IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso elettorale n. 6379/2002 R.G. promosso da Cioppa Giuseppe e D'amico Donato Giuseppe (consiglieri comunale di minoranza) e Addelio Nicola, Aurilio Antonio Carmine, Cafaro Gennaro, Cioppa Angelantonio, Di Lillo Giovanna, D'Onofrio Raffaele, Fiata Antonio, Jorio Anna, Maiello Fiorentino, Marra Giuseppe, Martino Giuseppe, Merola Carmine e Romano Luigi, tutti candidati non eletti alla carica di consigliere, rappresentati e difesi dal professor avvocato Giuseppe Palma e dall'avvocato Patrizia Kivel Mazuy, con i quali elettivamente domiciliano in Napoli, viale Gramsci, 10; Contro: il Ministero dell'interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato presso la cui sede domicilia ex lege in Napoli, alla via Diaz, n. 11; il comune di Bellona (CE) in persona del sindaco pro tempore, non citato in giudizio; e nei confronti di: Della Cioppa Giancarlo, Caserta Antimo, Vinciguerra Giovanni, Di Febbraro Pasquale, Carusone Giovanni, Pezzulo Pasquale, Iorio Giuseppe, Sarcinella Giovanni, Russo Antimo e Fiata Angelo, rappresentati e difesi dagli avvocati Antonio Romano, Carlo Sarro ed Eduardo Romano con i quali elettivamente domiciliano in Napoli, alla piazza Trieste e Trento, n. 48; D'Amico Donato, Cioppa Giuseppe, Carluccio Osvaldo, Giudicianni Pasquale e Rovelli Giuseppe, non costituiti in giudizio; Per l'annullamento: a) della proclamazione degli eletti alla carica di sindaco e di consigliere comunale del comune di Bellona (Caserta) a seguito delle elezioni svoltesi il 26/27 maggio 2002; b) delle operazioni elettorali delle sezioni numero 1 e numero 4 del medesimo comune; c) della deliberazione del consiglio comunale di convalida degli eletti, ove esistente. Visto il ricorso, depositato il 17 giugno 2002, notificato in data 27/28 giugno 2002 con pedissequo decreto presidenziale di fissazione d'udienza del 20 giugno 2002 e ridepositato in data 5 luglio 2002, con i relativi allegati. Visto l'atto di costituzione dei controinteressati specificati in epigrafe. Viste le memorie prodotte dalle parti e gli atti della causa. Data per letta all'udienza del 23 gennaio 2003 la relazione del dottor A. Pannone. F a t t o Nei giorni 26 e 27 maggio 2002 si sono svolte nel comune di Bellona (CE) le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale e della carica di sindaco. I ricorrenti sostengono che il procedimento elettorale ha visto verificarsi gravi irregolarita' nelle sezioni nn. 1 e 4, che devono dar luogo all'annullamento totale del procedimento nelle dette sezioni e all'annullamento della proclamazione degli eletti. Nella sezione n. 1 il presidente del seggio, anziche' procedere alla distribuzione delle schede tra gli scrutatori, per consentirne la vidimazione, ha avocato a se' la vidimazione di ben 50 schede, con cio' violando le disposizioni che impongono la vidimazione delle schede ad opera degli scrutatori. Nella sezione n. 4 invece si sono verificate le seguenti circostanze di cui non v'e' traccia nel verbale, ma che risultano dagli atti depositati in giudizio. Al momento della chiusura del seggio, in data 26 maggio 2002, si riscontrava la mancanza di una scheda tra quelle vidimate. Per ritrovarla e' stata illegittimamente aperta l'urna. Iniziata l'operazione di apertura delle schede, dopo un po', si e' ritrovata una scheda bianca, che e' stata prelevata dall'urna, e inserita tra le schede non votate. Cio' e' avvenuto dopo l'apertura di 11 schede. I ricorrenti hanno documentato quanto accaduto nella sezione n. 4 con dichiarazioni sottoscritte da Giovanni Carusone, nato a Bellona il 9 giugno 1949, e Michelangelo Graziano, nato a Bellona il 29 novembre 1995, alle quali sono state allegate le fotocopie delle carte d'identita' di ciascuno dei dichiaranti. Con il ricorso in trattazione gli interessati hanno dedotto i seguenti motivi cosi' epigrafati: I) violazione e falsa applicazione dell'art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570. II) Violazione e falsa applicazione degli articoli 51 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570. Si costituivano in giudizio le parti meglio indicate in epigrafe sostenendo l'inammissibilita' e l'infondatezza del ricorso. Con ordinanza del 13 dicembre 2002, n. 266 il presidente della seconda sezione del Tribunale amministrativo regionale Campania disponeva l'acquisizione dei seguenti atti: a) verbale