IL TRIBUNALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza su richiesta di convalida di
arresto (artt. 391 e 558 del c.p.p.)
    Vista   la  richiesta  di  convalida  dell'arresto,  operato  nei
confronti di Naser Sadiku, in atti generalizzato;

                            O s s e r v a

    In  forza  del  combinato  disposto  degli artt. 558 c.p.p. e 14,
comma  cinque-quinquies,  decreto  legislativo  25 luglio 1998 n. 286
(testo  unico delle norme sull'immigrazione e la condizione giuridica
degli  stranieri), come modificato dalla legge 30 luglio 2002 n. 189,
l'arresto  dell'imputato,  effettuato  in  relazione  al reato di cui
all'art. 14,  comma  cinque-ter  testo  unico  cit.,  dovrebbe essere
convalidato  da  questo  giudice  e si dovrebbe provvedere a giudizio
direttissimo. Si ritiene tuttavia che la novella alle norme del testo
unico  presenti  dei  profili  di  incostituzionalita' rilevanti gia'
nella   fase   della  convalida,  in  quanto  attinenti  alla  stessa
costituzionalita'  della  previsione dell'arresto obbligatorio per la
fattispecie  di  cui  si tratta, e che pertanto la questione relativa
debba essere sollevata gia in questa sede.
    Infatti,   la   novella   prevede  l'arresto  -  in  questo  caso
obbligatorio,  in  altri  facoltativo  -  per reati contravvenzionali
puniti  nel  massimo  con un anno di arresto, dunque con pena massima
edittale  lontana  per  difetto  da  quella  generale prevista per le
contravvenzioni,  il  che  e' significativo di una valutazione di non
eccessiva  gravita'  della  condotta  da  parte  del legislatore. Nel
codice  di  procedura penale, invece, l'arresto in flagranza - misura
fortemente  restrittiva  della  liberta'  personale  - in generale, e
salvi  i casi tassativamente previsti al secondo comma dell'art. 381,
non  e'  consentito per i delitti puniti con la pena della reclusione
pari  o inferiore, nel massimo, a tre anni. Ancor piu' ristretti sono
i  casi  di arresto obbligatorio previsti dall'art. 380 c.p.p., con i
quali  occorre  istituire il raffronto in questo caso, dato che, come
s'e'  gia'  detto,  la  novella prevede tale categoria di arresto. Il
sistema  penale,  in altri termini, prescrive l'obbligatorieta' della
misura restrittiva della liberta' personale solo per reali, obiettive
situazioni  di  singolare gravita' 1) ma in questo caso, derogando in
maniera   evidente  alla  disciplina  generale,  introduce  l'arresto
obbligatorio per una contravvenzione neppure particolarmente grave.
    Ne'  puo'  obiettarsi  che  il principio di ragionevolezza, prima
implicitamente   richiamato,   che   trova  la  sua  fonte  normativa
costituzionale  nell'art. 3 della carta fondamentale, non puo' venire
in  rilevo in quanto si tratta di normativa dettata solo in relazione
agli stranieri, dal momento che lo stesso art. 3 limita il suo ambito
di  applicazione  ai cittadini. Infatti, e' del tutto pacifico che la
norma   richiamata  deve  coordinarsi  con  gli  artt. 2  Cost.,  che
garantisce  i  diritti  inviolabili dell'uomo indipendentemente dalla
nazionalita', e con l'art. 10 secondo comma Cost., che prevede che la
condizione  giuridica  dello  straniero  e'  regolata  dalla legge in
conformita' delle norme dei trattati internazionali. Ne consegue che,
ove  la  disciplina  giuridica  applicabile  allo straniero attenga a
diritti  inviolabili,  o  comunque  a  materie  oggetto  di  trattati
internazionali,  il  diverso  trattamento  deve  garantire  i diritti
inviolabili  dell'uomo  ed essere rispettoso dei principi dettati dai
trattati.  Ora,  ampie  garanzie  in  materia di processo penale e di
arresto  sono  oggetto  degli  artt. 5  e  6 della convenzione per la
salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e delle liberta' fondamentali,
ratificata dall'Italia con legge 4 agosto 1955 n. 848, per cui appare
inammissibile  la discriminazione dello straniero in relazione a tale
materia.
    Dubbi ancor piu' evidenti e gravi di incostituzionalita' emergono
in  relazione  al  rito direttissimo che dalla convalida dell'arresto
originerebbe.
