IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella camera di consiglio del 26 settembre 2002; Visto l'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, come modificato dalla legge 21 luglio 2000, n. 205; Visto il ricorsa proposto dalla L.A.V. - Lega Antivivisezione, in persona del presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Alessandra Marchi ed Ezio Novelli e domiciliata presso lo studio del secondo in Trieste, via San Lazzaro, 1; Contro la Provincia di Pordenone, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Sbisa' e domiciliata presso il suo studio in Trieste, via San Francesco, 11; e nei confronti della Riserva di caccia di diritto di Pordenone, in persona del direttore pro tempore non costituita in giudizio; del Comando di vigilanza ittico - venatoria della Provincia di Pordenone, in persona del comandante pro tempore, non costituito in giudizio; per l'annullamento - previa sospensione dell'esecuzione - della deliberazione della giunta provinciale 13 giugno 2002, n. 133, di revoca della propria deliberazione 17 gennaio 2001, n. 16 - concernente l'individuazione del personale preposto al controllo della cattura e dell'abbattimento della fauna - di cui si riconfermano motivazioni e dispositivo con alcune integrazioni; Visti gli atti e documenti depositati col ricorso; Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla ricorrente; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione provinciale; Udito il relatore, consigliere Enzo Di Sciascio ed uditi, altresi', i procuratori dalle parti presenti; Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue: F a t t o L'associazione ricorrente rappresenta che l'amministrazione provinciale intimata, proponendosi di provvedere a disporre un piano di abbattimento - che va autorizzato a' sensi dell'art. 37 della legge regionale 31 dicembre 1999, n. 30, dall'assessore regionale delegato in materia di caccia - di specie faunistiche dannose alle colture e alla fauna protetta (volpi, cinghiali, corvi, cornacchie, gazze ecc.) per arginarne la proliferazione e prevedendo detta norma regionale al comma 3 che «i prelievi di cui al presente articolo possono essere effettuati dai soggetti, di cui all'art. 19, comma 2, della legge n. 157/1992» cioe' dalle guardie venatorie, dipendenti dalle amministrazioni provinciali, che potranno avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi, ha constatato che l'amministrazione regionale ha iniziato da qualche tempo ad autorizzare detti piani, specificando che «l'amministrazione provinciale e' tenuta ad attuare i piani di prelievo attraverso la vigilanza venatoria, la quale potra' avvalersi delle persone di cui all'allegato elenco» le quali non sempre risultano essere proprietarie o conduttrici dei fondi sui quali si attuano i piani. Richiesti chiarimenti alla regione ha avuto informazione che, allo scopo, ci si avvale di cacciatori iscritti alle riserve di caccia di diritto. La partecipazione di tali operatori sarebbe, infatti, prevista dall'art. 7, terzo comma, primo periodo e lettera a), della legge regionale 31 dicembre 1999, n. 30, nel testo introdotto dall'art. 2, comma 1, della legge regionale 4 settembre 2001, n. 20. Al riguardo sono sorti, nell'ambito dell'amministrazione provinciale, dubbi sulla correttezza di tale interpretazione, per cui e' stato richiesto parere al Servizio degli affari giuridici e della consulenza della regione stessa, il quale ha interpellato il Servizio autonomo per la gestione faunistica e venatoria. Secondo detto servizio «ai sensi del combinato disposto degli artt. 37 legge regionale n. 30/1999 e 19 comma 2, legge n. 157/1992 il personale deputato alla conduzione degli interventi di controllo delle popolazioni selvatiche e' rappresentato dalle guardie venatorie, dipendenti dalle amministrazioni provinciali, le quali tuttavia, a tal fine, possono avvalersi, tra gli altri, dei proprietari o conduttori dei fondi, sui quali si attuano i piani di abbattimento. Preso atto che l'art. 19, comma 2, della legge n. 157/1992 nulla aggiunge alla mera qualificazione di conduttore del fondo, le amministrazioni provinciali possono avvalersi della collaborazione anche delle riserve di caccia che - ai sensi dell'art. 7, comma 3, della legge regionale n. 30/1999, cosi' come integrato dall'art. 2, comma 2, della legge regionale 4 settembre 