integrale modello n. 306-AR (verbale delle operazioni dell'adunanza dei presidenti delle sezioni) con ogni allegato; b) verbali integrali modello n. 225-AR (verbale delle operazioni dell'ufficio elettorale di sezione), con ogni allegato, relativi alle sezioni n. 1 (uno) e n. 4 (quattro). L'incombente istruttorio veniva eseguito con nota del dirigente dell'ufficio elettorale provinciale dell'ufficio territoriale del governo di Caserta del 18 dicembre 2002, protocollo n. 238/2000/S.E. All'udienza del 23 gennaio 2003, dopo ampia ed approfondita discussione, il ricorso e' stato trattenuto in decisione. D i r i t t o I) La seconda sezione del Tribunale amministrativo regionale Campania, con sentenza parziale pronunciata in pari data, ha respinto il primo motivo del ricorso con il quale era stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica n. 570/1960. II) Dalla documentazione (rappresentata dalle copie degli originali depositati presso la prefettura di Caserta), acquisita in esecuzione dell'ordinanza presidenziale, non e' emerso alcun elemento nuovo rispetto ai fatti dedotti in giudizio: nel verbale della sezione elettorale n. 4 del comune di Bellona non si rinviene alcuna annotazione relativa all'apertura dell'urna avventa intorno alle ore 10,30 del giorno 26 maggio 2002. III) Il fatto, cosi' come introdotto in giudizio da parte ricorrente, non potrebbe in alcun caso condurre, anche ove dovesse ritenersi fondata la censura ad esso correlata, all'annullamento delle operazioni elettorali svoltesi in quella sezione e, in conseguenza, della proclamazione degli eletti alla carica di sindaco e di consigliere del comune di Bellona, perche' e' noto che nel giudizio elettorale di regolarita' non e' ammessa la prova testimoniale. IV) Le note depositate da parte ricorrente il giorno 9 gennaio 2003 debbono essere interpretate come richiesta (avanzata in via subordinata) di acquisizione di prova testimoniale, non senza sottolineare che, a parte l'errore scusabile (istituto proprio del processo amministrativo) che puo' essere riconosciuto anche d'ufficio (C.S. VI, 10 ottobre 2002, n. 5453), codesta Corte ha ritenuto che: «Non e' lecito imporre alla parte l'onere di chiedere l'assunzione di mezzi istruttori la cui ammissibilita' dipende dalla declaratoria di incostituzionalita' di disposizioni che non la prevedono» (s. 10 aprile 1987, n. 146). V) Va quindi esaminata l'eccezione dei controinteressati costituiti in giudizio i quali sostengono che dal valore di atto fidefaciente del verbale delle operazioni elettorali redatto dall'ufficio elettorale di sezione deriverebbe l'impossibilita' di acquisire una prova per testimoni nel giudizio de quo. In contrario la Cassazione penale ha osservato che: «Il falso ideologico implicito non e' una figura o fattispecie conosciuta ne' dal diritto civile ne' dal diritto penale. Il falso e' ravvisabile solo in relazione a cio' che l'atto esplicitamente e' destinato a provare, percio' l'atto non puo' ne' attestare ne' provare circostanze implicite, perche', a tacer d'altro, produrrebbe la conseguenza di imporre l'interpretazione non del fatto attestato, ma addirittura del preteso e occulto dato attestante, onde accertare se vi sia stata o meno attestazione: il che costituisce svuotamento dell'essenza stessa del valore documentale dato dall'apparenza fenomenologica dell'ente documentato. Tanto si desume, oltre che dai principi generali, dalla stessa elencazione contenuta nell'art. 479 del codice penale, che prevede, e quindi ammette, una sola tipologia di presupposizione e cioe' il falso per omissione» [Sezione V, 4 novembre 1996 (Marini)], che non sussiste «qualora in un atto pubblico vi sia un'omissione di informazioni, anche rilevanti, in quanto manca un'attestazione» (Tribunale Piacenza, 1° febbraio 1999). D'altro canto la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che: «Il verbale delle operazioni elettorali fa fede fino a querela di falso in relazione a quanto il presidente di seggio, in qualita' di pubblico ufficiale, attesta essere avvenuto in sua presenza, ma tale effetto non riguarda le circostanze non verbalizzate che, pertanto, possono essere dimostrate dagli interessati anche in mancanza di formale querela» (Tribunale amministrativo regionale Trentino-Alto Adige, Trento, 2 luglio 1999, n. 222; Tribunale amministrativo regionale Campania, Napoli, Sezione II, 14 