Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 1474 del 23 maggio 2003 (doc. 1), rappresentata e difesa - come da mandato a margine, del presente atto - dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova, con domicilio eletto in Roma presso l'ufficio di rappresentanza della Regione, in Piazza Colonna, 355; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione che non spetta allo Stato, rivendicare con la nota 3 aprile 2003, n. prot. 2096, del Provveditorato regionale alle opere pubbliche - Magistrato alle acque di Venezia (doc. 2), funzioni amministrative in relazione ai tratti di fiume di cui alla medesima nota, ne' rivendicare la titolarita' di beni strumentali all'esercizio di tali funzioni, e per il conseguente annullamento della nota 3 aprile 2003, n. prot. 2096, del Magistrato alle acque di Venezia, nella parte in cui contiene tali rivendicazioni, per violazione: dell'art. 5, n. 14 e n. 22, e dell'art. 8 dello statuto F.-V.G.; degli artt. 1, 2 e 3, comma 1, d.lgs. n. 265 del 2001, per i profili e nei modi di seguito illustrati. F a t t o Con il d.lgs. 25 maggio 2001, n. 265, sono state dettate norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia per il trasferimento di beni del demanio idrico e marittimo, nonche' di funzioni in materia di risorse idriche e di difesa del suolo. L'art. 1 di tale decreto trasferisce alla Regione Friuli-Venezia Giulia «tutti i beni dello Stato appartenenti al demanio idrico, comprese le acque pubbliche, gli alvei e le pertinenze, i laghi e le opere idrauliche, situati nel territorio regionale, con esclusione del fiume Judrio, nel tratto, classificato di prima categoria, nonche' dei fiumi Tagliamento e Livenza, nei tratti che fanno da confine con la regione Veneto» (comma 1). Il comma 3 precisa che «la Regione esercita tutte le attribuzioni inerenti alla titolarita' dei beni trasferiti ai sensi dei commi 1 e 2» (enfasi aggiunta). L'art. 2, poi, trasferisce alla Regione «tutte le funzioni amministrative relative ai beni di cui all'art. 1, ivi comprese quelle relative alle derivazioni ed opere idrauliche, che gia' non le spettino». Tale disposizione e' da intendere, ad avviso della ricorrente Regione, nel senso che vengono trasferite tutte le funzioni relative ai beni trasferiti, dunque con eccezione dei beni indicati dall'art. 1, comma 1. Tuttavia, l'art. 3 ulteriormente dispone che «sono trasferite alla Regione tutte le funzioni non espressamente indicate nell'art. 88» del d.lgs. n. 112/1998. Questa ultima disposizione e' destinata a pareggiare le funzioni della Regione Friuli-Venezia Giulia con quelle che lo stesso decreto legislativo n. 112 assegna alle Regioni ordinarie. Infatti, quanto alle risorse idriche e difesa del suolo, l'art. 86, comma 1, prevede che «alla gestione dei beni del demanio idrico provvedono le Regioni e gli enti locali competenti per territorio», e l'art. 89 conferisce alle Regioni e agli enti locali «tutte le funzioni non espressamente indicate nell'art. 88»: il quale ultimo elenca i «compiti di rilievo nazionale» che in materia di risorse idriche restano allo Stato. Dunque, il d.lgs. n. 265 del 2001, da un lato, trasferisce alla Regione tutte le funzioni relative ai beni la cui proprieta' viene pure trasferita alla Regione: sia quelle connesse alla titolarita' (art. 1, comma 3), sia le funzioni amministrative in generale; dall'altro trasferisce alla Regione, in relazione ai beni la cui proprieta' resta allo Stato, le funzioni che il d.lgs. n. 112/1998 conferisce alle Regioni ordinarie. Per questi ultimi beni dunque si verifica (come per le Regioni ordinarie) una dissociazione tra titolarita' del bene (statale) e titolarita' delle funzioni amministrative ad essi relative (regionale). La particolare strutturazione del d.lgs. n. 265/2001, che puo' apparire tortuosa, trova la sua spiegazione nella circostanza che la sua stesura e' iniziata prima del d.lgs. n. 112/1998: la norma di cui all'art. 3, comma 1, dunque, e' stata inserita in un secondo momento, per «adeguare» la situazione della Regione Friuli-Venezia Giulia a quella delle Regioni ordinarie. Di tale situazione normativa non ha tenuto conto la nota 3 aprile 2003, n. prot. 2096, del Magistrato alle acque di Venezia, che si contesta con il presente conflitto. In tale nota si afferma che, «considerato ... che l'art. 1 del d.lgs. n. 265 del 25 maggio 2001 prevede il mantenimento in capo allo Stato della tratta del torrente Judrio che delimita il confine di Stato e delle tratte del fiume Livenza e Tagliamento che delimitano il confine tra le Regioni Veneto e Friuli-Venezia Giulia, risulta necessario il mantenimento, nelle attribuzioni di questo Istituto, degli immobili adibiti a Casello e/o magazzino idraulico, funzionali ad assicurare il servizio di piena in dette tratte». Non sembra dubbio che a questo modo il Magistrato alle acque rivendica a se stesso non solo i beni, ma l'esercizio delle funzioni amministrative connesse: il che e' confermato da quanto segue: «tenuto conto delle iniziative gia' assunte ... e presumibilmente di quelle in itinere da parte delle Agenzie del demanio circa i trasferimenti dei beni immobili, si invitano le Agenzie in indirizzo a stralciare ovvero a non procedere ad alcun trasferimento dei seguenti immobili funzionali all'attivita' residua di questo Istituto» (enfasi aggiunta; si elencano di seguito diversi «magazzini idraulici» e «caselli idraulici»). Ma tale atto di rivendicazione di funzioni amministrative e di beni ad esse strumentali risulta lesivo delle prerogative costituzionali della Regione Friuli-Venezia Giulia per le seguenti ragioni di D i r i t t o 1. - Lesione delle funzioni amministrative regionali in materia di demanio idrico. Innanzi tutto si premette che il d.lgs. n. 265/2001 - invocato a fondamento specifico del presente conflitto - contiene norme di attuazione dello statuto. Precisamente, esso e' attuativo dell'art. 5, n. 14 e n. 22, e dell'art. 8 dello statuto F.