IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso elettorale
n. 6379/2002  R.G.  promosso  da  Cioppa  Giuseppe  e  D'amico Donato
Giuseppe  (consiglieri  comunale  di  minoranza)  e  Addelio  Nicola,
Aurilio  Antonio  Carmine,  Cafaro  Gennaro,  Cioppa Angelantonio, Di
Lillo  Giovanna,  D'Onofrio  Raffaele,  Fiata  Antonio,  Jorio  Anna,
Maiello  Fiorentino, Marra Giuseppe, Martino Giuseppe, Merola Carmine
e   Romano   Luigi,   tutti  candidati  non  eletti  alla  carica  di
consigliere,  rappresentati  e difesi dal professor avvocato Giuseppe
Palma e dall'avvocato Patrizia Kivel Mazuy, con i quali elettivamente
domiciliano in Napoli, viale Gramsci, 10;
    Contro:
        il  Ministero  dell'interno,  in  persona  del  Ministro  pro
tempore,  rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura distrettuale dello
Stato  presso la cui sede domicilia ex lege in Napoli, alla via Diaz,
n. 11;
        il comune di Bellona (CE) in persona del sindaco pro tempore,
non citato in giudizio;
e nei confronti di:
        Della Cioppa Giancarlo, Caserta Antimo, Vinciguerra Giovanni,
Di  Febbraro  Pasquale,  Carusone  Giovanni,  Pezzulo Pasquale, Iorio
Giuseppe,   Sarcinella   Giovanni,   Russo  Antimo  e  Fiata  Angelo,
rappresentati  e difesi dagli avvocati Antonio Romano, Carlo Sarro ed
Eduardo  Romano con i quali elettivamente domiciliano in Napoli, alla
piazza Trieste e Trento, n. 48;
        D'Amico   Donato,   Cioppa   Giuseppe,   Carluccio   Osvaldo,
Giudicianni Pasquale e Rovelli Giuseppe, non costituiti in giudizio;
    Per  l'annullamento:  a)  della  proclamazione  degli eletti alla
carica  di  sindaco  e  di consigliere comunale del comune di Bellona
(Caserta)  a seguito delle elezioni svoltesi il 26/27 maggio 2002; b)
delle  operazioni  elettorali  delle  sezioni numero 1 e numero 4 del
medesimo  comune;  c)  della  deliberazione del consiglio comunale di
convalida degli eletti, ove esistente.
    Visto  il  ricorso,  depositato  il 17 giugno 2002, notificato in
data  27/28 giugno  2002  con  pedissequo  decreto  presidenziale  di
fissazione  d'udienza  del  20 giugno  2002  e ridepositato in data 5
luglio 2002, con i relativi allegati.
    Visto l'atto di costituzione dei controinteressati specificati in
epigrafe.
    Viste le memorie prodotte dalle parti e gli atti della causa.
    Data  per  letta all'udienza del 23 gennaio 2003 la relazione del
dottor A. Pannone.

                              F a t t o

    Nei  giorni  26  e  27 maggio  2002  si sono svolte nel comune di
Bellona  (CE)  le  elezioni  per  il rinnovo del consiglio comunale e
della carica di sindaco.
    I  ricorrenti  sostengono che il procedimento elettorale ha visto
verificarsi  gravi  irregolarita' nelle sezioni nn. 1 e 4, che devono
dar  luogo  all'annullamento  totale  del  procedimento  nelle  dette
sezioni e all'annullamento della proclamazione degli eletti.
    Nella  sezione  n. 1 il presidente del seggio, anziche' procedere
alla  distribuzione  delle schede tra gli scrutatori, per consentirne
la vidimazione, ha avocato a se' la vidimazione di ben 50 schede, con
cio'  violando  le  disposizioni  che  impongono la vidimazione delle
schede ad opera degli scrutatori.
    Nella   sezione  n. 4  invece  si  sono  verificate  le  seguenti
circostanze  di  cui  non  v'e' traccia nel verbale, ma che risultano
dagli atti depositati in giudizio.
    Al  momento della chiusura del seggio, in data 26 maggio 2002, si
riscontrava  la  mancanza  di  una  scheda  tra  quelle vidimate. Per
ritrovarla   e'   stata   illegittimamente  aperta  l'urna.  Iniziata
l'operazione  di  apertura delle schede, dopo un po', si e' ritrovata
una  scheda  bianca, che e' stata prelevata dall'urna, e inserita tra
le  schede non votate. Cio' e' avvenuto dopo l'apertura di 11 schede.
