Ricorso della Regione autonoma della Sardegna, in persona del suo presidente pro tempore on. Mauro Pili, giusta deliberazione della giunta 1° agosto 2003 (n. 25/15) rappresentata e difesa, in virtu' di procura a margine del presente atto, anche disgiuntamente, dal prof. avv. Sergio Panunzio del Foro di Roma e dall'avv. Graziano Campus, direttore generale dell'area legale dell'ente, elettivamente domiciliata presso il primo, in Roma, corso Vittorio Emanuele II n. 284; Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio in carica; per la dichiarazione d'incostituzionalita' dell'art. 1, commi 4, 5 e 6; dell'art. 5, commi 1 e 2; dell'art. 6, commi 1, 2, 3 e 5; dell'art. 7, comma 1; dell'art. 8, commi 1-4; e dell'art. 10, comma 5, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (recante «Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3»). F a t t o 1. - Dopo una lunga attesa, e' stata approvata una delle leggi ordinarie che debbono dare attuazione alla revisione del titolo V della parte II della Costituzione, gia' disposta dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Si tratta della legge 5 giugno 2003, n. 131 (c.d. legge «La Loggia», dal nome del Ministro proponente). Di tale legge vengono qui in evidenza - ai fini del presente ricorso - i seguenti articoli. 2.1. - L'art. 1 della legge n. 131 del 2003 disciplina l'attuazione dell'art. 117, commi 1 e 3 della Costituzione (come modificato dalla legge costituzionale n. 3/2001): in particolare il comma 4 riguarda la potesta' legislativa regionale di tipo «concorrente» e la problematica relativa alla individuazione dei relativi «principi fondamentali» di competenza della legge statale; mentre il comma 5 riguarda la individuazione delle disposizioni di leggi di competenza esclusiva dello Stato, ma che riguardino pero' la competenza legislativa regionale «concorrente». In particolare il comma 4 dell'art. 1, al fine di «orientare l'iniziativa legislativa dello Stato e delle regioni fino all'entrata in vigore delle leggi con le quali il Parlamento definira' i nuovi principi fondamentali», conferisce una delega al Governo per adottare entro un anno «uno o piu' decreti legislativi meramente ricognitivi dei principi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti, nelle materie previste dall'art. 117, terzo comma, della Costituzione», attenendosi ai principi indicati dallo stesso comma 4 («principi della esclusivita', adeguatezza, chiarezza, proporzionalita' ed omogeneita»), e ad una serie di «criteri direttivi» elencati nelle lettere da a) ad e) del successivo comma 6 dello stesso art. 1. A sua volta il successivo comma 5 stabilisce che «Nei decreti legislativi di cui al comma 4, sempre a titolo di mera ricognizione, possono essere individuate le disposizioni che riguardano le stesse materie ma che rientrano nella competenza esclusiva dello Stato a norma dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione». 2.2. - L'art. 5 della legge «La Loggia» reca norme in materia di «Attuazione dell'art. 117, comma 5, della Costituzione sulla partecipazione delle regioni in materia comunitaria». Il primo comma dell'art. 5 disciplina il concorso delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano alla formazione degli atti comunitari, nelle materie di loro competenza. In particolare vi si stabilisce che, a tale scopo, esse partecipano, «... nell'ambito delle delegazioni del Governo, alle attivita' del Consiglio e dei gruppi di lavoro e dei comitati del Consiglio e della Commissione europea, secondo modalita' da concordare in sede di Conferenza Stato-regioni che tengano conto della particolarita' delle autonomie speciali e, comunque, garantendo l'unitarieta' della rappresentazione della posizione italiana da parte del capo delegazione designato dal Governo. Nelle delegazioni del Governo deve essere prevista la partecipazione di almeno un rappresentante delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano». Il successivo secondo comma del medesimo art. 5 stabilisce poi che «Nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, il Governo puo' proporre ricorso dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunita' europee avverso gli atti normativi comunitari ritenuti illegittimi anche su richiesta di una delle regioni o delle province autonome. Il Governo e' tenuto a proporre tale ricorso qualora esso sia richiesto dalla Conferenza Stato-regioni a maggioranza assoluta delle regioni e delle province autonome». 2.3. - L'art. 6 della legge «La Loggia» reca norme in materia di attuazione dell'art. 117, quinto e nono comma, della Costituzione sull'attivita' internazionale delle regioni. Dopo avere trattato - rispettivamente nel primo e secondo comma - dell'attivita' delle regioni e province autonome volta alla attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali ratificati, ed a quella relativa alla conclusione, con enti territoriali interni ad altro Stato, di intese dirette a favorire il loro sviluppo, ed allo svolgimento di «attivita' di mero rilievo internazionale», al terzo comma l'impugnato art. 6 detta una disciplina degli accordi che i medesimi enti possono concludere con altri Stati. In particolare vi si prevede che tali enti, nelle materie di loro competenza, possono concludere accordi esecutivi ed applicativi di accordi internazionali gia' in vigore, accordi di natura tecnico-amministrativa, ed accordi di natura programmatica, purche' nel rispetto, oltre che dei limiti gia' stabiliti dall'art. 117, commi 1 e 3, della Costituzione, anche dei vincoli derivanti «dalle linee e dagli indirizzi di politica estera italiana». A questo scopo il terzo comma dell'art. 6 disciplina una complessa procedura che prevede, fra l'altro, la comunicazione delle trattative al Ministero degli affari esteri ed alla Presidenza del Consiglio; la eventuale fissazione da parte del Ministero degli esteri di principi e criteri da seguire nei negoziati; qualora questi si svolgano all'estero, la collaborazione delle rappresentanze diplomatiche e degli uffici consolari italiani. E vi si prevede, infine, che prima della sottoscrizione il progetto di accordo deve essere comunicato al Ministero degli esteri il quale, dopo avere sentito la Presidenza del Consiglio ed avere accertato «... l'opportunita' politica e la legittimita' dell'accordo, ai sensi del presente comma, conferisce i pieni poteri di firma previsti dalle norme del diritto internazionale generale e dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 23 maggio 1969, ... Gli accordi sottoscritti in assenza del conferimento di pieni poteri sono nulli». Tale disciplina e' a sua volta integrata da quella dei successivi commi 5 e 6 del medesimo art. 6. Infatti, il comma 5 attribuisce al Ministro degli esteri il potere di rappresentare in ogni momento alle regioni e province autonome «questioni di opportunita' politica inerenti le attivita' di cui ai commi 1 e 3 e derivanti dalle scelte e dagli indirizzi di politica estera dello Stato e, in caso di dissenso, sentita la Presidenza del Consiglio ... chiedere che la questione sia portata in Consiglio dei ministri che, con l'intervento del presidente della giunta regionale o provinciale interessato, delibera sulla questione». Infine, il comma 6 stabilisce che «In caso di violazione degli accordi di cui al comma 3, ferma restando la responsabilita' delle regioni verso lo Stato, si applicano le disposizioni dell'art. 8, commi 1, 4 e 5, in quanto compatibili» (cioe', come ora si dira', il potere sostitutivo di cui all'art. 120 della Costituzione, la cui disciplina attuativa e' appunto contenuta nell'art. 8 della legge «La Loggia»). 