    Infatti,   secondo   quanto   disposto  dal  legislatore,  appare
ineluttabile  una  pronuncia non di merito nei confronti dell'odierno
imputato.  Cio' emerge coordinando varie norme della novella, secondo
l'iter  logico che si passa ad illustrare. Il giudice monocratico non
puo'  applicare allo straniero arrestato in flagranza per il reato di
cui  si  giudica  la  misura della custodia cautelare in carcere, non
prevista per le contravvenzioni. Dunque, lo straniero potra' - o, per
meglio    dire,    dovra',   dati   i   ristrettissimi   margini   di
discrezionalita'  dell'autorita'  amministrativa - essere espulso, in
quanto   dall'art. 13   terzo  comma  del  testo  unico,  cosi'  come
novellato,  risulta  evidente  che  solo  l'applicazione della misura
cautelare  indicata  costituisce  impedimento assoluto all'espulsione
disposta  dal  questore;  in  caso  di  mancata applicazione di essa,
invece,  opera  il  regime  del  nulla  osta  del giudice. Orbene, il
giudice  ha  uno  spazio di discrezionalita' minimo nel rilasciare il
nulla  osta:  «puo' negarlo solo in presenza di inderogabili esigenze
processuali    valutate    in    relazione   all'accertamento   della
responsabilita'  di  eventuali  concorrenti  nel  reato o imputati di
procedimenti  connessi,  e  all'interesse  della  persona offesa»; 2)
oppure  se si tratta dei reati previsti dall'art. 407, secondo comma,
lett.  a) c.p.p. . Nell'assoluta maggioranza dei casi, e comunque per
il  reato per il quale si procede, in cui sembra difficile ipotizzare
forme  di  concorso  il  cui accertamento richieda la deposizione del
coimputato,  ne'  e'  individuabile  una persona offesa, l'attuazione
dell'espulsione  - che quale provvedimento amministrativo costituisce
lo  stesso  presupposto  del  reato  -  non  puo' essere impedita dal
giudice  ed  e'  dunque certa. In caso di espulsione, il giudice, «se
non  e' ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio»
- come avviene nel caso di giudizio direttissimo monocratico, che non
conosce  tale provvedimento, ben diversa essendo la forma e la natura
del  decreto  di  presentazione  dell'arrestato da parte del pubblico
ministero   di   cui   all'art. 558  c.p.p.  -  «acquisita  la  prova
dell'avvenuta  espulsione  (...)  pronuncia  sentenza  di non luogo a
procedere» 3).
    Emerge  quindi l'obbligatorieta', nella maggior parte dei casi di
reati commessi da immigrati espulsi e comunque - e' bene ripeterlo ai
fini  della  rilevanza  dell'eccezione  di costituzionalita' - per il
reato   contestato  all'odierno  imputato,  della  pronuncia  di  una
sentenza   di   improcedibilita'   dell'azione   penale  nei  giudizi
direttissimi   monocratici   a  carico  di  tali  soggetti.  Infatti,
interviene  a  rendere  obbligatoria la pronuncia la mera circostanza
estrinseca  dell'esecuzione  dell'espulsione  prima della conclusione
del giudizio, condizione che si realizza automaticamente, ad esempio,
a  seguito di richiesta di termini a difesa. Lo straniero viene cosi'
privato del diritto di accedere ad un giusto processo quanto ai fatti
contestati,   con  chiara  violazione  dell'art. 111  cost.,  nonche'
dell'art. 24  Cost.  quanto  al  diritto  di  difesa, ed ancora degli
artt. 5  e  6  della  convenzione  per  la  salvaguardia  dei diritti
dell'uomo   gia'  citata  -  che  pacificamente  ha  rango  di  norma
costituzionale  in  forza  di quanto s'e' poc'anzi osservato circa il
richiamo   dell'art. 10,  secondo  comma,  Cost.  -  ,  articoli  che
prevedono  il diritto per ogni persona privata della propria liberta'
con un arresto a presentare ricorso davanti ad un tribunale affinche'
decida  sulla  legittimita'  della  propria  detenzione, ed ancora il
diritto   a   che   la   sua   causa  sia  esaminata  imparzialmente,
pubblicamente  ed  in  un  tempo ragionevole da parte di un tribunale
indipendente  ed imparziale costituito per legge quanto al fondamento
di  ogni  accusa penale. Nel meccanismo creato dalla novella, invece,
la  richiesta  di  un  termine  a  difesa,  che realizza un altro dei
diritti  sanciti dall'art. 6 della convenzione, quello dell'arrestato
di «disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare
la  sua difesa», previsto dalla lett. a) del terzo comma, finisce con
l'impedire  una  decisione  di  merito, con evidente contrasto con il
diritto  a  provare  la propria innocenza: infatti, senza chiedere un
termine  a  difesa,  e'  impossibile  per  l'arrestato  in  fiagranza
dimostrare  che  la  sua  permanenza  nel  territorio  dello stato e'
legittima,   giacche'  non  ha  modo  di  recuperare  e  produrre  la
documentazione  necessaria  alla  prova o di ottenere la citazione di
testi a difesa. Il contrasto di tutto cio' con l'art. 24 Cost., norma
che tutela «tutti», non solo i cittadini italiani, appare evidente.