I ricorrenti hanno documentato quanto accaduto nella sezione n. 4 con
dichiarazioni  sottoscritte  da  Giovanni Carusone, nato a Bellona il
9 giugno 1949, e Michelangelo Graziano, nato a Bellona il 29 novembre
1995,  alle  quali  sono  state  allegate  le  fotocopie  delle carte
d'identita' di ciascuno dei dichiaranti.
      Con  il  ricorso in trattazione gli interessati hanno dedotto i
seguenti  motivi cosi' epigrafati: I) violazione e falsa applicazione
dell'art. 47  del  decreto  del Presidente della Repubblica 16 maggio
1960, n. 570. II) Violazione e falsa applicazione degli articoli 51 e
seguenti  del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960,
n. 570.
    Si  costituivano in giudizio le parti meglio indicate in epigrafe
sostenendo l'inammissibilita' e l'infondatezza del ricorso.
    Con  ordinanza  del  13 dicembre 2002, n. 266 il presidente della
seconda  sezione  del  Tribunale  amministrativo  regionale  Campania
disponeva  l'acquisizione  dei  seguenti  atti:  a) verbale integrale
modello   n. 306-AR   (verbale  delle  operazioni  dell'adunanza  dei
presidenti  delle  sezioni)  con  ogni allegato; b) verbali integrali
modello  n. 225-AR  (verbale delle operazioni dell'ufficio elettorale
di  sezione),  con  ogni allegato, relativi alle sezioni n. 1 (uno) e
n. 4 (quattro).
    L'incombente  istruttorio  veniva eseguito con nota del dirigente
dell'ufficio  elettorale  provinciale  dell'ufficio  territoriale del
governo di Caserta del 18 dicembre 2002, protocollo n. 238/2000/S.E.
    All'udienza  del  23  gennaio  2003,  dopo  ampia ed approfondita
discussione, il ricorso e' stato trattenuto in decisione.

                            D i r i t t o

    I)  La  seconda  sezione  del  Tribunale amministrativo regionale
Campania, con sentenza parziale pronunciata in pari data, ha respinto
il  primo  motivo  del  ricorso  con  il  quale  era stata dedotta la
violazione   e  falsa  applicazione  dell'art.  47  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 570/1960.
    II)   Dalla   documentazione  (rappresentata  dalle  copie  degli
originali  depositati  presso la prefettura di Caserta), acquisita in
esecuzione dell'ordinanza presidenziale, non e' emerso alcun elemento
nuovo  rispetto  ai  fatti  dedotti  in  giudizio:  nel verbale della
sezione  elettorale n. 4 del comune di Bellona non si rinviene alcuna
annotazione  relativa all'apertura dell'urna avventa intorno alle ore
10,30 del giorno 26 maggio 2002.
    III)  Il  fatto,  cosi'  come  introdotto  in  giudizio  da parte
ricorrente,  non  potrebbe  in alcun caso condurre, anche ove dovesse
ritenersi  fondata  la  censura  ad  esso correlata, all'annullamento
delle   operazioni  elettorali  svoltesi  in  quella  sezione  e,  in
conseguenza,  della proclamazione degli eletti alla carica di sindaco
e  di  consigliere  del  comune  di  Bellona, perche' e' noto che nel
giudizio   elettorale   di   regolarita'  non  e'  ammessa  la  prova
testimoniale.
    IV)  Le  note  depositate da parte ricorrente il giorno 9 gennaio
2003  debbono  essere  interpretate  come  richiesta (avanzata in via
subordinata)   di  acquisizione  di  prova  testimoniale,  non  senza
sottolineare  che,  a  parte l'errore scusabile (istituto proprio del
processo amministrativo) che puo' essere riconosciuto anche d'ufficio
(C.S.  VI,  10 ottobre 2002, n. 5453), codesta Corte ha ritenuto che:
«Non e' lecito imporre alla parte l'onere di chiedere l'assunzione di
mezzi  istruttori la cui ammissibilita' dipende dalla declaratoria di
incostituzionalita'  di  disposizioni  che  non  la prevedono» (s. 10
aprile 1987, n. 146).
