IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA A scioglimento della riserva espressa all'udienza del 10 aprile 2003; Visti ed esaminati gli atti relativi al reclamo avverso il decreto di denega di permesso ex art 30-ter o.p. emesso in data 17 febbraio 2003 dal magistrato di sorveglianza di Nuoro proposto da Porcu Patrizio nato a Lula il 28 maggio 1964, attualmente ristretto presso la C.C. Nuoro, in relazione al seguente titolo: sentenza 18 ottobre 1990 Corte appello Cagliari es. Proc. gen. Corte appello Cagliari es. 57/1991 (inizio pena: 16 febbraio 1989, fine pena: 2 dicembre 2010). O s s e r v a Con provvedimento emesso in data 17 febbraio 2003 il magistrato di sorveglianza di Nuoro dichiarava inammissibile l'istanza proposta da Porcu Patrizio al fine di ottenere un permesso premio rilevando come il predetto, condannato per sequestro di persona a scopo di estorsione, non fosse stato riconosciuto collaboratore di giustizia ai sensi dell'art. 58-ter o.p. In particolare osservava come le modifiche introdotte dalla legge 23 dicembre 2002, n. 279 non rilevassero nel caso di specie poiche' l'art. 4-bis o.p. nel testo novellato dall'art. 1 continua ad applicarsi ai condannati per il reato previsto dall'art. 630 c.p. alle stesse condizioni precedenti. Avverso tale provvedimento proponeva tempestivo reclamo il Porcu il quale con nota del 24 febbraio 2003 rilevava che la norma introdotta dall'art. 4, primo comma della novella sancisce il principio di irretroattivita' del divieto di concessione dei benefici in assenza di condotta collaborativa solo per alcuni dei condannati di cui al cosiddetto primo gruppo di cui all'art. 4-bis cit. e non per gli altri. Inoltre precisava che se la legge n. 279/2002 comporta sul piano del trattamento penitenziario una modifica peggiorativa solo rispetto ai condannati per i nuovi reati inseriti nell'art. 4-bis o.p. e' altrettanto vero che la legge n. 356/1992 aveva gia' introdotto quella medesima disciplina per i delitti contemplati dal testo previgente dell'art. 4-bis cit. senza limitarne l'applicabilita' ai fatti commessi dopo la sua entrata in vigore. Il Porcu, dopo aver ribadito che all'epoca dell'emanazione del decreto-legge n. 306 del 1992 convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356 egli era stato gia' condannato con sentenza passata in giudicato, concludeva chiedendo che in primo luogo gli venisse concesso il permesso premio e che in via subordinata venisse dichiarata non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art 4-bis o.p. come modificato dalla legge n. 279/2002 per violazione dell'art. 3 della Costituzione. Cio' premesso ritiene il collegio che la motivazione espressa dal magistrato di sorveglianza nel provvedimento impugnato sia corretta. L'attuale formulazione dell'art. 4-bis o.p. non ha portato alcuna modifica per i condannati per sequestro di persona a scopo di estorsione. Ritiene, peraltro, il tribunale che l'eccezione di incostituzionalita' prospettata non sia ne' irrilevante ne' manifestamente infondata nei termini che verranno di seguito precisati. Appare preliminare procedere ad un esame del quadro normativo e della giurisprudenza costituzionale in tema di divieto di concessione dei benefici penitenziari sancito dall'art. 4-bis, primo comma legge 26 luglio 1975, n. 354. Non v'e' dubbio che quest'ultima norma a seguito della modifica introdotta con la legge n. 356/1992 attribuisca alla condotta collaborativa la valenza di condizione necessaria sia pure non sufficiente per dimostrare l'avvenuta rescissione dei legami con la criminalita' organizzata sicche' in difetto di tale presupposto e' preclusa per i condannati della cosiddetta prima fascia dell'art. 4-bis cit. l'ammissione alle misure alternative e ai permessi premio previsti dall'ordinamento penitenziario. Le diverse sentenze della Corte costituzionale intervenute negli anni successivi all'entrata in vigore della disciplina restrittiva hanno riportato la normativa nell'alveo della costituzionalita' in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost. equiparando, sotto il profilo degli effetti, la collaborazione fattiva a quella impossibile per integrale accertamento dei fatti o per il ruolo marginale svolto dal condannato (sent. n. 68/1995 e n. 357/1994) e inoltre prevedendo che l'accesso ai benefici non potesse essere comunque precluso per coloro che all'epoca dell'entrata in vigore della legge restrittiva avessero gia' raggiunto un grado di rieducazione adeguato alla misura richiesta e per i quali non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalita' organizzata (sent. n. 455/1997 e n. 137/1999). La Consulta ha, invece, ritenuto che l'applicabilita' della disciplina in esame anche ai detenuti gia' condannati con sentenza passata in giudicato all'epoca dell'entrata in vigore della riforma non fosse in contrasto con il principio statuito dall'art. 25, secondo comma Cost. Infatti secondo i giudici costituzionali (v. sent. n. 273/2001 ) non e' stata apportata alcuna