IL CONSIGLIO DI STATO

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso in appello
n. 8591/02,   proposto  da:  Universita'  degli  studi  di  Roma  «La
Sapienza»,  in  persona del rettore in carica, rappresentata e difesa
dall'Avvocatura  Generale  dello Stato, presso i cui uffici domicilia
per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
    Contro   Toscano  Michele,  rappresentato  e  difeso  dagli  avv.
Raffaele  Versace e Federico Tedeschini, ed elettivamente domiciliato
presso  lo  studio  del  secondo  in  Roma,  largo Messico, n. 7; per
l'annullamento  della sentenza del Tribunale amministrativo regionale
del  Lazio,  sezione III-bis, 2 agosto 2002, n. 6908, notificata il 5
agosto 2002;
    Visto  il  ricorso  in  appello,  notificato  il 7 ottobre 2002 e
depositato il 16 ottobre 2002, con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'appellato;
    Vista la memoria prodotta dall'appellato a sostegno delle proprie
difese;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore  all'udienza  pubblica del 13 maggio 2003 il consigliere
Carmine  Volpe,  e uditi altresi' l'avv. dello Stato E. Figliolia per
l'appellante e l'avv. F. Tedeschini per l'appellato;
    Ritenuto e considerato quanto segue;

                              F a t t o

    1.  -  Il  prof.  Michele  Toscano e' direttore dell'Istituto del
Cuore  e dei Grossi Vasi «Attilio Reale» della I Facolta' di medicina
e chirurgia dell'Universita' degli studi di Roma «La Sapienza».
    Il  Tribunale  di  Firenze  - Ufficio del giudice per le indagini
preliminari,  con sentenza pronunciata il 29 novembre 2001 e divenuta
irrevocabile il 24 gennaio 2002, gli applicava, su richiesta avvenuta
nella fase istruttoria (predibattimentale) ai sensi dell'art. 444 del
c.p.p.  (patteggiamento),  la  pena  di  anni  uno  e mesi quattro di
reclusione,  con la concessione della sospensione condizionale, per i
delitti  di  cui  agli  artt. 81,  319 e 319-bis del c.p. La sentenza
veniva  trasmessa  in  data  14  maggio 2002 dal Tribunale di Firenze
all'Universita'  degli  studi  di  Roma  «La  Sapienza»  e assunta al
protocollo dell'Universita' il 16 maggio 2002 al n. 011996.
    I  fatti  erano  relativi  al  periodo dal 1994 al febbraio 2001;
periodo   in   cui   il  prof.  Toscano  era  stato  alle  dipendenze
dell'Universita'  di  Siena  nella  sua  qualita'  di direttore della
cattedra  di  chirurgia  cardiotoracica  presso l'Azienda ospedaliera
senese «Le Scotte».
    2.  -  Il  rettore  dell'Universita'  degli  studi  di  Roma  «La
Sapienza»,  con  decreto  20 maggio 2002, n. 1576, visti gli artt. 4,
comma 1, e 5, comma 4, della legge 27 marzo 2001, n. 97 e considerato
che  la  sentenza  pronunciata  ai sensi dell'art. 444 del c.p.p. «e'
equiparabile   ad  una  sentenza  di  condanna  per  quanto  concerne
l'accertamento delle responsabilita», sospendeva il prof. Toscano dal
servizio   con   effetto   immediato,  dalla  data  di  notifica  del
provvedimento stesso e fino all'esito del procedimento disciplinare.
    Il  medesimo  rettore,  con nota 4 giugno 2002, prot. n. G112910,
considerato  che  la sentenza di patteggiamento e' equiparata per gli
effetti  della responsabilita' a quella di condanna, visto l'art. 653
del  c.p.p.,  come  sostituito  dall'art. 1 della legge n. 97/2001, e
ritenuto  che i fatti accettati in sede di giudizio penale «sono tali
da  configurare  illecito  disciplinare e rientrano nei casi previsti
dall'art. 84   del   d.P.R.   n. 3/1957  (destituzione)»,  contestava
l'addebito  al  prof.  Toscano,  invitandolo  a  fornire  le  proprie
osservazioni  in  merito non oltre venti giorni dal ricevimento della
nota   medesima.   Il  rettore  specificava,  altresi',  che  con  la
contestazione  di  addebito  si  considerava iniziato il procedimento
disciplinare previsto dall'art. 5, comma 4, della legge n. 97/2001.