    V)   Va   quindi   esaminata  l'eccezione  dei  controinteressati
costituiti  in  giudizio  i  quali  sostengono che dal valore di atto
fidefaciente   del   verbale   delle  operazioni  elettorali  redatto
dall'ufficio  elettorale  di  sezione deriverebbe l'impossibilita' di
acquisire una prova per testimoni nel giudizio de quo.
    In  contrario  la  Cassazione  penale ha osservato che: «Il falso
ideologico  implicito  non e' una figura o fattispecie conosciuta ne'
dal  diritto  civile  ne' dal diritto penale. Il falso e' ravvisabile
solo  in  relazione  a  cio' che l'atto esplicitamente e' destinato a
provare,   percio'   l'atto   non  puo'  ne'  attestare  ne'  provare
circostanze  implicite,  perche',  a  tacer  d'altro,  produrrebbe la
conseguenza  di imporre l'interpretazione non del fatto attestato, ma
addirittura  del preteso e occulto dato attestante, onde accertare se
vi  sia  stata  o  meno  attestazione: il che costituisce svuotamento
dell'essenza   stessa  del  valore  documentale  dato  dall'apparenza
fenomenologica  dell'ente documentato. Tanto si desume, oltre che dai
principi  generali,  dalla stessa elencazione contenuta nell'art. 479
del  codice penale, che prevede, e quindi ammette, una sola tipologia
di  presupposizione  e  cioe'  il  falso  per  omissione» [Sezione V,
4 novembre  1996  (Marini)],  che  non  sussiste  «qualora in un atto
pubblico  vi  sia  un'omissione  di informazioni, anche rilevanti, in
quanto manca un'attestazione» (Tribunale Piacenza, 1° febbraio 1999).
    D'altro  canto  la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che:
«Il  verbale  delle  operazioni  elettorali fa fede fino a querela di
falso  in  relazione a quanto il presidente di seggio, in qualita' di
pubblico  ufficiale, attesta essere avvenuto in sua presenza, ma tale
effetto  non  riguarda le circostanze non verbalizzate che, pertanto,
possono  essere  dimostrate  dagli  interessati  anche in mancanza di
formale  querela»  (Tribunale  amministrativo regionale Trentino-Alto
Adige,   Trento,  2 luglio  1999,  n. 222;  Tribunale  amministrativo
regionale  Campania,  Napoli,  Sezione  II,  14  marzo  1995, n. 175;
Consiglio  di  Stato  Sezione  V,  30  marzo  1994, n. 216; Tribunale
amministrativo  regionale  Campania,  Napoli, Sezione II, 27 novembre
1986, 448).
    Alla  luce  della  richiamata giurisprudenza, l'eccezione risulta
infondata perche' nel caso di specie, come gia' evidenziato, nulla e'
stato  verbalizzato  in  ordine  alla intempestiva apertura dell'urna
contenente le schede votate con la conseguenza che (non sussistendo a
carico del presidente del seggio elettorale l'obbligo di verbalizzare
tutti  gli accadimenti intervenuti durante il periodo di apertura del
seggio stesso) il giudice adito e' privo di qualsiasi elemento su cui
fondare il proprio convincimento.
    VI)  E'  noto che la tutela giurisdizionale in materia elettorale
e'  ripartita  tra il giudice ordinario, cui spettano le questioni di
eleggibilita',  ed  il  giudice  amministrativo competente a decidere
sullo svolgimento delle elezioni stesse.
    La  Corte  di  cassazione  ha  costantemente affermato in tema di
riparto   di   giurisdizione   tra   giudice   ordinario   e  giudice
amministrativo  che: «Le controversie in materia di operazioni per le
elezioni  dei  consigli  comunali,  provinciali  e  regionali,  siano
promosse  dal  cittadino  elettore  che  esercita  l'azione popolare,
ovvero  dal  candidato non eletto, ed ancorche' riguardino il computo
dei  voti, investono posizioni di interesse legittimo, atteso che, in
via  diretta,  concernono  l'applicazione di norme di azione, rivolte
essenzialmente  alla tutela di esigenze generali della collettivita',
mentre  soltanto  in via mediata si ripercuotono sui diritti pubblici
dei  candidati,  i quali, rispetto alle vicende che attengono a dette
operazioni, e prima della loro conclusione, vengono in considerazione
di   riflesso,  con  la  diversa  consistenza  di  mere  aspettative.
