Ricorso della Regione autonoma della Sardegna, in persona del suo
presidente  pro  tempore  on.  Mauro Pili, giusta deliberazione della
giunta 1° agosto 2003 (n. 25/15) rappresentata e difesa, in virtu' di
procura  a margine del presente atto, anche disgiuntamente, dal prof.
avv.  Sergio  Panunzio  del Foro di Roma e dall'avv. Graziano Campus,
direttore   generale   dell'area   legale   dell'ente,  elettivamente
domiciliata  presso  il  primo,  in  Roma, corso Vittorio Emanuele II
n. 284;

    Contro  la  Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del
Presidente   del   Consiglio   in   carica;   per   la  dichiarazione
d'incostituzionalita' dell'art. 1, commi 4, 5 e 6; dell'art. 5, commi
1  e  2;  dell'art.  6,  commi  1,  2,  3  e 5; dell'art. 7, comma 1;
dell'art. 8, commi 1-4; e dell'art. 10, comma 5, della legge 5 giugno
2003,     n. 131    (recante    «Disposizioni    per    l'adeguamento
dell'ordinamento   della  Repubblica  alla  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3»).

                              F a t t o

    1. -   Dopo  una lunga attesa, e' stata approvata una delle leggi
ordinarie  che  debbono  dare  attuazione alla revisione del titolo V
della   parte  II  della  Costituzione,  gia'  disposta  dalla  legge
costituzionale  18 ottobre 2001, n. 3. Si tratta della legge 5 giugno
2003,   n. 131  (c.d.  legge  «La  Loggia»,  dal  nome  del  Ministro
proponente).
    Di  tale  legge  vengono  qui  in evidenza - ai fini del presente
ricorso - i seguenti articoli.
    2.1.   -   L'art. 1   della  legge  n. 131  del  2003  disciplina
l'attuazione  dell'art. 117,  commi  1  e  3 della Costituzione (come
modificato  dalla  legge costituzionale n. 3/2001): in particolare il
comma   4   riguarda   la  potesta'  legislativa  regionale  di  tipo
«concorrente»  e  la  problematica  relativa  alla individuazione dei
relativi  «principi  fondamentali» di competenza della legge statale;
mentre  il  comma 5  riguarda la individuazione delle disposizioni di
leggi di competenza esclusiva dello Stato, ma che riguardino pero' la
competenza legislativa regionale «concorrente».
    In  particolare  il  comma  4  dell'art. 1, al fine di «orientare
l'iniziativa legislativa dello Stato e delle regioni fino all'entrata
in  vigore  delle  leggi con le quali il Parlamento definira' i nuovi
principi fondamentali», conferisce una delega al Governo per adottare
entro  un  anno «uno o piu' decreti legislativi meramente ricognitivi
dei  principi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti, nelle
materie  previste  dall'art. 117,  terzo  comma, della Costituzione»,
attenendosi  ai  principi  indicati  dallo  stesso comma 4 («principi
della   esclusivita',  adeguatezza,  chiarezza,  proporzionalita'  ed
omogeneita»),  e  ad  una serie di «criteri direttivi» elencati nelle
lettere da a) ad e) del successivo comma 6 dello stesso art. 1.
    A  sua  volta  il  successivo comma 5 stabilisce che «Nei decreti
legislativi  di cui al comma 4, sempre a titolo di mera ricognizione,
possono  essere  individuate le disposizioni che riguardano le stesse
materie  ma  che  rientrano  nella competenza esclusiva dello Stato a
norma dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione».
    2.2.  - L'art. 5 della legge «La Loggia» reca norme in materia di
«Attuazione   dell'art. 117,   comma   5,  della  Costituzione  sulla
partecipazione delle regioni in materia comunitaria».
    Il primo comma dell'art. 5 disciplina il concorso delle Regioni e
delle  Province  autonome  di  Trento e Bolzano alla formazione degli
atti  comunitari, nelle materie di loro competenza. In particolare vi
si  stabilisce  che, a tale scopo, esse partecipano, «... nell'ambito
delle  delegazioni  del  Governo,  alle attivita' del Consiglio e dei
gruppi  di  lavoro  e  dei comitati del Consiglio e della Commissione
europea,  secondo  modalita'  da  concordare  in  sede  di Conferenza
Stato-regioni  che tengano conto della particolarita' delle autonomie
speciali e, comunque, garantendo l'unitarieta' della rappresentazione
della  posizione italiana da parte del capo delegazione designato dal
Governo.  Nelle  delegazioni  del  Governo  deve  essere  prevista la
partecipazione  di  almeno  un rappresentante delle Regioni a statuto
speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano».
    Il  successivo  secondo  comma del medesimo art. 5 stabilisce poi
che  «Nelle  materie  di competenza legislativa delle regioni e delle
Province  autonome  di  Trento e di Bolzano, il Governo puo' proporre
ricorso  dinanzi  alla  Corte  di  giustizia  delle Comunita' europee
avverso  gli  atti normativi comunitari ritenuti illegittimi anche su
richiesta  di una delle regioni o delle province autonome. Il Governo
e'  tenuto  a  proporre tale ricorso qualora esso sia richiesto dalla
Conferenza Stato-regioni a maggioranza assoluta delle regioni e delle
province autonome».
    2.3.  - L'art. 6 della legge «La Loggia» reca norme in materia di
attuazione  dell'art. 117,  quinto  e  nono comma, della Costituzione
sull'attivita' internazionale delle regioni.
    Dopo avere trattato - rispettivamente nel primo e secondo comma -
dell'attivita'   delle   regioni   e  province  autonome  volta  alla
attuazione  ed esecuzione degli accordi internazionali ratificati, ed
a  quella relativa alla conclusione, con enti territoriali interni ad
altro  Stato,  di intese dirette a favorire il loro sviluppo, ed allo
svolgimento  di  «attivita' di mero rilievo internazionale», al terzo
comma l'impugnato  art. 6  detta  una  disciplina degli accordi che i
medesimi enti possono concludere con altri Stati.
    In particolare vi si prevede che tali enti, nelle materie di loro
competenza,  possono  concludere  accordi esecutivi ed applicativi di
accordi   internazionali   gia'   in   vigore,   accordi   di  natura
tecnico-amministrativa,  ed  accordi di natura programmatica, purche'
nel  rispetto,  oltre  che  dei  limiti gia' stabiliti dall'art. 117,
commi  1  e 3, della Costituzione, anche dei vincoli derivanti «dalle
linee  e dagli indirizzi di politica estera italiana». A questo scopo
il  terzo  comma  dell'art. 6  disciplina una complessa procedura che
prevede,  fra l'altro, la comunicazione delle trattative al Ministero
degli  affari  esteri  ed alla Presidenza del Consiglio; la eventuale
fissazione  da parte del Ministero degli esteri di principi e criteri
da  seguire  nei negoziati; qualora questi si svolgano all'estero, la
collaborazione  delle  rappresentanze  diplomatiche  e  degli  uffici
consolari  italiani.  E  vi  si  prevede,  infine,  che  prima  della
sottoscrizione  il  progetto  di  accordo  deve  essere comunicato al
Ministero degli esteri il quale, dopo avere sentito la Presidenza del
Consiglio  ed  avere  accertato  «...  l'opportunita'  politica  e la
legittimita'  dell'accordo, ai sensi del presente comma, conferisce i
pieni poteri di firma previsti dalle norme del diritto internazionale
generale  e  dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del
23   maggio  1969,  ...  Gli  accordi  sottoscritti  in  assenza  del
conferimento di pieni poteri sono nulli».
    Tale disciplina e' a sua volta integrata da quella dei successivi
commi 5 e 6 del medesimo art. 6.
    Infatti,  il  comma  5  attribuisce  al  Ministro degli esteri il
potere  di  rappresentare  in  ogni  momento  alle regioni e province
autonome «questioni di opportunita' politica inerenti le attivita' di
cui  ai  commi  1  e  3 e derivanti dalle scelte e dagli indirizzi di
politica  estera  dello  Stato  e,  in  caso  di dissenso, sentita la
Presidenza del Consiglio ... chiedere che la questione sia portata in
Consiglio  dei  ministri  che,  con l'intervento del presidente della
giunta   regionale   o   provinciale   interessato,   delibera  sulla
questione».
    Infine,  il  comma  6 stabilisce che «In caso di violazione degli
accordi  di  cui  al comma 3, ferma restando la responsabilita' delle
regioni  verso  lo  Stato,  si applicano le disposizioni dell'art. 8,
commi  1, 4 e 5, in quanto compatibili» (cioe', come ora si dira', il
potere  sostitutivo  di  cui  all'art. 120 della Costituzione, la cui
disciplina attuativa e' appunto contenuta nell'art. 8 della legge «La
Loggia»).
