ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 20 del decreto
legislativo  28 agosto  2000,  n. 274  (Disposizioni sulla competenza
penale  del  giudice  di  pace,  a norma dell'articolo 14 della legge
24 novembre   1999,   n. 468),   promossi,   nell'ambito  di  diversi
procedimenti  penali,  dal  giudice  di pace di Cortina d'Ampezzo con
ordinanza  del  1° luglio  2002,  dal  giudice di pace di Belluno con
ordinanze del 4 giugno 2002 (n. 11 ordinanze), dal giudice di pace di
Carru'  con  ordinanza  del  9 luglio  2002,  dal  giudice di pace di
Ferrara  con  ordinanze  del  9 ottobre  2002  (n. 4  ordinanze), dal
giudice di pace di Dolo con ordinanza del 24 giugno 2002, dal giudice
di pace di Cortina d'Ampezzo con ordinanza del 23 settembre 2002, dal
giudice  di  pace  di  Ferrara  con  ordinanza  del  22 ottobre 2002,
rispettivamente  iscritte  al n. 387, ai nn. da 472 a 480, al n. 492,
al  n. 493, al n. 517, ai nn. da 521 a 524, al n. 526, al n. 530 e al
n. 549  del  registro  ordinanze  2002  e  pubblicate  nella Gazzetta
Ufficiale  della  Repubblica  n. 36,  n. 43,  n. 45,  n. 48  e  nella
edizione   straordinaria   del   27   dicembre,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 21 maggio 2003 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che i giudici di pace di Cortina d'Ampezzo (r.o. n. 387
e  n. 530  del  2002),  di Belluno (r.o. da n. 472 a n. 480, n. 492 e
n. 493  del  2002),  di Carru' (r.o. n. 517 del 2002) e di Dolo (r.o.
n. 526  del  2002)  hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,
secondo  comma,  e  97, primo comma, della Costituzione (quest'ultimo
evocato  solo dai giudici di pace di Cortina d'Ampezzo e di Belluno),
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 20 del decreto
legislativo  28 agosto  2000,  n. 274  (Disposizioni sulla competenza
penale  del  giudice  di  pace,  a norma dell'articolo 14 della legge
24 novembre  1999,  n. 468),  nella  parte  in cui non prevede che la
citazione   a  giudizio  disposta  dalla  polizia  giudiziaria  debba
contenere  a  pena  di nullita' l'avviso che, qualora ne sussistano i
presupposti,  l'imputato,  prima  della dichiarazione di apertura del
dibattimento di primo grado, possa presentare domanda di oblazione;
        che,  in particolare, secondo il giudice di pace di Carru' la
mancanza  di  tale  avviso,  previsto  invece dall'art. 552, comma 1,
lettera f), del codice di procedura penale in relazione al decreto di
citazione  a  giudizio  nel  procedimento  davanti  al  tribunale  in
composizione  monocratica,  determina  una  disparita' di trattamento
dell'imputato  per  reati  di competenza del giudice di pace rispetto
all'imputato  per  reati di competenza del tribunale monocratico, con
lesione del diritto di difesa;
        che  nel  giudizio  iscritto  al  n. 387 del r.o. del 2002 e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che  la
questione  sia  dichiarata  manifestamente  inammissibile  in  quanto
l'ordinanza di rimessione appare priva di qualsiasi descrizione degli
elementi  che  connotano  la  fattispecie,  nonche' di motivazione in
ordine alla rilevanza della questione nel giudizio a quo;
        che  il  giudice  di pace di Ferrara, con cinque ordinanze di
identico  contenuto  (r.o.  da n. 521 a n. 524 e n. 549 del 2002), ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3,  24, secondo comma, e 97,
primo   comma,   Cost.,   la   medesima   questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 20 del decreto legislativo n. 274 del 2000;
        che il giudice a quo osserva che l'art. 52 del citato decreto
legislativo  ha mutato il quadro sanzionatorio per i reati attribuiti
alla  competenza  del giudice di pace, consentendo l'applicazione sia
dell'oblazione  «volontaria»  ex  art. 162  del codice penale, sia di
quella   «discrezionale»   prevista  dall'art. 162-bis  del  medesimo
codice,  con particolare riferimento alle contravvenzioni gia' punite
con  pena  congiunta dell'arresto e dell'ammenda e oggi punite con la
pena  alternativa  dell'ammenda,  della  permanenza domiciliare o del
lavoro di pubblica utilita';
        che,  a  fronte  di  tale situazione, la disciplina censurata
nella  parte in cui non prevede che la citazione a giudizio contenga,
a  pena  di nullita', l'avviso che l'imputato puo' presentare domanda
di oblazione appare in contrasto, secondo il rimettente, con:
          l'art. 3  Cost., perche' pone in essere una irragionevole e
ingiustificata  disparita'  di trattamento rispetto a quanto disposto
in  relazione  al  procedimento  davanti al tribunale in composizione
monocratica dall'art. 552, comma 1, lettera f), e comma 2, cod. proc.