Pertanto,  l'art. 6  legge  6 dicembre  1971  n. 1034, istitutiva dei
tribunali  amministrativi  regionali,  il  quale devolve ai tribunali
medesimi  la  cognizione  delle  indicate controversie, non introduce
un'ipotesi  di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ma
integra  una  applicazione  dei  criteri  generali in tema di riparto
della  giurisdizione  fra  giudice ordinario e giudice amministrativo
secondo  la  natura  delle  posizioni  soggettive  dedotte  in  causa
(diritti  soggettivi  od interessi legittimi), sicche' manifestamente
non  si  pone  in  contrasto  con  gli  articoli  n. 103  e 113 della
Costituzione  di  cui  configura  una puntuale applicazione» (Sezioni
Unite 23 ottobre 1981, n. 5559; 11 novembre 1993, n. 11117).
    Da tale principio ne e' derivata, come corollario, l'affermazione
che «nel giudizio amministrativo elettorale la prova testimoniale non
e'  ammissibile  e  le  dichiarazioni  testimoniali  sotto  forma  di
dichiarazioni sostitutive di atto di notorieta' non possono essere lo
strumento  surrettizio per introdurvela» (Consiglio di Stato, Sezione
V,   26 giugno  2000,  n. 3631;  Tribunale  amministrativo  regionale
Piemonte   II,  4 febbraio  2000,  n. 130;  Tribunale  amministrativo
regionale   Campania   II,   16   luglio   1998,  n. 2425;  Tribunale
amministrativo   regionale  Piemonte  II,  28  maggio  1998,  n. 202;
Tribunale amministrativo regionale Basilicata, 2 aprile 1998, n. 110;
Consiglio  Stato  V, 17 maggio 1997, n. 520; Tribunale amministrativo
regionale  Molise  11 luglio  1995,  n. 185; Tribunale amministrativo
regionale Puglia II, 6 novembre 1990 n. 481).
    Tale   consolidato   orientamento   non   puo'   essere  scalfito
dall'isolata  pronuncia del Tribunale amministrativo regionale Marche
24 gennaio   1979,   n. 37   che,   argomentando   dalla   natura  di
giurisdizione  di  merito  del processo elettorale di regolarita', ha
ritenuto  applicabile  in  via  diretta  l'art.  27 del regio decreto
17 agosto  1907,  n. 642 che consente l'espletamento di ogni mezzo di
prova ammesso dal codice di procedura civile, compresi gli incombenti
testimoniali.
    VII)  La sezione ritiene quindi di dover sollevare, in quanto non
manifestamente     infondata,    questione    di    costituzionalita'
dell'art. 83/11,  comma  quinto,  del  decreto  del  Presidente della
Repubblica  16 maggio  1960, n. 570 (nel testo vigente) per contrasto
con  gli  articoli 3, 24 e 111 della Costituzione nella parte in cui,
non  derogando ai sistemi probatori ordinari del giudizio avanti alle
magistrature  amministrative,  limita,  nel giudizio elettorale, alle
sole  risultanze  documentali  i  poteri  istruttori  fruibili per la
definizione del merito.
    La  questione  e'  rilevante  in quanto le operazioni (cosi' come
dedotto  da  parte ricorrente), compiute in violazione degli articoli
51 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica n. 570/1960
ed  accertate attraverso la prova testimomale, potrebbero condurre in
astratto all'accoglimento del ricorso.
    La  questione  non  appare  manifestamente  infondata  (dovendosi
ritenere  violato  l'art. 3  della Costituzione) laddove si consideri
che  la  norma  in esame riserva, nella stessa materia elettorale, un
trattamento   deteriore   a   coloro   che   ricorrono   al   giudice
amministrativo,  rispetto  a  coloro che ricorrono davanti al giudice
ordinario.   Infatti  le  questioni  attinenti  l'eleggibilita'  sono
disciplinate  dall'art. 82  del  citato  t.u.,  che  al comma settimo
prevede  che  in  tale  giudizio  si applicano le norme del codice di
procedura  civile, e, quindi, anche quelle relative all'assunzione di
prove  per  testimoni.  Tale  discriminazione  tra i due processi non
appare in alcun modo giustificata.
    La  sezione  ritiene che la diversita' delle posizioni giuridiche
(come  ricostruite  dalla  giurisprudenza  della Corte di cassazione)
fatte  valere  rispettivamente  nella  giurisdizione di eleggibilita'
(diritto  soggettivo) e nella giurisdizione di regolarita' (interesse
legittimo)  non  ostacoli  l'adozione  di una pronuncia che estenda a
quest'ultima i mezzi istruttori propri della prima.