2.4. - L'art. 7 della legge «La Loggia» disciplina la «Attuazione dell'art. 118 della Costituzione in materia di esercizio delle funzioni amministrative». Ai fini del presente ricorso rileva in particolare modo il primo comma il quale - con riferimento a quanto stabilito dal primo comma del nuovo art. 118 Cost. circa l'attribuzione ai comuni delle funzioni amministrative - stabilisce che «Lo Stato e le regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono a conferire le funzioni amministrative da loro esercitate alla data di entrata in vigore della presente legge, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza, attribuendo a province, citta' metropolitane, regioni e Stato soltanto quelle di cui occorra assicurare l'unitarieta' di esercizio, ...». 2.5. - L'art. 8 della legge n. 131 del 2003 reca norme sulla «Attuazione dell'art. 120 della Costituzione sul potere sostitutivo». E' noto il dibattito avutosi in dottrina circa il potere sostitutivo affidato al Governo dal revisionato art. 120 della Costituzione: se esso sia limitato alla funzione amministrativa, o se invece esso sia da intendersi come comprensivo di sostituzioni in via normativa, nelle forme di un atto con forza di legge «atipico», operante con presupposti e forme diversi rispetto a quelli dell'art. 77 della Costituzione. Al riguardo l'art. 8 in questione ha optato decisamente per la seconda tesi. Infatti il primo comma dell'art. 8 stabilisce che «Nei casi e per le finalita' previsti dall'art. 120, secondo comma, della Costituzione ...» - e dopo che sia stato assegnato all'ente interessato un congruo termine per provvedere, che tale termine sia decorso inutilmente, e che l'organo interessato sia stato su cio' sentito - il Consiglio dei ministri «... su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il presidente della giunta regionale della regione interessata al provvedimento». Il successivo comma 2 dell'art. 8 integra poi la suddetta disciplina con una disposizione particolare (attuativa del quinto comma dell'art. 117 Cost.) secondo cui «Qualora l'esercizio del potere sostitutivo si renda necessario al fine di porre rimedio alla violazione della normativa comunitaria, gli atti ed i provvedimenti di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro competente per materia. L'art. 11 della legge 9 marzo 1989, n. 86, e' abrogato». Infine, il comma 4 del medesimo art. 8 disciplina l'ipotesi piu' particolare in cui, oltre che l'inerzia dell'ente territoriale competente a provvedere (come al comma 1) vi sia anche una situazione di «assoluta urgenza». Recita infatti il quarto comma che «Nei casi di assoluta urgenza, qualora l'intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalita' tutelate dall'art. 120 della Costituzione, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, anche su iniziativa delle regioni o degli enti locali, adotta i provvedimenti necessari, che sono immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-regioni o alla Conferenza Stato-citta' e autonomie locali, allargata ai rappresentanti delle comunita' montane, che possono chiederne il riesame». 2.6. - Infine, l'art. 10 della legge «La Loggia» reca norme sul «Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie». Dopo avere disciplinato nei primi quattro commi funzioni ed organizzazione dei «rappresentanti» in questione con esplicito riferimento alle regioni a statuto ordinario (nelle quali la funzione di rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie e' svolto dal prefetto preposto all'ufficio territoriale del Governo avente sede nel capoluogo regionale), il quinto comma dell'art. 10 stabilisce che «Nelle regioni a statuto speciale le funzioni del rappresentante dello Stato ai fini della lettera d) del comma 2 sono svolte dagli organi statali a competenza regionale previsti dai rispettivi statuti, con le modalita' definite da apposite norme d'attuazione». La richiamata lettera d) attribuisce al rappresentante dello Stato «l'esecuzione di provvedimenti del Consiglio dei ministri costituenti esercizio del potere sostitutivo di cui all'art. 120 della Costituzione, avvalendosi degli uffici territoriali del Governo e degli altri uffici statali aventi sede nel territorio regionale». 3. - Cosi' come la disciplina contenuta nel titolo V della parte II della Costituzione non si applica, di massima alle regioni a statuto speciale, lo stesso si deve dire per la legge ordinaria di attuazione di quella disciplina costituzionale: appunto la legge n. 131 del 2003. Cio' sembrerebbe trovare conferma nel primo comma dell'art. 11 di tale legge, dove e' stabilito che «Per le regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano resta fermo quanto previsto dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme d'attuazione, nonche' dall'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2002, n. 3». Peraltro e' noto, altresi', che in base all'art. 10 della appena richiamata legge costituzionale n. 3 del 2001, e fino a quando gli statuti speciali non saranno stati adeguati alla riforma del titolo V, le nuove norme costituzionali contenute in quest'ultimo si applicano anche alle regioni a statuto speciale «per le parti in cui prevedono forme di autonomia piu' ampie rispetto a quelle gia' attribuite». Ne discende che, cosi' come le disposizioni costituzionali che risultano applicabili in base alla norma di rinvio dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, saranno parimenti applicabili alle regioni a statuto speciale le relative disposizioni attuative contenute nella legge ordinaria n. 131 del 2003. Non solo. La stessa legge «La Loggia», in molte delle sue disposizioni (anche in quelle dianzi riportate) si riferisce espressamente anche alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome. In conclusione, dunque, e' indubbio che la disciplina della legge n. 131 del 2003 risulta essere in parte applicabile anche alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome. Ma nella misura in cui essa lo e', e relativamente alle specifiche disposizioni che si sono in precedenza richiamate, tale legge lede le competenze costituzionalmente spettanti alla Regione autonoma della Sardegna, onde questa la impugna, per i seguenti motivi di D i r i t t o 1. - Incostituzionalita' delle disposizioni dell'art. 1, commi 4, 5 e 6 della legge 5 giugno 2003, n. 131, per violazione delle competenze regionali di cui al combinato disposto dell'art. 117, comma 3, della Costituzione e dell'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 (nonche', per quanto di ragione, di cui all'art. 4 dello Statuto speciale per la Regione Sardegna); dell'art. 11 della suddetta legge costituzionale n. 3 del 2001; e dell'art. 76 Cost. 1.1. - Con riserva di argomentare piu' ampiamente le censure in una successiva memoria, veniamo ora a dedurre vizi che inficiano le disposizioni legislative impugnate. A cominciare dalla disciplina contenuta nell'art. 1 della legge «La Loggia». Come si e' gia' visto, il quarto comma dell'art. 1 contiene una delega al Governo ad adottare dei decreti legislativi che dovrebbero essere «meramente ricognitivi dei