    2.4. - L'art. 7 della legge «La Loggia» disciplina la «Attuazione
dell'art. 118  della  Costituzione  in  materia  di  esercizio  delle
funzioni amministrative».
    Ai  fini del presente ricorso rileva in particolare modo il primo
comma  il  quale - con riferimento a quanto stabilito dal primo comma
del  nuovo  art. 118  Cost.  circa  l'attribuzione  ai  comuni  delle
funzioni  amministrative -  stabilisce  che  «Lo  Stato e le regioni,
secondo  le rispettive competenze, provvedono a conferire le funzioni
amministrative  da  loro  esercitate  alla  data di entrata in vigore
della  presente  legge,  sulla  base  dei principi di sussidiarieta',
differenziazione   e  adeguatezza,  attribuendo  a  province,  citta'
metropolitane,  regioni  e  Stato  soltanto  quelle  di  cui  occorra
assicurare l'unitarieta' di esercizio, ...».
    2.5.  -  L'art. 8  della  legge  n. 131 del 2003 reca norme sulla
«Attuazione dell'art. 120 della Costituzione sul potere sostitutivo».
    E'  noto  il  dibattito  avutosi  in  dottrina  circa  il  potere
sostitutivo  affidato  al  Governo  dal  revisionato  art. 120  della
Costituzione: se esso sia limitato alla funzione amministrativa, o se
invece esso sia da intendersi come comprensivo di sostituzioni in via
normativa,  nelle  forme  di  un  atto  con forza di legge «atipico»,
operante   con   presupposti   e  forme  diversi  rispetto  a  quelli
dell'art. 77 della Costituzione. Al riguardo l'art. 8 in questione ha
optato decisamente per la seconda tesi.
    Infatti il primo comma dell'art. 8 stabilisce che «Nei casi e per
le   finalita'   previsti   dall'art. 120,   secondo   comma,   della
Costituzione   ...»  -  e  dopo  che  sia  stato  assegnato  all'ente
interessato  un  congruo termine per provvedere, che tale termine sia
decorso  inutilmente,  e  che  l'organo interessato sia stato su cio'
sentito  -  il  Consiglio  dei ministri «... su proposta del Ministro
competente  o  del  Presidente  del  Consiglio dei ministri, adotta i
provvedimenti  necessari,  anche normativi, ovvero nomina un apposito
commissario.  Alla  riunione  del Consiglio dei ministri partecipa il
presidente  della  giunta  regionale  della  regione  interessata  al
provvedimento».
    Il   successivo  comma 2  dell'art. 8  integra  poi  la  suddetta
disciplina  con  una  disposizione  particolare (attuativa del quinto
comma  dell'art. 117  Cost.)  secondo  cui  «Qualora  l'esercizio del
potere  sostitutivo si renda necessario al fine di porre rimedio alla
violazione  della  normativa comunitaria, gli atti ed i provvedimenti
di  cui  al  comma 1  sono  adottati  su  proposta del Presidente del
Consiglio  dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e
del  Ministro  competente  per materia. L'art. 11 della legge 9 marzo
1989, n. 86, e' abrogato».
    Infine,  il comma 4 del medesimo art. 8 disciplina l'ipotesi piu'
particolare  in  cui,  oltre  che  l'inerzia  dell'ente  territoriale
competente a provvedere (come al comma 1) vi sia anche una situazione
di  «assoluta  urgenza». Recita infatti il quarto comma che «Nei casi
di   assoluta  urgenza,  qualora  l'intervento  sostitutivo  non  sia
procrastinabile  senza  mettere  in  pericolo  le  finalita' tutelate
dall'art. 120  della  Costituzione,  il  Consiglio  dei  ministri, su
proposta del Ministro competente, anche su iniziativa delle regioni o
degli  enti  locali,  adotta  i  provvedimenti  necessari,  che  sono
immediatamente   comunicati  alla  Conferenza  Stato-regioni  o  alla
Conferenza    Stato-citta'   e   autonomie   locali,   allargata   ai
rappresentanti  delle  comunita'  montane,  che  possono chiederne il
riesame».
    2.6.  -  Infine, l'art. 10 della legge «La Loggia» reca norme sul
«Rappresentante  dello  Stato  per  i  rapporti  con il sistema delle
autonomie».
    Dopo  avere  disciplinato  nei  primi  quattro  commi funzioni ed
organizzazione   dei  «rappresentanti»  in  questione  con  esplicito
riferimento alle regioni a statuto ordinario (nelle quali la funzione
di  rappresentante  dello  Stato  per i rapporti con il sistema delle
autonomie  e'  svolto  dal prefetto preposto all'ufficio territoriale
del  Governo  avente  sede  nel capoluogo regionale), il quinto comma
dell'art. 10  stabilisce  che  «Nelle  regioni  a statuto speciale le
funzioni  del rappresentante dello Stato ai fini della lettera d) del
comma  2  sono  svolte  dagli  organi  statali a competenza regionale
previsti  dai  rispettivi  statuti,  con  le  modalita'  definite  da
apposite norme d'attuazione». La richiamata lettera d) attribuisce al
rappresentante   dello   Stato  «l'esecuzione  di  provvedimenti  del
Consiglio  dei  ministri costituenti esercizio del potere sostitutivo
di  cui  all'art. 120  della  Costituzione,  avvalendosi degli uffici
territoriali del Governo e degli altri uffici statali aventi sede nel
territorio regionale».
    3. - Cosi'  come la disciplina contenuta nel titolo V della parte
II  della  Costituzione  non  si  applica,  di massima alle regioni a
statuto  speciale,  lo  stesso si deve dire per la legge ordinaria di
attuazione  di  quella  disciplina  costituzionale:  appunto la legge
n. 131  del  2003.  Cio' sembrerebbe trovare conferma nel primo comma
dell'art. 11  di  tale legge, dove e' stabilito che «Per le regioni a
statuto  speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano resta
fermo  quanto  previsto  dai  rispettivi  statuti  speciali  e  dalle
relative   norme   d'attuazione,  nonche'  dall'art. 10  della  legge
costituzionale 18 ottobre 2002, n. 3».
    Peraltro  e' noto, altresi', che in base all'art. 10 della appena
richiamata  legge  costituzionale  n. 3 del 2001, e fino a quando gli
statuti  speciali  non saranno stati adeguati alla riforma del titolo
V,  le  nuove  norme  costituzionali  contenute  in  quest'ultimo  si
applicano  anche alle regioni a statuto speciale «per le parti in cui
prevedono  forme  di  autonomia  piu'  ampie  rispetto  a quelle gia'
attribuite».   Ne   discende   che,   cosi'   come   le  disposizioni
costituzionali che risultano applicabili in base alla norma di rinvio
dell'art. 10  della  legge  costituzionale  n. 3  del  2001,  saranno
parimenti  applicabili  alle  regioni  a statuto speciale le relative
disposizioni  attuative  contenute  nella  legge ordinaria n. 131 del
2003.
    Non  solo.  La  stessa  legge  «La  Loggia»,  in  molte delle sue
disposizioni   (anche   in  quelle  dianzi  riportate)  si  riferisce
espressamente  anche alle regioni a statuto speciale ed alle province
autonome.
    In conclusione, dunque, e' indubbio che la disciplina della legge
n. 131  del  2003  risulta  essere  in  parte  applicabile anche alle
regioni a statuto speciale ed alle province autonome. Ma nella misura
in  cui  essa lo e', e relativamente alle specifiche disposizioni che
si  sono  in  precedenza  richiamate,  tale  legge lede le competenze
costituzionalmente  spettanti  alla  Regione autonoma della Sardegna,
onde questa la impugna, per i seguenti motivi di

                            D i r i t t o

    1. -    Incostituzionalita'   delle   disposizioni   dell'art. 1,
commi 4,  5  e  6  della  legge 5 giugno 2003, n. 131, per violazione
delle   competenze   regionali   di   cui   al   combinato   disposto
dell'art. 117, comma 3, della Costituzione e dell'art. 10 della legge
cost.  n. 3  del  2001  (nonche',  per  quanto  di  ragione,  di  cui
all'art. 4   dello   Statuto   speciale  per  la  Regione  Sardegna);
dell'art. 11  della  suddetta  legge  costituzionale n. 3 del 2001; e
dell'art. 76 Cost.
