fattispecie,
infatti,  la  suprema  Corte - annullando l'ordinanza del giudice del
petitorio  che aveva sospeso il giudizio ex art. 295 c.p.c. in attesa
della  definizione  del  possessorio  - ha ammesso la possibilita' di
introdurre il primo giudizio).
    Ne',  d'altra  parte,  risulta  pertinente il richiamo operato da
parte   resistente   alla   sentenza   n. 5672/1997  della  Corte  di
cassazione,  in  quanto  tale pronuncia si occupa semplicemente delle
problematiche  in materia di esecuzione del provvedimento possessorio
nelle  ipotesi  ordinarie,  cioe'  in tutte quelle ipotesi in cui non
sussista  alcuna  possibilita'  di  invocare  la deroga al divieto ex
art. 705  c.p.c.  (basti  notare  che  la fattispecie esaminata dalla
Corte   riguardava   un   caso   di  spoglio  realizzato  tramite  la
sostituzione  di  una serratura, ipotesi certamente estranea a quella
introdotta  dalla Corte costituzionale con la pronuncia additiva piu'
volte indicata).
    Infine, si deve segnalare quell'orientamento della giurisprudenza
di    merito   che   riconosce,   dopo   l'intervento   della   Corte
costituzionale,   la   possibilita'   di   ricorrere  allo  strumento
cautelare,  nell'ambito di un autonomo giudizio petitorio, al fine di
paralizzare  l'efficacia  esecutiva  di un provvedimento di reintegra
(v., per tutte, Trib. Verona, 16 febbraio 1993).
    Per  tutte  queste  ragioni,  si  ritiene  che,  sulla base della
disciplina    attualmente    vigente,   non   vi   sia   spazio   per
un'interpretazione  che  porti  ad  escludere la proponibilita' di un
autonomo  giudizio petitorio, da parte del proprietario-convenuto nel
giudizio possessorio, in tutte le ipotesi in cui dalla esecuzione del
provvedimento  possessorio  derivi  o  possa  derivare un pregiudizio
irreparabile.
    2.3. - Alla   luce   di   quest'ultima  constatazione,  pertanto,
l'eccezione  di inammissibilita' sollevata dalla parte resistente non
potrebbe  essere  accolta  se  non  a  seguito  di  una  pronuncia di
illegittimita'  costituzionale della norma di cui all'art. 705, primo
comma,  c.p.c.,  cosi' come integrata dalla sentenza n. 25/1992 della
Corte costituzionale, nella parte in cui consente la proposizione del
giudizio   petitorio   prima  della  definizione  della  controversia
possessoria e della esecuzione della decisione nel caso che ne derivi
o  possa  derivare un pregiudizio irreparabile al convenuto, anziche'
limitarsi  a  consentire  la  deducibilita'  delle  ragioni petitorie
davanti  al  giudice  del  possessorio  al  solo  fine di chiedere la
reiezione della domanda possessoria.
    Eccezione,  quest'ultima, che si ritiene rilevante per le ragioni
sin  qui  addotte,  e  non manifestamente infondata per quelle che si
vengono ad indicare.
    3. - Non manifesta infondatezza della questione.
    3.1. - Prima    della    sentenza    n. 25/1992    della    Corte
costituzionale, il principio dell'esclusione dell'eccezione petitoria
in  ambito  petitorio  aveva  una  valenza assoluta, nel senso che il
convenuto  nel  giudizio  possessorio  non  poteva  far valere le sue
ragioni  petitorie,  potendo  al  piu' soltanto sollevare l'eccezione
feci  sed  iure feci ma al limitato fine di far valutare il titolo ad
colorandam  possessionem:  il convenuto, tramite di essa, poteva solo
dimostrare di aver agito nell'ambito della sua relazione di fatto con
il bene, mentre non era consentito l'accertamento del suo diritto sul
bene medesimo.
