IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nella camera di consiglio
del 26 settembre 2002;
    Visto  l'art. 21  della  legge  6  dicembre  1971,  n. 1034, come
modificato dalla legge 21 luglio 2000, n. 205;
    Visto il ricorsa proposto dalla L.A.V. - Lega Antivivisezione, in
persona  del  presidente  pro  tempore,  rappresentata e difesa dagli
avv.ti  Alessandra  Marchi  ed  Ezio  Novelli e domiciliata presso lo
studio del secondo in Trieste, via San Lazzaro, 1;
    Contro  la  Provincia di Pordenone, in persona del Presidente pro
tempore,   rappresentata   e   difesa  dall'avv.  Giuseppe  Sbisa'  e
domiciliata presso il suo studio in Trieste, via San Francesco, 11; e
nei  confronti  della  Riserva  di caccia di diritto di Pordenone, in
persona  del  direttore  pro  tempore non costituita in giudizio; del
Comando di vigilanza ittico - venatoria della Provincia di Pordenone,
in  persona  del  comandante pro tempore, non costituito in giudizio;
per  l'annullamento  -  previa  sospensione  dell'esecuzione  - della
deliberazione  della  giunta  provinciale  13 giugno 2002, n. 133, di
revoca   della   propria  deliberazione  17  gennaio  2001,  n. 16  -
concernente  l'individuazione  del  personale  preposto  al controllo
della   cattura   e   dell'abbattimento  della  fauna  -  di  cui  si
riconfermano motivazioni e dispositivo con alcune integrazioni;
    Visti gli atti e documenti depositati col ricorso;
    Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento
impugnato, presentata in via incidentale dalla ricorrente;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in giudizio dell'amministrazione
provinciale;
    Udito  il  relatore,  consigliere  Enzo  Di  Sciascio  ed  uditi,
altresi', i procuratori dalle parti presenti;
    Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:

                              F a t t o

    L'associazione   ricorrente   rappresenta  che  l'amministrazione
provinciale  intimata, proponendosi di provvedere a disporre un piano
di  abbattimento  -  che  va  autorizzato a' sensi dell'art. 37 della
legge  regionale  31  dicembre  1999, n. 30, dall'assessore regionale
delegato  in  materia  di caccia - di specie faunistiche dannose alle
colture  e  alla fauna protetta (volpi, cinghiali, corvi, cornacchie,
gazze  ecc.) per arginarne la proliferazione e prevedendo detta norma
regionale  al  comma  3  che  «i prelievi di cui al presente articolo
possono  essere effettuati dai soggetti, di cui all'art. 19, comma 2,
della  legge  n. 157/1992»  cioe' dalle guardie venatorie, dipendenti
dalle   amministrazioni   provinciali,  che  potranno  avvalersi  dei
proprietari    o    conduttori   dei   fondi,   ha   constatato   che
l'amministrazione   regionale   ha   iniziato  da  qualche  tempo  ad
autorizzare   detti   piani,   specificando   che  «l'amministrazione
provinciale  e'  tenuta  ad attuare i piani di prelievo attraverso la
vigilanza  venatoria,  la quale potra' avvalersi delle persone di cui
all'allegato   elenco»   le   quali   non   sempre  risultano  essere
proprietarie o conduttrici dei fondi sui quali si attuano i piani.
    Richiesti  chiarimenti  alla  regione  ha avuto informazione che,
allo  scopo,  ci  si  avvale  di  cacciatori iscritti alle riserve di
caccia di diritto.
    La  partecipazione  di  tali operatori sarebbe, infatti, prevista
dall'art. 7,  terzo  comma,  primo  periodo e lettera a), della legge
regionale  31 dicembre 1999, n. 30, nel testo introdotto dall'art. 2,
comma 1, della legge regionale 4 settembre 2001, n. 20.
    Al   riguardo   sono   sorti,   nell'ambito  dell'amministrazione
provinciale, dubbi sulla correttezza di tale interpretazione, per cui
e'  stato richiesto parere al Servizio degli affari giuridici e della
consulenza della regione stessa, il quale ha interpellato il Servizio
autonomo per la gestione faunistica e venatoria.