    1.1.  -  Con riserva di argomentare piu' ampiamente le censure in
una  successiva  memoria, veniamo ora a dedurre vizi che inficiano le
disposizioni  legislative  impugnate.  A  cominciare dalla disciplina
contenuta nell'art. 1 della legge «La Loggia».
    Come  si  e' gia' visto, il quarto comma dell'art. 1 contiene una
delega  al Governo ad adottare dei decreti legislativi che dovrebbero
essere  «meramente  ricognitivi  dei  principi  fondamentali  che  si
traggono  dalle  leggi  vigenti nelle materie previste dall'art. 117,
terzo  comma,  della  Costituzione».  Il primo interrogativo che pone
tale disposizione e' se abbia una plausibilita' ed un senso giuridici
parlare di una mera ricognizione fatta con un atto con forza di legge
del Governo.
    A nostro avviso la risposta all'interrogativo non puo' che essere
negativa.  In  primo  luogo  si  potrebbe  osservare che in tal senso
milita  gia' la circostanza che se si trattasse realmente di una mera
ricognizione  di  principi  gia'  autonomamente  esistenti  la delega
sarebbe del tutto inutile. Infatti gli atti di esercizio della delega
non  noverebbero  la  fonte  dei principi da essi «riconosciuti»; ne'
essi  sarebbero  in grado - diversamente da quello che sembrerebbe lo
scopo   dichiarato   della   delega   («per   orientare  l'iniziativa
legislativa dello Stato e delle regioni ...») - di evitare incertezze
e  contrasti interpretativi fra lo Stato e le regioni. Questo perche'
-  nonostante  la  procedura  «collaborativa» con la quale i principi
fossero  individuati  dal  Governo  -  i  legislatori  regionali  non
sarebbero  (ne'  avrebbero motivo di sentirsi) vincolati dai principi
fondamentali  individuati in via «meramente ricognitiva». Quindi - in
definitiva  -  sarebbe  sempre  codesta  ecc.ma  Corte costituzionale
(soprattutto  in  sede  di  giudizio di costituzionalita' delle leggi
regionali  impugnate  dal Governo perche' ritenute in contrasto con i
principi   fondamentali  gia'  individuati  dal  medesimo)  a  dovere
stabilire  se  il  principio  esiste  e quale ne sia il suo effettivo
contenuto  precettivo;  ovvero,  seguendo  un'ipotesi  ulteriore,  ad
annullare  i  principi  «individuati»  dal Governo, ma in realta' non
corrispondenti a principi fondamentali preesistenti.
    Del  resto,  se  si  trattasse  di  mera ricognizione di principi
esistenti,  non  c'era  bisogno  di  una  delega legislativa, essendo
sufficiente un atto del Governo privo di forza di legge.
    Il   problema  nasce  soprattutto  dal  fatto  che  il  carattere
meramente «ricognitivo» dei decreti legislativi in questione e' assai
difficilmente  sostenibile,  per  motivi  sia  logico-dogmatici,  che
testuali.   I  principi,  infatti,  non  sono -  se  ci  si  consente
l'espressione  -  «cose» che il Governo potrebbe trovare gia' belle e
fatte  «rovistando»  nell'ordinamento  legislativo.  I  principi  non
scritti,  infatti,  sono  sempre  ed  inevitabilmente  il  frutto  di
un'attivita'  ermeneutica che e' inevitabilmente intrisa di scelte di
valore.
    Per  di  piu',  nel  caso  in questione, la predeterminazione dei
principi  e  criteri  direttivi  cui  si dovrebbe attenere il Governo
nell'esercizio  della delega (i primi contenuti nello stesso comma 4,
i  secondi  nel  successivo  comma 6 mal si concilia con un'attivita'
meramente    ricognitiva,   ma   implica   piuttosto   il   carattere
sostanzialmente   legislativo  e,  quindi,  «innovativo»  del  potere
conferito   al  Governo.  Cio'  e'  particolarmente  evidente  se  si
considera  lo  specifico contenuto di alcuni di essi: per esempio, si
pensi  ai  principi  della  «adeguatezza»  o  della «proporzionalita»
(comma 4),   e   ad   un   criterio  direttivo  quale  e'  quello  di
«salvaguardare  la  potesta' legislativa riconosciuta alle regioni ai
sensi  dell'art. 117,  terzo  comma, della Costituzione» (cioe', come
diceva  in  modo  meno ambiguo, ma sostanzialmente corrispondente, il
testo originario del disegno di La Loggia, «... in modo da richiedere
disposizioni applicative regionali»).
    Riservandoci  (come gia' detto in precedenza) di ritornare in una
successiva  memoria  su  questi  aspetti  di fondo della problematica
evocata dall'art. 1 della legge «La Loggia», in realta' e' proprio la
«forza  di  legge» che caratterizza i decreti legislativi delegati in
base a Costituzione cio' che osta a considerare i decreti legislativi
in  questione  come meramente ricognitivi. Nella «forza di legge» che
e'  propria  di  quei  decreti, infatti, e' strutturalmente insito un
carattere  innovativo-creativo  che  la legge di delegazione non puo'
certo  «sterilizzare»  (poiche'  la legge ordinaria non puo' disporre
della   «forza   di   legge»,   essendo  cio'  riservato  alle  fonti
costituzionali).  Per  cui,  in  definitiva,  la formula  della «mera
ricognizione»  impiegata  dalla  legge  impugnata  risulta  essere in
realta',  al di la' delle parole, un espediente impiegato per cercare
di  superare  la  troppo palese incostituzionalita' di una delega che
avesse avuto ad oggetto la «determinazione» dei principi fondamentali
(delega  di  cui si era inizialmente discusso, subito dopo la riforma
del  titolo  V).  Ma si tratta, appunto, di un espediente verbale che
non  puo'  mutare  la  sostanza  delle  cose: la quale porta a dovere
riconoscere il carattere inevitabilmente anche innovativo dei decreti
legislativi in questione.
    1.2.  -  Sulla  base di quanto si e' detto in precedenza, si puo'
passare   ad   indicare   sinteticamente   quali   siano  i  vizi  di
incostituzionalita'  del  quarto comma dell'art. 1 della legge n. 131
del 2003.
    1.2.1.  -  La  incostituzionalita'  deriva, in primo luogo, dalla
violazione  della  riserva  di legge formale del Parlamento (e per di
piu' di legge approvata in Assemblea).
    Infatti,  secondo  l'art. 11, comma 2, della legge costituzionale
n. 3  del  2001 i progetti di legge che riguardano «le materie di cui
al terzo comma dell'art. 117 ...» (e quindi soprattutto i progetti di
legge  statale  riguardanti  i  «principi fondamentali») non soltanto
debbono  essere  esaminate  dalla  Commissione  parlamentare  per  le
questioni  regionali  (di cui al precedente comma 1 dell'art. 11), ma
qualora  la  Commissione  che  ha svolto l'esame del progetto in sede
«referente»  non si sia adeguata al parere dato dalla Commissione per
le  questioni  regionali,  in  tal caso sul progetto «... l'Assemblea
delibera a maggioranza assoluta dei suoi componenti».
    Tanto  basta  a  dimostrare in modo inequivocabile che la vigente
disciplina  costituzionale esclude che la individuazione dei principi
fondamentali   di  cui  al  terzo  comma  dell'art. 117  Cost.  possa
costituire   oggetto   di   una   delega  legislativa,  potendo  tale
individuazione essere fatta solo dal Parlamento.
    Ma  in  ultima  istanza  si  consideri  anche che la formulazione
dell'art. 11, comma 2, della legge costituzionale n. 3 del 2001 («...
progetto  di  legge  riguardante  le  materie  di  cui al terzo comma
dell'art. 117  ...»)  e' tale per cui la riserva di legge formale del
Parlamento  non  puo' essere esclusa neppure dal riconoscimento di un
carattere meramente «ricognitivo» dei decreti legislativi delegati in
questione.
    1.2.2. - In secondo luogo, la disciplina legislativa impugnata e'
incostituzionale  anche  perche'  viola l'art. 76 della Costituzione.