    Ovviamente,   il   divieto   in   questione   riguardava  sia  la
proponibilita'   dell'eccezione  petitoria  che  la  possibilita'  di
promuovere  il giudizio petitorio (questa affermazione trova conferma
nella  motivazione della sentenza della Corte costituzionale, laddove
si  dice  che  l'art. 705, cosi' come formulato prima della pronuncia
caducatoria,  impediva  al convenuto sia la proposizione di eccezioni
ex  iure  proprio nel processo possessorio, sia la proposizione di un
separato giudizio).
    La Corte costituzionale, dopo aver dichiarato non fondata analoga
questione  di  legittimita'  costituzionale con la sentenza n. 41 del
1974,   con   la   pronuncia  n. 25/1992  ha  dichiarato  illegittimo
l'art. 705,  primo  comma,  c.p.c., nella parte in cui subordinava la
proposizione   del   giudizio   petitorio   alla   definizione  della
controversia  possessoria  e  all'esecuzione della decisione nel caso
che  ne  derivasse  o potesse derivare un pregiudizio irreparabile al
convenuto.
    I  punti  centrali  della  motivazione  della Corte possono cosi'
riassumersi:
        a) in  primo  luogo,  e'  stata  dichiarata  inammissibile la
questione   di   legittimita'  dell'art. 1168,  quarto  comma,  c.c.,
sull'assunto  che  l'introduzione  della  possibilita'  di  sollevare
l'eccezione  riconvenzionale petitoria davanti al giudice possessorio
avrebbe  significato  un'incidenza sulla disciplina della competenza,
potere che la Corte ha ritenuto ad essa non spettante;
        b) inoltre,  ha  affermato  che  la  cognizione  sommaria del
giudice  del  possessorio  e' giustificata dall'urgenza di intervento
del  braccio  della legge per ripristinare uno stato di cose alterato
dal  comportamento  arbitrario  del  terzo,  ma che tale sistema puo'
giustificarsi solo fintantoche' il sacrificio imposto al titolare del
diritto  sia  transuente e reversibile, nel senso cioe' che lo stesso
sacrificio  deve  poter  essere recuperato con il successivo giudizio
petitorio;
        c) di  conseguenza, laddove il medesimo sacrificio risulti (o
rischi  di  risultare)  definitivo  ed irreversibile, la norma di cui
all'art. 705  appare  irrazionale  e lesiva del diritto di difesa, in
quanto   il   divieto,  oltre  a  non  consentire  la  sollevabilita'
dell'eccezione  riconvenzionale  petitoria  nel giudizio possessorio,
esclude  anche  la  proponibilita' di un autonomo giudizio petitorio,
nell'ambito  del  quale  il titolare del diritto potrebbe invocare in
via cautelare la misura del sequestro giudiziario.
    3.2. - L'importanza  della pronuncia (dovuta sia alla particolare
materia  oggetto  di  declaratoria sia alla autorevolezza dell'organo
pronunciante)   ha   fatto  subito  registrare  posizioni  dottrinali
diverse.
    In questa sede, tuttavia, pare opportuno concentrare l'attenzione
sulla  interpretazione della norma in commento, cosi' come modificata
dalla pronuncia additiva, fornita dalla Corte di cassazione.
    Ebbene,  successivamente  a  tale  pronuncia, la suprema Corte ha
seguito  un  orientamento a tal punto consolidato da potersi ritenere
diritto  vivente  (v.  Cass. 22 aprile 1994, n. 3825; 28 aprile 1995,
n. 12579; 3 febbraio 1998, n. 1042; 3 giugno 1998, n. 10862), secondo
cui  -  con  la pronuncia di incostituzionalita' dell'art. 705, primo
comma, c.p.c - il convenuto nel giudizio possessorio e' legittimato a
dedurre  le  sue ragioni petitorie davanti al giudice del possessorio
sia  pure  al  limitato  fine di far rigettare la domanda possessoria
(cioe',  secondo  la  stessa  affermazione della suprema Corte, senza
chiedere  un  accertamento con efficacia di giudicato sulla questione
petitoria).