principi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti nelle materie previste dall'art. 117, terzo comma, della Costituzione». Il primo interrogativo che pone tale disposizione e' se abbia una plausibilita' ed un senso giuridici parlare di una mera ricognizione fatta con un atto con forza di legge del Governo. A nostro avviso la risposta all'interrogativo non puo' che essere negativa. In primo luogo si potrebbe osservare che in tal senso milita gia' la circostanza che se si trattasse realmente di una mera ricognizione di principi gia' autonomamente esistenti la delega sarebbe del tutto inutile. Infatti gli atti di esercizio della delega non noverebbero la fonte dei principi da essi «riconosciuti»; ne' essi sarebbero in grado - diversamente da quello che sembrerebbe lo scopo dichiarato della delega («per orientare l'iniziativa legislativa dello Stato e delle regioni ...») - di evitare incertezze e contrasti interpretativi fra lo Stato e le regioni. Questo perche' - nonostante la procedura «collaborativa» con la quale i principi fossero individuati dal Governo - i legislatori regionali non sarebbero (ne' avrebbero motivo di sentirsi) vincolati dai principi fondamentali individuati in via «meramente ricognitiva». Quindi - in definitiva - sarebbe sempre codesta ecc.ma Corte costituzionale (soprattutto in sede di giudizio di costituzionalita' delle leggi regionali impugnate dal Governo perche' ritenute in contrasto con i principi fondamentali gia' individuati dal medesimo) a dovere stabilire se il principio esiste e quale ne sia il suo effettivo contenuto precettivo; ovvero, seguendo un'ipotesi ulteriore, ad annullare i principi «individuati» dal Governo, ma in realta' non corrispondenti a principi fondamentali preesistenti. Del resto, se si trattasse di mera ricognizione di principi esistenti, non c'era bisogno di una delega legislativa, essendo sufficiente un atto del Governo privo di forza di legge. Il problema nasce soprattutto dal fatto che il carattere meramente «ricognitivo» dei decreti legislativi in questione e' assai difficilmente sostenibile, per motivi sia logico-dogmatici, che testuali. I principi, infatti, non sono - se ci si consente l'espressione - «cose» che il Governo potrebbe trovare gia' belle e fatte «rovistando» nell'ordinamento legislativo. I principi non scritti, infatti, sono sempre ed inevitabilmente il frutto di un'attivita' ermeneutica che e' inevitabilmente intrisa di scelte di valore. Per di piu', nel caso in questione, la predeterminazione dei principi e criteri direttivi cui si dovrebbe attenere il Governo nell'esercizio della delega (i primi contenuti nello stesso comma 4, i secondi nel successivo comma 6 mal si concilia con un'attivita' meramente ricognitiva, ma implica piuttosto il carattere sostanzialmente legislativo e, quindi, «innovativo» del potere conferito al Governo. Cio' e' particolarmente evidente se si considera lo specifico contenuto di alcuni di essi: per esempio, si pensi ai principi della «adeguatezza» o della «proporzionalita» (comma 4), e ad un criterio direttivo quale e' quello di «salvaguardare la potesta' legislativa riconosciuta alle regioni ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione» (cioe', come diceva in modo meno ambiguo, ma sostanzialmente corrispondente, il testo originario del disegno di La Loggia, «... in modo da richiedere disposizioni applicative regionali»). Riservandoci (come gia' detto in precedenza) di ritornare in una successiva memoria su questi aspetti di fondo della problematica evocata dall'art. 1 della legge «La Loggia», in realta' e' proprio la «forza di legge» che caratterizza i decreti legislativi delegati in base a Costituzione cio' che osta a considerare i decreti legislativi in questione come meramente ricognitivi. Nella «forza di legge» che e' propria di quei decreti, infatti, e' strutturalmente insito un carattere innovativo-creativo che la legge di delegazione non puo' certo «sterilizzare» (poiche' la legge ordinaria non puo' disporre della «forza di legge», essendo cio' riservato alle fonti costituzionali). Per cui, in definitiva, la formula della «mera ricognizione» impiegata dalla legge impugnata risulta essere in realta', al di la' delle parole, un espediente impiegato per cercare di superare la troppo palese incostituzionalita' di una delega che avesse avuto ad oggetto la «determinazione» dei principi fondamentali (delega di cui si era inizialmente discusso, subito dopo la riforma del titolo V). Ma si tratta, appunto, di un espediente verbale che non puo' mutare la sostanza delle cose: la quale porta a dovere riconoscere il carattere inevitabilmente anche innovativo dei decreti legislativi in questione. 1.2. - Sulla base di quanto si e' detto in precedenza, si puo' passare ad indicare sinteticamente quali siano i vizi di incostituzionalita' del quarto comma dell'art. 1 della legge n. 131 del 2003. 1.2.1. - La incostituzionalita' deriva, in primo luogo, dalla violazione della riserva di legge formale del Parlamento (e per di piu' di legge approvata in Assemblea). Infatti, secondo l'art. 11, comma 2, della legge costituzionale n. 3 del 2001 i progetti di legge che riguardano «le materie di cui al terzo comma dell'art. 117 ...» (e quindi soprattutto i progetti di legge statale riguardanti i «principi fondamentali») non soltanto debbono essere esaminate dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali (di cui al precedente comma 1 dell'art. 11), ma qualora la Commissione che ha svolto l'esame del progetto in sede «referente» non si sia adeguata al parere dato dalla Commissione per le questioni regionali, in tal caso sul progetto «... l'Assemblea delibera a maggioranza assoluta dei suoi componenti». Tanto basta a dimostrare in modo inequivocabile che la vigente disciplina costituzionale esclude che la individuazione dei principi fondamentali di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost. possa costituire oggetto di una delega legislativa, potendo tale individuazione essere fatta solo dal Parlamento. Ma in ultima istanza si consideri anche che la formulazione dell'art. 11, comma 2, della legge costituzionale n. 3 del 2001 («... progetto di legge riguardante le materie di cui al terzo comma dell'art. 117 ...») e' tale per cui la riserva di legge formale del Parlamento non puo' essere esclusa neppure dal riconoscimento di un carattere meramente «ricognitivo» dei decreti legislativi delegati in questione. 