    Secondo  detto  servizio  «ai  sensi del combinato disposto degli
artt. 37  legge  regionale n. 30/1999 e 19 comma 2, legge n. 157/1992
il  personale  deputato alla conduzione degli interventi di controllo
delle   popolazioni   selvatiche   e'   rappresentato  dalle  guardie
venatorie,  dipendenti  dalle  amministrazioni  provinciali, le quali
tuttavia,   a  tal  fine,  possono  avvalersi,  tra  gli  altri,  dei
proprietari  o  conduttori dei fondi, sui quali si attuano i piani di
abbattimento.
    Preso  atto che l'art. 19, comma 2, della legge n. 157/1992 nulla
aggiunge  alla  mera  qualificazione  di  conduttore  del  fondo,  le
amministrazioni  provinciali  possono  avvalersi della collaborazione
anche  delle  riserve  di caccia che - ai sensi dell'art. 7, comma 3,
della  legge  regionale n. 30/1999, cosi' come integrato dall'art. 2,
comma  2,  della legge regionale 4 settembre 2001, n. 20 - sono state
definite  conduttori ai fini faunistico venatori dei fondi rientranti
nei  territori  a  loro  assegnati  e  delimitati  con  provvedimento
dell'amministrazione regionale.
    E'  evidente che, trattandosi di entita' giuridiche le riserve di
caccia   potranno  agire  solamente  attraverso  le  persone  fisiche
associate».
    Fondandosi su detto parere, ritenuto prevalente rispetto a quello
contrario  del  dirigente  del competente servizio, proprio in ordine
sall'avvalersi  di «soggetti non espressamente previsti dall'art. 19,
comma 2, della legge n. 157/1992» la Giunta provinciale di Pordenone,
con  deliberazione  n. 16  del  17  gennaio  2002,  ha  deliberato di
provvedere  ad  un  piano  di  abbattimento delle specie nocive sopra
menzionate,  servendosi  «direttamente  delle  riserve  di caccia, le
quali agiranno attraverso le persone fisiche ad esse associate».
    Tale  provvedimento e' stato impugnato dalla ricorrente dinanzi a
questo   Tribunale   amministrativo   regionale,   con  richiesta  di
sospensione dell'esecuzione.
    Con  ordinanza  n. 53  del  18  aprile  2002  la domanda e' stata
accolta,   poiche'   «nel  caso  di  specie  ricorrono  gli  elementi
indispensabili  (fumus  e  danno)  per la concessione della richiesta
misura  cautelare,  con  particolare riferimento al secondo motivo di
gravame»  con  cui  si  denunciava  il  difetto  di motivazione della
preferenza  accordata al parere regionale rispetto e quello, di segno
opposto, del responsabile del servizio provinciale competente.
    Ne  e'  seguita  la  deliberazione  giuntale n. 133 del 13 agosto
2002,  atto  impugnato  in  questa sede, con richiesta di sospensione
dell'esecuzione, con cui:
        a) e' stata revocata la precedente deliberazione, sospesa dal
T.A.R;
        b)  e'  stata  data motivazione della riconosciuta prevalenza
del  parere  del  Servizio  autonomo  per  la  gestione  faunistica e
venatoria  della  Regione Friuli-Venezia Giulia rispetto a quello del
competente dirigente di servizio della provincia;
        c)  e'  stato,  per  il resto, nella sostanza riconfermato il
dispositivo  della  precedente deliberazione, stabilendo di avvalersi
per  l'esecuzione  del  piano  di  abbattimento  in discussione delle
riserve  di  caccia, attraverso i cacciatori ad esse associati, sotto
il   controllo   del  Comando  di  vigilanza  ittico-venatoria  della
provincia.
    Pertanto,  nel  caso di specie, l'esecuzione di detti piani sara'
affidata,  oltre che alle guardie venatorie provinciali (con ruolo di
mero  coordinamento)  ed  ai proprietari e conduttori dei fondi, come
previsto dall'art. 19, comma 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157,
anche ad un numero indeterminato di cacciatori, iscritti alle riserve
di  caccia  di diritto regionali, autorizzati ad intervenire anche al
di fuori delle riserve stesse e persino nelle proprieta' private.