    3.   -  Il  prof.  Toscano,  con  ricorso  innanzi  al  Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio,  impugnava  entrambi  i  detti
provvedimenti rettorali (il secondo con motivi aggiunti).
    Contro il decreto di sospensione dal servizio deduceva i seguenti
motivi:
        1)  violazione e falsa applicazione degli artt. 4, comma 1, e
5,  comma 4, della legge n. 97/2001; eccesso di potere per carenza di
presupposti,  apoditticita'  della  motivazione, sviamento di potere,
sproporzione fra addebito e sanzione irrogata, manifesta ingiustizia.
    La  sentenza di patteggiamento di cui all'art. 444 del c.p.p. non
si  sarebbe  potuta  equiparare alla sentenza di condanna propria del
rito  ordinario  e  non sarebbero state enunciate le ragioni di grave
pregiudizio in ordine alle quali e' stata disposta la sospensione;
        2)  violazione  e  falsa  applicazione della legge n. 97/2001
sotto  ulteriori  profili;  eccesso  di potere in tutte le sue figure
sintomatiche.  L'amministrazione  avrebbe  erroneamente  ritenuto  di
applicare  la  legge  n. 97/2001,  nonostante che l'art. 10, comma 1,
stabilisca  che «le disposizioni della presente legge si applicano ai
procedimenti   penali,  ai  giudizi  civili  e  amministrativi  e  ai
procedimenti  disciplinari  in  corso  alla data di entrata in vigore
della legge stessa»;
        3)  violazione e falsa applicazione dell'art. 445 del c.p.p.;
eccesso   di   potere   per  illogicita',  incongruita',  difetto  di
istruttoria, carenza di presupposti, difetto di motivazione.
    Si  sarebbe  dovuto procedere ad un'autonoma verifica dei fatti e
della loro riferibilita' al ricorrente.
    Il  prof.  Toscano,  contro la nota di contestazione di addebito,
deduceva i seguenti motivi:
        4)  violazione dell'art. 10, comma 3, della 1egge n. 97/2001;
eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche.
    Il  procedimento  disciplinare  sarebbe  stato instaurato oltre i
centoventi giorni previsti dalla legge;
        5)  violazione e falsa applicazione degli artt. 445 e 653 del
c.p.p.;  eccesso  di  potere  per  carenza  di presupposti, manifesta
ingiustizia,   difetto  di  istruttoria,  illogicita',  sviamento  di
potere.
    Sarebbero  erronei  l'equiparazione  della sentenza di condanna a
seguito  di patteggiamento chiesto nella fase istruttoria a quella di
condanna  propria  del  rito  ordinario,  e  l'applicazione  nel caso
concreto dell'art. 653 del c.p.p. Si sarebbe invece, dovuto procedere
ad  un'autonoma  verifica  dei  fatti  e  all'accertamento della loro
riferibilita' al ricorrente;
        6)  incompetenza  dell'Universita'  degli  studi  di Roma «La
Sapienza»  ad avviare il procedimento disciplinare; eccesso di potere
per  carenza  di  presupposti,  manifesta  ingiustizia,  sviamento di
potere.
    Le   amministrazioni   competenti   ad   avviare   un   eventuale
procedimento   disciplinare  sarebbero  state  l'Azienda  ospedaliera
senese e l'Universita' di Siena, ma non l'Universita' di Roma.
        4.   -   La  sezione  III-bis  del  Tribunale  amministrativo
regionale  del  Lazio, con sentenza in forma semplificata pronunciata
nella  camera di consiglio fissata per l'esame dell'istanza cautelare
- ai sensi dell'art. 26, commi 4, 5 e 6, della legge 6 dicembre 1971,
n. 1034,  come sostituiti dall'art. 9, comma 1, della legge 21 luglio
2000, n. 205 - ha accolto il ricorso.