1.2.2. - In secondo luogo, la disciplina legislativa impugnata e' incostituzionale anche perche' viola l'art. 76 della Costituzione. Quest'ultimo, infatti, richiedendo che la legge di delega stabilisca i principi che dovranno guidare e limitare sostanzialmente l'attivita' del Governo relativamente al contenuto degli emanandi decreti legislativi, rende incongrua e contraddittoria una delega al Governo per la individuazione-determinazione dei principi fondamentali. In altri termini, nelle materie di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost. spetta allo Stato proprio e solo quella parte della legislazione che non puo' costituzionalmente essere delegata al Governo (F. Bassanini, sub art. 1, commi 2-6, in AA.VV., La legge «La Loggia». Commento alla legge 5 giugno 2003, n. 131, Maggioli, Rimini, 2003) . E si puo' anche osservare che - come ha rilevato A. D'Atena, Legislazione concorrente, principi impliciti e delega per la formulazione dei principi fondamentali, nel sito internet www.2. unife.it/forumcostituzionale - in questo caso i principi della delega «... (i principi - se cosi' puo' dirsi - al quadrato), essendo finalizzati alla formulazione di altri principi, verrebbero fatalmente ad assumere un carattere di assoluta evanescenza (tanto piu' se - come nella specie - dovessero riferirsi ad una ventina di materie diverse, fortemente eterogenee l'una dall'altra)». Quanto poi, in particolare, al principio della «esclusivita» (che ha sostituito quello che nel testo originario del disegno di legge La Loggia era il principio di «completezza»), se esso ha lo scopo - come viene per lo piu' affermato - di impedire al Governo di impugnare leggi regionali adducendo la violazione di principi fondamentali diversi da quelli identificati nei decreti legislativi delegati «meramente ricognitivi», cio' costituisce allora, in primo luogo, la dimostrazione che principi come questo non sono in realta' diretti ad indirizzare (ne', tanto meno, a limitare) sostanzialmente - come invece dovrebbero - l'attivita' del Governo volta alla individuazione del contenuto dei principi fondamentali relativi alle varie materie di competenza concorrente. In secondo luogo, se quello e' il significato del principio di «esclusivita» (ma quale altro potrebbe essere?), cio' sta a confermare ulteriormente l'impossibilita' di attribuire agli emanandi decreti legislativi un carattere «meramente ricognitivo». Infatti, posto che i principi fondamentali esistono (e trovano la loro fonte) al di fuori dei decreti legislativi delegati in questione (appunto solo ricognitivi della loro esistenza), se in concreto una legge regionale violasse un principio fondamentale in realta' esistente, ma non individuato nei decreti legislativi ricognitivi in questione, come potrebbe negarsi al Governo il potere di impugnarlo? Per negarglielo occorrerebbe affermare che i principi fondamentali vigenti (fino all'entrata in vigore delle future leggi con cui - secondo quanto previsto nel primo periodo del quarto comma dell'art. 1 qui impugnato - «il Parlamento definira' i nuovi principi fondamentali») sono soltanto quelli individuati dai decreti legislativi «meramente ricognitivi»: decreti che dunque, in realta', non sarebbero «meramente ricognitivi», ma avrebbero invece novato la fonte dei principi fondamentali preesistenti (rendendo inofficiosi quelli non espressamente «riconosciuti» nei decreti medesimi). 1.3. - La incostituzionalita' del successivo comma 5 dell'impugnato art. 1 della legge n. 131 del 2003 e' conseguente, e comunque strettamente connessa, alla incostituzionalita' del comma 4 (e del collegato comma 6) di cui si e' trattato in precedenza. L'oggetto della delega del quinto comma e' diverso rispetto all'oggetto della delega del quarto comma: non piu' i «principi fondamentali» relativi alle materie di competenza concorrente, ma le disposizioni legislative statali «che riguardano le stesse materie ma che rientrano nella competenza esclusiva dello Stato a norma dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione». Identici sono invece gli atti di esercizio della delega («gli stessi decreti legislativi di cui al comma 4»), e comune e' il carattere asseritamente di «mera ricognizione» che dovrebbe avere anche la individuazione di queste ultime disposizioni. Pertanto, valgono anche a proposito della disciplina del comma quinto le considerazioni critiche circa l'implausibilita' del preteso carattere meramente ricognitivo dei decreti legislativi delegati di cui al comma quarto (supra, n. 1.1.); e valgono in parte anche per il comma quinto le censure gia' dedotte in relazione al comma quarto: in particolare quelle relative alla mancanza nella legge di delega di principi realmente idonei ad indirizzare e limitare l'esercizio del potere delegato al Governo (supra, n. 1.2.2.). Ma nel caso della delega di cui al quinto comma il vizio relativo alla mancanza di principi e criteri direttivi nella legge di delega e' ancora piu' grave ed evidente. Infatti, se anche il rinvio - contenuto nel quinto comma - ai «... decreti legislativi di cui al comma 4» potrebbe essere inteso (ma solo implicitamente) come comprensivo dei principi direttivi della delega in esso contenuti, resterebbero pero' estranei al rinvio i criteri direttivi di cui al comma sesto. Ma in realta', se anche si potesse ritenere che il rinvio abbraccia pure i criteri direttivi del sesto comma, nel caso della delega del quinto comma il problema del difetto dei principi e criteri direttivi non sarebbe in realta' risolto. Il vizio insuperabile sta altrove: precisamente nel fatto che i principi e criteri direttivi di cui ai commi quattro e sei riguardano in realta' solo la individuazione dei principi fondamentali di cui al comma 4, ma non riguardano minimamente la individuazione delle «disposizioni» legislative statali di cui al comma 5. Gia' si e' detto in precedenza come e perche', in relazione alla delega di cui al comma 4, vi sia una grave carenza sostanziale di principi direttivi. Ma, bene o male (piu' male che bene come si e' detto!), almeno formalmente essi sono enunciati nei commi 4 e 6. Viceversa, nel caso della delega contenuta nel comma 5 si ha che: a) il quinto comma tace sui principi e criteri direttivi, ne' rinvia espressamente a quelli dei commi 4 e 6; b) avendo la delega del comma 5 un oggetto diverso rispetto a quella del comma 4 i principi e criteri direttivi relativi a quest'ultima non possono fungere anche da principi e criteri direttivi per la delega del comma 5. Si badi che la qui asserita impossibilita' di utilizzare i medesimi principi e criteri direttivi in relazione a due distinte deleghe aventi un oggetto diverso si fonda su valutazioni di ordine sostanziale. Il problema non sta tanto, o soltanto, nel fatto che le due deleghe abbiano un oggetto diverso; ma sta invece soprattutto nel fatto che i principi e criteri direttivi di cui ai commi 4 e 6, se pure sono del tutto insoddisfacenti (per i motivi gia' illustrati) ai fini della delega del quarto comma dell'art. 1, sono del tutto inutilizzabili ai fini della delega del quinto comma. Infatti e' del tutto palese che i principi e criteri direttivi del quarto e quinto comma sono stati scritti pensando esclusivamente alla «ricognizione» dei soli principi fondamentali. Cio' risulta espressamente nella piu' gran parte dei criteri enunciati dal sesto comma: in particolare lettere a), b) ed e). Ma risulta chiaramente anche per gli altri criteri e principi: basti pensare, ad esempio, ai principi di adeguatezza e di proporzionalita', i quali possono anche avere un senso in relazione alla individuazione dei principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente, ma non ne hanno alcuno in relazione alla individuazione di disposizioni legislative statali di dettaglio. 2. - Incostituzionalita' dell'art. 5 della legge 5 giugno 2003, n. 131, per violazione delle competenze regionali di cui all'art. 117, comma 3 e comma 5, della Costituzione, in relazione all'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; e per violazione delle competenze regionali di cui agli artt. 3, 4 e 6 dello Statuto speciale per la Sardegna e relative norme d'attuazione. 