modifica ai presupposti richiesti per l'ammissione ai benefici incidendo la mancata collaborazione solo come indice legale della persistenza dei collegamenti con la criminalita' organizzata. In particolare e' stato osservato (v. ord. Corte cost. n. 280/2001) che l'ammissione al permesso premio implica l'assenza di pericolosita' sociale e che l'art. 4-bis individua esclusivamente un criterio legale di valutazione di un comportamento che deve concorrere ai fini di escludere i collegamenti del condannato con la criminalita' organizzata e, quindi, la pericolosita' sociale di quest'ultimo. In questo quadro normativo si inserisce la legge 23 dicembre 2002, n. 279 che ha integralmente sostituito il testo dell'art. 4-bis primo comma o.p. ribadendo la necessita' della condotta collaborativa ai fini dell'accesso ai benefici per i condannati per gravi reati, sancendo espressamente i principi enunciati con le sentenze della Corte costituzionale n. 68/1995 e n. 357/1994 sopra richiamate e aggiungendo nell'ambito dei reati del c.d. primo gruppo sia i delitti commessi con finalita' di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, sia i delitti di riduzione in schiavitu' nonche' tratta e alienazione di schiavi. E' stato inoltre previsto dall' art. 4, primo comma della novella che la riforma per la parte relativa alla necessita' della collaborazione per i delitti in materia di terrorismo e di schiavitu' si applichi esclusivamente alle condanne per delitti commessi dopo l'entrata in vigore della legge. Sulla base dei presupposti normativi sopra delineati il Porcu, il quale sconta una condanna ad anni ventisei di reclusione per sequestro di persona a scopo di estorsione inflitta con sentenza della Corte di appello di Cagliari divenuta irrevocabile il 28 marzo 1991, non si trova nelle condizioni per poter essere ammesso all'invocato permesso. Occorre, infatti, evidenziare, che nel caso di specie non sussistono (come gia' accertato da questo tribunale in data 20 luglio 1995 e in data 23 settembre 1999) ne' il requisito dell'utile collaborazione ne' le ipotesi della collaborazione impossibile per integrale accertamento dei fatti o per la limitatata partecipazione al delitto ora contemplate espressamente dall'art. 4-bis o.p. come modificato dalla legge del 2002, n. 279. Inoltre con la medesima ordinanza del 23 settembre 1999 questo tribunale ha escluso che il Porcu al momento dell'entrata in vigore del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 avesse gia' raggiunto un grado di rieducazione tale da poter beneficiare del permesso premio. Ai fini della rilevanza della questione di costituzionalita' prospettata va, invece, evidenziato che sussisterebbero tutte le altre condizioni per la concessione dell'invocato beneficio. Secondo la normativa in vigore all'epoca di commissione del reato il soggetto ha gia' espiato la quota di pena richiesta per l'ammissione al permesso premio. Il detenuto, infatti, in esecuzione di pena dal 16 febbraio 1989 ha abbondantemente scontato un quarto della condanna inflitta e potrebbe ottenere il beneficio anche in ragione della positiva evoluzione della personalita' nel corso di piu' di quattordici anni di reclusione. Il comportamento intramurario del Porcu e' stato connotato da correttezza e adesione alle regole. Si e' impegnato nel lavoro e negli studi e ha costantemente fruito della liberazione anticipata. Gia' nel programma di trattamento approvato nel 1994 si ipotizza come valida l'eventuale concessione di permessi premio. Non risultano accertati collegamenti attuali con la criminalita' organizzata o eversiva. Detto questo in ordine alla rilevanza deve esaminarsi la non manifesta infondatezza dell'eccezione di incostituzionalita' in esame. La riforma n. 279 del 2002 ripropone - ampliando la tipologia dei reati ostativi della c.d. prima fascia - un trattamento penitenziario differenziato a carico dei condannati per reati di criminalita' organizzata o comunque di elevato allarme sociale. Appare, pero', immotivata la differenza di regime che si viene ora a creare tra gli autori dei reati gia' compresi nel vecchio testo e i condannati per i delitti inseriti nell'art. 4-bis o.p. a seguito della novella. Infatti per i primi la norma e' applicabile anche nell'ipotesi di reati commessi prima della riforma del 1992, mentre per i secondi sussiste lo sbarramento dell'art. 4, comma 1 legge n. 279/2002. Il legislatore nel dettare quest'ultima disposizione, la quale nel caso di specie viene assunta come tertium comparationis, ha ritenuto di prevedere espressamente il principio della irretroattivita' solo rispetto alle nuove fattispecie contemplate dalla prima parte del primo comma dell' art. 4-bis o.p. Secondo la tesi espressa in udienza dalla Procura generale non sussisterebbe pero' alcuna irragionevole discriminazione dal momento che si tratta di condanne per reati diversi e che rientra nella discrezionalita' del legislatore dettare delle discipline differenziate secondo una libera scelta che