Quest'ultimo,  infatti, richiedendo che la legge di delega stabilisca
i   principi   che   dovranno   guidare  e  limitare  sostanzialmente
l'attivita'  del  Governo  relativamente  al contenuto degli emanandi
decreti  legislativi, rende incongrua e contraddittoria una delega al
Governo    per    la   individuazione-determinazione   dei   principi
fondamentali.  In  altri termini, nelle materie di cui al terzo comma
dell'art. 117  Cost.  spetta  allo  Stato proprio e solo quella parte
della legislazione che non puo' costituzionalmente essere delegata al
Governo (F. Bassanini, sub art. 1, commi 2-6, in AA.VV., La legge «La
Loggia». Commento alla legge 5 giugno 2003, n. 131, Maggioli, Rimini,
2003)  . E si puo' anche osservare che - come ha rilevato A. D'Atena,
Legislazione   concorrente,   principi  impliciti  e  delega  per  la
formulazione  dei  principi  fondamentali,  nel  sito internet www.2.
unife.it/forumcostituzionale - in questo caso i principi della delega
«...  (i  principi  -  se  cosi'  puo'  dirsi - al quadrato), essendo
finalizzati   alla   formulazione   di   altri  principi,  verrebbero
fatalmente  ad  assumere  un carattere di assoluta evanescenza (tanto
piu'  se  - come nella specie - dovessero riferirsi ad una ventina di
materie diverse, fortemente eterogenee l'una dall'altra)».
    Quanto poi, in particolare, al principio della «esclusivita» (che
ha sostituito quello che nel testo originario del disegno di legge La
Loggia era il principio di «completezza»), se esso ha lo scopo - come
viene  per  lo  piu'  affermato - di impedire al Governo di impugnare
leggi  regionali  adducendo  la  violazione  di principi fondamentali
diversi  da  quelli  identificati  nei  decreti  legislativi delegati
«meramente  ricognitivi», cio' costituisce allora, in primo luogo, la
dimostrazione che principi come questo non sono in realta' diretti ad
indirizzare  (ne',  tanto  meno,  a  limitare) sostanzialmente - come
invece dovrebbero - l'attivita' del Governo volta alla individuazione
del  contenuto  dei principi fondamentali relativi alle varie materie
di competenza concorrente.
    In  secondo  luogo,  se quello e' il significato del principio di
«esclusivita»   (ma   quale  altro  potrebbe  essere?),  cio'  sta  a
confermare ulteriormente l'impossibilita' di attribuire agli emanandi
decreti  legislativi  un  carattere «meramente ricognitivo». Infatti,
posto  che i principi fondamentali esistono (e trovano la loro fonte)
al  di  fuori  dei decreti legislativi delegati in questione (appunto
solo  ricognitivi  della  loro  esistenza),  se in concreto una legge
regionale violasse un principio fondamentale in realta' esistente, ma
non  individuato  nei  decreti  legislativi ricognitivi in questione,
come  potrebbe  negarsi  al  Governo  il  potere  di  impugnarlo? Per
negarglielo   occorrerebbe  affermare  che  i  principi  fondamentali
vigenti  (fino  all'entrata  in  vigore  delle future leggi con cui -
secondo   quanto   previsto   nel  primo  periodo  del  quarto  comma
dell'art. 1 qui impugnato - «il Parlamento definira' i nuovi principi
fondamentali»)   sono   soltanto   quelli   individuati  dai  decreti
legislativi  «meramente ricognitivi»: decreti che dunque, in realta',
non  sarebbero «meramente ricognitivi», ma avrebbero invece novato la
fonte  dei  principi  fondamentali preesistenti (rendendo inofficiosi
quelli non espressamente «riconosciuti» nei decreti medesimi).
    1.3.   -   La   incostituzionalita'   del   successivo   comma  5
dell'impugnato  art. 1  della legge n. 131 del 2003 e' conseguente, e
comunque  strettamente connessa, alla incostituzionalita' del comma 4
(e del collegato comma 6) di cui si e' trattato in precedenza.
    L'oggetto  della  delega  del  quinto  comma  e' diverso rispetto
all'oggetto  della  delega  del  quarto  comma:  non piu' i «principi
fondamentali»  relativi alle materie di competenza concorrente, ma le
disposizioni legislative statali «che riguardano le stesse materie ma
che   rientrano  nella  competenza  esclusiva  dello  Stato  a  norma
dell'art. 117,  secondo  comma,  della  Costituzione».  Identici sono
invece  gli  atti  di  esercizio  della  delega  («gli stessi decreti
legislativi   di   cui  al  comma  4»),  e  comune  e'  il  carattere
asseritamente  di  «mera  ricognizione»  che  dovrebbe avere anche la
individuazione di queste ultime disposizioni.
    Pertanto,   valgono   anche  a  proposito  della  disciplina  del
comma quinto  le  considerazioni critiche circa l'implausibilita' del
preteso  carattere  meramente  ricognitivo  dei  decreti  legislativi
delegati  di cui al comma quarto (supra, n. 1.1.); e valgono in parte
anche  per  il  comma  quinto le censure gia' dedotte in relazione al
comma  quarto:  in  particolare  quelle  relative alla mancanza nella
legge  di  delega  di  principi  realmente  idonei  ad  indirizzare e
limitare   l'esercizio   del   potere  delegato  al  Governo  (supra,
n. 1.2.2.).
    Ma nel caso della delega di cui al quinto comma il vizio relativo
alla  mancanza  di principi e criteri direttivi nella legge di delega
e' ancora piu' grave ed evidente.
    Infatti,  se  anche  il  rinvio - contenuto nel quinto comma - ai
«...  decreti  legislativi  di cui al comma 4» potrebbe essere inteso
(ma  solo  implicitamente)  come  comprensivo  dei principi direttivi
della delega in esso contenuti, resterebbero pero' estranei al rinvio
i criteri direttivi di cui al comma sesto. Ma in realta', se anche si
potesse ritenere che il rinvio abbraccia pure i criteri direttivi del
sesto  comma,  nel caso della delega del quinto comma il problema del
difetto  dei  principi  e  criteri  direttivi  non sarebbe in realta'
risolto.
    Il  vizio  insuperabile sta altrove: precisamente nel fatto che i
principi e criteri direttivi di cui ai commi quattro e sei riguardano
in realta' solo la individuazione dei principi fondamentali di cui al
comma 4,  ma  non  riguardano  minimamente  la  individuazione  delle
«disposizioni» legislative statali di cui al comma 5.
    Gia'  si e' detto in precedenza come e perche', in relazione alla
delega  di  cui  al  comma 4, vi sia una grave carenza sostanziale di
principi  direttivi.  Ma,  bene o male (piu' male che bene come si e'
detto!),  almeno  formalmente  essi  sono  enunciati nei commi 4 e 6.
Viceversa,  nel  caso  della  delega contenuta nel comma 5 si ha che:
a) il  quinto comma tace sui principi e criteri direttivi, ne' rinvia
espressamente a quelli dei commi 4 e 6; b) avendo la delega del comma
5  un  oggetto  diverso  rispetto  a  quella del comma 4 i principi e
criteri  direttivi  relativi a quest'ultima non possono fungere anche
da principi e criteri direttivi per la delega del comma 5.
    Si  badi  che  la  qui  asserita  impossibilita'  di utilizzare i
medesimi  principi  e  criteri  direttivi in relazione a due distinte
deleghe  aventi  un oggetto diverso si fonda su valutazioni di ordine
sostanziale.  Il problema non sta tanto, o soltanto, nel fatto che le
due deleghe abbiano un oggetto diverso; ma sta invece soprattutto nel
fatto  che  i  principi e criteri direttivi di cui ai commi 4 e 6, se
pure sono del tutto insoddisfacenti (per i motivi gia' illustrati) ai
fini  della  delega  del  quarto  comma dell'art. 1,  sono  del tutto
inutilizzabili ai fini della delega del quinto comma.
    Infatti  e'  del  tutto palese che i principi e criteri direttivi
del  quarto e quinto comma sono stati scritti pensando esclusivamente
alla  «ricognizione»  dei  soli  principi  fondamentali. Cio' risulta
espressamente  nella  piu' gran parte dei criteri enunciati dal sesto
comma:  in  particolare  lettere a), b) ed e). Ma risulta chiaramente
anche per gli altri criteri e principi: basti pensare, ad esempio, ai
principi  di adeguatezza e di proporzionalita', i quali possono anche
avere   un  senso  in  relazione  alla  individuazione  dei  principi
fondamentali  nelle  materie  di  legislazione concorrente, ma non ne
hanno   alcuno  in  relazione  alla  individuazione  di  disposizioni
legislative statali di dettaglio.
    2. - Incostituzionalita'  dell'art. 5  della legge 5 giugno 2003,
n. 131,   per   violazione   delle   competenze   regionali   di  cui
all'art. 117,  comma  3  e  comma 5, della Costituzione, in relazione
all'art. 10  della  legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; e per
violazione  delle  competenze  regionali  di  cui agli artt. 3, 4 e 6
dello Statuto speciale per la Sardegna e relative norme d'attuazione.