    Il primo giudice ha ritenuto che:
        a)  fosse  stato  violato  l'art.  10,  comma  3, della legge
n. 97/2001,  in  quanto  la  contestazione  degli  addebiti  e' stata
comunicata  (il  6 giugno 2002) oltre centoventi giorni dalla data in
cui  la  sentenza  penale  di  condanna e' diventata irrevocabile (24
gennaio 2002);
        b)  non si potesse applicare l'art. 653 del c.p.p., in quanto
il  ricorrente aveva chiesto ed ottenuto l'applicazione della pena su
richiesta  delle  parti  (artt. 444  e  445  del  c.p.p.)  nella fase
istruttoria  e  non  in quella dibattimentale. Con la conseguenza che
l'Universita'   avrebbe   dovuto   riconsiderare  tempestivamente  le
risultanze  processuali  penali  attraverso  un'autonoma verifica dei
fatti, della loro riferibilita' all'inquisito e della loro valenza ai
fini disciplinari.
    5.  - La sentenza viene appellata dall'Universita' degli studi di
Roma «La Sapienza», per i motivi che vengono di seguito sintetizzati:
        1)  inammissibilita'  del ricorso di primo grado con riguardo
all'atto  di  contestazione  di  addebito,  il  quale,  dato  il  suo
carattere  endoprocedimentale e non provvedimentale, sarebbe inidoneo
a    spiegare    effetti    lesivi    sulla   situazione   soggettiva
dell'interessato.  Il procedimento disciplinare, infatti, si potrebbe
anche concludere con il proscioglimento dell'incolpato;
        2)  il  Tribunale  di  Firenze  aveva trasmesso all'ateneo la
sentenza  patteggiata  solo il 14 maggio 2002. Cosi' che l'inizio del
procedimento   disciplinare  sarebbe  stato  tempestivo,  poiche'  il
termine   di   cui  all'art. 10,  comma  3,  della  legge  n. 97/2001
inizierebbe  a  decorrere  dall'avvenuta  conoscenza  della  sentenza
definitiva da parte dell'amministrazione;
        3)   con   riguardo   all'equiparazione   della  sentenza  di
patteggiamento  a quella di condanna, la legge n. 97/2001 non farebbe
alcuna     differenza    tra    patteggiamento    dibattimentale    e
predibattimentale;
        4)  la  sospensione dal servizio costituirebbe atto dovuto ai
sensi  di legge. E comunque la valutazione della valenza disciplinare
della   condotta   del   prof.   Toscano  sarebbe  stata  rimessa  al
procedimento  disciplinare, ancora solo iniziato; cosi' che l'atto di
contestazione  di  addebito  non  avrebbe  potuto,  ne dovuto, essere
preceduto da valutazione alcuna.
    Il  prof.  Toscano  si  e'  costituito in giudizio, resistendo al
ricorso in appello. Lo stesso ha depositato successiva memoria con la
quale ha ulteriormente illustrato le proprie difese.

                            D i r i t t o

    1.  - La sezione ritiene che il punto centrale della controversia
per  cui  e'  causa  concerna la tempestivita', e conseguentemente la
possibilita',  dell'instaurazione  del  procedimento disciplinare nei
confronti  del  prof.  Michele  Toscano.  Cosi  che appare sussistere
l'interesse  dello  stesso  all'impugnazione  della  contestazione di
addebito,  la  quale  rappresenta  l'atto con cui l'Universita' degli
studi di Roma «La Sapienza» ha iniziato il procedimento disciplinare.
    La disposta sospensione dal servizio ha carattere propedeutico al
procedimento  disciplinare  ed  ha  ragione di essere se questo viene
successivamente  instaurato  ed  iniziato  nei termini previsti dalla
legge.  La sospensione dal servizio, inoltre, ai sensi degli artt. 4,
comma  1,  e 3, comma 1, della legge 27 marzo 2001, n. 97 (dal titolo
«norme   sul   rapporto   tra   procedimento  penale  e  procedimento
disciplinare  ed  effetti  del  giudicato  penale  nei  confronti dei
dipendenti    delle   amministrazioni   pubbliche»),   ha   carattere
obbligatorio.  Infatti,  «nel  caso di condanna anche non definitiva,
ancorche'  sia  concessa  la sospensione condizionale della pena, per
alcuno  dei  delitti  previsti dall'articolo 3, comma 1, i dipendenti
indicati  nello  stesso  articolo sono sospesi dal servizio» (art. 4,
comma 1, della legge n. 97/2001). Tra i delitti previsti dall'art. 3,
comma  1, della legge n. 97/2001 vi e' quello di cui all'art. 319 del
c.p., per il quale l'appellato e' stato condannato.