lui solo e' abilitato a compiere. Quanto sostenuto dalla Procura generale non sembra condivisibile in questo caso. Ora e' vero che il legislatore e' libero di perseguire le proprie scelte ma la regola di coerenza implicita nel principio di uguaglianza comporta che una volta scelto un principio questo deve essere sviluppato senza escludere dalla fattispecie situazioni ragionevolmente sussumibili e senza includervi situazioni ragionevolmente distinguibili. In sostanza il principio di uguaglianza esprime un giudizio di relazione tra piu' situazioni e poiche' ogni disciplina innovando l'ordinamento introduce delle distinzioni la disamina della conformita' di una norma all'art. 3 Cost. non puo' che incentrarsi sul perche' una determinata disciplina operi quella specifica distinzione. Il giudizio di uguaglianza in casi come quello in esame diventa un giudizio di ragionevolezza vale a dire un apprezzamento di conformita' tra la regola introdotta e la ratio perseguita. Nel caso in esame sembra che il legislatore, reputando la modifica legislativa una sorta di reformatio in peius del trattamento penitenziario dei condannati per i nuovi reati ostativi contemplati dall'art. 4-bis o.p., abbia voluto espressamente escluderne l'applicazione ai fatti commessi in epoca precedente alla sua entrata in vigore. Sembrerebbe, quindi, che la ratio della norma si identifichi o quanto meno si ispiri al principio in base al quale il condannato non puo' veder aggravata la punizione prevista dall'ordinamento in base a una legge emanata successivamente alla sua condotta criminale. Ma se cosi' e', questo principio dovrebbe valere anche per i delitti ostativi gia' contemplati dall'art. 4-bis ovviamente per quanto attiene ai reati consumati prima dell'entrata in vigore della riforma del 1992. Vero e' che solo una situazione piu' tranquillizzante sotto il profilo dell'ordine pubblico e della lotta alla criminalita' organizzata ha consentito attualmente una opzione diversa rispetto a quella adottata dal legislatore del 1992; il che, pero', non puo' giustificare una disparita' di trattamento ogni disposizione deve presentare una ragione obiettiva la quale sia avulsa dai motivi storicamente contigenti che possono aver indotto il legislatore a formulare una specifica opzione. Ci si chiede peraltro se nel dettare la norma in esame il legislatore abbia ritenuto di adottare solo una scelta di politica criminale nel caso concreto e se invece abbia condiviso quell'orientamento secondo cui il principio di irretroattivita' della norma penale incriminatrice gia' disciplinato dall'art. 2 c.p. e quindi assurto a rango costituzionale in virtu' dell'art. 25, secondo comma Cost. vada riferito non solo alle norme che disciplinano le fattispecie astratte di reato e le conseguenze sanzionatorie ma anche a tutte quelle che formano il diritto dell'esecuzione della pena. Qualunque sia la risposta a questo quesito resta l'irragionevole disparita' di trattamento. Ne' vale rilevare che trattasi di condannati per reati diversi. In primo luogo non vi e' alcun dato obiettivo su cui fondare una presunta maggiore pericolosita' degli autori dei delitti gia' ricompresi nel c.d. primo gruppo dell'art. 4-bis, o.p. rispetto ai detenuti per i reati specificati dall'art. 4, primo comma della novella (forse che la riduzione in schiavitu' punibile nel massimo con anni quindici di reclusione e' meno grave dell'associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.) sanzionata - nell'ipotesi di semplice partecipazione - con una pena nel massimo a sei anni?). E comunque anche se si volessero introdurre dei «distinguo» sotto il profilo della pericolosita' non avrebbe alcun senso prevedere degli effetti differenti solo in ordine all'epoca dell'entrata in vigore della norma. Inoltre il legislatore ha previsto per tutte le condanne in esame un trattamento penitenziario differenziato dalle altre ma omogeneo al suo interno valutando quindi assolutamente identiche sotto questo profilo le situazioni in comparazione. Alla luce delle considerazioni fin qui svolte questo collegio reputa rilevante e non manifestatamene infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1 della legge 23 dicembre 2002, n. 279 nella parte in cui non prevede che le disposizioni dell' art. l legge cit. non si applichino ai detenuti per i reati gia' compresi nel testo previgente dell'art. 4-bis, comma 1, primo periodo o.p. e commessi prima dell'entrata in vigore del d.l. 8 giugno 1992, n. 306 (delitti posti in essere avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo nonche' delitti di cui agli artt. 416-bis e 630 del codice penale, 291-quater del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 e art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309). Di conseguenza, conformemente al dettato costituzionale e alla legge n. 87/1953, questo tribunale ritiene necessario investire della questione la Corte costituzionale cui gli atti devono essere trasmessi previa sospensione del procedimento in corso.