ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale degli articoli 415-bis,
comma 3, e 552, comma 2, del codice di procedura penale, promossi con
ordinanze  del  30 maggio  e  del  13  giugno 2002  del  Tribunale di
Velletri,  sezione  distaccata  di  Albano  Laziale, nei procedimenti
penali  a  carico  di  C.F. e DG. D. iscritte ai numeri 496 e 497 del
registro  ordinanze  2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 45, 1ª serie speciale, dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 21 maggio 2003 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che,  con  due  ordinanze  di  identico  contenuto,  il
Tribunale  di  Velletri,  sezione  distaccata  di  Albano Laziale, ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale, in relazione agli
articoli 3  e 24 della Costituzione, degli articoli 415-bis, comma 3,
e 552, comma 2, del codice procedura di procedura penale, nella parte
in  cui  «non  prevedono  alcun  obbligo  del  pubblico  ministero di
compiere  gli atti di indagine richiesti dall'indagato, alcun obbligo
del  pubblico  ministero  di  provvedere con atto motivato in caso di
rigetto  della richiesta, alcun rimedio contro l'inerzia del pubblico
ministero    e   non   prevedono   (rectius:   l'art. 552,   comma 2,
cod. proc. pen.  non  prevede) la nullita' del decreto di citazione a
giudizio che sia nondimeno emesso»;
        che  il  giudice  a  quo  -  premesso  che  nel  corso  delle
formalita'  di  apertura  di  entrambi i dibattimenti i difensori dei
rispettivi  imputati  avevano depositato copia di istanze avanzate al
pubblico  ministero  ai  sensi  dell'art. 415-bis  cod.proc.pen., mai
formalmente  rigettate  dall'organo  inquirente e, nondimeno, rimaste
senza  effetto - evidenzia che l'art. 415-bis contempla, tra l'altro,
la   facolta'   dell'indagato  di  richiedere  di  essere  sottoposto
all'interrogatorio   da   parte   del   pubblico  ministero,  con  il
corrispettivo  obbligo,  per  quest'ultimo,  di  procedervi,  pena la
nullita'    -   espressamente   comminata   dall'art. 552,   comma 2,
cod. proc. pen.  -  del  decreto  di  citazione  a  giudizio;  ma non
«chiarisce  quale  sia  l'effetto  giuridico  (sanzione)  del mancato
compimento  degli  atti di indagine sollecitati al pubblico ministero
dall'indagato»;
        che  tale  «appariscente lacuna» implicherebbe una disparita'
di   trattamento,  con  violazione  dell'art. 3  della  Costituzione,
«giacche'  non  si comprende perche' la nullita' sia comminata per il
mancato  invito  a  presentarsi per rendere interrogatorio, che e' un
mezzo  di difesa, ma altresi' un atto di indagine, e non anche per il
mancato  compimento  di  un  diverso  atto  di indagine espressamente
richiesto dall'indagato ... che e' anche un mezzo di difesa»;
        che  dalla  mancata  previsione  di  un  obbligo  dell'organo
inquirente   di   pronunciarsi   sulla   richiesta   dell'indagato  e
dall'assenza   di   qualsivoglia  sanzione  per  l'eventuale  inerzia
scaturirebbe,  altresi',  la  violazione del diritto di difesa di cui
all'art. 24 Cost;
        che nel giudizio instaurato a seguito dell'ordinanza iscritta
al  n. 496  del  2002, e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che la questione sia dichiarata inammissibile, per
difetto di rilevanza nel giudizio a quo;
        che  infatti, secondo la difesa erariale, l'atto di indagine,
richiesto   dall'indagato   al  pubblico  ministero,  non  era  stato
espletato  per specifiche ragioni, esposte dall'organo inquirente con
un  provvedimento motivato di rigetto della richiesta, secondo quanto
risultava  da  una  nota  del  Procuratore  Generale  presso la Corte
d'appello  di  Roma,  recante  la  trasmissione  di  altra nota della
Procura    della    Repubblica   di   Velletri,   entrambe   allegate
dall'Avvocatura generale;
    Considerato   che,  essendo  sollevate  questioni  identiche,  va
disposta la riunione dei relativi giudizi;
        che l'eccezione di inammissibilita' per difetto di rilevanza,
dedotta dall'Avvocatura dello Stato, deve essere disattesa, in quanto
la   valutazione  della  irrilevanza  della  questione  si  fonda  su
documentazione  -  non  delibata  dal giudice a quo - acquisita al di
fuori  delle  forme  previste,  per il processo costituzionale, dalla
legge  11 marzo  1953  n. 87  e dalle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale;
        che,  nel merito, la questione di legittimita' costituzionale
si  basa  sull'omessa  previsione  di un generale obbligo, in capo al
pubblico   ministero   ed   attraverso  la  censurata  norma  di  cui
all'art. 415-bis  cod.  proc.  pen., di ottemperare alla richiesta di
specifici  atti  di  indagine avanzata dall'indagato nella fase delle
indagini   preliminari,   con   il   correlato  obbligo  di  motivare
l'eventuale  rigetto della richiesta; nonche' sull' omessa previsione
di  sanzioni  processuali in caso di mancato rispetto dell'obbligo di
svolgere gli accertamenti richiesti, da parte del pubblico ministero;
        che,  in  particolare,  il  Tribunale  rimettente  deduce  la
violazione   dell'art. 3  Cost.,  per  la  «evidente»  disparita'  di
trattamento   conseguente   alla   scelta   legislativa   di  rendere
obbligatoria,   in  capo all'organo  inquirente,  la  sola  emissione
dell'invito a comparire dell'indagato per rendere interrogatorio, con
la  conseguente  sanzione  processuale per il caso di inottemperanza;
senza  invece  prevedere alcun obbligo dell'inquirente in relazione a
tutti   gli   altri   atti  di  indagine,  eventualmente  sollecitati
dall'indagato;
        che,  tuttavia,  per un verso, la previsione di una ulteriore
garanzia  per  l'indagato, attraverso l'art. 415-bis cod. proc. pen.,
appare  modulata  secondo scelte legislative che non incontrano alcun
limite in soluzioni costituzionalmente obbligate, quanto a necessita'
di  estensione  della  garanzia  medesima;  e,  per  un  altro verso,
l'interrogatorio, quale strumento di garanzia all'apice dell'indagine
espletata  -  idoneo  ad  innestare,  in  quel  particolare  segmento
processuale,  il  confronto con l'accusatore sul materiale d'accusa e
sullo snodo essenziale dell'esercizio o meno dell'azione penale - non
ha  possibilita'  di  comparazione  alcuna  con  qualsivoglia atto di
indagine richiesto dall'indagato;
        che,  per  analoghe  ragioni, appare destituita di fondamento
altresi'  la  pretesa  violazione  dell'  art. 24 della Costituzione,
atteso  che  il  diritto di difesa - garantito oltretutto, nella fase
delle  indagini  preliminari,  anche  dalla  parallela investigazione
difensiva  -  e'  conformato diversamente dal legislatore nelle varie
fasi  del processo, in ragione della differenza strutturale esistente
tra  la  raccolta  degli  elementi  necessari  per  la determinazione
dell'esercizio  dell'azione  penale e l'attivita' di formazione della
prova, quest'ultima propria della fase dibattimentale;
        che,   pertanto,   le   questioni  devono  essere  dichiarate
manifestamente infondate.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,secondo  comma,  delle  norme  integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.