marzo 1995, n. 175; Consiglio di Stato Sezione V, 30 marzo 1994, n. 216; Tribunale amministrativo regionale Campania, Napoli, Sezione II, 27 novembre 1986, 448). Alla luce della richiamata giurisprudenza, l'eccezione risulta infondata perche' nel caso di specie, come gia' evidenziato, nulla e' stato verbalizzato in ordine alla intempestiva apertura dell'urna contenente le schede votate con la conseguenza che (non sussistendo a carico del presidente del seggio elettorale l'obbligo di verbalizzare tutti gli accadimenti intervenuti durante il periodo di apertura del seggio stesso) il giudice adito e' privo di qualsiasi elemento su cui fondare il proprio convincimento. VI) E' noto che la tutela giurisdizionale in materia elettorale e' ripartita tra il giudice ordinario, cui spettano le questioni di eleggibilita', ed il giudice amministrativo competente a decidere sullo svolgimento delle elezioni stesse. La Corte di cassazione ha costantemente affermato in tema di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo che: «Le controversie in materia di operazioni per le elezioni dei consigli comunali, provinciali e regionali, siano promosse dal cittadino elettore che esercita l'azione popolare, ovvero dal candidato non eletto, ed ancorche' riguardino il computo dei voti, investono posizioni di interesse legittimo, atteso che, in via diretta, concernono l'applicazione di norme di azione, rivolte essenzialmente alla tutela di esigenze generali della collettivita', mentre soltanto in via mediata si ripercuotono sui diritti pubblici dei candidati, i quali, rispetto alle vicende che attengono a dette operazioni, e prima della loro conclusione, vengono in considerazione di riflesso, con la diversa consistenza di mere aspettative. Pertanto, l'art. 6 legge 6 dicembre 1971 n. 1034, istitutiva dei tribunali amministrativi regionali, il quale devolve ai tribunali medesimi la cognizione delle indicate controversie, non introduce un'ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ma integra una applicazione dei criteri generali in tema di riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo secondo la natura delle posizioni soggettive dedotte in causa (diritti soggettivi od interessi legittimi), sicche' manifestamente non si pone in contrasto con gli articoli n. 103 e 113 della Costituzione di cui configura una puntuale applicazione» (Sezioni Unite 23 ottobre 1981, n. 5559; 11 novembre 1993, n. 11117). Da tale principio ne e' derivata, come corollario, l'affermazione che «nel giudizio amministrativo elettorale la prova testimoniale non e' ammissibile e le dichiarazioni testimoniali sotto forma di dichiarazioni sostitutive di atto di notorieta' non possono essere lo strumento surrettizio per introdurvela» (Consiglio di Stato, Sezione V, 26 giugno 2000, n. 3631; Tribunale amministrativo regionale Piemonte II, 4 febbraio 2000, n. 130; Tribunale amministrativo regionale Campania II, 16 luglio 1998, n. 2425; Tribunale amministrativo regionale Piemonte II, 28 maggio 1998, n. 202; Tribunale amministrativo regionale Basilicata, 2 aprile 1998, n. 110; Consiglio Stato V, 17 maggio 1997, n. 520; Tribunale amministrativo regionale Molise 11 luglio 1995, n. 185; Tribunale amministrativo regionale Puglia II, 6 novembre 1990 n. 481). Tale consolidato orientamento non puo' essere scalfito dall'isolata pronuncia del Tribunale amministrativo regionale Marche 24 gennaio 1979, n. 37 che, argomentando dalla natura di giurisdizione di merito del processo elettorale di regolarita', ha ritenuto applicabile in via diretta l'art. 27 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642 che consente l'espletamento di ogni mezzo di prova ammesso dal codice di procedura civile, compresi gli incombenti testimoniali. VII) La sezione ritiene quindi di dover sollevare, in quanto non manifestamente infondata, questione di costituzionalita' dell'art. 83/11, comma quinto, del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (nel testo vigente) per contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione nella parte in cui, non derogando ai sistemi probatori ordinari del giudizio avanti alle magistrature amministrative, limita, nel giudizio elettorale, alle sole risultanze documentali i poteri istruttori fruibili per la definizione del merito. La questione e' rilevante in quanto le operazioni (cosi' come dedotto da parte ricorrente), compiute