    La   partecipazione  di  tali  operatori  e',  infatti,  prevista
dall'art. 7,  comma 3, della legge regionale 31 dicembre 1999, n. 30,
nel  testo  introdotto  dall'art. 2, comma 1, della legge regionale 4
settembre  2001,  n. 20  che  recita: Al fine del perseguimento della
protezione,   incremento  e  razionale  sfruttamento  del  patrimonio
faunistico  e  della gestione dell'esercizio venatorio, le riserve di
caccia  provvedono,  quali  conduttori a fini faunistico-venatori dei
fondi rientranti nella previsione dei commi l e 2:
        a)  ad  attuare  i  censimenti  e  a  predisporre  i piani di
abbattimento;
        b) a predisporre i regolamenti annuali di gestione faunistico
e di fruizione venatoria;
        c)  a  redigere  i  consuntivi annuali di gestione faunistico
venatoria;
        d)   a  svolgere  attivita'  di  miglioramento  ambientale  e
iniziative ricreativo culturali.
    Va  specificato  che  il  comma 1 della norma succitata definisce
l'ambito  di  attivita'  delle  riserve  di  caccia, identificato nel
«territorio regionale, destinato a gestione venatoria pubblica» e che
il  comma 2 specifica che «le riserve di caccia ... sono composte dai
cacciatori  ad  esse  assegnati  ed  operano sui territori, di cui al
comma 1».
    La  ricorrente  ha  chiesto  l'annullamento  della  deliberazione
giuntale in epigrafe, deducendo violazione dell'art. 21 della legge 6
dicembre  1971,  n. 1034  e  dell'art. 3  della legge 21 luglio 2000,
n. 205, nell'assunto che non sarebbe legittimo, fino alla sentenza di
merito,  revocare  e  sostituire  un  atto, la cui efficacia e' stata
sospesa dal Tribunale amministrativo regionale, con altro di identico
contenuto  e,  per  giunta,  sprovvisto  di  idonea  motivazione, che
illegittimamente  sarebbe  stata integrata in corso di causa, e senza
fornire  concreti  elementi  per cui, in presenza di due contrastanti
pareri,  uno  favorevole e l'altro contrario alla soluzione adottata,
si  sia  preferito il primo, per giunta erroneo, in quanto fondato su
un'impropria   interpretazione  dell'art.  7  della  legge  regionale
n. 30/1999,  nonche'  per la violazione del principio di tassativita'
dei  soggetti  abilitati  al  controllo  della  fauna  selvatica, che
risulta  dall'art. 19  della  legge  11  febbraio  1992,  n. 157, per
eccesso   di   potere  per  sviamento,  proponendo  altresi'  istanza
cautelare.
    Con  ordinanza  n. 136  del  26  settembre  2002 questo tribunale
amministrativo ha rilevato che le particolari modalita' nel controllo
selettivo   della  fauna  selvatica,  previste  dall'atto  impugnato,
rendono  la sua esecuzione suscettibile di arrecare un danno grave ed
irreparabile  alla  tutela  delle  indicate  specie,  di  cui  si  fa
portatrice la ricorrente, con effetti prevedibilmente non ristorabili
nemmeno nei tempi necessari a pervenire alla pronunzia nel merito del
ricorso  e  ha  ritenuto, peraltro, che, per quanto concerne il fumus
boni   iuris,  le  censure  di  carattere  formale  e  procedimentale
prospettate non colgono nel segno e che, per il resto, contrariamente
e  quanto sostenuto, gli atti impugnati sono meramente applicativi di
norme regionali, che appaiono correttamente interpretato.
    Invero, l'art. 7, comma 3, primo periodo e lettera a) della legge
regionale  31 dicembre 1999, n. 30, cosi' come integrato dall'art. 2,
comma  5,  della legge regionale 4 settembre 2001, n. 20, nella parte
in cui prevede che le riserve di caccia di diritto «provvedono, quali
conduttori  a  fini faunistico-venatori dei fondi ... a predisporre i
piani  di  abbattimento» intende riferirsi all'esecuzione, e non solo
all'elaborazione dei piani predetti.
    La ratio del combinato disposto delle norme in esame e', infatti,
l'integrazione  dei  soggetti, cui l'art. 19, comma 2, della legge 11
febbraio  1992, n. 157 concede di partecipare all'attuazione di detti
piani.
    Della disposizione, infatti, prevede che le regioni provvedono al
controllo  della  fauna  selvatica  «di  norma mediante l'utilizzo di
metodi  ecologici,  su  parere  dell'istituto  nazionale  della fauna
selvatica.  Qualora  l'istituto  verifichi l'inefficacia dei predetti
metodi  le  regioni  possono  autorizzare piani di abbattimento. Tali
piani devono essere attuati dalle guardie venatorie, dipendenti dalle
amministrazioni   provinciali.   Queste   ultime   potranno  altresi'
avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi, sui quali attuare i
piani medesimi».