pen., ove e' previsto non solo l'avviso, ma anche la nullita' in caso
di omissione;
          l'art. 3 Cost., poiche', irragionevolmente, l'avviso non e'
previsto   proprio  in  relazione  a  un  procedimento  connotato  da
«principi   di   massima   semplificazione   e   di   deflazione  del
dibattimento»,  l'art. 24, secondo comma, Cost., perche' incide sulla
facolta'  dell'imputato di chiedere tempestivamente di essere ammesso
all'oblazione,  che  e' espressione del diritto di difesa, l'art. 97,
primo   comma,  Cost.,  perche'  comporta  «ritardi  nella  fase  del
dibattimento in quanto l'imputato, stante l'assenza dell'informazione
non  e'  posto nella condizione di scegliere tale strada alternativa,
in  anticipo rispetto alla fase dibattimentale» e il «dibattimento di
conseguenza  diviene  in  effetti una fase del procedimento del tutto
obbligata»;
        che   il  rimettente  ricorda  infine  che  la  stessa  Corte
costituzionale,  con  la  sentenza  n. 497  del  1995,  ha dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 555,  comma 2, cod. proc.
pen.,  nel testo precedente la legge 16 dicembre 1999, n. 479 (che ha
sostanzialmente  trasfuso  tale  disposizione  nell'attuale art. 552,
comma 2,  cod.  proc.  pen.),  nella  parte  in  cui non prevedeva la
nullita'  del  decreto  di  citazione  a giudizio in caso di mancanza
dell'avviso  concernente  la  facolta' di chiedere i riti alternativi
ovvero   di   presentare   domanda   di   oblazione,  per  violazione
dell'art. 24 Cost.
    Considerato  che  i  giudici  rimettenti dubitano, in riferimento
agli   artt. 3,   24,   secondo  comma,  e  97,  primo  comma,  della
Costituzione  (quest'ultimo  evocato  solo  dai  giudici  di  pace di
Cortina  d'Ampezzo,  di  Belluno  e  di  Ferrara), della legittimita'
costituzionale  dell'art. 20  del decreto legislativo 28 agosto 2000,
n. 274  (Disposizioni  sulla competenza penale del giudice di pace, a
norma  dell'articolo 14  della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella
parte  in  cui non prevede che la citazione a giudizio disposta dalla
polizia  giudiziaria debba contenere a pena di nullita' l'avviso che,
qualora   ne   sussistano  i  presupposti,  l'imputato,  prima  della
dichiarazione  di  apertura  del  dibattimento  di  primo grado, puo'
presentare domanda di oblazione;
        che,  stante  la  sostanziale identita' delle questioni, deve
essere disposta la riunione dei relativi giudizi;
        che  le  questioni  sollevate  dai giudici di pace di Cortina
d'Ampezzo,   di  Belluno,  di  Carru'  e  di  Dolo  vanno  dichiarate
manifestamente  inammissibili,  in  quanto le ordinanze di rimessione
difettano  della  descrizione delle fattispecie oggetto dei giudizi a
quibus  e  sono  del  tutto  carenti  di  motivazione  in ordine alla
rilevanza e alla non manifesta infondatezza;
        che  il  giudice  di  pace di Ferrara rileva che la normativa
censurata  si pone in contrasto con gli artt. 3, 24, secondo comma, e
97,  primo comma, della Costituzione per la ingiustificata disparita'
di  trattamento  rispetto  alla disciplina del decreto di citazione a
giudizio   nel  procedimento  avanti  al  tribunale  in  composizione
monocratica  (art. 552  cod.  proc.  pen.),  che  prevede,  a pena di
nullita',  l'avviso  relativo  alla facolta' di presentare domanda di
oblazione;  per  la irragionevolezza della mancata previsione di tale
avviso   in   un   procedimento  connotato  da  principi  di  massima
semplificazione  e  dall'obiettivo  di  deflazione  del dibattimento;
perche'  incide  sulla facolta' di presentare tempestivamente domanda
di oblazione, che e' espressione del diritto di difesa, e comporta di
conseguenza ritardi nello svolgimento della fase dibattimentale;
        che  il  rimettente  richiama, tra l'altro, le argomentazioni
svolte  da  questa  Corte  nella  sentenza n. 497 del 1995, che aveva
dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 555, comma 2,
cod.  proc.  pen.,  nel  testo  precedente la legge 16 dicembre 1999,
n. 479,  nella  parte in cui non prevedeva la nullita' del decreto di
citazione   a   giudizio   per   mancanza  ovvero  per  insufficiente
indicazione  del  requisito previsto dal comma 1, lettera e), e cioe'
dell'avviso  all'imputato  della  facolta'  di  chiedere  il giudizio
abbreviato  o l'applicazione della pena, ovvero di presentare domanda
di oblazione;
        che  nella  menzionata  sentenza la Corte ha osservato che la
«diminuzione    delle   potenzialita'   difensive»   derivava   dalla
possibilita'   che,   in   mancanza  di  una  tempestiva  conoscenza,