2001, n. 20 - sono state definite conduttori ai fini faunistico venatori dei fondi rientranti nei territori a loro assegnati e delimitati con provvedimento dell'amministrazione regionale. E' evidente che, trattandosi di entita' giuridiche le riserve di caccia potranno agire solamente attraverso le persone fisiche associate». Fondandosi su detto parere, ritenuto prevalente rispetto a quello contrario del dirigente del competente servizio, proprio in ordine sall'avvalersi di «soggetti non espressamente previsti dall'art. 19, comma 2, della legge n. 157/1992» la Giunta provinciale di Pordenone, con deliberazione n. 16 del 17 gennaio 2002, ha deliberato di provvedere ad un piano di abbattimento delle specie nocive sopra menzionate, servendosi «direttamente delle riserve di caccia, le quali agiranno attraverso le persone fisiche ad esse associate». Tale provvedimento e' stato impugnato dalla ricorrente dinanzi a questo Tribunale amministrativo regionale, con richiesta di sospensione dell'esecuzione. Con ordinanza n. 53 del 18 aprile 2002 la domanda e' stata accolta, poiche' «nel caso di specie ricorrono gli elementi indispensabili (fumus e danno) per la concessione della richiesta misura cautelare, con particolare riferimento al secondo motivo di gravame» con cui si denunciava il difetto di motivazione della preferenza accordata al parere regionale rispetto e quello, di segno opposto, del responsabile del servizio provinciale competente. Ne e' seguita la deliberazione giuntale n. 133 del 13 agosto 2002, atto impugnato in questa sede, con richiesta di sospensione dell'esecuzione, con cui: a) e' stata revocata la precedente deliberazione, sospesa dal T.A.R; b) e' stata data motivazione della riconosciuta prevalenza del parere del Servizio autonomo per la gestione faunistica e venatoria della Regione Friuli-Venezia Giulia rispetto a quello del competente dirigente di servizio della provincia; c) e' stato, per il resto, nella sostanza riconfermato il dispositivo della precedente deliberazione, stabilendo di avvalersi per l'esecuzione del piano di abbattimento in discussione delle riserve di caccia, attraverso i cacciatori ad esse associati, sotto il controllo del Comando di vigilanza ittico-venatoria della provincia. Pertanto, nel caso di specie, l'esecuzione di detti piani sara' affidata, oltre che alle guardie venatorie provinciali (con ruolo di mero coordinamento) ed ai proprietari e conduttori dei fondi, come previsto dall'art. 19, comma 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, anche ad un numero indeterminato di cacciatori, iscritti alle riserve di caccia di diritto regionali, autorizzati ad intervenire anche al di fuori delle riserve stesse e persino nelle proprieta' private. La partecipazione di tali operatori e', infatti, prevista dall'art. 7, comma 3, della legge regionale 31 dicembre 1999, n. 30, nel testo introdotto dall'art. 2, comma 1, della legge regionale 4 settembre 2001, n. 20 che recita: Al fine del perseguimento della protezione, incremento e razionale sfruttamento del patrimonio faunistico e della gestione dell'esercizio venatorio, le riserve di caccia provvedono, quali conduttori a fini faunistico-venatori dei fondi rientranti nella previsione dei commi l e 2: a) ad attuare i censimenti e a predisporre i piani di abbattimento; b) a predisporre i regolamenti annuali di gestione faunistico e di fruizione venatoria; c) a redigere i consuntivi annuali di gestione faunistico venatoria; d) a svolgere attivita' di miglioramento ambientale e iniziative ricreativo culturali. Va specificato che il comma 1 della norma succitata definisce l'ambito di attivita' delle riserve di caccia, identificato nel «territorio regionale, destinato a gestione venatoria pubblica» e che il comma 2 specifica che «le riserve di caccia ... sono composte dai cacciatori ad esse assegnati ed operano sui territori, di cui al comma 1». La ricorrente ha chiesto l'annullamento della deliberazione giuntale in epigrafe, deducendo violazione dell'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e dell'art. 3 della legge 21 luglio 2000, n. 205, nell'assunto che non sarebbe legittimo, fino alla sentenza di merito, revocare e sostituire un atto, la cui efficacia e' stata sospesa dal Tribunale amministrativo regionale, con altro di identico contenuto e, per giunta, sprovvisto di idonea