    2. - Nella specie, si tratta di fatti commessi prima dell'entrata
in  vigore  della legge n. 97/2001, per cui deve applicarsi l'art. 10
della  stessa,  dal  titolo «disposizioni transitorie». Il comma 3 di
tale  articolo  dispone  che  «i  procedimenti disciplinari per fatti
commessi  anteriormente alla data di entrata in vigore della presente
legge   devono   essere  instaurati  entro  centoventi  giorni  dalla
conclusione del procedimento penale con sentenza irrevocabile».
    L'Universita'  degli studi di Roma «La Sapienza», invece, ha dato
inizio  al  procedimento  disciplinare con l'atto di contestazione di
addebito  in  data 4 giugno 2002; quindi, oltre centoventi giorni dal
24 gennaio 2002, data in cui e' diventata irrevocabile la sentenza di
condanna (a seguito di patteggiamento) di cui trattasi.
    La detta universita', infatti, ha inteso applicare l'art. 5 della
legge  n. 97/2001,  dal  titolo  «pena accessoria dell'estinzione del
rapporto  di impiego o di lavoro. Procedimento disciplinare a seguito
di condanna definitiva». Il comma 4 dell'articolo prevede che, «salvo
quanto  disposto  dall'articolo  32-quinquies  del codice penale, nel
caso  sia  pronunciata  sentenza  penale irrevocabile di condanna nei
confronti  dei  dipendenti  indicati  nel  comma  1  dell'articolo 3,
ancorche'  a pena condizionalmente sospesa, l'estinzione del rapporto
di  lavoro  o  di  impiego  puo'  essere  pronunciata  a  seguito  di
procedimento   disciplinare».   Aggiunge  poi  che  «il  procedimento
disciplinare deve avere inizio o, in caso di intervenuta sospensione,
proseguire  entro  il  termine  di novanta giorni dalla comunicazione
della  sentenza  all'amministrazione  o  all'ente  competente  per il
procedimento  disciplinare»  e che «il procedimento disciplinare deve
concludersi,  salvi termini diversi previsti dai contratti collettivi
nazionali  di lavoro, entro centottanta giorni decorrenti dal termine
di inizio o di proseguimento, fermo quanto disposto dall'articolo 653
del codice di procedura penale».
    La legge n. 97/2001 prevede, quindi, un sistema a regime (art. 5,
comma  4),  che  impone  l'inizio  del  procedimento disciplinare nel
termine   di   novanta  giorni  dalla  comunicazione  della  sentenza
(all'amministrazione   o  all'ente  competente  per  il  procedimento
disciplinare);  e  un  sistema eccezionale, di tipo transitorio (art,
10, comma 3), per i fatti commessi prima dell'entrata in vigore della
legge,  che  prescrive  un termine piu' lungo per l'instaurazione dei
procedimenti  disciplinari  (centoventi  giorni  anziche'  novanta) a
decorrere  pero'  «dalla  conclusione  del  procedimento  penale  con
sentenza irrevocabile», anziche' dalla comunicazione della sentenza.
    3.   -   La  sezione  dubita  della  legittimita'  costituzionale
dell'art.  10,  comma 3, della legge n. 97/2001, con riferimento agli
artt. 3  e 97, comma 1, della cost., nella parte in cui, con riguardo
al  soli  fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore
della legge medesima, fa decorrere il termine per l'instaurazione del
procedimento  disciplinare  dalla conclusione del procedimento penale
con  sentenza  irrevocabile  e non, invece, dalla comunicazione della
sentenza   all'amministrazione   competente   per   il   procedimento
disciplinare.