in violazione degli articoli 51 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica n. 570/1960 ed accertate attraverso la prova testimomale, potrebbero condurre in astratto all'accoglimento del ricorso. La questione non appare manifestamente infondata (dovendosi ritenere violato l'art. 3 della Costituzione) laddove si consideri che la norma in esame riserva, nella stessa materia elettorale, un trattamento deteriore a coloro che ricorrono al giudice amministrativo, rispetto a coloro che ricorrono davanti al giudice ordinario. Infatti le questioni attinenti l'eleggibilita' sono disciplinate dall'art. 82 del citato t.u., che al comma settimo prevede che in tale giudizio si applicano le norme del codice di procedura civile, e, quindi, anche quelle relative all'assunzione di prove per testimoni. Tale discriminazione tra i due processi non appare in alcun modo giustificata. La sezione ritiene che la diversita' delle posizioni giuridiche (come ricostruite dalla giurisprudenza della Corte di cassazione) fatte valere rispettivamente nella giurisdizione di eleggibilita' (diritto soggettivo) e nella giurisdizione di regolarita' (interesse legittimo) non ostacoli l'adozione di una pronuncia che estenda a quest'ultima i mezzi istruttori propri della prima. A sostegno di tale tesi la sezione non puo' che richiamare le precedenti sentenze di codesta Corte del 30 marzo 1992, n. 140 e del 7 maggio 1996, n. 144, che attengono specificamente al processo in materia di operazioni elettorali. Con la prima delle richiamate pronunce la Corte ha dichiarato l'incostituzionalita' dell'art. 5, comma 3, della legge 20 novembre 1982, n. 890, relativa alle notificazioni di atti a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari, nella parte in cui non prevede la sua applicabilita' ai giudizi innanzi ai giudici amministrativi, ivi compresi i giudizi elettorali. Con la seconda ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 83/11, comma primo, del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali), introdotto dall'art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147 (modificazioni delle norme sul contenzioso elettorale amministrativo), nella parte in cui fa decorrere il termine di dieci giorni per la notificazione del ricorso unitamente al decreto presidenziale di fissazione d'udienza dalla data di tale provvedimento anziche' dalla data di comunicazione di esso. In termini piu' generali invece non puo' non invocarsi la sentenza di codesta Corte 10 aprile 1987, n. 146 con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale degli art. 44, primo comma, del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, 26 regio decreto 17 agosto 1907, n. 642 e 7, primo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, nei limiti in cui li richiama, nella parte in cui, nelle controversie di impiego di dipendenti dello Stato e di enti riservate alla giurisdizione esclusiva amministrativa, non consentono l'esperimento dei mezzi istruttori previsti negli art. 421, commi da 2 a 4, 422, 424 e 425 c.p.c., novellati in virtu' della legge 11 agosto 1973, n. 533. Con tale pronuncia la Corte, pur affermando in motivazione l'inerenza della pronuncia «alle controversie de quibus» (ossia a controversie in tema di diritti soggettivi derivanti da rapporti d'impiego), nel dispositivo richiama tutte le «controversie d'impiego ... riservate alla giurisdizione esclusiva aniministrativa», senza piu' distinguere fra controversie in tema di diritti soggettivi e controversie in tema di interessi legittimi. Secondo autorevole dottrina non si tratta certamente di un'omissione materiale ma di una scelta consapevole con la quale si e' inteso escludere che nell'ambito in esame avesse rilievo la distinzione fra interesse legittimo e diritto soggettivo. VIII) Ove invece dovesse ritenersi che la natura della situazione soggettiva tutelata possa costituire ostacolo all' accoglimento della questione di costituzionalita', la sezione deve evidenziare alcune caratteristiche del processo elettorale amministrativo che lo differenziano dal tipico giudizio impugnatorio e che giustificano la richiesta di ampliamento dei mezzi istruttori. Esso e' innanzitutto un processo tra parti private con l'assenza, nella quasi generalita' dei casi, dell'amministrazione pubblica resistente, essendo l'ente per il quale si sono svolte le elezioni (comune, provincia o