1.1. - Le nuove norme costituzionali introdotte dalla legge cost. n. 3/2001 - che, come gia' si e' detto, in base all'art. 10 della stessa legge cost. si applicano alla Regione autonoma della Sardegna, fino all'adeguamento del relativo Statuto speciale, in quanto prevedano forme di autonomia piu' ampie di quelle attualmente assegnate dallo Statuto medesimo - dispongono che, in materia di «rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni» (art. 117, comma 3), lo Stato abbia la potesta' legislativa limitata ai soli principi fondamentali (legislazione concorrente), e che spetti dunque alle regioni quella di dettaglio. Stabiliscono inoltre che «le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato ...» (art. 117, comma 5). E' evidente che la normativa statale di attuazione del nuovo titolo V avrebbe dovuto tenere conto di entrambe le disposizioni costituzionali appena citate nel dettare la disciplina dei rapporti delle regioni con l'Unione europea nelle materie di competenza delle prime. Cio' significa che lo Stato poteva e doveva dettare la disciplina procedurale di massima nell'ambito della quale regioni e province autonome possano prendere parte ai processi decisionali di livello comunitario, limitandosi a tracciarne i principi fondamentali, e lasciando invece alla disciplina regionale (o provinciale) gli aspetti di dettaglio di detta partecipazione (che attiene, evidentemente, ai «rapporti ... con l'Unione europea delle regioni» di cui all'art. 117, comma 3, Cost.) Al contrario, in pretesa attuazione di tali disposizioni, la legge oggi impugnata, all'art. 5, comma 1, detta una disciplina della partecipazione delle regioni alla c.d. fase «ascendente» dei processi decisionali comunitari che non si limita ai principi fondamentali e non lascia alcuno spazio all'intervento di leggi regionali. Infatti, anche laddove il primo comma dell'art. 5 non disciplina direttamente gli aspetti piu' specifici di detta partecipazione, esso rimette la loro regolamentazione alle decisioni da assumere in sede di Conferenza Stato-regioni: comunque, la materia e' integralmente sottratta alla potesta' legislativa regionale, in evidente violazione del terzo comma dell'art. 117 Cost. Cio' costituisce, gia' di per se', motivo di illegittimita' costituzionale della norma impugnata. Per di piu', la disciplina della partecipazione delle regioni e delle province autonome alle decisioni sugli atti normativi comunitari e' configurata in modo assai riduttivo rispetto a quanto e' imposto dal dettato costituzionale del comma 5 dell'art. 117, ed e' dunque illegittima per violazione di tale norma costituzionale. Quest'ultima, infatti, nel prevedere la diretta partecipazione dei suddetti enti ai processi decisionali comunitari, riconosce il diritto delle regioni di concorrere in modo incisivo ed efficace alla fase «ascendente» dei processi comunitari. Lo Stato deve, dunque, in materia, dettare una disciplina che garantisca realmente una partecipazione effettiva. La norma impugnata, invece, si limita a disporre che tale partecipazione avvenga nell'ambito delle delegazioni del Governo senza introdurre alcuna ulteriore garanzia. La disciplina dell'art. 5, comma 1, della legge La Loggia, dunque, viola l'art. 117, comma 5, Cost., poiche' la sua formulazione appare prevedere una partecipazione delle regioni scarsamente o per nulla incisiva, comunque non idonea a rappresentare efficacemente le istanze di tali enti; e non assegna alle autonomie territoriali un ruolo di reale rilievo nel processo decisionale. Non e' previsto, infatti, alcun meccanismo atto a garantire una reale consistenza del ruolo delle regioni nell'ambito di dette delegazioni (quali, ad esempio, la previsione di un numero minimo di rappresentati regionali; o la prescrizione che nelle materie di legislazione regionale esclusiva le delegazioni debbano essere composte di soli rappresentanti regionali). Resta, cioe', sempre in primo piano la presenza del Governo statale anche per le materie di competenza esclusiva regionale, e la partecipazione di regioni e province autonome avviene soltanto attraverso tale «filtro». L'art. 5, comma 1, della legge n. 131/2003 prevede altresi' che nelle materie di cui al quarto comma dell'art. 117 Cost. - che in via residuale appartengono alla competenza esclusiva delle regioni ordinarie - il Capo delegazione possa essere anche un presidente di giunta regionale o di provincia autonoma. Tale previsione appare lesiva delle competenze statutarie della Regione autonoma della Sardegna ed illegittimamente discriminatoria delle autonomie territoriali speciali rispetto a quelle ordinarie, in quanto essa e' riferita soltanto alle materie di competenza esclusiva-residuale delle regioni ordinarie ex art. 117, comma 4, Cost. e non anche alle materie che spettano alla legislazione primaria della regione autonoma della Sardegna in base allo statuto speciale approvato con L.C. n. 3 del 26 febbraio 1948. 2.2. - Anche il secondo comma dell'art. 5 impugnato appare costituzionalmente illegittimo per violazione delle norme in rubrica ed, in particolare, del quinto comma dell'art. 117 Cost. Tale disposizione costituzionale, infatti, nel garantire la partecipazione delle regioni e delle province autonome, nelle materie di loro competenza, alla formazione degli atti normativi comunitari implica che tali enti debbano, correlativamente, avere la possibilita' di far valere eventuali illegittimita' degli atti medesimi davanti agli organi competenti in sede comunitaria (possibilita' che i trattati comunitari attribuiscono a ciascuno Stato membro). Alle regioni e alle province autonome deve quindi essere riconosciuto un canale di accesso alla Corte di giustizia, che consenta loro di agire - tramite il Governo italiano - per l'impugnazione degli atti normativi comunitari. Del tutto insufficiente e', sul punto, la previsione dell'art. 5, comma 2, della legge n. 131/2003, poiche' esso si limita a prevedere la facolta' del Governo di proporre l'azione richiesta dalle regioni. Tale facolta' e' tuttavia rimessa alla piu' assoluta discrezionalita', per non dire al vero e proprio arbitrio, del Governo. L'unica possibilita' di vincolare il Governo a presentare le istanze regionali davanti alla Corte di giustizia e' rimessa alla richiesta della Conferenza Stato-regioni, a maggioranza assoluta delle regioni e province autonome. E' evidente come siffatta previsione sia del tutto inadeguata a garantire l'effettivita' della «partecipazione» delle regioni e delle province autonome di cui all'art. 117, comma 5, della Costituzione. La richiesta della maggioranza assoluta vale, infatti, ad escludere sostanzialmente la possibilita' di una effettiva incidenza di regioni e province autonome tutte le volte in cui, ad esempio, la materia con riferimento alla quale si pone la questione non sia di competenza di tutte le regioni, ma soltanto di alcune di esse, e quindi tutte le altre non hanno nessun interesse ad imporre al Governo di adire Corte di giustizia CE. La previsione, in particolare, lede in modo assai grave la regione autonoma della Sardegna e gli altri enti territoriali dotati di autonomia speciale, poiche' questi, essendo dotati di competenze legislative, sia esclusive che concorrenti, anche in materie che non spettano invece alle regioni ordinarie, potrebbero trovarsi in tali ambiti, in netta «minoranza» all'interno della Conferenza Stato-regione, e, dunque, senza alcuna possibilita' di vincolare il Governo all'azione in sede comunitaria. In tali ipotesi, gli enti in parola si troverebbero sforniti di qualunque strumento di «partecipazione» in sede di giustizia comunitaria, dovendosi rimettere totalmente all'arbitrio del Governo. Cio' costituisce una evidente violazione delle competenze provinciali e delle norme costituzionali indicate in rubrica. 