    1.1. - Le nuove norme costituzionali introdotte dalla legge cost.
n. 3/2001  -  che,  come  gia' si e' detto, in base all'art. 10 della
stessa legge cost. si applicano alla Regione autonoma della Sardegna,
fino   all'adeguamento  del  relativo  Statuto  speciale,  in  quanto
prevedano  forme  di  autonomia  piu'  ampie  di  quelle  attualmente
assegnate  dallo  Statuto  medesimo  -  dispongono che, in materia di
«rapporti  internazionali  e  con  l'Unione  europea  delle  Regioni»
(art. 117,  comma 3), lo Stato abbia la potesta' legislativa limitata
ai  soli  principi  fondamentali  (legislazione  concorrente),  e che
spetti dunque alle regioni quella di dettaglio.
    Stabiliscono  inoltre  che  «le Regioni e le Province autonome di
Trento  e Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle
decisioni  dirette  alla formazione degli atti normativi comunitari e
provvedono    all'attuazione    e    all'esecuzione   degli   accordi
internazionali  e  degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle
norme  di  procedura  stabilite  da legge dello Stato ...» (art. 117,
comma 5).
    E'  evidente  che  la  normativa  statale di attuazione del nuovo
titolo  V  avrebbe  dovuto  tenere  conto di entrambe le disposizioni
costituzionali  appena  citate nel dettare la disciplina dei rapporti
delle  regioni con l'Unione europea nelle materie di competenza delle
prime.
    Cio' significa che lo Stato poteva e doveva dettare la disciplina
procedurale  di  massima  nell'ambito  della quale regioni e province
autonome  possano  prendere  parte ai processi decisionali di livello
comunitario,  limitandosi  a  tracciarne  i  principi fondamentali, e
lasciando  invece  alla  disciplina  regionale  (o  provinciale)  gli
aspetti   di   dettaglio   di   detta  partecipazione  (che  attiene,
evidentemente,  ai  «rapporti ... con l'Unione europea delle regioni»
di cui all'art. 117, comma 3, Cost.)
    Al  contrario,  in  pretesa  attuazione  di tali disposizioni, la
legge oggi impugnata, all'art. 5, comma 1, detta una disciplina della
partecipazione delle regioni alla c.d. fase «ascendente» dei processi
decisionali  comunitari  che non si limita ai principi fondamentali e
non lascia alcuno spazio all'intervento di leggi regionali.
    Infatti,  anche laddove il primo comma dell'art. 5 non disciplina
direttamente gli aspetti piu' specifici di detta partecipazione, esso
rimette  la  loro regolamentazione alle decisioni da assumere in sede
di  Conferenza  Stato-regioni:  comunque, la materia e' integralmente
sottratta alla potesta' legislativa regionale, in evidente violazione
del terzo comma dell'art. 117 Cost.
    Cio'  costituisce,  gia'  di  per  se',  motivo di illegittimita'
costituzionale della norma impugnata.
    Per  di  piu', la disciplina della partecipazione delle regioni e
delle   province   autonome   alle  decisioni  sugli  atti  normativi
comunitari  e'  configurata in modo assai riduttivo rispetto a quanto
e'  imposto  dal dettato costituzionale del comma 5 dell'art. 117, ed
e' dunque illegittima per violazione di tale norma costituzionale.
    Quest'ultima,  infatti,  nel  prevedere la diretta partecipazione
dei  suddetti  enti  ai processi decisionali comunitari, riconosce il
diritto delle regioni di concorrere in modo incisivo ed efficace alla
fase  «ascendente» dei processi comunitari. Lo Stato deve, dunque, in
materia,   dettare   una  disciplina  che  garantisca  realmente  una
partecipazione effettiva.
    La  norma  impugnata,  invece,  si  limita  a  disporre  che tale
partecipazione  avvenga  nell'ambito  delle  delegazioni  del Governo
senza introdurre alcuna ulteriore garanzia.
    La  disciplina  dell'art. 5,  comma 1,  della  legge  La  Loggia,
dunque, viola l'art. 117, comma 5, Cost., poiche' la sua formulazione
appare  prevedere  una partecipazione delle regioni scarsamente o per
nulla  incisiva, comunque non idonea a rappresentare efficacemente le
istanze  di  tali  enti; e non assegna alle autonomie territoriali un
ruolo di reale rilievo nel processo decisionale.
    Non  e'  previsto, infatti, alcun meccanismo atto a garantire una
reale  consistenza  del  ruolo  delle  regioni  nell'ambito  di dette
delegazioni  (quali, ad esempio, la previsione di un numero minimo di
rappresentati  regionali;  o  la  prescrizione  che  nelle materie di
legislazione   regionale  esclusiva  le  delegazioni  debbano  essere
composte di soli rappresentanti regionali).
    Resta,  cioe',  sempre  in  primo  piano  la presenza del Governo
statale  anche per le materie di competenza esclusiva regionale, e la
partecipazione  di  regioni  e  province  autonome  avviene  soltanto
attraverso tale «filtro».
      L'art. 5, comma 1, della legge n. 131/2003 prevede altresi' che
nelle materie di cui al quarto comma dell'art. 117 Cost. - che in via
residuale   appartengono  alla  competenza  esclusiva  delle  regioni
ordinarie  -  il Capo delegazione possa essere anche un presidente di
giunta regionale o di provincia autonoma.
    Tale  previsione  appare lesiva delle competenze statutarie della
Regione  autonoma  della Sardegna ed illegittimamente discriminatoria
delle autonomie territoriali speciali rispetto a quelle ordinarie, in
quanto   essa   e'  riferita  soltanto  alle  materie  di  competenza
esclusiva-residuale  delle  regioni  ordinarie  ex art. 117, comma 4,
Cost.  e  non  anche  alle  materie  che  spettano  alla legislazione
primaria  della  regione autonoma della Sardegna in base allo statuto
speciale approvato con L.C. n. 3 del 26 febbraio 1948.
    2.2.  -  Anche  il  secondo  comma  dell'art. 5  impugnato appare
costituzionalmente  illegittimo per violazione delle norme in rubrica
ed, in particolare, del quinto comma dell'art. 117 Cost.
    Tale  disposizione  costituzionale,  infatti,  nel  garantire  la
partecipazione delle regioni e delle province autonome, nelle materie
di  loro  competenza, alla formazione degli atti normativi comunitari
implica   che   tali   enti   debbano,   correlativamente,  avere  la
possibilita'  di  far  valere  eventuali  illegittimita'  degli  atti
medesimi   davanti   agli   organi  competenti  in  sede  comunitaria
(possibilita'  che  i  trattati  comunitari  attribuiscono a ciascuno
Stato membro).
      Alle  regioni  e  alle  province  autonome  deve  quindi essere
riconosciuto  un  canale  di  accesso  alla  Corte  di giustizia, che
consenta   loro  di  agire  -  tramite  il  Governo  italiano  -  per
l'impugnazione degli atti normativi comunitari.
    Del tutto insufficiente e', sul punto, la previsione dell'art. 5,
comma  2, della legge n. 131/2003, poiche' esso si limita a prevedere
la facolta' del Governo di proporre l'azione richiesta dalle regioni.
    Tale   facolta'   e'   tuttavia   rimessa   alla   piu'  assoluta
discrezionalita',  per  non  dire  al  vero  e  proprio arbitrio, del
Governo.
    L'unica  possibilita'  di  vincolare  il  Governo a presentare le
istanze  regionali  davanti  alla  Corte di giustizia e' rimessa alla
richiesta  della  Conferenza  Stato-regioni,  a  maggioranza assoluta
delle regioni e province autonome.
    E'  evidente  come siffatta previsione sia del tutto inadeguata a
garantire l'effettivita' della «partecipazione» delle regioni e delle
province autonome di cui all'art. 117, comma 5, della Costituzione.
    La   richiesta  della  maggioranza  assoluta  vale,  infatti,  ad
escludere  sostanzialmente la possibilita' di una effettiva incidenza
di  regioni e province autonome tutte le volte in cui, ad esempio, la
materia  con  riferimento  alla quale si pone la questione non sia di
competenza  di  tutte  le  regioni,  ma soltanto di alcune di esse, e
quindi  tutte  le  altre  non  hanno  nessun  interesse ad imporre al
Governo di adire Corte di giustizia CE.
      La  previsione,  in  particolare,  lede  in modo assai grave la
regione  autonoma della Sardegna e gli altri enti territoriali dotati
di  autonomia  speciale, poiche' questi, essendo dotati di competenze
legislative,  sia esclusive che concorrenti, anche in materie che non
spettano  invece  alle regioni ordinarie, potrebbero trovarsi in tali
ambiti,   in   netta   «minoranza»   all'interno   della   Conferenza
Stato-regione,  e,  dunque, senza alcuna possibilita' di vincolare il
Governo all'azione in sede comunitaria.