-V.G. e, inoltre, della competenza regionale in materia di protezione civile. Puo' essere poi ricordato che, come sancito dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale, «le norme di attuazione dello statuto regionale ad autonomia speciale sono destinate a contenere, tra l'altro, non solo disposizioni di vera e propria esecuzione o integrative secundum legem, non essendo escluso un «contenuto praeter legem nel senso di integrare le norme statutarie, anche aggiungendo ad esse qualche cosa che le medesime non contenevano», con il «limite della corrispondenza alle norme e alla finalita' di attuazione dello Statuto, nel contesto del principio di autonomia regionale» (sentenza n. 212 del 1984; n. 20 del 1956)» (cosi' la sent. n. 341/2001 di codesta Corte, punto 4 del Diritto). Non si puo', dunque, dubitare del «tono costituzionale» del conflitto qui sollevato, destinato appunto a far valere le attribuzioni regionali disposte dalle norme di attuazione ora citate. Come esposto in narrativa, la nota del Magistrato alle acque di Venezia rappresenta una rivendicazione di alcuni beni necessari allo svolgimento del «servizio di piena» in relazione a tratti di fiumi che sono rimasti di proprieta' dello Stato e costituisce rivendicazione anche delle stesse funzioni amministrative per esercitare le quali sono necessari i magazzini e caselli idraulici indicati nella stessa nota. Tale rivendicazione, lede le prerogative garantite alla Regione dall'art. 3, comma 1, d.lgs. n. 265/2001, come sopra illustrate, avendo ad oggetto funzioni non rientranti nell'art. 88 d.lgs. n. 112/1998. Infatti, tranne i compiti elencati in quest'ultima disposizione, tutte le altre funzioni amministrative relative a beni del demanio idrico situati nella regione Friuli-Venezia Giulia spettano alla Regione stessa, in virtu' dell'art. 3 d.lgs. n. 265/2001, anche se la titolarita' del bene e' statale. In conseguenza della titolarita' delle funzioni, spettano alla Regione quei beni che sono strumentali al loro esercizio. La nota del Magistrato alle acque e' dunque, nei suoi due ultimi capoversi, lesiva delle attribuzioni regionali. Si noti che non solo la nota non indica, quale ragione delle asserite «attivita' residue» alcuna attivita' che possa ricondursi alla attuale competenza statale di cui all' art. 88 ora citato, ma anche che, fra l'altro, i magazzini idraulici di Cecchini di Pasiano e di Villanova di Prata, il casello idraulico di Canussio nonche' il magazzino e casello idraulico di Versa fanno parte dei beni demaniali di cui il d lgs. n. 265/2001 prevede il trasferimento alla Regione: in relazione a tali beni, quindi, la nota impugnata viola gli artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 265/2001. Quanto ai beni pertinenti ai tratti di fiume citati nell'art. 1 d.lgs. n. 265/2001, ad accogliere la pretesa del Magistrato alle acque si verificherebbe l'incongrua situazione per cui i fiumi Tagliamento e Livenza dovrebbero essere gestiti, per quei tratti, in sponda destra dalla Regione Veneto e in sponda sinistra dallo Stato. Inoltre, si verificherebbe l'incongrua situazione per cui, a seconda che il tratto del fiume segni il confine o no, la competenza spetterebbe allo Stato o alla Regione Friuli-Venezia Giulia: e si tenga anche conto del fatto che i tratti di confine non sono sempre contigui. In pratica, la pretesa del Magistrato alle acque, oltre a violare in modo diretto le norme di attuazione, produrrebbe un irrazionale frazionamento delle competenze ed un'irrazionale disparita' fra Regione Veneto e Regione Friuli-Venezia Giulia. Ancora, e' da rilevare la contraddittorieta' del comportamento degli organi statali, dato che, in due occasioni, l'Ufficio del Genio civile di Pordenone - ufficio statale di cui per ora la Regione si avvale - ha chiesto finanziamenti alla Regione Friuli-Venezia Giulia per sostenere le spese per il funzionamento dei beni reclamati dal Magistrato alle acque con la nota impugnata, cosi' confermando che la competenza ad utilizzare i beni in questione spetta alla Regione stessa: si veda la nota 18 dicembre 2002, n. prot. 3440 (doc. 3), che fa riferimento specifico, fra l'altro, ai magazzini idraulici di Latisana e Pertegada (menzionati anche nella nota qui impugnata), e la nota 8 aprile 2003, n. 996 (doc. 4), ove si attesta che presso il Magistrato alle acque il capitolo di spesa n. 2323 e' stato soppresso. Risulta, pertanto, ulteriormente avvalorata la lesivita' dell'atto qui impugnato.