    Principi   di  buon  andamento  e  di  efficienza  dell'attivita'
amministrativa   (desumibili  dall'art. 97,  comma  1,  della  cost.)
richiedono che all'amministrazione non puo' essere imposto un termine
perentorio,  a  pena  di  decadenza  dell'esercizio del potere (nella
specie,  disciplinare),  se  essa  non  viene  posta a conoscenza del
presupposto  (sentenza  penale  irrevocabile  di condanna); che, allo
stesso    tempo,   costituisce   elemento   da   valutare   ai   fini
dell'irrogazione  della  sanzione  disciplinare e momento iniziale di
decorrenza  del  termine  entro  il  quale instaurare il procedimento
stesso.
    Inoltre,   il   principio   di   eguaglianza   e   il  canone  di
ragionevolezza, di cui all'art. 3 della cost., nonche' la conseguente
necessita'  di  evitare  ingiustificate  disparita'  di  trattamento,
sembrano  non  giustificare  la diversita' del disposto dell'art. 10,
comma  3,  della  legge  n. 97/2001  rispetto a quello del precedente
art. 5,  comma 4, secondo cui il procedimento disciplinare deve avere
inizio  entro il termine di novanta giorni «dalla comunicazione della
sentenza   all'amministrazione   o   all'ente   competente   per   il
procedimento disciplinare». Come previsto anche dall'art. 9, comma 2,
della legge 7 febbraio 1990, n. 19, secondo cui «la destituzione puo'
sempre  essere  inflitta  all'esito del procedimento disciplinare che
deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data
in cui l'amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile
di  condanna...»;  «notizia»  da intendere come esatta cognizione dei
fatti  accertati  in sede penale (questa sezione, 15 maggio n. 2635),
essendo  necessario  che l'amministrazione abbia avuto conoscenza del
testo  integrale  della sentenza e non gia' del semplice «dispositivo
(Cons Stato, sez. IV, 27 settembre 1996, n. 1061).
    Al  riguardo,  la  Corte  costituzionale  (con sentenza 27 luglio
2000, n. 375) ha ritenuto che l'azione disciplinare si debba iniziare
tempestivamente, «senza ritardi ingiustificati - o, peggio, arbitrari
-  rispetto  al  momento in cui l'amministrazione ha conoscenza della
pronuncia  irrevocabile  di  condanna»  e  che  tale  principio abbia
trovato  «pieno riconoscimento nella disciplina del pubblico impiego»
(con espresso riferimento alla legge n. 19/1990).
    4. - D'altra  parte,  quanto  prescritto  dall'art. 10,  comma 3,
della  legge  n. 97/2001  potrebbe avere anche una sua ratio, data la
specialita'  dell'ipotesi prevista (in cui rientra la fattispecie per
cui  e'  causa);  laddove  si  e'  in presenza di procedimento penale
concluso  dopo  l'entrata  in  vigore  della  legge  n. 97/2001  e di
procedimento  disciplinare  instaurato  dopo  la  medesima legge (con
conseguente  inapplicabilita'  del  disposto  del  comma 1 del citato
art. 10),  ma  con riguardo a fatti commessi anteriormente alla legge
stessa.  Cosi che il diverso regime del termine (piu' lungo di trenta
giorni)  e  della  sua decorrenza (dalla conclusione del procedimento
penale  con  sentenza irrevocabile anziche' dalla comunicazione della
sentenza  all'amministrazione),  per l'instaurazione del procedimento
disciplinare,  potrebbero  trovare  giustificazione  nell'esigenza di
definire  al  piu'  presto  la  posizione  del  dipendente  per fatti
commessi  anteriormente  all'entrata in vigore della nuova disciplina
apportata  dalla  legge n. 97/2001; entro un termine decorrente da un
evento  obiettivo  e  certo  (il  momento  in  cui la sentenza penale
diviene   irrevocabile),   anziche'   da   un   evento   incerto  (la
comunicazione della sentenza all'amministrazione).