l'imputato  potesse  trovarsi  decaduto dalla facolta' di chiedere il
giudizio  abbreviato;  evenienza  che  si  sarebbe potuta verificare,
malgrado  la  garanzia  della  difesa  tecnica,  se l'imputato avesse
contattato  il  difensore  dopo  la  scadenza del termine di quindici
giorni dalla notifica del decreto, previsto a pena di decadenza;
        che  successivamente  la  Corte  ha  appunto precisato che la
previsione  della nullita' in caso di omissione dell'avviso «trova la
sua ragione essenzialmente nella perdita irrimediabile della facolta'
di  chiedere  il  giudizio  abbreviato  entro  il termine di quindici
giorni,  previsto  a  pena  di decadenza» e che non vi era motivo per
estendere  tale  disciplina  alle ipotesi in cui la richiesta di rito
alternativo   puo'  essere  formulata  «sino  alla  dichiarazione  di
apertura  del  dibattimento  di primo grado, in un contesto in cui le
garanzie   di   informazione   e   di   conoscenza   sono  assicurate
dall'assistenza  obbligatoria  del difensore» (v. sentenza n. 101 del
1997);
        che,  con  riferimento  ai requisiti del decreto di citazione
emesso  in  seguito all'opposizione a decreto penale nel procedimento
davanti  al pretore (art. 565, comma 2, cod. proc. pen.), la Corte ha
ribadito  che  la  mancanza dell'avviso circa la facolta' di chiedere
l'applicazione  della pena ovvero di essere ammesso all'oblazione non
era  suscettibile  di  censure  in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.,
anche  perche' l'applicazione della pena poteva allora essere chiesta
sino  alla  dichiarazione  di apertura del dibattimento e l'oblazione
prima  dell'apertura  del  dibattimento  ex  art. 162  cod. pen., con
possibilita'   di   riproporre   la  domanda  sino  all'inizio  della
discussione    finale    nel    caso    dell'oblazione   disciplinata
dall'art. 162-bis cod. pen. (sentenza n. 114 del 1997);
        che di recente, in relazione alla disciplina degli avvisi per
l'udienza  preliminare,  la  Corte  ha  altresi'  avuto  occasione di
sottolineare che la sentenza n. 497 del 1995 era stata pronunciata in
un  contesto normativo in cui la vocatio in ius era caratterizzata da
una  struttura bifasica, superata dalle profonde modifiche introdotte
dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 (v. ordinanza n. 484 del 2002);
        che  dalla sentenza n. 497 del 1995 non possono dunque trarsi
argomenti   a  sostegno  della  illegittimita'  costituzionale  della
disciplina  censurata,  in  quanto  l'omissione  dell'avviso circa la
facolta'  di  presentare domanda di oblazione non comporta la perdita
irrimediabile   di   tale   facolta',   che  puo'  essere  esercitata
dall'imputato   nel   corso   dell'udienza   di   comparizione  prima
dell'apertura  del dibattimento, alla stregua di quanto espressamente
disposto  dall'art. 29,  comma 6,  del decreto legislativo n. 274 del
2000;
        che    nell'udienza    di    comparizione    l'imputato    e'
obbligatoriamente   assistito,   a   norma   dell'art. 20,   comma 2,
lettera e),  del  menzionato decreto legislativo, da un difensore, di
fiducia o d'ufficio, si' che risultano pienamente garantite la difesa
tecnica  e  l'informazione  circa  le  varie forme di definizione del
procedimento,  anche alternative al giudizio di merito (conciliazione
tra   le   parti,   oblazione,   risarcimento   del  danno,  condotte
riparatorie);
        che  inoltre,  stante  la struttura generale del procedimento
avanti  al  giudice  di  pace,  e  il  ruolo  a  questo  assegnato di
«favorire,  per  quanto  possibile,  la  conciliazione  tra le parti»
(art. 2,  comma 2,  del  decreto  legislativo  n. 274  del  2000)  e,
comunque,   di  propiziare  forme  di  definizione  del  procedimento
alternative  al  giudizio  di  merito, l'udienza di comparizione, ove
avviene  il  primo  contatto  tra le parti e il giudice, risulta sede
idonea  per  sollecitare  e verificare la praticabilita' di possibili
soluzioni alternative, tra cui, evidentemente, l'estinzione del reato
per oblazione prevista dagli artt. 162 e 162-bis cod. pen;
        che il principio di buon andamento dei pubblici uffici non si
riferisce  all'attivita'  giurisdizionale  in  senso  stretto, bensi'
all'organizzazione  e  al  funzionamento  dell'amministrazione  della
giustizia (cfr., ex plurimis, sentenza n. 115 del 2001);
        che  le  questioni  sollevate  dal giudice di pace di Ferrara
vanno  pertanto  dichiarate  manifestamente infondate alla stregua di
tutti i parametri costituzionali evocati dal rimettente.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.