LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza. La contribuente Tardiola Angela lamenta che sul suo trattamento di fine rapporto sia stata effettuata una ritenuta maggiore del dovuto, in quanto a norma della legge n. 484/1985 e del d.P.R. n. 917/1986 le e' stata applicata una franchigia di 500.000 lire annue a partire dal 1985, ed anzi dal 1983 essendo la legge n. 484 retroattiva per due anni; secondo la Tardiola sono incostituzionali tali norme, perche' prevedono una franchigia sempre uguale anno per anno (la Tardiola e' stata collocata in quiescenza nel 1995), senza alcuna rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT, malgrado l'inflazione incontrovertibilmente verificatasi nel frattempo. La contribuente chiedeva pertanto all'erario, a tale titolo, nel 1997, il rimborso della somma complessiva di L. 2.083.000, quale IRPEF indebitamente trattenuta sulla indennita' di fine rapporto. Col ricorso introduttivo, depositato il 9 ottobre 1997, la Tardiola ha impugnato il silenzio rifiuto tenuto dall'Amministrazione, e ha dedotto, appunto, la illegittimita' costituzionale della normativa (art. 2 della legge n. 482/1985 e art. 17 del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917). La Commissione di primo grado ha respinto il ricorso, osservando da un lato che i calcoli dell'Ufficio sono ineccepibili a norma di legge, dall'altro che la scelta discrezionale da parte del legislatore del principio nominalistico oppure di quella rivalutativo non comporta di per se' alcun vizio di incostituzionalita'. E' ora appellante la Tardiola, che ripropone la questione di legittimita' costituzionale, riportandosi alla giurisprudenza della Corte, che nel 1979 (con la ben nota sentenza n. 126) aveva accolto una questione asseritamente analoga, riguardante l'abbattimento dell'incremento di valore annuo degli immobili ai fini dell'INVIM. Reputa questa Commissione che la questione di legittimita' non sia manifestamente infondata, e se ne debba rimettere l'esame al giudice costituzionale. Con la sentenza citata, infatti, la Corte ha bensi' riconosciuto al legislatore (nel quadro del principio costituzionale per il quale «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva») la piu' ampia discrezionalita' nel prendere in considerazione gli effetti di una rilevante svalutazione monetaria (quale quella verificatesi in Italia nel corso degli anni '80); ma ha altresi' ritenuto violato il principio di uguaglianza (art. 3 Costituzione) tutte le volte che proprio la predetta scelta - discrezionale, si e' detto, ed in se' insindacabile in sede di legittimita' - si traduca poi in norme di legge che le diano in concreto delle applicazioni irrazionali ed inique. Questa Commissione ritiene da un lato di dover condividere l'orientamento della Corte costituzionale cosi' riassunto, dall'altro che nel caso in esame debba essere adottato un identico criterio. L'attuale controversia infatti riguarda (cosi' come era per la sentenza n. 126/1979 sull'INVIM) una «franchigia» uguale anno per anno, introdotta proprio allo scopo di contenere l'importo aritmetico dell'imposta, tenendo conto del trascorrere del tempo e della sua influenza sul valore della moneta. Risulta palese, allora, che il legislatore ha si' deciso, nella sua autonomia, di tener conto degli effetti distorsivi che l'inflazione cagiona nel rapporto economico e fiscale in esame; ma poi, applicando ad un rapporto che si sviluppa in un lungo arco di tempo una franchigia fissa anno per anno, senza tener conto degli indici ISTAT, finisce - irrazionalmente ed iniquamente - col sottoporre i contribuenti ad una disciplina che viola il principio della parita' tra cittadini. Potra' cosi' capitare da un lato che la franchigia di 500.000 lire sia stata congrua per un certo anno e non per un altro, determinando, per quell'anno, un aggravio ingiustificato in capo al medesimo contribuente; ma anche che taluno abbia potuto, per avventura, godere di numerosi anni «buoni», e talaltro di numerosi anni «cattivi», vedendosi invece applicata - con violazione del principio di uguaglianza - franchigie nominalisticamente uguali e sostanzialmente diversissime: venendo cosi' chiamati, a parita' di somme, a contribuzioni anche vistosamente squilibrate. Senza contare che il criterio delle franchigie uguali anno per anno sembra essere proprio irrazionale in se', posto che - dal momento che l'inflazione tendeva in quel tempo a crescere sistematicamente - esse non potevano che avere una influenza progressivamente minore, anziche' maggiore, col trascorrere del tempo. La rilevanza della questione e' in re ipsa, giacche' essa coinvolge proprio le norme che devono essere applicate nel presente giudizio, dalle quali e' scaturito il calcolo in contestazione.