    A  sostegno  di  tale  tesi la sezione non puo' che richiamare le
precedenti  sentenze di codesta Corte del 30 marzo 1992, n. 140 e del
7  maggio  1996,  n. 144, che attengono specificamente al processo in
materia di operazioni elettorali.
    Con  la  prima  delle  richiamate pronunce la Corte ha dichiarato
l'incostituzionalita'  dell'art. 5,  comma 3, della legge 20 novembre
1982,  n. 890,  relativa  alle  notificazioni  di  atti a mezzo posta
connesse  con la notificazione di atti giudiziari, nella parte in cui
non  prevede  la  sua  applicabilita'  ai  giudizi innanzi ai giudici
amministrativi,  ivi compresi i giudizi elettorali. Con la seconda ha
dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 83/11,  comma
primo,  del  decreto  del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960,
n. 570  (testo  unico  delle  leggi per la composizione e la elezione
degli  organi delle amministrazioni comunali), introdotto dall'art. 2
della  legge 23 dicembre 1966, n. 1147 (modificazioni delle norme sul
contenzioso   elettorale  amministrativo),  nella  parte  in  cui  fa
decorrere il termine di dieci giorni per la notificazione del ricorso
unitamente  al  decreto  presidenziale  di fissazione d'udienza dalla
data  di  tale  provvedimento anziche' dalla data di comunicazione di
esso.
    In  termini  piu'  generali  invece  non  puo'  non  invocarsi la
sentenza  di  codesta  Corte  10  aprile 1987, n. 146 con la quale e'
stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale degli art. 44, primo
comma,  del  regio  decreto 26 giugno 1924, n. 1054, 26 regio decreto
17 agosto 1907, n. 642 e 7, primo comma, della legge 6 dicembre 1971,
n. 1034,  nei  limiti  in  cui li richiama, nella parte in cui, nelle
controversie di impiego di dipendenti dello Stato e di enti riservate
alla   giurisdizione   esclusiva   amministrativa,   non   consentono
l'esperimento  dei mezzi istruttori previsti negli art. 421, commi da
2  a  4,  422,  424  e  425  c.p.c.,  novellati in virtu' della legge
11 agosto 1973, n. 533.
    Con  tale  pronuncia  la  Corte,  pur  affermando  in motivazione
l'inerenza  della  pronuncia  «alle  controversie de quibus» (ossia a
controversie  in  tema  di  diritti  soggettivi derivanti da rapporti
d'impiego), nel dispositivo richiama tutte le «controversie d'impiego
...  riservate  alla  giurisdizione esclusiva aniministrativa», senza
piu'  distinguere  fra  controversie  in tema di diritti soggettivi e
controversie  in  tema  di  interessi  legittimi.  Secondo autorevole
dottrina non si tratta certamente di un'omissione materiale ma di una
scelta   consapevole   con  la  quale  si  e'  inteso  escludere  che
nell'ambito  in  esame  avesse  rilievo  la distinzione fra interesse
legittimo e diritto soggettivo.
    VIII) Ove invece dovesse ritenersi che la natura della situazione
soggettiva tutelata possa costituire ostacolo all' accoglimento della
questione  di  costituzionalita',  la sezione deve evidenziare alcune
caratteristiche   del   processo  elettorale  amministrativo  che  lo
differenziano  dal tipico giudizio impugnatorio e che giustificano la
richiesta di ampliamento dei mezzi istruttori.
    Esso e' innanzitutto un processo tra parti private con l'assenza,
nella  quasi  generalita'  dei  casi,  dell'amministrazione  pubblica
resistente,  essendo  l'ente  per il quale si sono svolte le elezioni
(comune,  provincia  o  regione) solamente soggetto controinteressato
(al  pari  di  qualsiasi candidato eletto) e nei confronti del quale,
per   pacifica  giurisprudenza,  e'  ammissibile  l'integrazione  del
contraddittorio,  attivita'  assolutamente  preclusa  ove tale ultimo
soggetto  pubblico dovesse considerarsi autorita' emanante (Consiglio
di  Stato, V Sezione, 16 luglio 2002, n. 3976; 8 gennaio 2001, n. 39;
V,  3  febbraio 1999, n. 116; V, 18 gennaio 1996, n. 72). Si e' anche
sostenuto  che:  «Tranne che non resistano nel giudizio contestandone
specificamente la pretesa attorea, ne' l'amministrazione statale (per
estraneita'  al  processo),  ne' il comune (per la sua estraneita' al
procedimento elettorale gestito da altra p.a. e per il fatto di esser
evocato  in  giudizio  solo  in quanto destinatario del risultato del
voto)  possono  essere condannati, se soccombenti, al pagamento delle
spese processuali» (C.S. V, 3 febbraio 1999, n. 115), sottolineandosi
in  tal  modo  la marginalita' della presenza in tal tipo di processo
delle amministrazioni pubbliche.