    Come  gia'  rilevato  precedentemente, da questa affermazione non
discende  affatto  che  il  convenuto-proprietario  sia  obbligato  a
dedurre  le  ragioni  petitorie nell'ambito del giudizio possessorio,
potendo  decidere  di  instaurare separatamente il giudizio petitorio
(nel  cui  ambito potrebbe anche chiedere un provvedimento urgente di
inibitoria o la misura del sequestro giudiziario).
    In  altri  termini,  puo'  affermarsi  che il divieto di cui all'
art. 705,  primo  comma, c.p.c., come modificato dalla sentenza della
Corte costituzionale, secondo il diritto vivente della Suprema Corte,
si sostanzia:
        a) nella  inammissibilita'  di  qualsiasi  difesa  di  natura
petitoria   da   parte   del   convenuto  nel  possessorio  (la  sola
possibilita'  riconosciuta  a  quest'ultimo  e' quella di chiedere la
valutazione  del titolo ad colorandam possessionem, ma giammai per il
riconoscimento dello ius possidendi);
        b) nella  inammissibilita' della proposizione in via autonoma
del giudizio petitorio.
    Lo  stesso  diritto  vivente  della  suprema Corte, invece, nella
ipotesi  in cui dalla esecuzione della decisione possessoria derivi o
possa    derivare    un   pregiudizio   irreparabile,   consente   al
convenuto-proprietario:
        a) di  dedurre  le  ragioni  petitorie  davanti  allo  stesso
giudice  del possessorio, purche' la deduzione sia diretta soltanto a
far rigettare la domanda possessoria;
        b) di   far   valere   le   proprie   ragioni  petitorie  con
l'introduzione  di  un  autonomo giudizio (nel cui ambito egli potra'
anche  invocare  misure  cautelari  volte a neutralizzare gli effetti
pregiudizievoli del provvedimento possessorio).
    Si  e'  gia'  rilevato  in  precedenza che le due vie non sono in
relazione  di  alternativita'  (v.  la  sentenza  n. 12579/1995 della
Cassazione  gia' citata), in quanto le ragioni petitorie fatte valere
nell'ambito  del  giudizio  possessorio  non  vengono  accertate  con
efficacia  di giudicato, per cui non sussiste alcuna pregiudizialita'
tra i due giudizi.
    3.3. - Ebbene,   qui   si   ritiene   che  la  portata  normativa
dell'attuale   art. 705,  cosi'  come  interpretato  dalla  Corte  di
cassazione,  sia  in contrasto con il parametro della ragionevolezza,
desumibile  dal  principio  di uguaglianza ex art. 3 Cost., in quanto
riconosce   al   convenuto-proprietario,   in  caso  di  pericolo  di
pregiudizio   irreparabile,   piu'  di  quanto  sarebbe  strettamente
necessario  a  soddisfare  la  specifica  esigenza  ispiratrice della
pronuncia di incostituzionalita' della stessa norma.
    Una volta riconosciuta, infatti, la possibilita' per il convenuto
nel  possessorio  di  sollevare  nello  stesso  processo  le  ragioni
petitorie,  sia  pure  al  limitato  fine  di  paralizzare la domanda
possessoria,  non e' piu' ravvisabile una ragionevole giustificazione
al   riconoscimento  dell'ulteriore  possibilita'  di  introdurre  il
giudizio  petitorio,  posto  che  la prima difesa e' da sola idonea a
scongiurare   il   pregiudizio   (o   il   pericolo  di  pregiudizio)
irreparabile conseguente alla esecuzione della decisione possessoria.
Il   riconoscimento   della   possibilita'   di  agire  in  petitorio
(nonostante  che  il convenuto-proprietario possa ottenere il rigetto
della  domanda  possessoria  sollevando  le  ragioni  petitorie nella
stessa sede) configura una disparita' di trattamento nei confronti di
tutti  gli  altri  convenuti-proprietari  nei  cui  confronti vige il
divieto ex art. 705 c.p.c. (perche' non ravvisabile, nei confronti di
essi, l'ipotesi del pregiudizio irreparabile).