3. - Incostituzionalita' dell'art. 6 della legge 5 giugno 2003, n. 131, per violazione delle competenze regionali di cui all'art. 117, comma 3 e comma 9, della Costituzione, in relazione all'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; e per violazione delle competenze regionali di cui agli artt. 3, 4, 5 e 6 dello Statuto speciale per la Sardegna e relative norme d'attuazione. 3.1. - Come si e' ricordato nell'illustrazione del precedente motivo, il terzo comma dell'attuale art. 117 Cost. affida alla legislazione concorrente dello Stato e delle regioni la materia di «rapporti internazionali ... delle regioni»: lo Stato deve, cioe', limitarsi alla fissazione di principi fondamentali della materia, senza disciplinarla in toto, ma lasciando alle regioni la determinazione della disciplina di dettaglio. Il nono comma aggiunge, inoltre, che «nelle materie di sua competenza la regione puo' concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato». La lettura sistematica delle due disposizioni rende evidente che la legge statale di cui al comma 9, per la disciplina dei casi e delle forme nei quali le regioni possono procedere alla stipula di accordi o intese, dovra' limitarsi a dettare norme di principio, che lascino il dovuto margine alla regione per la propria disciplina. Sotto tale profilo, l'art. 6 della legge n. 131/2003 appare radicalmente illegittimo, in quanto pretende invece di dettare una disciplina specifica, compiuta ed analitica, sul tema dei rapporti internazionali delle regioni. Peraltro, anche a voler accedere ad una diversa interpretazione della relazione tra i due commi appena richiamati, ritenendo che il contenuto del comma 9 sia derogatorio rispetto a quanto previsto dal comma 3 del medesimo articolo, e che, dunque, esso valga a riservare integralmente allo Stato la disciplina dei «casi» e delle «forme» degli accordi e delle intese in questione, e' evidente che tale deroga - in quanto tale - non puo' che essere di stretta interpretazione. La disciplina statale di dettaglio, dunque, non potrebbe riguardare altro che i «casi» e le «forme» degli accordi e non potrebbe certamente coinvolgere altri aspetti. In particolare, essa non potrebbe creare strumenti di ingerenza statale nel merito degli accordi stessi. L'art. 6 della legge n. 131/2003, invece, va ben oltre tali limiti, disponendo una serie di limitazioni sostanziali all'esercizio del potere delle regioni di stipulare accordi e intese che finiscono per snaturarlo totalmente, svuotandolo sostanzialmente di qualsiasi significato, e giungendo ad eliminare del tutto qualsiasi portata innovativa del comma 9 dell'art. 117, introdotto dalla recente riforma costituzionale. Se, infatti, si puo' riconoscere, nell'ambito di tale ricostruzione, che la legge statale possa limitare i tipi di accordi che le regioni possono concludere con altri Stati (i «casi») e che ne possa fissare alcune regole procedurali (le «forme»: v. la tempestiva comunicazione delle trattative al Ministero degli affari esteri ed alla Presidenza del Consiglio, o l'esigenza che gli accordi stipulati ricevano pubblicita), appare, invece, radicalmente inconciliabile con la disciplina dell'art. 117 Cost., commi 3 e 9, la previsione da parte dell'articolo impugnato di un forte potere di ingerenza nel merito da parte dello Stato, che si concreta in una serie di istituti volti a eliminare sostanzialmente il potere di decisione regionale nei casi previsti. In particolare, si fa riferimento: alla possibilita', per il Ministero degli affari esteri, di dettare principi e criteri direttivi che la regione dovrebbe seguire nella conduzione dei negoziati (art. 6, comma 3); al necessario coinvolgimento dello Stato nell'ambito di tutto lo svolgimento dei negoziati, nel caso in cui questi si svolgano all'estero, attraverso l'imposizione della «collaborazione» con le rappresentanze diplomatiche ed i competenti uffici consolari italiani (art. 6, comma 3); alla necessita' che il Ministero degli esteri accerti preventivamente l'opportunita' politica e la legittimita' dell'accordo (art. 6, comma 3); alla possibilita' che siano prospettate dal Governo questioni di opportunita' politica sull'accordo, in qualsiasi momento (e, dunque, anche successivamente alla sua stipula) e che in caso di dissenso la decisione spetti esclusivamente al Consiglio dei ministri (art. 6, comma 5). Si tratta di una serie di previsioni le quali, come e' evidente, singolarmente e soprattutto nel loro complesso, finiscono per svuotare completamente di significato il potere astrattamente riconosciuto alle regioni e alle province autonome di procedere alla stipula degli accordi nei «casi» indicati dallo stesso art. 6, comma 3, della legge La Loggia. Tutti casi, naturalmente, in cui non vengono in rilievo scelte fondamentali di politica estera (che, del resto, sono riservate allo Stato, ex art. 117, comma 2, lettera a), ma soltanto decisioni di rilievo esclusivamente locale o di importanza marginale: accordi esecutivi ed applicativi di accordi internazionali gia' entrati in vigore; accordi di natura tecnica-amministrativa; accordi programmatici per favorire il proprio sviluppo economico, sociale, culturale, ecc. Dunque, le suddette disposizioni dell'art. 6, comma 3, della legge impugnata sono illegittime per violazione delle norme costituzionali indicate in rubrica. 3.2. - Analoghi rilievi possono essere fatti anche con riguardo alla previsione, sempre contenuta nel comma 3, che per la stipula dell'accordo sia necessaria l'attribuzione da parte del Ministro degli affari esteri dei pieni poteri di firma previsti dalle norme del diritto internazionale generale e dalla Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969, pena la nullita' dell'accordo stesso. Si tratta di una ulteriore prescrizione volta a limitare illegittimamente i poteri delle regioni e delle province autonome, consentendo una ingerenza dello Stato nel merito dell'accordo, in violazione della nuova normativa costituzionale in materia. A tale scopo la legge impugnata ha utilizzato un istituto, quello dell'attribuzione dei pieni poteri, del tutto incongruente con il tema degli accordi stipulati dalla regioni e dalle province autonome. I pieni poteri del firmatario sono, infatti, richiesti dal diritto internazionale esclusivamente per i trattati tra Stati, perche' questi possano dirsi vincolanti per gli Stati stessi (v. artt. 1, 3 e 7 della Convenzione di Vienna adottata il 23 maggio 1969 e ratificata ai sensi della legge 12 febbraio 1974, n. 112). Gli accordi conclusi ai sensi dell'art. 117, comma 9, Cost., invece, non sono, ovviamente, dei «trattati» tra Stati, poiche' il soggetto che li stipula non e' lo Stato, ma la regione o la provincia autonoma. Ne', come tali, essi vincolano lo Stato, ma soltanto l'ente che lo ha sottoscritto (non rientrando tali accordi tra quelli in grado di costituire un limite alla legislazione interna ex art. 117, comma 1, Cost., che possono essere soltanto i trattati ratificati ex art. 80 Cost., in quanto solo questi ultimi possono comportare «modificazioni di leggi» e, dunque, a fortiori vincoli al legislatore futuro). E', quindi, del tutto priva di significato la previsione dell'art. 6, comma 3, della legge impugnata, secondo la quale e' necessario, a pena di nullita', il conferimento dei pieni poteri per la stipula di detti accordi. Si tratta soltanto di un ulteriore meccanismo di ingerenza dello Stato nel merito degli accordi stipulati dagli enti territoriali, nei casi ad essi consentiti. Tale norma, dunque, come le altre di cui si e' detto sopra, deve essere dichiarate costituzionalmente illegittima per violazione delle competenze regionali di cui alle norme in rubrica. 