motivazione, che illegittimamente sarebbe stata integrata in corso di causa, e senza fornire concreti elementi per cui, in presenza di due contrastanti pareri, uno favorevole e l'altro contrario alla soluzione adottata, si sia preferito il primo, per giunta erroneo, in quanto fondato su un'impropria interpretazione dell'art. 7 della legge regionale n. 30/1999, nonche' per la violazione del principio di tassativita' dei soggetti abilitati al controllo della fauna selvatica, che risulta dall'art. 19 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, per eccesso di potere per sviamento, proponendo altresi' istanza cautelare. Con ordinanza n. 136 del 26 settembre 2002 questo tribunale amministrativo ha rilevato che le particolari modalita' nel controllo selettivo della fauna selvatica, previste dall'atto impugnato, rendono la sua esecuzione suscettibile di arrecare un danno grave ed irreparabile alla tutela delle indicate specie, di cui si fa portatrice la ricorrente, con effetti prevedibilmente non ristorabili nemmeno nei tempi necessari a pervenire alla pronunzia nel merito del ricorso e ha ritenuto, peraltro, che, per quanto concerne il fumus boni iuris, le censure di carattere formale e procedimentale prospettate non colgono nel segno e che, per il resto, contrariamente e quanto sostenuto, gli atti impugnati sono meramente applicativi di norme regionali, che appaiono correttamente interpretato. Invero, l'art. 7, comma 3, primo periodo e lettera a) della legge regionale 31 dicembre 1999, n. 30, cosi' come integrato dall'art. 2, comma 5, della legge regionale 4 settembre 2001, n. 20, nella parte in cui prevede che le riserve di caccia di diritto «provvedono, quali conduttori a fini faunistico-venatori dei fondi ... a predisporre i piani di abbattimento» intende riferirsi all'esecuzione, e non solo all'elaborazione dei piani predetti. La ratio del combinato disposto delle norme in esame e', infatti, l'integrazione dei soggetti, cui l'art. 19, comma 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 concede di partecipare all'attuazione di detti piani. Della disposizione, infatti, prevede che le regioni provvedono al controllo della fauna selvatica «di norma mediante l'utilizzo di metodi ecologici, su parere dell'istituto nazionale della fauna selvatica. Qualora l'istituto verifichi l'inefficacia dei predetti metodi le regioni possono autorizzare piani di abbattimento. Tali piani devono essere attuati dalle guardie venatorie, dipendenti dalle amministrazioni provinciali. Queste ultime potranno altresi' avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi, sui quali attuare i piani medesimi». E' apparso pertanto evidente al collegio che scopo della citata normativa regionale, quando si cura di specificare che le riserve di caccia vi provvedono «quali conduttori a fini faunistico-venatori dei fondi» non ha di mira la mera programmazione di piani di abbattimento, per cui tale qualifica non e' necessaria, ma la loro esecuzione, altrimenti loro impedita dal citato art. 19, secondo comma, della legge n. 157/1992. Non puo' quindi ritenersi illegittima la deliberazione della giunta provinciale impugnata per aver affidato detta esecuzione anche soggetti diversi da quelli contemplati da detta ultima disposizione, in quanto il loro utilizzo e' autorizzato, come si e' detto, per la parte relativa ai piani di abbattimento, dall'art. 7, comma 3, primo periodo e lett. a) della legge regionale 31 dicembre 1999, n. 30, nel testo introdotto dall'art. 2, comma 1, della legge regionale 4 settembre 2001, n. 20 e il contestato parere regionale, su cui essa si fonda, ne e' puntuale applicazione. Dubitando pero' della costituzionalita' delle appena citate norme regionali, il collegio ha ritenuto necessario, prima di poter definitivamente decidere sull'istanza di sospensione, adire il Giudice delle leggi a mezzo di questione di legittimita' costituzionale, da sollevarsi d'ufficio. In merito a dette disposizioni, assunte a presupposto del provvedimento impugnato, infatti, nei limiti e per i motivi che verranno esposti in apposita separata ordinanza, esso riconosce la sussistenza dei requisiti di rilevanza e non manifesta infondatezza. La rimarcata sussistenza del danno grave ed irreparabile ha indotto a disporre la sospensione interinale dei provvedimenti impugnati fino alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale. D