    Infatti,  il divieto in questione rimane, anche dopo la pronuncia
della  Corte  costituzionale,  un  caposaldo  del sistema processuale
civile,  per  cui  le  deroghe  a  tale  divieto  (che riguardano una
categoria   ristretta   di   convenuti-proprietari)   debbono  essere
contenute nel riconoscimento di cio' che e' strettamente necessario a
soddisfare  l'esigenza  ispiratrice  della  deroga  stessa,  giacche'
diversamente,  cioe'  nella  ipotesi  in  cui si riconoscesse un quid
pluris,   il   trattamento   differenziato  finirebbe  per  risultare
irragionevole.
    A  sommesso  avviso  di  questo  giudice, alla luce appunto anche
dell'orientamento  consolidato  della Cassazione, la possibilita' per
il  convenuto-proprietario,  nei  cui  confronti  sia  ravvisabile il
pregiudizio   irreparabile  ex  art. 705,  di  proporre  il  giudizio
petitorio,  nonostante  che lo stesso sia legittimato a far valere le
sue ragioni petitorie davanti al giudice del possessorio, comporta un
ingiustificato  trattamento  di  favore rispetto alla generalita' dei
convenuti-proprietari nei cui confronti non sia ravvisabile lo stesso
pregiudizio.
    Ingiustificato come gia' detto, perche' il risultato che la Corte
costituzionale   mirava   a   perseguire   con   la  declaratoria  di
incostituzionalita'  era  quello  di  impedire  che il sacrificio del
convenuto-proprietario    risultasse    di   natura   definitiva   ed
irreparabile,  risultato  certamente  perseguibile  con  la deduzione
delle  ragioni  petitorie  nell'ambito  del giudizio possessorio (sia
pure   al   limitato  fine  di  chiedere  il  rigetto  della  domanda
interdittale).
    Di  favore,  in  secondo  luogo,  perche' il riconoscimento della
possibilita'   di   agire   in   giudizio   in   petitorio,  anziche'
semplicemente  di  far  valere  le  ragioni petitorie per ottenere il
rigetto  della  domanda  possessoria,  consente  al  proprietario  di
ottenere  una pronuncia accertativa del proprio diritto con efficacia
di  giudicato  (e  non  semplicemente  una  pronuncia  di rigetto del
possessorio)  prima dell'esito del processo possessorio, e quindi con
largo   anticipo  rispetto  ai  tempi  con  cui  la  generalita'  dei
convenuti-proprietari  ottiene lo stesso risultato (il riconoscimento
da  parte  delle  sezioni  unite  della  Cassazione  del  c.d. merito
possessorio  ha evidentemente inciso sui tempi di durata del medesimo
processo,  per  cui  il trattamento di favore suddetto non e' di poco
conto).
    Infatti,  la  mera  difesa  petitoria  in ambito possessorio, pur
essendo  completamente  satisfattiva  dell'esigenza di scongiurare il
rischio   di  produzione  del  pregiudizio  irreparabile  piu'  volte
richiamato,   in   quanto   in  grado  di  impedire  l'emissione  del
provvedimento   possessorio,   rappresenta  un  minus  rispetto  alla
richiesta  di  accertamento  con efficacia di giudicato delle ragioni
petitorie.   Di   conseguenza,   il  riconoscimento  di  quest'ultima
possibilita',  non essendo strettamente necessaria per scongiurare il
pregiudizio   irreparabile,  finisce  per  non  avere  una  razionale
giustificazione  e  quindi  per  configurarsi  come un trattamento di
favore illegittimo.
