IL GIUDICE DI PACE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza di rimessione alla Corte
costituzionale  nella  causa  civile R.G. n. 412/02 promossa dal sig.
Piero  Picchianti  contro  la  prefettura  di Napoli, nel giudizio di
opposizione  avverso  l'ordinanza-ingiunzione di pagamento di Euro 78
n. 133/TDG/02/II.

                         Osservato in fatto

    Con  ricorso  ex  art. 22  della  legge  n. 689/ 981, ritualmente
depositato  il  7 giugno 2002 presso la cancelleria di questo ufficio
giudiziario,  il  sig. Piero Picchianti residente in Porto S. Stefano
(GR),  ha  presentato opposizione avverso l'ordinanza- ingiunzione di
pagamento   n. 133/TDG/02/II  settore,  emessa  dalla  prefettura  di
Napoli,  con  la  quale e' stato respinto il ricorso dell'interessato
contro  la  violazione accertata dalla locale polizia municipale «per
aver  sostato  in  zona  parcheggio a pagamento senza aver esposto il
titolo di pagamento».
    All'udienza  del  17  gennaio  2003  nessuno  e'  comparso per la
prefettura  di  Napoli, ne' risultano essere state depositate memorie
difensive.
    A  questo  punto  il  giudice, rilevato che il ricorrente risulta
residente  e  domiciliato  in  localita'  diversa da quella in cui e'
stata  commessa  la  violazione ascrittagli, ritiene tale circostanza
rilevante   al   fine  di  sollevare  d'ufficio  la  questione  della
costituzionalita'  dell'art. 22  della  legge  n. 689 del 24 novembre
1981 e successive modificazioni, in relazione agli articoli 3, 10, 24
e  111  della  Costituzione  italiana,  onde  chiedere  un intervento
additivo  della  Corte,  nel senso che sia riconosciuta la competenza
territoriale  del  giudice  di  residenza del ricorrente (Orbetello),
anziche'  quella  del  giudice  del  luogo  della commessa violazione
(Napoli).
    Conseguentemente ha sospeso d'ufficio il giudizio per trasmettere
gli  atti  alla  Corte  costituzionale  e  di  cio'  ha preso atto il
ricorrente.