    E'  apparso  pertanto evidente al collegio che scopo della citata
normativa  regionale, quando si cura di specificare che le riserve di
caccia vi provvedono «quali conduttori a fini faunistico-venatori dei
fondi»   non   ha   di  mira  la  mera  programmazione  di  piani  di
abbattimento,  per  cui  tale qualifica non e' necessaria, ma la loro
esecuzione,  altrimenti  loro  impedita  dal  citato art. 19, secondo
comma, della legge n. 157/1992.
    Non  puo'  quindi  ritenersi  illegittima  la deliberazione della
giunta provinciale impugnata per aver affidato detta esecuzione anche
soggetti  diversi da quelli contemplati da detta ultima disposizione,
in  quanto  il loro utilizzo e' autorizzato, come si e' detto, per la
parte  relativa ai piani di abbattimento, dall'art. 7, comma 3, primo
periodo e lett. a) della legge regionale 31 dicembre 1999, n. 30, nel
testo  introdotto  dall'art.  2,  comma  1,  della  legge regionale 4
settembre  2001,  n. 20 e il contestato parere regionale, su cui essa
si fonda, ne e' puntuale applicazione.
    Dubitando pero' della costituzionalita' delle appena citate norme
regionali,  il  collegio  ha  ritenuto  necessario,  prima  di  poter
definitivamente   decidere  sull'istanza  di  sospensione,  adire  il
Giudice   delle   leggi   a   mezzo   di  questione  di  legittimita'
costituzionale, da sollevarsi d'ufficio.
    In  merito  a  dette  disposizioni,  assunte  a  presupposto  del
provvedimento  impugnato,  infatti,  nei  limiti  e  per i motivi che
verranno  esposti  in  apposita separata ordinanza, esso riconosce la
sussistenza dei requisiti di rilevanza e non manifesta infondatezza.
    La  rimarcata  sussistenza  del  danno  grave  ed irreparabile ha
indotto  a  disporre  la  sospensione  interinale  dei  provvedimenti
impugnati  fino  alla  restituzione  degli  atti da parte della Corte
costituzionale.

                            D i r i t t o

    Come si evince dalla narrativa in fatto, si controverte in ordine
alla  legittimita'  della  deliberazione  della Giunta provinciale di
Pordenone  n. 133 del 13 giugno 2002 con cui, in revoca e contestuale
rinnovazione  di  precedente  atto,  sospeso dal T.AR., si dispone un
piano   di  abbattimento  di  specie  faunistiche  dannose,  peraltro
servendosi, allo scopo, anche dei cacciatori iscritti alle riserve di
caccia  di diritto, in attuazione dell'art. 7, comma 3, primo periodo
e  lettera  a)  della  legge regionale 31 dicembre 1999, n. 30, cosi'
come   integrato   dall'art. 2,  comma 1,  della  legge  regionale  4
settembre 2001, n. 20.
    Ai  fini  della decisione dell'istanza cautelare questo tribunale
amministrativo  ha  ritenuto  infondati, con l'ordinanza citata nelle
premesse  di  fatto,  tutti  i  motivi  di  gravame  proposti,  ed in
particolare   quello   che   riteneva  erroneamente  interpretato  il
combinato disposto delle appena citate disposizioni regionali, su cui
l'atto  impugnato,  nella  parte  ritenuta  lesiva  dalla ricorrente,
pressoche' esclusivamente si fonda.
    Peraltro  il  collegio  ritiene  non  manifestamente infondata la
questione  di  costituzionalita'  delle  norme  in parola, sotto piu'
aspetti, che saranno di seguito esposti.
    La  questione  e'  quindi  indubbiamente rilevante nel giudizio a
quo, dato che il venir meno, per illegittimita' costituzionale, delle
norme regionali su cui la deliberazione giuntale, di cui si chiede la
sospensione, dichiaratamente fonda il suo dispositivo, condurrebbe il
collegio  a riconoscere la sussistenza del fumus boni iuris e quindi,
essendo   gia'  stata  riconosciuta,  sia  pure  a  sostegno  di  una
sospensione  solo temporanea, con l'ordinanza n. 136 del 26 settembre
2002, la sussistenza di un danno grave e irreparabile agli interessi,
di  cui  e'  portatrice  la  ricorrente, l'istanza cautelare andrebbe
accolta,  mentre  dovrebbe  essere  respinta per mancanza di fumus se
dette norme fossero riconosciute conformi a Costituzione.