regione) solamente soggetto controinteressato (al pari di qualsiasi candidato eletto) e nei confronti del quale, per pacifica giurisprudenza, e' ammissibile l'integrazione del contraddittorio, attivita' assolutamente preclusa ove tale ultimo soggetto pubblico dovesse considerarsi autorita' emanante (Consiglio di Stato, V Sezione, 16 luglio 2002, n. 3976; 8 gennaio 2001, n. 39; V, 3 febbraio 1999, n. 116; V, 18 gennaio 1996, n. 72). Si e' anche sostenuto che: «Tranne che non resistano nel giudizio contestandone specificamente la pretesa attorea, ne' l'amministrazione statale (per estraneita' al processo), ne' il comune (per la sua estraneita' al procedimento elettorale gestito da altra p.a. e per il fatto di esser evocato in giudizio solo in quanto destinatario del risultato del voto) possono essere condannati, se soccombenti, al pagamento delle spese processuali» (C.S. V, 3 febbraio 1999, n. 115), sottolineandosi in tal modo la marginalita' della presenza in tal tipo di processo delle amministrazioni pubbliche. L'annullamento della proclamazione degli eletti puo' essere chiesta al solo giudice amministrativo perche' il Consiglio di Stato ha ritenuto che: «La natura peculiare del contenzioso elettorale amministrativo, per il quale e' previsto uno speciale sistema procedimentale e di tutela giurisdizionale accelerata (nel quale l'autorita' giurisdizionale conosce il merito della controversia, correggendo, se del caso, i risultati delle elezioni), non ammette il principio dell'alternativita' con il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica la cui cognizione e' limitata alla sola legittimita' e prevede altresi' un termine piu' lungo per l'impugnazione» (Sezione I, 25 maggio 1979, n. 893/1977; Sezione I, 4 novembre 1998, n. 839/1994). La proclamazione degli eletti ha quindi la capacita' di conseguire un livello di immutabilita' ignota a qualunque altro atto dell'ordinamento. Non risulta poi che nei confronti di tale atto sia mai stato esercitato il potere di annullamento governativo, disciplinato dall'art. 6 del regio decreto 3 marzo 1934, n. 383 e riconosciuto sussistente sia dal Consiglio di Stato (Sezione I, 17 marzo 1953, n. 393) che dal Tribunale amministrativo regionale Campania (10/24 marzo 1987, n. 60) in ragione della «natura di atto amministrativo» della proclamazione degli eletti. Ne' risulta agevole individuare un'autorita' che possa esercitare nei suoi confronti il potere di autotutela, mentre al giudice investito della controversia, ai sensi dell'art. 84 del TU 16 maggio 1960, n. 570, non spetta il solo potere di annullamento, ma anche il potere di correzione degli atti e, quindi, di effettuare una diversa proclamazione, sicche' per tale tipo di pronunce non si pone mai un problema di esecuzione della sentenza, a differenza del normale giudizio di annullamento. Tali caratteristiche individuano quindi un tipo di processo che, a prescindere dalla natura della situazione soggettiva fatta valere e da qualunque questione di carattere definitorio, si caratterizza come unico strumento previsto dall'ordinamento per la correzione del risultato elettorale, che non puo' essere mutato da nessun atto di natura extraprocessuale. Il giudice amministrativo concentra in se' stesso le funzioni proprie del seggio elettorale e dell'ufficio centrale elettorale (che non ha il potere di modificare i risultati desumibili dai verbali di sezione) e (ove non sussistano vizi che importino il rinnovo delle operazioni elettorali) ripete, nei limiti del richiesto, l'attivita' da essi compiuta. Orbene, se il rapido consolidamento degli effetti degli atti di investitura degli organi elettivi e' un obiettivo degno di tutela in quanto esso conferisce stabilita' all'azione amministrativa, esso non puo' essere conseguito a scapito dell'accertamento dei vizi denunciati dai soggetti legittimati al ricorso. E se questo e' il quadro normativo di riferimento appare oltremodo frustrante (e quindi in violazione dell'art. 24 della Costituzione) una tutela limitata agli scarni mezzi probatori del processo amministrativo di legittimita'; mezzi probatori che non possono acquisirsi in processi da incardinare presso altre giurisdizioni se non violando il principio della ragionevole durata, espresso nell'articolo 111, che nel processo elettorale necessita di una piu' rigorosa attuazione in ragione della temporaneita' degli organi eletti.