    In  tali  ipotesi, gli enti in parola si troverebbero sforniti di
qualunque   strumento   di  «partecipazione»  in  sede  di  giustizia
comunitaria, dovendosi rimettere totalmente all'arbitrio del Governo.
    Cio'   costituisce   una  evidente  violazione  delle  competenze
provinciali e delle norme costituzionali indicate in rubrica.
    3. - Incostituzionalita'  dell'art. 6  della legge 5 giugno 2003,
n. 131,   per   violazione   delle   competenze   regionali   di  cui
all'art. 117,  comma  3  e  comma 9, della Costituzione, in relazione
all'art. 10  della  legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; e per
violazione  delle  competenze regionali di cui agli artt. 3, 4, 5 e 6
dello Statuto speciale per la Sardegna e relative norme d'attuazione.
    3.1.  -  Come  si  e' ricordato nell'illustrazione del precedente
motivo,  il  terzo  comma  dell'attuale  art. 117  Cost.  affida alla
legislazione  concorrente  dello  Stato e delle regioni la materia di
«rapporti  internazionali  ...  delle regioni»: lo Stato deve, cioe',
limitarsi  alla  fissazione  di  principi fondamentali della materia,
senza   disciplinarla   in   toto,   ma  lasciando  alle  regioni  la
determinazione della disciplina di dettaglio.
    Il  nono  comma  aggiunge,  inoltre,  che  «nelle  materie di sua
competenza  la regione puo' concludere accordi con Stati e intese con
enti  territoriali  interni  ad  altro Stato, nei casi e con le forme
disciplinati da leggi dello Stato».
    La  lettura sistematica delle due disposizioni rende evidente che
la  legge  statale  di  cui  al comma 9, per la disciplina dei casi e
delle  forme  nei  quali le regioni possono procedere alla stipula di
accordi  o intese, dovra' limitarsi a dettare norme di principio, che
lascino il dovuto margine alla regione per la propria disciplina.
    Sotto  tale  profilo,  l'art. 6  della  legge  n. 131/2003 appare
radicalmente  illegittimo,  in  quanto pretende invece di dettare una
disciplina  specifica,  compiuta  ed analitica, sul tema dei rapporti
internazionali delle regioni.
    Peraltro,  anche  a voler accedere ad una diversa interpretazione
della  relazione  tra i due commi appena richiamati, ritenendo che il
contenuto  del comma 9 sia derogatorio rispetto a quanto previsto dal
comma 3  del medesimo articolo, e che, dunque, esso valga a riservare
integralmente  allo  Stato  la  disciplina dei «casi» e delle «forme»
degli  accordi  e  delle  intese  in  questione, e' evidente che tale
deroga   -   in  quanto  tale  -  non  puo'  che  essere  di  stretta
interpretazione.
      La  disciplina  statale  di  dettaglio,  dunque,  non  potrebbe
riguardare  altro  che  i  «casi»  e  le  «forme» degli accordi e non
potrebbe  certamente  coinvolgere altri aspetti. In particolare, essa
non  potrebbe  creare strumenti di ingerenza statale nel merito degli
accordi stessi.
    L'art. 6  della  legge  n. 131/2003,  invece,  va  ben oltre tali
limiti, disponendo una serie di limitazioni sostanziali all'esercizio
del  potere delle regioni di stipulare accordi e intese che finiscono
per  snaturarlo  totalmente, svuotandolo sostanzialmente di qualsiasi
significato,  e  giungendo  ad  eliminare del tutto qualsiasi portata
innovativa   del  comma 9  dell'art. 117,  introdotto  dalla  recente
riforma costituzionale.
    Se,   infatti,   si   puo'   riconoscere,   nell'ambito  di  tale
ricostruzione,  che la legge statale possa limitare i tipi di accordi
che le regioni possono concludere con altri Stati (i «casi») e che ne
possa fissare alcune regole procedurali (le «forme»: v. la tempestiva
comunicazione  delle  trattative  al Ministero degli affari esteri ed
alla Presidenza del Consiglio, o l'esigenza che gli accordi stipulati
ricevano pubblicita), appare, invece, radicalmente inconciliabile con
la  disciplina  dell'art. 117  Cost.,  commi  3 e 9, la previsione da
parte  dell'articolo  impugnato  di  un forte potere di ingerenza nel
merito da parte dello Stato, che si concreta in una serie di istituti
volti  a  eliminare  sostanzialmente il potere di decisione regionale
nei casi previsti.
    In  particolare,  si  fa  riferimento:  alla possibilita', per il
Ministero   degli  affari  esteri,  di  dettare  principi  e  criteri
direttivi  che  la  regione  dovrebbe  seguire  nella  conduzione dei
negoziati (art. 6, comma 3); al necessario coinvolgimento dello Stato
nell'ambito  di  tutto  lo svolgimento dei negoziati, nel caso in cui
questi   si   svolgano  all'estero,  attraverso  l'imposizione  della
«collaborazione»  con  le rappresentanze diplomatiche ed i competenti
uffici  consolari  italiani (art. 6, comma 3); alla necessita' che il
Ministero   degli   esteri   accerti  preventivamente  l'opportunita'
politica  e  la  legittimita'  dell'accordo  (art. 6,  comma 3); alla
possibilita'   che   siano   prospettate  dal  Governo  questioni  di
opportunita'  politica sull'accordo, in qualsiasi momento (e, dunque,
anche  successivamente alla sua stipula) e che in caso di dissenso la
decisione  spetti  esclusivamente  al Consiglio dei ministri (art. 6,
comma 5).
    Si  tratta di una serie di previsioni le quali, come e' evidente,
singolarmente   e  soprattutto  nel  loro  complesso,  finiscono  per
svuotare   completamente   di  significato  il  potere  astrattamente
riconosciuto  alle regioni e alle province autonome di procedere alla
stipula  degli accordi nei «casi» indicati dallo stesso art. 6, comma
3,  della  legge  La  Loggia.  Tutti  casi,  naturalmente, in cui non
vengono  in  rilievo scelte fondamentali di politica estera (che, del
resto,  sono  riservate allo Stato, ex art. 117, comma 2, lettera a),
ma   soltanto   decisioni  di  rilievo  esclusivamente  locale  o  di
importanza  marginale:  accordi  esecutivi  ed applicativi di accordi
internazionali   gia'   entrati   in   vigore;   accordi   di  natura
tecnica-amministrativa; accordi programmatici per favorire il proprio
sviluppo economico, sociale, culturale, ecc.
    Dunque,  le  suddette  disposizioni  dell'art. 6,  comma 3, della
legge   impugnata   sono   illegittime  per  violazione  delle  norme
costituzionali indicate in rubrica.
    3.2.  -  Analoghi rilievi possono essere fatti anche con riguardo
alla  previsione,  sempre  contenuta  nel comma 3, che per la stipula
dell'accordo  sia  necessaria  l'attribuzione  da  parte del Ministro
degli  affari  esteri  dei pieni poteri di firma previsti dalle norme
del diritto internazionale generale e dalla Convenzione di Vienna del
23 maggio 1969, pena la nullita' dell'accordo stesso.
    Si   tratta  di  una  ulteriore  prescrizione  volta  a  limitare
illegittimamente  i  poteri  delle regioni e delle province autonome,
consentendo  una  ingerenza  dello  Stato nel merito dell'accordo, in
violazione della nuova normativa costituzionale in materia.
    A tale scopo la legge impugnata ha utilizzato un istituto, quello
dell'attribuzione  dei  pieni  poteri,  del tutto incongruente con il
tema degli accordi stipulati dalla regioni e dalle province autonome.
    I  pieni  poteri  del  firmatario  sono,  infatti,  richiesti dal
diritto  internazionale  esclusivamente  per  i  trattati  tra Stati,
perche'  questi  possano  dirsi  vincolanti  per gli Stati stessi (v.
artt. 1, 3 e 7 della Convenzione di Vienna adottata il 23 maggio 1969
e ratificata ai sensi della legge 12 febbraio 1974, n. 112).