    In via principale dev'essere premesso che il collegio ritiene che
esse  non  dispongano in materia di caccia, riservata alla competenza
esclusiva  della  Regione Friuli-Venezia Giulia ma, integrando l'art.
19 della legge n. 157/1992, nella distinta materia della protezione e
conservazione  della  fauna,  che ai sensi dell'art. 1, comma 2 della
stessa legge costituisce limite all'attivita' venatoria.
    Alle  regioni detto art. 19 consente invero di attuare «misure di
controllo delle specie di fauna selvatica... anche nelle zone vietate
alla  caccia»  per  una  serie  di  finalita'  estranee all'esercizio
venatorio,  come  la  gestione  del  patrimonio  zootecnico, i motivi
sanitari, la selezione biologica, la tutela delle produzioni agricole
e  ittiche,  ma  si  preoccupa  di  stabilire  che  «tale  controllo,
esercitato   selettivamente,   viene  esercitato  di  norma  mediante
l'utilizzo  di  metodi  ecologici»  e,  anche quando questi risultino
inefficaci,  limita drasticamente i soggetti che possono provvedere a
piani  di  abbattimento,  autorizzando  solo le guardie venatorie, le
guardie  forestali  e  quelle  comunali,  queste  ultime se munite di
licenza  di  caccia, nonche' i proprietari o conduttori dei fondi sui
quali  detti  piani  si  attuano,  purche'  anch'essi  muniti di tale
licenza,  a evidente finalita' di tutela delle specie faunistiche pur
ritenute   potenzialmente  dannose,  in  modo  che  la  tutela  degli
interessi  che  induce  a  limitarne  il numero non ne comprometta la
sopravvivenza nel territorio interessato.
    Che  non  si  controverta in materia di caccia e' incontestato in
causa,  essendo  anche  il parere regionale preso a presupposto dalla
deliberazione,  di  cui  si  chiede  la  sospensione,  esplicito «nel
ribadire  che,  non  essendo  l'attivita'  in questione riconducibile
all'attivita'   venatoria»   essa   andra'   esercitata  strettamente
nell'ambito     circoscritto    dall'autorizzazione    dell'assessore
competente.
    Le  norme  regionali  sospettate  di  incostituzionalita',  cioe'
l'art. 7,  comma  3, primo periodo e lettera a) della legge regionale
31  dicembre  1999, n. 30, cosi' come integrato dall'art. 2, comma 1,
della  legge  regionale  4  settembre 2001, n. 20, che vanno pertanto
intese  nel senso gia' indicato nelle premesse in fatto, come dirette
ad  autorizzare  l'esecuzione dei piani di abbattimento anche a mezzo
di  ulteriori soggetti, le riserve di caccia di diritto (e per esse i
cacciatori iscritti) qualificando anch'esse come conduttori, sia pure
limitatamente  ai  fini  faunistico  venatori, ampliano il numero dei
soggetti  ammessi  ad  abbattere  la fauna nociva rispetto alla norma
statale che viene in tal senso integrata.
    Peraltro  deve  rilevarsi  che tale modificazione eccede i limiti
della potesta' regionale.
    Vertendosi  in  materia  di  «tutela  ... della fauna» la Regione
Friuli-Venezia  Giulia  ha, ai sensi dell'art. 6 n. 3) dello Statuto,
soltanto  potesta' di emanare «norme di integrazione e di attuazione»
al  fine  «di  adeguare alle sue particolari esigenze le disposizioni
delle  leggi  della Repubblica» onde si ritiene l'incostituzionalita'
delle   norme  regionali  appena  citate,  in  quanto  violano  detta
disposizione statutaria, eccedendone i limiti, in quanto direttamente
modificano  l'art.  19, comma 2, della legge n. 157/1992, aggiungendo
ai   soggetti,   da   essa   tassativamente   indicati,   autorizzati
all'esecuzione  di  misure di controllo della fauna selvatica, la cui
diffusione  la  rende  nociva  a  una serie di interessi, altri assai
numerosi  soggetti cioe', potenzialmente, tutti i cacciatori iscritti
alle   riserve  di  caccia  della  Provincia  di  Pordenone,  il  cui
territorio  sara', di volta in volta, ricompreso nelle autorizzazioni
del   competente   assessore   regionale   via   via  rilasciate  con
l'attribuzione  anche  alle riserve della qualifica, sia pure ai soli
fini che qui interessano, di conduttori dei fondi.