i r i t t o Come si evince dalla narrativa in fatto, si controverte in ordine alla legittimita' della deliberazione della Giunta provinciale di Pordenone n. 133 del 13 giugno 2002 con cui, in revoca e contestuale rinnovazione di precedente atto, sospeso dal T.AR., si dispone un piano di abbattimento di specie faunistiche dannose, peraltro servendosi, allo scopo, anche dei cacciatori iscritti alle riserve di caccia di diritto, in attuazione dell'art. 7, comma 3, primo periodo e lettera a) della legge regionale 31 dicembre 1999, n. 30, cosi' come integrato dall'art. 2, comma 1, della legge regionale 4 settembre 2001, n. 20. Ai fini della decisione dell'istanza cautelare questo tribunale amministrativo ha ritenuto infondati, con l'ordinanza citata nelle premesse di fatto, tutti i motivi di gravame proposti, ed in particolare quello che riteneva erroneamente interpretato il combinato disposto delle appena citate disposizioni regionali, su cui l'atto impugnato, nella parte ritenuta lesiva dalla ricorrente, pressoche' esclusivamente si fonda. Peraltro il collegio ritiene non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' delle norme in parola, sotto piu' aspetti, che saranno di seguito esposti. La questione e' quindi indubbiamente rilevante nel giudizio a quo, dato che il venir meno, per illegittimita' costituzionale, delle norme regionali su cui la deliberazione giuntale, di cui si chiede la sospensione, dichiaratamente fonda il suo dispositivo, condurrebbe il collegio a riconoscere la sussistenza del fumus boni iuris e quindi, essendo gia' stata riconosciuta, sia pure a sostegno di una sospensione solo temporanea, con l'ordinanza n. 136 del 26 settembre 2002, la sussistenza di un danno grave e irreparabile agli interessi, di cui e' portatrice la ricorrente, l'istanza cautelare andrebbe accolta, mentre dovrebbe essere respinta per mancanza di fumus se dette norme fossero riconosciute conformi a Costituzione. In via principale dev'essere premesso che il collegio ritiene che esse non dispongano in materia di caccia, riservata alla competenza esclusiva della Regione Friuli-Venezia Giulia ma, integrando l'art. 19 della legge n. 157/1992, nella distinta materia della protezione e conservazione della fauna, che ai sensi dell'art. 1, comma 2 della stessa legge costituisce limite all'attivita' venatoria. Alle regioni detto art. 19 consente invero di attuare «misure di controllo delle specie di fauna selvatica... anche nelle zone vietate alla caccia» per una serie di finalita' estranee all'esercizio venatorio, come la gestione del patrimonio zootecnico, i motivi sanitari, la selezione biologica, la tutela delle produzioni agricole e ittiche, ma si preoccupa di stabilire che «tale controllo, esercitato selettivamente, viene esercitato di norma mediante l'utilizzo di metodi ecologici» e, anche quando questi risultino inefficaci, limita drasticamente i soggetti che possono provvedere a piani di abbattimento, autorizzando solo le guardie venatorie, le guardie forestali e quelle comunali, queste ultime se munite di licenza di caccia, nonche' i proprietari o conduttori dei fondi sui quali detti piani si attuano, purche' anch'essi muniti di tale licenza, a evidente finalita' di tutela delle specie faunistiche pur ritenute potenzialmente dannose, in modo che la tutela degli interessi che induce a limitarne il numero non ne comprometta la sopravvivenza nel territorio interessato. Che non si controverta in materia di caccia e' incontestato in causa, essendo anche il parere regionale preso a presupposto dalla deliberazione, di cui si chiede la sospensione, esplicito «nel ribadire che, non essendo l'attivita' in questione riconducibile all'attivita' venatoria» essa andra' esercitata strettamente nell'ambito circoscritto dall'autorizzazione dell'assessore competente. Le norme regionali sospettate di incostituzionalita', cioe' l'art. 7, comma 3, primo periodo e lettera a) della legge regionale 31 dicembre 1999, n. 30, cosi' come integrato dall'art. 2, comma 1, della legge regionale 4 settembre 2001, n. 20, che vanno pertanto intese nel senso gia' indicato nelle premesse in fatto, come dirette ad autorizzare l'esecuzione dei piani di abbattimento anche a mezzo di ulteriori soggetti, le riserve di caccia di diritto (e per esse i cacciatori iscritti) qualificando anch'esse