4. - Incostituzionalita' delle disposizioni impugnate dell'art. 7, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131, per violazione delle competenze regionali di cui al combinato disposto dell'art. 117, comma 3, Cost. e dell'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 (nonche', per quanto di ragione, di cui agli articoli 3, 4, 5 e 6 dello Statuto speciale per la Sardegna e relative norme d'attuazione). La disciplina dell'art. 7 impugnato e' incostituzionale, per violazione delle disposizioni dello Statuto speciale appena citate e del principio dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Infatti l'applicazione anche alla Regione ricorrente della suddetta disciplina dell'art. 7 (e dello stesso art. 118 della Costituzione) comporterebbe una riduzione della sua autonomia amministrativa, stante che, in virtu' della clausola dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, la riforma del titolo V ha comunque comportato un aumento delle competenze della regione ricorrente (delle sue competenze legislative e parallelamente, in base all'art. 6 dello Statuto speciale, anche delle sue competenze amministrative), risulta impropria e pericolosa per le competenze della regione la formula impiegata nel primo periodo del primo comma dell'art. 7 circa il «conferimento» delle funzioni amministrative. Ivi infatti, e' scritta che lo Stato e le regioni «provvedono a conferire le funzioni amministrative da loro esercitate alla data di entrata in vigore della presente legge, sulla base dei principi di sussidiarieta', ...». Orbene, in molti casi le funzioni amministrative statali che, in base alla riforma del titolo V ed all'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, sono passate nella «titolarita» della regione ricorrente sono pero' di fatto, ancora «esercitate» dallo Stato. In questi casi, allora, l'ambigua formulazione della impugnata disposizione del primo periodo del comma 1 dell'art. 7 consentirebbe allo Stato di «conferire» ad altri enti funzioni amministrative ormai di competenza regionale, di cui esso non e' piu' titolare, ma che di fatto ancora «esercitava» alla data di entrata in vigore della legge La Loggia. Ne deriva la incostituzionalita' della impugnata disposizione, nella parte in cui si riferisce all'esercizio anziche' alla titolarita' delle funzioni, salva la possibilita' di una interpretazione adeguatrice da parte di codesta ecc.ma Corte. 5. - Incostituzionalita' delle disposizioni impugnate dell'art. 8, commi da 1 a 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131, per violazione delle competenze regionali di cui al combinato disposto dell'art. 117, comma 3, Cost. e dell'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001; nonche', per quanto di ragione, di cui agli articoli 3, 4, 5 e 56 dello Statuto speciale per la Sardegna, e relative norme d'attuazione (spec. art. 6 - comma 3, d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348); e degli articoli 70 e 77 della Costituzione. 5.1. - Mentre sino ad oggi il potere sostitutivo del Governo, sulla base appunto della giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, era circoscritto alle sole funzioni amministrative delle regioni e provincie autonome, l'art. 8 della legge La Loggia - attuando in modo scorretto l'art. 120, comma 2, della Costituzione - a quanto pare riconfigura il potere sostitutivo del Governo estendendolo anche alle funzioni normative-legislative delle Regioni gravemente lesivo delle competenze della regione ricorrente. 5.2. - Presupposto della presente impugnazione dell'art. 8 della legge La Loggia e' dunque che il secondo comma dell'art. 120 della Costituzione attribuisca al Governo un potere sostitutivo limitato alle sole funzioni amministrative delle regioni. Del resto, se cosi' non fosse, in base al principio dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, alla regione autonoma ricorrente non potrebbe applicarsi ne' la disciplina del secondo comma dell'art. 120 Cost., ne' - conseguentemente - quella dell'art. 8 della legge qui impugnata. In tal caso, infatti, la nuova disciplina del potere sostitutivo stabilita dall'art. 120 della Costituzione - ampliando il potere di controllo sostitutivo del Governo, che prima si esercitava solo in relazione alle funzioni amministrative - restringerebbe l'autonomia della regione ricorrente, anziche' ampliarla come richiede appunto l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 perche' le nuove disposizioni del titolo V possano applicarsi anche alle regioni a statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e Balzano. 5.3. - Com'e' noto, e' dibattuto in dottrina se il potere sostitutivo ex art. 120 Cost. sia circoscritto alla funzione amministrativa od invece estesa anche a quella legislativa (da ultimo ampie indicazioni al riguardo in G. Scaccia, Il potere di sostituzione in via normativa nella legge n. 131 del 2003. Prime note, pubblicato nel sito internet www.associazionedeicostituzionalisti.it; cui adde, a favore della prima tesi, V. Cerulli Irelli, sub art. 8, in AA.VV., La legge «La Loggia» cit.). Tuttavia, ad avviso della regione ricorrente sono del tutto prevalenti le ragioni che militano nel primo senso. In sintesi, tali ragioni sono: a) il fatto che la disposizione costituzionale attribuisca il potere sostitutivo al Governo (anziche' allo Stato, come sarebbe stato necessario ove si fosse trattato di un potere sostitutivo concernente anche la funzione legislativa); b) il fatto che la disposizione costituzionale accomuna, come enti soggetti al potere sostitutivo, le regioni agli enti locali, questi ultimi privi di funzioni legislative, senza operare alcuna distinzione neppure sotto il profilo procedimentale (che pure sarebbe stata necessaria ove realmente il potere sostitutivo riguardasse non solo le funzioni amministrative di tutti gli enti nominati dalla disposizione in questione, ma anche le funzioni legislative delle regioni); c) il fatto che il quinto comma dell'art. 117 prevede espressamente un potere sostitutivo di natura normativa in relazione all'inadempimento di obblighi internazionali e comunitari da parte delle regioni e delle province autonome, per cui, se realmente il potere sostitutivo in questione riguardasse anche la funzione legislativa, la relativa disposizione dell'art. 120 Cost. sarebbe inutiliter data nella parte in cui pone a presupposto dell'esercizio del potere del Governo il caso del «mancato rispetto delle norme internazionali o della normativa comunitaria»; d) infine, ma soprattutto, il fatto che, da un lato, il riconoscere allo Stato (e per esso al Governo - sia pure transitoriamente - tramite lo strumento del decreto-legge) il potere di sostituirsi al legislatore regionale significherebbe alterare profondamente il nuovo sistema costituzionale delle fonti, attribuendo allo Stato (sia pure in via sostitutiva) un ulteriore competenza legislativa generale ed innominata che il nuovo art. 117 Cost. non sembra consentire; d'altro canto, come e' stato recentemente sottolineato dalla dottrina (G. Scaccia, op. cit.), la doppia negazione presente nell'incipit degli articoli 76 e 77 Cost. sta invece a ribadire l'eccezionalita' della attribuzione di funzioni legislative al Governo, al quale l'interprete puo' riconoscere tali funzioni solo in presenza di una espressa ed inequivoca attribuzione fatta da una norma costituzionale, quale certamente non dato e' di rinvenire nel novellato art. 120 della Costituzione. 