      Gli  accordi  conclusi  ai sensi dell'art. 117, comma 9, Cost.,
invece,  non  sono,  ovviamente, dei «trattati» tra Stati, poiche' il
soggetto che li stipula non e' lo Stato, ma la regione o la provincia
autonoma. Ne', come tali, essi vincolano lo Stato, ma soltanto l'ente
che  lo  ha  sottoscritto  (non rientrando tali accordi tra quelli in
grado  di costituire un limite alla legislazione interna ex art. 117,
comma 1,  Cost., che possono essere soltanto i trattati ratificati ex
art. 80  Cost.,  in  quanto  solo  questi  ultimi  possono comportare
«modificazioni di leggi» e, dunque, a fortiori vincoli al legislatore
futuro).
    E',   quindi,  del  tutto  priva  di  significato  la  previsione
dell'art. 6,  comma 3,  della  legge  impugnata,  secondo la quale e'
necessario,  a pena di nullita', il conferimento dei pieni poteri per
la stipula di detti accordi.
    Si  tratta soltanto di un ulteriore meccanismo di ingerenza dello
Stato nel merito degli accordi stipulati dagli enti territoriali, nei
casi ad essi consentiti.
    Tale  norma, dunque, come le altre di cui si e' detto sopra, deve
essere dichiarate costituzionalmente illegittima per violazione delle
competenze regionali di cui alle norme in rubrica.
    4. - Incostituzionalita'     delle     disposizioni     impugnate
dell'art. 7,   comma 1,   della  legge  5 giugno  2003,  n. 131,  per
violazione  delle  competenze  regionali di cui al combinato disposto
dell'art. 117,  comma 3,  Cost. e dell'art. 10 della legge cost. n. 3
del  2001 (nonche', per quanto di ragione, di cui agli articoli 3, 4,
5  e  6  dello  Statuto  speciale  per  la  Sardegna e relative norme
d'attuazione).
    La  disciplina  dell'art. 7  impugnato  e'  incostituzionale, per
violazione  delle disposizioni dello Statuto speciale appena citate e
del  principio dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
Infatti  l'applicazione  anche alla Regione ricorrente della suddetta
disciplina  dell'art. 7  (e dello stesso art. 118 della Costituzione)
comporterebbe  una  riduzione  della  sua  autonomia  amministrativa,
stante  che,  in  virtu'  della  clausola  dell'art. 10  della  legge
costituzionale  n. 3  del  2001,  la riforma del titolo V ha comunque
comportato  un  aumento  delle  competenze  della  regione ricorrente
(delle   sue   competenze   legislative  e  parallelamente,  in  base
all'art. 6   dello  Statuto  speciale,  anche  delle  sue  competenze
amministrative),  risulta  impropria  e  pericolosa per le competenze
della  regione  la  formula  impiegata  nel  primo  periodo del primo
comma dell'art. 7    circa    il    «conferimento»   delle   funzioni
amministrative.  Ivi  infatti,  e'  scritta che lo Stato e le regioni
«provvedono a conferire le funzioni amministrative da loro esercitate
alla  data  di entrata in vigore della presente legge, sulla base dei
principi di sussidiarieta', ...».
    Orbene,  in molti casi le funzioni amministrative statali che, in
base   alla   riforma   del  titolo  V  ed  all'art. 10  della  legge
costituzionale  n. 3  del 2001, sono passate nella «titolarita» della
regione  ricorrente  sono  pero'  di fatto, ancora «esercitate» dallo
Stato. In questi casi, allora, l'ambigua formulazione della impugnata
disposizione  del primo periodo del comma 1 dell'art. 7 consentirebbe
allo Stato di «conferire» ad altri enti funzioni amministrative ormai
di  competenza regionale, di cui esso non e' piu' titolare, ma che di
fatto  ancora «esercitava» alla data di entrata in vigore della legge
La Loggia.
    Ne  deriva  la  incostituzionalita' della impugnata disposizione,
nella   parte   in  cui  si  riferisce  all'esercizio  anziche'  alla
titolarita'   delle   funzioni,   salva   la   possibilita'   di  una
interpretazione adeguatrice da parte di codesta ecc.ma Corte.
    5. - Incostituzionalita'     delle     disposizioni     impugnate
dell'art. 8,  commi  da 1 a 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131, per
violazione  delle  competenze  regionali di cui al combinato disposto
dell'art. 117,  comma  3, Cost. e dell'art. 10 della legge cost. n. 3
del  2001; nonche', per quanto di ragione, di cui agli articoli 3, 4,
5  e  56  dello  Statuto  speciale  per la Sardegna, e relative norme
d'attuazione (spec. art. 6 - comma 3, d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348);
e degli articoli 70 e 77 della Costituzione.
    5.1.  -  Mentre  sino  ad oggi il potere sostitutivo del Governo,
sulla  base appunto della giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, era
circoscritto  alle  sole  funzioni  amministrative  delle  regioni  e
provincie autonome, l'art. 8 della legge La Loggia - attuando in modo
scorretto  l'art. 120,  comma  2,  della Costituzione - a quanto pare
riconfigura il potere sostitutivo del Governo estendendolo anche alle
funzioni  normative-legislative delle Regioni gravemente lesivo delle
competenze della regione ricorrente.
    5.2.  - Presupposto della presente impugnazione dell'art. 8 della
legge  La  Loggia  e' dunque che il secondo comma dell'art. 120 della
Costituzione  attribuisca  al  Governo un potere sostitutivo limitato
alle  sole funzioni amministrative delle regioni. Del resto, se cosi'
non   fosse,   in   base   al   principio  dell'art. 10  della  legge
costituzionale  n. 3  del  2001, alla regione autonoma ricorrente non
potrebbe applicarsi ne' la disciplina del secondo comma dell'art. 120
Cost.,  ne'  -  conseguentemente - quella dell'art. 8 della legge qui
impugnata.  In  tal  caso,  infatti,  la  nuova disciplina del potere
sostitutivo stabilita dall'art. 120 della Costituzione - ampliando il
potere  di controllo sostitutivo del Governo, che prima si esercitava
solo  in  relazione  alle  funzioni  amministrative  - restringerebbe
l'autonomia   della   regione  ricorrente,  anziche'  ampliarla  come
richiede  appunto  l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001
perche'  le  nuove disposizioni del titolo V possano applicarsi anche
alle regioni a statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e
Balzano.
    5.3.  -  Com'e'  noto,  e'  dibattuto  in  dottrina  se il potere
sostitutivo   ex   art. 120  Cost.  sia  circoscritto  alla  funzione
amministrativa od invece estesa anche a quella legislativa (da ultimo
ampie   indicazioni   al   riguardo   in  G. Scaccia,  Il  potere  di
sostituzione  in  via  normativa  nella  legge n. 131 del 2003. Prime
note,          pubblicato          nel          sito         internet
www.associazionedeicostituzionalisti.it;  cui  adde,  a  favore della
prima  tesi,  V.  Cerulli Irelli, sub art. 8, in AA.VV., La legge «La
Loggia»  cit.). Tuttavia, ad avviso della regione ricorrente sono del
tutto prevalenti le ragioni che militano nel primo senso.
    In sintesi, tali ragioni sono:
        a) il fatto che la disposizione costituzionale attribuisca il
potere  sostitutivo  al  Governo  (anziche'  allo Stato, come sarebbe
stato  necessario  ove  si  fosse  trattato  di un potere sostitutivo
concernente anche la funzione legislativa);
        b) il fatto che la disposizione costituzionale accomuna, come
enti  soggetti  al  potere  sostitutivo, le regioni agli enti locali,
questi  ultimi  privi  di  funzioni legislative, senza operare alcuna
distinzione neppure sotto il profilo procedimentale (che pure sarebbe
stata  necessaria ove realmente il potere sostitutivo riguardasse non
solo  le  funzioni  amministrative  di  tutti gli enti nominati dalla
disposizione  in  questione,  ma  anche le funzioni legislative delle
regioni);
        c)  il  fatto  che  il  quinto  comma  dell'art. 117  prevede
espressamente  un potere sostitutivo di natura normativa in relazione
all'inadempimento  di  obblighi  internazionali e comunitari da parte
delle  regioni  e  delle  province autonome, per cui, se realmente il
potere   sostitutivo  in  questione  riguardasse  anche  la  funzione
legislativa,  la  relativa  disposizione  dell'art. 120 Cost. sarebbe
inutiliter  data nella parte in cui pone a presupposto dell'esercizio
del  potere  del  Governo  il  caso del «mancato rispetto delle norme
internazionali o della normativa comunitaria»;
        d)  infine,  ma  soprattutto,  il  fatto  che, da un lato, il
riconoscere   allo   Stato   (e  per  esso  al  Governo  -  sia  pure
transitoriamente  - tramite lo strumento del decreto-legge) il potere
di  sostituirsi  al  legislatore  regionale  significherebbe alterare
profondamente   il   nuovo   sistema   costituzionale   delle  fonti,
attribuendo  allo  Stato  (sia  pure in via sostitutiva) un ulteriore
competenza  legislativa  generale ed innominata che il nuovo art. 117
Cost.   non   sembra   consentire;   d'altro  canto,  come  e'  stato
recentemente  sottolineato  dalla dottrina (G. Scaccia, op. cit.), la
doppia  negazione  presente nell'incipit degli articoli 76 e 77 Cost.
sta invece a ribadire l'eccezionalita' della attribuzione di funzioni
legislative  al  Governo, al quale l'interprete puo' riconoscere tali
funzioni  solo in presenza di una espressa ed inequivoca attribuzione
fatta  da  una  norma costituzionale, quale certamente non dato e' di
rinvenire nel novellato art. 120 della Costituzione.