    A tale ultimo proposito, non puo' non rilevarsi come la deroga al
divieto  de quo, nei casi di spoglio di beni immobili, operi a favore
proprio di quei soggetti che hanno posto in essere atti di spoglio di
rilevante  entita'  (costruzione di manufatti), per cui e' necessaria
un'interpretazione restrittiva della portata applicativa della stessa
disposizione    derogativa,   posto   che,   diversamente,   mal   si
giustificherebbe   la   diversita'   di   trattamento  rispetto  alla
generalita'  delle ipotesi in cui, paradossalmente, l'atto di spoglio
risulti di minore gravita'.
    In  altri  termini, col rischio di apparire troppo scolastici, la
diversita'  di  trattamento  tra  colui  che  ha  violato il possesso
tramite  la  costruzione,  per  fare  un esempio, di un grattacielo e
colui  che  lo  ha  violato,  sempre  a  titolo  di  esempio,  con la
sostituzione  di  una  serratura  puo'  giustificarsi,  in  relazione
all'esigenza evidenziata dalla Corte costituzionale, limitatamente al
fine  di  impedire  l'esecuzione del provvedimento possessorio da cui
potrebbe   derivare   un   pregiudizio  irreparabile,  ma  non  anche
relativamente   alla  possibilita'  di  avere  subito  una  pronuncia
petitoria  con efficacia di giudicato, per la semplice ragione che il
primo risultato puo' essere ottenuto (stando al diritto vivente della
Cassazione)  valutando  incidenter  tantum  le questioni petitorie in
ambito possessorio.
    Del  resto, all'obiezione che al riconoscimento della mera difesa
petitoria  non  puo'  che accompagnarsi anche il riconoscimento della
esperibilita'  della  relativa azione, deve replicarsi che non esiste
un  principio  assoluto  (cioe'  non derogabile) di parificazione tra
eccezione  ed azione (o tra mera difesa, eccezione riconvenzionale ed
azione,  a  seconda  della  impostazione  dogmatica  che  si  segue),
giacche'  nel  nostro  sistema  non  mancano  esempi di deroga a tale
principio come si evince anche dall'art. 1442, ultimo comma, c.c.
    Ne'  puo' obiettarsi che l'accertamento del diritto con efficacia
di  giudicato  si  giustifica  in  virtu'  del  principio di economia
processuale  richiamato  dalla  Corte costituzionale con la pronuncia
piu' volte indicata.
    Tale   principio,   infatti,   e'  stato  richiamato  in  stretta
correlazione  con l'esigenza di scongiurare che il sacrificio imposto
al    convenuto-proprietario    potesse    risultare   definitivo   e
irreversibile:  in altri termini, in assenza di quest'ultimo pericolo
ovvero  nel  caso  in  cui tale pericolo possa essere scongiurato con
specifici   meccanismi   processuali   (deducibilita'  delle  ragioni
petitorie  nel possessorio), il principio di economia processuale non
puo'  piu'  essere invocato, giacche' diversamente lo stesso dovrebbe
essere  applicato sempre nella relazione possessorio - petitorio. (La
Corte  costituzionale,  infatti,  con  la  pronuncia in questione, ha
ribadito  la  razionalita'  del  sistema  che,  anziche' prevedere la
trattazione congiunta delle questioni petitorie e possessorie davanti
ad  uno  stesso  giudice,  rimette  la  disamina  del petitorio ad un
momento  successivo: pertanto, una volta riconosciuta la possibilita'
di  ovviare  al  pericolo  di  pregiudizio  irreparabile  tramite  la
deducibilita' delle ragioni petitorie rei possessorio, deve tornare a
farsi  applicazione  della  regola  generale,  cioe'  della sfasatura
temporale tra possessorio e petitorio).
    Pare,  invero, a questo giudice che la Corte costituzionale abbia
voluto   consentire   la   proponibilita'   del   giudizio  petitorio
sull'assunto  della  impossibilita'  di sollevare eccezioni petitorie
davanti  al  giudice  del  possessorio  se non determinando modifiche
delle  regole  di  competenza.  Per  cui,  ritenendo la Corte che non
potesse essere riconosciuta al convenuto la possibilita' di sollevare
l'eccezione  petitoria  in  ambito  possessorio (perche' cio' avrebbe
determinato  modifiche  alla  regole  di  competenza), l'unica strada
percorribile  -  al  fine  di scongiurare il pregiudizio irreparabile
piu'  volte indicato - era quella di consentire il giudizio petitorio
in via autonoma.