come conduttori, sia pure limitatamente ai fini faunistico venatori, ampliano il numero dei soggetti ammessi ad abbattere la fauna nociva rispetto alla norma statale che viene in tal senso integrata. Peraltro deve rilevarsi che tale modificazione eccede i limiti della potesta' regionale. Vertendosi in materia di «tutela ... della fauna» la Regione Friuli-Venezia Giulia ha, ai sensi dell'art. 6 n. 3) dello Statuto, soltanto potesta' di emanare «norme di integrazione e di attuazione» al fine «di adeguare alle sue particolari esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica» onde si ritiene l'incostituzionalita' delle norme regionali appena citate, in quanto violano detta disposizione statutaria, eccedendone i limiti, in quanto direttamente modificano l'art. 19, comma 2, della legge n. 157/1992, aggiungendo ai soggetti, da essa tassativamente indicati, autorizzati all'esecuzione di misure di controllo della fauna selvatica, la cui diffusione la rende nociva a una serie di interessi, altri assai numerosi soggetti cioe', potenzialmente, tutti i cacciatori iscritti alle riserve di caccia della Provincia di Pordenone, il cui territorio sara', di volta in volta, ricompreso nelle autorizzazioni del competente assessore regionale via via rilasciate con l'attribuzione anche alle riserve della qualifica, sia pure ai soli fini che qui interessano, di conduttori dei fondi. Il combinato disposto dell'art. 7, comma 3, primo periodo e lettera a) della legge regionale n. 30/1999, cosi come integrato dall'art. 2, comma 1, della legge regionale n. 20/2001, nella parte in cui disciplina i piani di abbattimento, non si limita percio' a disporre misure di integrazione ed attuazione dell'art. 19, secondo comma, della legge regionale n. 157/1992 ma ne compromette la stessa finalita' di bilanciamento fra la tutela degli interessi tutelati contro l'eccessiva moltiplicazione di specie faunistiche nocive e quella della conservazione di dette specie, assicurata attraverso la tassativa indicazione dei soggetti, che possono essere autorizzati ad attuare le misure di controllo selettivo di detta fauna, aggiungendone numerosi altri. Dev'essere osservato, al riguardo, che esse violano i limiti posti ad ogni potesta' legislativa regionale, finanche a quella esclusiva di cui all'art. 4 dello statuto. Invero anche questa deve svolgersi in armonia con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali, fra cui vanno annoverate tutta quelle di principio della legge n. 157/1992, cui anche le regioni a statuto speciale sono ritenute ad adeguarsi (art. 30, comma 7, della legge n. 157/1992). Rivestono indubbiamente carattere di riforma economico-sociale le disposizioni della legge predetta protettive della fauna selvatica (cfr. Corte costituzionale 24 luglio 1998, n. 323; 14 maggio 1999, n. 169; 12 gennaio 2000, n. 4; 4 luglio 2001, n. 210) in quanto esiste un interesse unitario, non frazionabile, all'uniforme disciplina dei vari aspetti inerenti al nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica (Corte cost. 14 maggio 1999, n. 168). Non sussiste dubbio, ad avviso del collegio, che a tale nucleo appartenga il disposto dell'art. 159, comma 2, della legge n. 157/1992 il quale, nel disciplinare, in determinate ipotesi, il controllo selettivo di specie di fauna selvatica, dopo aver premesso che esso va di norma, «mediante l'utilizzo di metodi ecologici» qualora essi si rivelino inefficaci (previa verifica da parte dell'istituto nazionale per la fauna selvatica, che il collegio ignora se vi sia stata nella specie) autorizza le regioni a ricorrere a piani di abbattimento. La norma soggiunge, infatti, non a caso, che «detti piani debbono essere attuati ...» e prosegue elencando un numerus clausus di categorie autorizzate (guardie venatorie provinciali e, se in possesso di licenza di caccia, proprietari o conduttori dei fondi interessati, guardie forestali o comunali) all'evidente scopo di evitare che la tutela degli interessi (sanitari, di selezione biologica, di protezione delle produzioni zootecniche, agricole, forestali, ittiche ecc.) perseguita con i piani stessi non trasmodi in compromissione della sopravvivenza delle specie faunistiche, oggetto di abbattimento. Poiche' quindi scopo della norma e', in questi limiti, la protezione di dette specie, su detta finalita' vengono pesantemente ad