    5.4.  - Cio' detto, e venendo all'impugnato art. 8 della legge La
Loggia,  se  (come  sembra)  i  «provvedimenti  normativi  necessari»
adottabili  dal Governo nelle due ipotesi di cui ai commi 1 e 4 hanno
natura di atti di normazione primaria, si dovrebbe allora trattare di
atti  con  forza di legge del Governo assimilabili (ma solo in parte,
come  si  vedra) ai decreti-legge: in tal senso, invero, depone anche
l'assonanza  del  nomen  con i «provvedimenti provvisori con forza di
legge» previsti appunto dall'art. 77 della Costituzione.
    Ma,  in  tal  caso,  la  disciplina legislativa impugnata - nella
parte in cui essa consente al Governo di adottare, nell'esercizio del
potere  sostitutivo,  atti  con  forza  di  legge  -  e'  palesemente
incostituzionale  e gravemente lesiva delle competenze costituzionali
della regione autonoma ricorrente.
    Passiamo quindi ad individuare sinteticamente i principali motivi
della incostituzionalita' della disciplina in questione.
    In  primo  luogo  e'  da  ribadire il pacifico insegnamento della
dottrina   e   della   giurisprudenza   secondo   cui,   nel  sistema
costituzionale  delle  fonti,  gli  atti  con  forza di legge sono un
numero   chiuso,   essendo   essi  soltanto  quelli  espressamente  e
tassativamente  previsti  da apposite norme costituzionali. Una legge
ordinaria,  quale  e'  quella  qui  impugnata,  non  puo' validamente
istituire  una  nuova  fonte primaria, quale sarebbe il provvedimento
con forza di legge di cui all'impugnato art. 8: un provvedimento che,
per  vari  aspetti  di cui ora si dira', e' anche non assimilabile al
decreto-legge di cui all'art. 77 della Costituzione. Gia' per questo,
dunque la impugnata disciplina dell'art. 8 e' incostituzionale.
    Come   si   e'  detto,  inoltre,  l'atto  normativo  del  Governo
configurato  dall'art. 8  si  discosta  per  aspetti  essenziali  dal
decreto-legge  ex  art. 77  della  Costituzione.  Infatti,  nel  caso
dell'intervento    sostitutivo   del   primo   comma dell'art. 8   il
provvedimento   interviene   solo   a  conclusione  di  un  complesso
procedimento  preparatorio,  che  vede una messa in mora del soggetto
inattivo,  la  fissazione  di  un  termine  per  l'adozione dell'atto
dovuto,  l'audizione dell'ente inadempiente, ecc.: una procedura che,
peraltro,   e'   palesemente   incompatibile  con  la  situazione  di
straordinaria necessita' ed urgenza, e quindi di indifferibilita' del
provvedere,  che  e' invece l'essenziale presupposto per adozione del
decreto-legge ai sensi dell'art. 77 della Costituzione.
    Del  pari  non  conforme  al modello del decreto-legge, ed al suo
regime  giuridico,  e'  pure  l'intervento  sostitutivo  nel  caso di
«assoluta  urgenza»  di  cui  al comma 4 dell'art. 8, nei quali viene
meno  la procedura preparatoria del comma 1. In questo caso, infatti,
oltre  ad  esservi  un  differenza  nella definizione del presupposto
richiesto - dall'art. 77 Cost. («casi straordinari di necessita' e di
urgenza»),   soprattutto  si  ha  che  nella  fase  del  procedimento
successiva  all'adozione del provvedimento sostitutivo viene inserita
(accanto   ed   in   aggiunta   alla  conversione  in  legge,  se  il
provvedimento  in questione deve essere in qualche modo assimilato al
decreto-legge)    la    «immediata    comunicazione»   del   medesimo
provvedimento   «alla  Conferenza  Stato-regioni  o  alla  Conferenza
Stato-citta'  e  autonomie  locali,  ...,  che  possono  chiederne il
riesame»  (meccanismo  procedurale,  questo,  che  ricalca fedelmente
quello  dell'art. 5,  comma 3, del decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 112, onde si dovrebbe ritenere applicabile anche la disciplina del
riesame contenuta nell'art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59).
    Dunque,  la  disciplina legislativa impugnata non soltanto sembra
pretendere  di istituire un nuovo tipo di atto con forza di legge del
Governo,  non  previsto  dalla  Costituzione;  ma  per  di piu' lo ha
configurato  in  modo  assai  diverso,  sia  per  quanto  riguarda  i
presupposti,  sia  per quanto riguarda la procedura di «conversione»,
dal  modello del decreto-legge di cui all'art. 77 della Costituzione.
In  tal  modo  la  disciplina  dell'art. 8  della  legge  La  Loggia,
attribuendo  al  Governo  (sia  pure  in via sostitutiva) un siffatto
potere   «legislativo»   su   materie   innominate,   si  risolve  in
un'autorizzazione  permanente per il medesimo Governo a derogare agli
elenchi  di  materie  dell'art. 117 Cost. ed in uno svuotamento della
garanzia delle competenze legislative regionali e provinciali che ivi
e' stabilita.
    Di   qui  la  incostituzionalita'  della  disciplina  legislativa
impugnata,  salvo  una  interpretazione adeguatrice di codesta ecc.ma
Corte, che valga ad escludere la possibilita' che il Governo utilizzi
l'art. 8  per  adottare  anche  provvedimenti  normativi con forza di
legge,   incidenti   sulle   competenze   legislative  della  regione
ricorrente.
    5.5. - Infine, la disciplina dell'art. 8 e' per certi particolari
ed  ulteriori  aspetti  comunque  incostituzionale,  anche qualora si
escludesse  che  i  provvedimenti sostitutivi ivi contemplati possano
avere efficacia legislativa.
     5.5.1. - Va particolarmente censurato il comma 2 dell'art. 8 per
la   sua   incompatibilita'   con   la   disciplina   speciale  della
«inadempienza comunitaria» che e' stabilita - per la Regione autonoma
della  Sardegna  -  dalle  citate  norme d'attuazione dell'art. 6 del
d.P.R.  19  giugno  1979,  n. 348: norme d'attuazione che (secondo il
costante  insegnamento  di  codesta  ecc.ma Corte) non possono essere
abrogate  ne'  derogate  dalla legge ordinaria, ma solo attraverso la
speciale procedura collaborativa dell'art. 56 dello statuto speciale.
    Fra l'altro, la disciplina dell'art. 6 del d.P.R. n. 348 del 1979
prevede  il  necessario  parere della Commissione parlamentare per le
questioni   regionali,  che  non  e'  invece  richiesto  dal  secondo
comma dell'impugnato   art. 8.   Il rilevato  contrasto  del  secondo
comma dell'art. 8  della  legge  impugnata  con le norme d'attuazione
dello  Statuto  speciale  comporta  la  violazione dell'art. 56 dello
statuto medesimo.
    6. - Incostituzionalita'  dell'art. 10,  comma 5,  della  legge 5
giugno 2003, n. 131, per violazione delle competenze regionali di cui
allo  statuto  speciale  per  la  Regione Sardegna e, in particolare,
all'art. 56, nonche' delle relative norme di attuazione.
    Per  le  argomentazioni  precedentemente svolte, e con riserva di
piu'     diffuse     successive    considerazioni,    si    eccepisce
l'incostituzionalita' per violazione dell'art. 56 dello Statuto sardo
e  delle  relative  norme  di attuazione, dell'art. 10, comma 5 della
legge  n. 131/2003 concernente l'attribuzione al rappresentante dello
Stato (scil.: agli organi statali a competenza regionale previsti dai
rispettivi   statuti   ...)  dell'esecuzione  dei  provvedimenti  del
Consiglio  dei  ministri costituenti esercizio del potere sostitutivo
di cui all'art. 120 della Costituzione.