ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 6 della legge
27 luglio  1978,  n. 392  (Disciplina  delle  locazioni  di  immobili
urbani),  promosso  con  ordinanza del 9 aprile 2002 dal Tribunale di
Roma  nel  procedimento  civile  vertente  tra  De  Simone Annarita e
Cirimbilla  Giovanni  ed  altro,  iscritta  al  n. 525  del  registro
ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 48, 1ยช serie speciale, dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 26 marzo 2003 il giudice
relatore Fernanda Contri.
    Ritenuto  che  il  Tribunale  di  Roma,  con  ordinanza emessa il
9 aprile   2002,   ha  sollevato,  in  riferimento  all'art. 3  della
Costituzione,  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 6
della  legge  27 luglio  1978,  n. 392 (Disciplina delle locazioni di
immobili  urbani),  nella  parte  in  cui non prevede che, in caso di
cessazione della convivenza more uxorio, al conduttore di un immobile
ad  uso  abitativo  succeda  nel contratto di locazione il convivente
rimasto  nella  detenzione  dell'immobile, anche in mancanza di prole
comune;
        che  il  rimettente,  che  ha  gia'  sollevato  nel  medesimo
giudizio   la   stessa   questione  di  legittimita'  costituzionale,
dichiarata manifestamente inammissibile con ordinanza n. 61 del 2002,
per  carente  descrizione  della  concreta  fattispecie,  provvede ad
integrare  la  motivazione,  indicando  compiutamente gli elementi in
fatto;
        che  il  giudice  a quo, dopo aver richiamato le ragioni gia'
esposte   nella   precedente   ordinanza  a  sostegno  della  pretesa
illegittimita'  costituzionale,  osserva come nella coscienza sociale
la  posizione  del  convivente possa ormai essere equiparata a quella
del  coniuge,  pur in mancanza di figli comuni, soprattutto quando la
convivenza si sia protratta per molti anni e sottolinea l'esigenza di
consentire  la successione nel contratto nel caso di cessazione della
convivenza senza prole comune come particolarmente avvertita anche in
relazione alla fondamentale importanza assunta dal bene-abitazione;
        che  pertanto,  ad  avviso del rimettente, sarebbe necessario
riconoscere il diritto di abitazione al convivente rimasto nella casa
comune,  poiche'  altrimenti  la  norma sembra ledere il principio di
eguaglianza  sia con riguardo alla posizione del coniuge che a quella
del convivente con prole comune;
        che  e'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia dichiarata inammissibile o
comunque infondata;
        che,  in  particolare,  ad  avviso  della difesa erariale, le
sentenze  della  Corte  costituzionale  n. 404  del 1988 e n. 559 del
1989,  che  pure  hanno  configurato  il diritto all'abitazione quale
diritto   fondamentale  degno  di  adeguata  tutela,  non  potrebbero
invocarsi  nella  fattispecie,  nella quale non ricorre l'esigenza di
tutela di un nucleo familiare, per mancanza di prole comune.
    Considerato  che  il  Tribunale  di  Roma sollecita una pronuncia
additiva  con  la  quale  si  affermi  il diritto del convivente more
uxorio  a succedere nel contratto di locazione, allorche' sia cessata
la convivenza e non vi sia prole comune;
        che  il giudice a quo considera la norma impugnata lesiva del
principio di eguaglianza, sia con riguardo alla posizione del coniuge
sia con riguardo a quella del gia' convivente con prole comune;
        che, come questa Corte ha piu' volte affermato, la convivenza
more  uxorio, basata sull'affectio quotidiana, liberamente ed in ogni
istante  revocabile,  presenta  caratteristiche  cosi'  profondamente
diverse dal rapporto coniugale da impedire l'automatica assimilazione
delle  due  situazioni al fine di desumerne l'esigenza costituzionale
di  una  parificazione di trattamento (tra le tante, ordinanza n. 491
del 2000; sentenza n. 352 del 2000; ordinanza n. 313 del 2000);
        che  le  stesse  considerazioni  valgono  in  relazione  alla
comparazione  tra  la  cessazione  della  convivenza  con  prole e la
cessazione  di  quella senza prole, trattandosi, pure in questo caso,
di  situazioni  del  tutto  disomogenee, rispetto alle quali non sono
invocabili  ne'  il  principio  di eguaglianza, ne' le argomentazioni
contenute  nella sentenza n. 404 del 1988, la cui ratio decidendi per
la  conservazione dell'abitazione alla residua comunita' familiare si
fondo'   appunto   sull'esistenza   di   prole   naturale   e  quindi
sull'esigenza di tutelare un nucleo familiare;
        che   pertanto  la  prospettata  questione  deve  dichiararsi
manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.