incidere le norme modificative regionali, sospettate di incostituzionalita' che, autorizzando i cacciatori iscritti alle riserve, nel cui territorio hanno esecuzione gli abbattimenti, a parteciparvi, aumentano di un numero consistente gli operatori preposti ad attuarli e, di conseguenza, i capi di selvaggina abbattuti. Le garanzie di protezione della fauna selvatica interessata, apprestate dalla norma statale attraverso la limitazione dei soggetti autorizzati all'esecuzione dei piani vengono percio' meno, con inammissibile incidenza da parte della regione sui principi fondamentali di riforma economico sociale, di cui e' espressione, con riferimento a detta protezione, la legge n. 157/1992. Pertanto le norme regionali di cui trattasi, in quanto espressione della potesta' legislativa regionale meramente integrativa delle norme statali in materia di protezione della fauna sono incostituzionali, in quanto violano i limiti che a detta potesta' sono posti dall'art. 6, n. 3 dello statuto regionale, approvato con legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 e successive modifiche e integrazioni, non essendo concesso, nel suo esercizio di intaccare principi fondamentali delle leggi di riforma economico sociale, nonche' l'interesse nazionale alla protezione della fauna selvatica. Tale limite risulterebbe violato anche qualora si ritenesse, in via di mero subordine, che la potesta' esercitata sia quella esclusiva in materia di caccia di cui all'art. 4, n. 3 dello statuto, in quanto le norme regionali in questione disciplinano l'attivita' delle riserve di caccia di diritto e dei cacciatori ad esse iscritti (ma esse prevedono il loro impiego anche per «la protezione del patrimonio faunistico») in quanto detta potesta' deve svolgersi «in armonia ... con le norme fondamentali delle riforme economico sociali». Del pari la normativa regionale in parola viola non solo i limiti imposti alla potesta' legislativa integrativa in materia di protezione della fauna dall'art. 6, n. 3 dello statuto, ma anche ad ogni potesta' legislativa regionale, anche esclusiva, di cui al precedente art. 4, nella parte in cui, in violazione dei principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato e degli interessi nazionali, dispone, per il solo territorio della regione Friuli-Venezia Giulia, una modificazione dell'ordinamento civilistico, introducendo una nuova figura di conduttore dei fondi (che il collegio ritiene comprensiva dell'affittuario di fondo rustico) cioe' quello ai fini faunistico-venatori. In tal modo, infatti, non solo si vengono a modificare figure giuridiche del diritto privato, che debbono essere valide ed egualmente disciplinate su tutto il territorio nazionale, ma si limitano le facolta' di disposizione e godimento del proprietario, conduttore o affittuario che, ai fini faunistico-venatori sopra dettagliati, deve consentire a soggetti estranei di introdursi nei fondo proprio o da lui detenuto, anche contro la propria volonta', il che non e' consentito alla potesta' legislativa integrativo-attuativa della Regione Friuli-Venezia Giulia, ne' ad ogni altra sua potesta', prevista dallo statuto. Nel complesso, pertanto, il combinato disposto delle disposizioni legislative censurate viola, oltre le citate norme statutarie, anche l'art. 116, primo comma, Cost., in quanto alle regioni a statuto speciale e' concessa l'autonomia prevista dai rispettivi statuti e solo essa. In base a quanto finora esposto, essendo stata ritenuta rilevante ai fini della decisione della domanda cautelare e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 3, primo periodo e lettera a) della legge regionale 31 dicembre 1999, n. 30, nel testo risultante a seguito delle modificazioni introdotte con l'art. 2, comma 1, della legge regionale 4 settembre 2001, n. 20, per la dedotta violazione dell'art. 6, comma 3, dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, del mancato rispetto del limite dei principi fondamentali delle riforme economico sociali, dei principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato e degli interessi nazionali e, in subordine, dell'art. 4, n. 3, del predetto statuto e, comunque, in violazione dell'art. 116, primo comma, Cost., il collegio deve disporre la sospensione del giudizio e la remissione degli atti alla Corte costituzionale, affinche' si pronunci in proposito.