    Il  combinato  disposto  dell'art. 7,  comma  3,  primo periodo e
lettera  a)  della  legge  regionale  n. 30/1999, cosi come integrato
dall'art. 2,  comma  1, della legge regionale n. 20/2001, nella parte
in  cui  disciplina  i piani di abbattimento, non si limita percio' a
disporre  misure  di integrazione ed attuazione dell'art. 19, secondo
comma,  della legge regionale n. 157/1992 ma ne compromette la stessa
finalita'  di  bilanciamento  fra  la tutela degli interessi tutelati
contro  l'eccessiva  moltiplicazione  di  specie faunistiche nocive e
quella  della conservazione di dette specie, assicurata attraverso la
tassativa indicazione dei soggetti, che possono essere autorizzati ad
attuare   le   misure   di   controllo   selettivo  di  detta  fauna,
aggiungendone numerosi altri.
    Dev'essere  osservato,  al  riguardo,  che  esse violano i limiti
posti  ad  ogni  potesta'  legislativa  regionale,  finanche a quella
esclusiva di cui all'art. 4 dello statuto.
    Invero  anche  questa  deve  svolgersi  in  armonia  con le norme
fondamentali   delle   riforme   economico-sociali,   fra  cui  vanno
annoverate  tutta  quelle  di  principio della legge n. 157/1992, cui
anche  le  regioni  a  statuto  speciale  sono  ritenute ad adeguarsi
(art. 30, comma 7, della legge n. 157/1992).
    Rivestono indubbiamente carattere di riforma economico-sociale le
disposizioni  della  legge  predetta protettive della fauna selvatica
(cfr.  Corte  costituzionale  24 luglio 1998, n. 323; 14 maggio 1999,
n. 169;  12  gennaio  2000,  n. 4;  4  luglio 2001, n. 210) in quanto
esiste   un   interesse   unitario,  non  frazionabile,  all'uniforme
disciplina dei vari aspetti inerenti al nucleo minimo di salvaguardia
della fauna selvatica (Corte cost. 14 maggio 1999, n. 168).
    Non  sussiste  dubbio,  ad avviso del collegio, che a tale nucleo
appartenga   il   disposto   dell'art. 159,   comma  2,  della  legge
n. 157/1992  il  quale,  nel disciplinare, in determinate ipotesi, il
controllo  selettivo di specie di fauna selvatica, dopo aver premesso
che  esso  va  di  norma,  «mediante  l'utilizzo di metodi ecologici»
qualora  essi  si  rivelino  inefficaci  (previa  verifica  da  parte
dell'istituto  nazionale  per  la  fauna  selvatica,  che il collegio
ignora se vi sia stata nella specie) autorizza le regioni a ricorrere
a piani di abbattimento.
    La norma soggiunge, infatti, non a caso, che «detti piani debbono
essere  attuati  ...»  e  prosegue  elencando  un  numerus clausus di
categorie   autorizzate  (guardie  venatorie  provinciali  e,  se  in
possesso  di  licenza  di  caccia, proprietari o conduttori dei fondi
interessati,  guardie  forestali  o  comunali)  all'evidente scopo di
evitare  che  la  tutela  degli  interessi  (sanitari,  di  selezione
biologica,  di  protezione  delle  produzioni  zootecniche, agricole,
forestali,  ittiche  ecc.) perseguita con i piani stessi non trasmodi
in  compromissione  della  sopravvivenza  delle  specie  faunistiche,
oggetto di abbattimento.
    Poiche'  quindi  scopo  della  norma  e',  in  questi  limiti, la
protezione  di  dette specie, su detta finalita' vengono pesantemente
ad   incidere   le   norme   modificative  regionali,  sospettate  di
incostituzionalita'  che,  autorizzando  i  cacciatori  iscritti alle
riserve,  nel  cui  territorio  hanno  esecuzione gli abbattimenti, a
parteciparvi,  aumentano  di  un  numero  consistente  gli  operatori
preposti  ad  attuarli  e,  di  conseguenza,  i  capi  di  selvaggina
abbattuti.