    Successivamente a tale pronuncia, pero', si sono verificati fatti
nuovi.
    In  primo luogo, il legislatore ha abolito la figura del pretore,
introducendo  quella  del  giudice  unico di tribunale, per cui anche
volendosi  ammettere  che l'eccezione riconvenzionale petitoria possa
incidere  sulla  competenza  del  giudice,  quasi  mai  il  petitorio
apparterrebbe alla competenza per materia di altro giudice.
    In  secondo  luogo,  ed  in  maniera del tutto assorbente ai fini
della  fondatezza  di  questa eccezione, si e' gia' detto del diritto
vivente  della  Cassazione,  secondo cui il convenuto-proprietario, a
seguito  della  sentenza  n. 25/1992 della Corte costituzionale, puo'
dedurre le ragioni petitorie in ambito possessorio, purche' lo faccia
solo  per chiedere il rigetto della domanda possessoria. In virtu' di
tale   orientamento,  infatti,  deve  affermarsi  che  certamente  il
convenuto-proprietario puo' scongiurare il pregiudizio (o il pericolo
di  pregiudizio)  irreparabile  che  gli deriverebbe dalla esecuzione
della  decisione  possessoria  semplicemente deducendo le sue ragioni
petitorie davanti al giudice del possessorio.
    Ed  e'  proprio  in  virtu' di tale orientamento che la scelta di
consentire   la   proponibilita'   del   giudizio   petitorio  appare
irragionevole,    posto   che   la   possibilita'   riconosciuta   al
convenuto-proprietario   di   ottenere   il   rigetto  della  domanda
possessoria  tramite  la  deduzione delle ragioni petitorie e' di per
se'  sufficiente  a soddisfare l'esigenza ispiratrice della pronuncia
declaratoria.
    3.4. - Va,  poi, rilevato come questo giudice non possa pervenire
ad  una  interpretazione  costituzionalmente orientata della norma in
questione,   la   quale   dovrebbe  condurre  alla  esclusione  della
proponibilita'  del giudizio petitorio in via autonoma anche nei casi
di pregiudizio o di pericolo di pregiudizio irreparabile.
    Tale  interpretazione,  infatti,  per  tutte  le  ragioni  meglio
indicate al precedente punto 2.2. , non e' possibile alla stregua: a)
del  tenore letterale dell'art. 705 c.p.c.; b) dell'autorevole spunto
interprerativo offerto dalla Corte costituzionale con la pronuncia di
illegittimita';   c)   nonche',   infine,   dell'orientamento   della
Cassazione (v., in particolare, sent. n. 12579/1995).
    4. - Rimane,  infine,  da  esaminare  la  questione relativa alla
legittimazione a sollevare l'eccezione da parte di questo giudice che
risulta investito semplicemente della decisione cautelare.
    Secondo  costante  giurisprudenza  della Corte costituzionale, il
giudice adito ex art. 700 c.p.c. e' legittimato a sollevare questioni
di  costituzionalita'  fino  a  quando non abbia emesso o respinto il
richiesto  provvedimento,  in  quanto  solo la conclusione della fase
cautelare  esaurisce  ogni sua potesta' in quella sede e comporta che
l'ulteriore  potere  decisionale  competa  al  giudice  della fase di
merito  (v. Corte cost., sentenze, n. 108 del 1995; nn. 498 e 444 del
1990; n. 186 del 1976).
    Nella fattispecie, pertanto, poiche' questo giudice e' chiamato a
decidere  in  ordine  ad  un  ricorso  ex  art. 700  c.p.c.  proposto
anteriormente  alla causa di merito, e' ravvisabile la legittimazione
a sollevare la questione.