    La  novella  del  2001,  infatti,  con  l'art. 1,  ha  modificato
l'art. 653   del  c.p.p.,  attribuendo  efficacia  di  giudicato  nel
giudizio  per  responsabilita'  disciplinare  davanti  alle pubbliche
autorita'  non  piu'  solo,  come in precedenza, alla sentenza penale
irrevocabile  di  assoluzione,  ma  anche a quella di condanna quanto
all'accertamento  della  sussistenza  del fatto, della sua illiceita'
penale  e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso. Inoltre, il
nuovo  testo  dell'art. 445  del  c.p.p., come modificato dall'art. 2
della  legge n. 97/2001, ha ribadito, in riferimento alle sentenze di
patteggiamento, il principio secondo cui esse non hanno efficacia nei
giudizi civili e amministrativi, escludendone pero', con la locuzione
di  cui  all'ultimo  periodo  del  comma  l  («salvo  quanto previsto
dall'articolo  653...»),  l'operativita' nei giudizi disciplinari (in
tal senso Corte cost., 25 luglio 2002, n. 394).
    Deve  poi  rilevarsi che la Corte costituzionale (con sentenza 25
luglio  1995,  n. 374)  ha dichiarato la manifesta infondatezza della
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 97, comma 3, del
d.P.R.   10  gennaio  1957,  n. 3  -  secondo  cui  «il  procedimento
disciplinare  deve avere inizio, con la contestazione degli addebiti,
entro  180  giorni  dalla  data  in  cui  e' divenuta irrevocabile la
sentenza  definitiva di proscioglimento od entro 40 giorni dalla data
in  cui  l'impiegato abbia notificato all'amministrazione la sentenza
stessa»  -  relativamente alla parte in cui non prevede, a carico dei
responsabili  degli  uffici  giudiziari,  un  obbligo di trasmissione
della  notizia dell'irrevocabilita' della sentenza di proscioglimento
alla   pubblica   amministrazione   di  appartenenza  del  dipendente
sottoposto  a procedimento penale; questione sollevata in riferimento
agli artt. 3 e 97 della Costituzione.
    Il  quadro  normativo,  tuttavia,  appare  cambiato  proprio  per
effetto  della  legge  n. 97/2001,  la  quale,  all'art.  3, comma 3,
prevede  che,  «in caso di proscioglimento o di assoluzione anche non
definitiva,   l'amministrazione,   sentito  l'interessato,  adotta  i
provvedimenti   consequenziali   nei   dieci  giorni  successivi»;  a
decorrere  pero'  sempre dalla «comunicazione della sentenza, anche a
cura dell'interessato».
    5.  -  La questione di illegittimita' costituzionale e' rilevante
ai  fini della decisione della controversia per cui e' causa. Data la
natura  perentoria  del  termine  entro  cui  deve essere iniziato il
procedimento  disciplinare  (Cons.  Stato,  questa sezione, 18 aprile
2000,  n. 2313  e  sez.  IV,  18  aprile  1994,  n. 341, anche se con
riguardo  al  termine  di  centottanta  giorni previsto dall'art. 97,
comma  3,  del  d.P.R.  n. 3/1957,  che  concerne  le sole ipotesi di
assoluzione  o  proscioglimento  e  non  anche  i  casi  di  sentenza
irrevocabile  di  condanna),  se  l'art.  10,  comma  3,  della legge
n. 97/2001  fosse  considerato  non  conforme a costituzione, secondo
quanto   prospettato  dalla  sezione,  il  procedimento  disciplinare
sarebbe  iniziato tempestivamente; poiche' la sentenza di condanna e'
stata  comunicata  all'Universita'  degli studi di Roma «La Sapienza»
solo in data 14 maggio 2002. Altrimenti, il procedimento disciplinare
dovrebbe   ritenersi   iniziato   in   ritardo,  con  la  conseguente
illegittimita'   dei  provvedimenti  impugnati  in  primo  grado  per
violazione dell'art. 10, comma 3, della legge n. 97/2001.
    6.  - Va quindi rimessa alla Corte costituzionale la questione di
illegittimita'  costituzionale  dell'art. 10,  comma  3,  della legge
n. 97/2001,  con  riferimento agli art. 3 e 97, comma 1, della cost.,
nella parte in cui, con riguardo ai soli fatti commessi anteriormente
alla  data di entrata in vigore della legge medesima, fa decorrere il
termine  per  l'instaurazione  del  procedimento  disciplinare  dalla
conclusione  del procedimento penale con sentenza irrevocabile e non,
invece,   dalla   comunicazione  della  sentenza  all'amministrazione
competente per il procedimento disciplinare.