    Le  garanzie  di  protezione  della  fauna selvatica interessata,
apprestate dalla norma statale attraverso la limitazione dei soggetti
autorizzati  all'esecuzione  dei  piani  vengono  percio'  meno,  con
inammissibile   incidenza   da   parte  della  regione  sui  principi
fondamentali di riforma economico sociale, di cui e' espressione, con
riferimento a detta protezione, la legge n. 157/1992.
    Pertanto   le   norme   regionali  di  cui  trattasi,  in  quanto
espressione    della   potesta'   legislativa   regionale   meramente
integrativa  delle norme statali in materia di protezione della fauna
sono  incostituzionali,  in  quanto  violano  i  limiti  che  a detta
potesta'  sono  posti  dall'art. 6,  n. 3  dello  statuto  regionale,
approvato con legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 e successive
modifiche  e integrazioni, non essendo concesso, nel suo esercizio di
intaccare  principi  fondamentali  delle  leggi  di riforma economico
sociale,  nonche'  l'interesse  nazionale alla protezione della fauna
selvatica.
    Tale  limite  risulterebbe violato anche qualora si ritenesse, in
via  di  mero  subordine,  che  la  potesta'  esercitata  sia  quella
esclusiva in materia di caccia di cui all'art. 4, n. 3 dello statuto,
in  quanto  le  norme regionali in questione disciplinano l'attivita'
delle  riserve di caccia di diritto e dei cacciatori ad esse iscritti
(ma  esse  prevedono  il  loro  impiego  anche per «la protezione del
patrimonio  faunistico»)  in quanto detta potesta' deve svolgersi «in
armonia  ...  con  le  norme  fondamentali  delle  riforme  economico
sociali».
    Del pari la normativa regionale in parola viola non solo i limiti
imposti   alla   potesta'   legislativa  integrativa  in  materia  di
protezione  della  fauna dall'art. 6, n. 3 dello statuto, ma anche ad
ogni  potesta'  legislativa  regionale,  anche  esclusiva,  di cui al
precedente  art. 4,  nella  parte  in cui, in violazione dei principi
generali  dell'ordinamento  giuridico  dello  Stato e degli interessi
nazionali,   dispone,   per   il   solo   territorio   della  regione
Friuli-Venezia    Giulia,    una    modificazione    dell'ordinamento
civilistico,  introducendo  una  nuova figura di conduttore dei fondi
(che  il  collegio  ritiene  comprensiva  dell'affittuario  di  fondo
rustico) cioe' quello ai fini faunistico-venatori.
    In  tal  modo,  infatti,  non solo si vengono a modificare figure
giuridiche   del  diritto  privato,  che  debbono  essere  valide  ed
egualmente  disciplinate  su  tutto  il  territorio  nazionale, ma si
limitano  le  facolta'  di disposizione e godimento del proprietario,
conduttore  o  affittuario  che,  ai  fini  faunistico-venatori sopra
dettagliati,  deve  consentire  a soggetti estranei di introdursi nei
fondo proprio o da lui detenuto, anche contro la propria volonta', il
che non e' consentito alla potesta' legislativa integrativo-attuativa
della  Regione Friuli-Venezia Giulia, ne' ad ogni altra sua potesta',
prevista dallo statuto.
    Nel complesso, pertanto, il combinato disposto delle disposizioni
legislative  censurate viola, oltre le citate norme statutarie, anche
l'art.  116,  primo  comma,  Cost.,  in quanto alle regioni a statuto
speciale  e'  concessa  l'autonomia prevista dai rispettivi statuti e
solo essa.
    In base a quanto finora esposto, essendo stata ritenuta rilevante
ai  fini della decisione della domanda cautelare e non manifestamente
infondata  la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 7,
comma 3, primo periodo e lettera a) della legge regionale 31 dicembre
1999,  n. 30,  nel  testo  risultante  a  seguito delle modificazioni
introdotte  con  l'art. 2, comma 1, della legge regionale 4 settembre
2001,  n. 20,  per  la dedotta violazione dell'art. 6, comma 3, dello
statuto  speciale  della  Regione  Friuli-Venezia Giulia, del mancato
rispetto del limite dei principi fondamentali delle riforme economico
sociali, dei principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato
e  degli  interessi nazionali e, in subordine, dell'art. 4, n. 3, del
predetto  statuto  e,  comunque,  in  violazione dell'art. 116, primo
comma, Cost., il collegio deve disporre la sospensione del giudizio e
la  remissione  degli  atti  alla  Corte costituzionale, affinche' si
pronunci in proposito.