    L'annullamento  della  proclamazione  degli  eletti  puo'  essere
chiesta  al solo giudice amministrativo perche' il Consiglio di Stato
ha  ritenuto  che:  «La  natura  peculiare del contenzioso elettorale
amministrativo,  per  il  quale  e'  previsto  uno  speciale  sistema
procedimentale  e  di  tutela  giurisdizionale  accelerata (nel quale
l'autorita'  giurisdizionale  conosce  il  merito della controversia,
correggendo, se del caso, i risultati delle elezioni), non ammette il
principio   dell'alternativita'   con  il  ricorso  straordinario  al
Presidente  della  Repubblica la cui cognizione e' limitata alla sola
legittimita'   e   prevede   altresi'   un  termine  piu'  lungo  per
l'impugnazione» (Sezione I, 25 maggio 1979, n. 893/1977; Sezione I, 4
novembre 1998, n. 839/1994).
    La   proclamazione   degli  eletti  ha  quindi  la  capacita'  di
conseguire  un livello di immutabilita' ignota a qualunque altro atto
dell'ordinamento.
    Non  risulta  poi  che  nei  confronti di tale atto sia mai stato
esercitato   il  potere  di  annullamento  governativo,  disciplinato
dall'art.  6  del  regio  decreto 3 marzo 1934, n. 383 e riconosciuto
sussistente  sia  dal  Consiglio  di Stato (Sezione I, 17 marzo 1953,
n. 393)  che  dal  Tribunale amministrativo regionale Campania (10/24
marzo  1987,  n. 60) in ragione della «natura di atto amministrativo»
della proclamazione degli eletti.
    Ne' risulta agevole individuare un'autorita' che possa esercitare
nei  suoi  confronti  il  potere  di  autotutela,  mentre  al giudice
investito  della controversia, ai sensi dell'art. 84 del TU 16 maggio
1960,  n. 570, non spetta il solo potere di annullamento, ma anche il
potere  di correzione degli atti e, quindi, di effettuare una diversa
proclamazione,  sicche'  per tale tipo di pronunce non si pone mai un
problema  di  esecuzione  della  sentenza,  a  differenza del normale
giudizio di annullamento.
    Tali  caratteristiche individuano quindi un tipo di processo che,
a prescindere dalla natura della situazione soggettiva fatta valere e
da qualunque questione di carattere definitorio, si caratterizza come
unico  strumento  previsto  dall'ordinamento  per  la  correzione del
risultato  elettorale,  che  non puo' essere mutato da nessun atto di
natura extraprocessuale.
    Il  giudice  amministrativo  concentra  in se' stesso le funzioni
proprie del seggio elettorale e dell'ufficio centrale elettorale (che
non  ha il potere di modificare i risultati desumibili dai verbali di
sezione)  e  (ove  non sussistano vizi che importino il rinnovo delle
operazioni  elettorali) ripete, nei limiti del richiesto, l'attivita'
da essi compiuta.
    Orbene,  se  il rapido consolidamento degli effetti degli atti di
investitura  degli organi elettivi e' un obiettivo degno di tutela in
quanto esso conferisce stabilita' all'azione amministrativa, esso non
puo'   essere   conseguito   a  scapito  dell'accertamento  dei  vizi
denunciati dai soggetti legittimati al ricorso.
    E  se  questo  e'  il  quadro  normativo  di  riferimento  appare
oltremodo  frustrante  (e  quindi  in  violazione  dell'art. 24 della
Costituzione)  una  tutela  limitata  agli scarni mezzi probatori del
processo  amministrativo  di  legittimita';  mezzi  probatori che non
possono   acquisirsi   in   processi   da  incardinare  presso  altre
giurisdizioni  se non violando il principio della ragionevole durata,
espresso  nell'articolo 111, che nel processo elettorale necessita di
una  piu'  rigorosa  attuazione  in ragione della temporaneita' degli
organi eletti.