5.4. - Cio' detto, e venendo all'impugnato art. 8 della legge La Loggia, se (come sembra) i «provvedimenti normativi necessari» adottabili dal Governo nelle due ipotesi di cui ai commi 1 e 4 hanno natura di atti di normazione primaria, si dovrebbe allora trattare di atti con forza di legge del Governo assimilabili (ma solo in parte, come si vedra) ai decreti-legge: in tal senso, invero, depone anche l'assonanza del nomen con i «provvedimenti provvisori con forza di legge» previsti appunto dall'art. 77 della Costituzione. Ma, in tal caso, la disciplina legislativa impugnata - nella parte in cui essa consente al Governo di adottare, nell'esercizio del potere sostitutivo, atti con forza di legge - e' palesemente incostituzionale e gravemente lesiva delle competenze costituzionali della regione autonoma ricorrente. Passiamo quindi ad individuare sinteticamente i principali motivi della incostituzionalita' della disciplina in questione. In primo luogo e' da ribadire il pacifico insegnamento della dottrina e della giurisprudenza secondo cui, nel sistema costituzionale delle fonti, gli atti con forza di legge sono un numero chiuso, essendo essi soltanto quelli espressamente e tassativamente previsti da apposite norme costituzionali. Una legge ordinaria, quale e' quella qui impugnata, non puo' validamente istituire una nuova fonte primaria, quale sarebbe il provvedimento con forza di legge di cui all'impugnato art. 8: un provvedimento che, per vari aspetti di cui ora si dira', e' anche non assimilabile al decreto-legge di cui all'art. 77 della Costituzione. Gia' per questo, dunque la impugnata disciplina dell'art. 8 e' incostituzionale. Come si e' detto, inoltre, l'atto normativo del Governo configurato dall'art. 8 si discosta per aspetti essenziali dal decreto-legge ex art. 77 della Costituzione. Infatti, nel caso dell'intervento sostitutivo del primo comma dell'art. 8 il provvedimento interviene solo a conclusione di un complesso procedimento preparatorio, che vede una messa in mora del soggetto inattivo, la fissazione di un termine per l'adozione dell'atto dovuto, l'audizione dell'ente inadempiente, ecc.: una procedura che, peraltro, e' palesemente incompatibile con la situazione di straordinaria necessita' ed urgenza, e quindi di indifferibilita' del provvedere, che e' invece l'essenziale presupposto per adozione del decreto-legge ai sensi dell'art. 77 della Costituzione. Del pari non conforme al modello del decreto-legge, ed al suo regime giuridico, e' pure l'intervento sostitutivo nel caso di «assoluta urgenza» di cui al comma 4 dell'art. 8, nei quali viene meno la procedura preparatoria del comma 1. In questo caso, infatti, oltre ad esservi un differenza nella definizione del presupposto richiesto - dall'art. 77 Cost. («casi straordinari di necessita' e di urgenza»), soprattutto si ha che nella fase del procedimento successiva all'adozione del provvedimento sostitutivo viene inserita (accanto ed in aggiunta alla conversione in legge, se il provvedimento in questione deve essere in qualche modo assimilato al decreto-legge) la «immediata comunicazione» del medesimo provvedimento «alla Conferenza Stato-regioni o alla Conferenza Stato-citta' e autonomie locali, ..., che possono chiederne il riesame» (meccanismo procedurale, questo, che ricalca fedelmente quello dell'art. 5, comma 3, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, onde si dovrebbe ritenere applicabile anche la disciplina del riesame contenuta nell'art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59). Dunque, la disciplina legislativa impugnata non soltanto sembra pretendere di istituire un nuovo tipo di atto con forza di legge del Governo, non previsto dalla Costituzione; ma per di piu' lo ha configurato in modo assai diverso, sia per quanto riguarda i presupposti, sia per quanto riguarda la procedura di «conversione», dal modello del decreto-legge di cui all'art. 77 della Costituzione. In tal modo la disciplina dell'art. 8 della legge La Loggia, attribuendo al Governo (sia pure in via sostitutiva) un siffatto potere «legislativo» su materie innominate, si risolve in un'autorizzazione permanente per il medesimo Governo a derogare agli elenchi di materie dell'art. 117 Cost. ed in uno svuotamento della garanzia delle competenze legislative regionali e provinciali che ivi e' stabilita. Di qui la incostituzionalita' della disciplina legislativa impugnata, salvo una interpretazione adeguatrice di codesta ecc.ma Corte, che valga ad escludere la possibilita' che il Governo utilizzi l'art. 8 per adottare anche provvedimenti normativi con forza di legge, incidenti sulle competenze legislative della regione ricorrente. 5.5. - Infine, la disciplina dell'art. 8 e' per certi particolari ed ulteriori aspetti comunque incostituzionale, anche qualora si escludesse che i provvedimenti sostitutivi ivi contemplati possano avere efficacia legislativa. 5.5.1. - Va particolarmente censurato il comma 2 dell'art. 8 per la sua incompatibilita' con la disciplina speciale della «inadempienza comunitaria» che e' stabilita - per la Regione autonoma della Sardegna - dalle citate norme d'attuazione dell'art. 6 del d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348: norme d'attuazione che (secondo il costante insegnamento di codesta ecc.ma Corte) non possono essere abrogate ne' derogate dalla legge ordinaria, ma solo attraverso la speciale procedura collaborativa dell'art. 56 dello statuto speciale. Fra l'altro, la disciplina dell'art. 6 del d.P.R. n. 348 del 1979 prevede il necessario parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali, che non e' invece richiesto dal secondo comma dell'impugnato art. 8. Il rilevato contrasto del secondo comma dell'art. 8 della legge impugnata con le norme d'attuazione dello Statuto speciale comporta la violazione dell'art. 56 dello statuto medesimo. 6. - Incostituzionalita' dell'art. 10, comma 5, della legge 5 giugno 2003, n. 131, per violazione delle competenze regionali di cui allo statuto speciale per la Regione Sardegna e, in particolare, all'art. 56, nonche' delle relative norme di attuazione. Per le argomentazioni precedentemente svolte, e con riserva di piu' diffuse successive considerazioni, si eccepisce l'incostituzionalita' per violazione dell'art. 56 dello Statuto sardo e delle relative norme di attuazione, dell'art. 10, comma 5 della legge n. 131/2003 concernente l'attribuzione al rappresentante dello Stato (scil.: agli organi statali a competenza regionale previsti dai rispettivi statuti ...) dell'esecuzione dei provvedimenti del Consiglio dei ministri costituenti esercizio del potere sostitutivo di cui all'art. 120 della Costituzione.