    Se  poi  si vuol dare dell'espressione «provvedimento che dispone
il   giudizio»   un'interpretazione   estensiva,   comprensiva  della
presentazione  del  pubblico  ministero  o dell'ordinanza del giudice
monocratico   che,   convalidato   l'arresto,   da'  inizio  al  rito
direttissimo,  si  risolverebbe il problema del contenuto necessitato
della  pronuncia,  ma  non  quello  della compressione del diritto di
difesa:  in  tal  caso,  infatti, non si verificherebbe la condizione
temporale  che  costituisce presupposto necessario della pronuncia di
non  doversi procedere, ovvero l'esecuzione dell'ordine di espulsione
prima  del  provvedimento  che  dispone  il  giudizio,  dato  che  lo
straniero  verrebbe  espulso dopo l'inizio del giudizio direttissimo;
tuttavia,  se  solo  il giudizio direttissimo non si concludesse, per
qualsiasi  ragione,  in  una  sola udienza, l'imputato sarebbe subito
espulso e non avrebbe modo di difendersi. Sarebbe cioe' processato in
absentia   per   un   fatto   esterno,  l'esecuzione  dell'ordine  di
espulsione,  che  in  nessun  modo  puo' equipararsi alla contumacia,
situazione  che  deriva dalla volonta' dell'imputato. Anche in questo
caso,  dunque,  il diritto di difesa viene, piu' che compresso, quasi
impedito:   lo  straniero  potrebbe  tentare  di  dimostrare  la  sua
innocenza solo nel caso in cui il processo si concludesse in una sola
udienza, subito dopo la convalida; se invece, per sua richiesta o per
altra  ragione, il processo viene rinviato, egli viene espulso, sulla
base del provvedimento che gli viene contestato di aver violato.
    Ulteriore   violazione   costituzionale   ravvisabile  in  questa
disciplina  attiene a quanto previsto dall'art. 13 Cost. Infatti - se
si  da'  dell'espressione  «provvedimento  che  dispone  il giudizio»
quell'interpretazione  restrittiva di cui s'e' detto, che sola appare
fondata  -  si  configura  un  caso  di  restrizione  della  liberta'
personale,  cioe'  un  arresto  obbligatorio,  che  non  trova il suo
naturale  sbocco  nell'esercizio dell'azione penale e nel conseguente
vaglio   giurisdizionale   sul  merito  dell'accusa,  vaglio  cui  si
sostituisce  una  pronuncia  di  non  luogo  a  procedere conseguente
all'avvenuta  esecuzione  dell'espulsione  che  consegue al rilascio,
come  s'e'  visto  quasi sempre obbligatorio ed automatico, del nulla
osta  da  parte  dell'autorita' giudiziaria. Il giudice finisce cosi'
con l'essere espropriato dell'esercizio della giurisdizione e diviene
soggetto  non  alla legge, bensi' ad una decisione amministrativa del
questore,  dalla  quale  deriva  il  contenuto  necessitato della sua
pronuncia, con violazione anche dell'art. 101 secondo comma cost.
    Alla rilevanza di tutti questi dubbi in questo procedimento si e'
gia'  accennato,  ma e' bene ulteriormente sottolineare che l'arresto
di  cui  si  tratta dovrebbe essere convalidato in forza di una norma
che  si  ritiene  sospetta  di  incostituzionalita'  e  che,  dopo la
convalida,   si   dovrebbe  procedere  ad  un  giudizio  direttissimo
decisamente   anomalo,   che   presenta   gli  ulteriori  profili  di
incostituzionalita'   poco   sopra   argomentati.   Conseguentemente,
l'incidente  di costituzionalita' dev'essere sollevato gia' in questa
fase,  con  la  sospensione  dello  stesso  giudizio di convalida. Ne
deriva  che  non  puo'  farsi  luogo al giudizio direttissimo, la cui
celebrazione  presuppone  l'avvenuta  convalida  dell'arresto, che in
questo caso manca, in forza della sospensione. Ulteriore conseguenza,
ad  avviso  di  questo  giudice,  e'  la  restituzione  degli atti al
pubblico  ministero perche' proceda con il rito ordinario. Non sembra
infatti  che  si  possa sospendere anche il giudizio direttssimo, che
non e' ancora instaurato.
          1)  Cosi'  la  Corte costituzionale nella sentenza 11 marzo
          1970  n. 39,  dichiarava dell'illegittimita' costituzionale
          dell'art.  220  del  testo  unico  delle  leggi di pubblica
          sicurezza   nella   parte   in   cui   prevedeva  l'arresto
          obbligatorio  in  flagranza di chi contravveniva al divieto
          di comparire mascherato in luogo pubblico.
          2) Art. 13 comma 3, richiamato dal comma 3-bis in relazione
          all'arresto in flagranza.
          3) Art. 13 comma 3-quater.