                         Ritenuto in diritto

    La  controversia all'esame di questo giudice e' stata promossa da
un  cittadino  abitante  a  Porto S. Stefano (GR), il quale ha inteso
presentare opposizione avverso un provvedimento sanzionatorio emanato
dall'ufficio  del  territorio  di  Napoli  (ex  prefettura) ancorche'
l'oggetto  dell'impugnata  ordinanza  sia  relativo  ad un'infrazione
stradale commessa ed accertata in quella citta'.
    Al  riguardo  questo  organo  giudicante  e'  dell'avviso  che il
ricorrente,   depositando   presso  l'ufficio  di  Orbetello  la  sua
opposizione,  abbia voluto sostanzialmente eccepire la illegittimita'
(costituzionale)   della  norma  di  cui  all'art. 22,  in  relazione
all'art. 22-bis  della  legge n. 689/1981, che gli impone di adire il
giudice  del  luogo della commessa violazione, e, quindi, chiedere la
caducazione della predetta norma al fine di far valere le sue ragioni
presso l'ufficio giudiziario piu' vicino al suo luogo di residenza.
    Nella   circostanza   ove  questo  organo  giudicante,  prendendo
formalmente atto della sua carenza di competenza territoriale, avesse
dichiarato,   con   sentenza,   inammissibile   il  ricorso  de  quo,
l'opponente  avrebbe  dovuto  sollevare  la questione di legittimita'
costituzionale  in Cassazione, per di piu' necessariamente tramite un
avvocato cassazionista, con evidente significativo aggravio di costi.
    Avendo  presente che tale questione ha formato oggetto di recenti
analoghe  ordinanze  di  remissione  da  parte dei giudici di pace di
Segni e Santha', e che quella del 18 dicembre 2000 - di questo stesso
giudice  -  e'  stata  ritenuta  inammissibile,  in  quanto  priva di
adeguata  motivazione,  con  riguardo,  in  particolare, alla mancata
indicazione   di  quali  «conseguenze  avrebbe  l'accoglimento  della
proposta  questione  sul  giudizio  a  quo», questo organo giudicante
sottopone  nuovamente, d'ufficio all'esame della Corte costituzionale
la  dedotta  illegittimita'  della  richiamata  norma, perche' la sua
applicazione privilegia il foro dell'amministrazione, in quanto rende
particolarmente  difficoltoso  all'interessato  l'esercizio  dei suoi
fondamentali diritti di difesa.
    Ritiene,  altresi',  che  anche l'art. 23 della legge n. 489/1981
sia  censurabile per disparita' di trattamento tra le parti in causa,
laddove esso obbliga solo il ricorrente ad essere presente alla prima
udienza  -  salvo legittimo impedimento - a differenza della pubblica
amministrazione,  la  cui  mancata comparizione non soggiace ad alcun
specifico gravame.
    I   richiamati   diritti   di   difesa   sono  costituzionalmente
riconosciuti  e  garantiti,  non  solo  dall'art. 24  ("la  difesa e'
diritto   inviolabile   in  ogni  stato  e  grado  del  giudizio")  e
dall'art. 113,  ma  ora,  anche,  dall'art. 111,  secondo comma della
Costituzione  (legge  costituzionale  23  novembre  1999,  n. 2), per
effetto del quale «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le
parti,   in   condizione  di  parita',  davanti  a  giudice  terzo  e
imparziale».
    L'attribuzione della competenza territoriale al giudice del locus
commissi    delicti,    in   pratica   coincidente   con   il   luogo
dell'accertamento  dell'infrazione,  appare  in contrasto anche con i
principi   del   giusto   processo   e   della  buona  ed  imparziale
amministrazione  della giustizia, gia' enunciati nella Convenzione di
Roma  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo e delle liberta'
fondamentali.
    Di  fatto  la scelta del forum commissi delicti non garantisce al
presunto  incolpato  una  posizione  processuale  paritaria  rispetto
all'amministrazione  resistente,  in  quanto  solo il trasgressore e'
obbligato a muoversi dalla sua localita' di residenza per raggiungere
l'ufficio   giudiziario   del   luogo   in   cui  e'  stata  commessa
l'infrazione,  cio'  ne comporta uno squilibrio significativo a tutto
vantaggio   dei   funzionari   di  detta  amministrazione  in  genere
abitualmente operanti sul posto.
    Tale  squilibrio e', altresi, accentuato sul piano sostanziale in
quanto  le  pretese  dell'autorita'  che ha irrogato la sanzione sono
immediatamente  esecutive, per cui il trasgressore e' esposto anche a
tali ulteriori gravi conseguenze.
    Si  osserva,  infatti,  come  l'art. 23  della  legge n. 689/1981
sanzioni la «mancata comparizione dell'opponente» alla prima udienza,
con   la   «convalida»   del   provvedimento  sanzionatorio  all'uopo
impugnato, ponendo a carico del ricorrente «anche le spese successive
all'opposizione»,  cio' a differenza dell'ordinario rito civilistico,
dove  la  contumacia  dell'attore,  su  richiesta  del  convenuto, e'
regolata dall'art. 290 c.p.c.
    Per  quanto  riguarda  la  mancata  presenza dell'amministrazione
all'udienza,    nessuna   analoga   sanzione   e'   prevista,   salvo
l'applicazione  da  parte  del  giudice  dei  principi  di  carattere
generale per la valutazione del comportamento delle parti.
    E'  indubbio che tale significativo gravame procedurale penalizzi
unicamente  il  ricorrente,  la cui obbligatoria presenza in giudizio
viene  praticamente  imposta, e per di piu' nel luogo in cui e' stata
commessa la violazione.
    In  effetti  la  competenza  territoriale  del  giudice del luogo
dell'infrazione,  di  chiara  origine  penalistica,  con  riferimento
all'art 8 c.p.c., puo' apparire irragionevole proprio nell'ambito dei
giudizi  attribuiti  ora  al  giudice di pace, ossia ad un magistrato
onorario  scelto  proprio per valorizzare il suo rapporto sempre piu'
diretto ed immediato con i protagonisti processuali in un determinato
ambito  territoriale,  tanto  piu',  se, come nel caso di specie, sia
esclusa l'obbligatoria assistenza di un legale.
    Proprio  le  stesse  norme  procedurali  della  legge n. 689/1981
impongono  al giudice di valutare, in concreto, la «personalita» e le
eventuali     «condizioni     economiche    disagiate»    dell'autore
dell'infrazione,  in sede di applicazione delle sanzioni (art. 11), e
di dare lettura in udienza del relativo dispositivo (art. 23).
    Tale   fondamentale   attivita'   processuale,  prevista  proprio
nell'interesse  difensivo  del trasgressore, viene, invece, ad essere
del tutto vanificata nel caso in cui l'opponente si trovi a risiedere
in  una  localita'  molto  lontana  dal  punto  in  cui sarebbe stata
commessa  l'addebitata  violazione  stradale,  dal  momento  che tale
distanza  finisce  per  rendere  impossibile,  proprio perche' troppo
onerosa, la presenza in udienza dell'incolpato.
    L'ammontare  della  sanzione irrogata, in molti casi, non e' tale
da  giustificare  la  spesa  per  la  assistenza  di un legale, anche
nell'ipotesi  in  cui  fosse  macroscopica  la  non  colpevolezza del
verbalizzato,  considerata  anche  la  diffusa tendenza dei giudici a
compensare  le  spese  ovvero  liquidarle in via equitativa in misura
simbolica.
    In  pratica  l'attribuita  competenza territoriale al giudice del
luogo  in  cui e' stata commessa l'infrazione dispiega i suoi effetti
unicamente  a  vantaggio dell'amministrazione nei cui confronti viene
presentato   ricorso,   in   quanto   proprio   i   suoi  funzionari,
verosimilmente  agevolati  dalla vicinanza con gli uffici giudiziari,
risultano  senz'altro notevolmente «facilitati» nel reperimento delle
prove  e,  quindi,  piu'  in  generale,  nello  svolgimento  di tutta
attivita' processuale.
    La  scelta  del forum commissi delicti, se puo' ammettersi per le
controversie di maggiore offensivita' all'esame ora del tribunale, la
cui trattazione spesso comporta l'ammissione di consulenze tecniche e
di  complessi  riscontri  documentali  nei  luoghi  dell'accertamento
dell'infrazione, non sembra ragionevole e comunque opportuna nel caso
dei  ricorsi  esaminati  dai  giudici di pace, tenuto conto sia della
minore  gravita'  di tali illeciti, che dalla sostanziale assenza nel
corso del processo di una significativa attivita' istruttoria.
    Del  resto  il  legislatore, in sede di emanazione del menzionato
d.lgs.  n. 507/1999,  ha sicuramente voluto attribuire una competenza
di   carattere   generale   al  giudice  di  pace  per  gli  illeciti
amministrativi   minori,  cioe'  quelli  sanzionabili  con  una  pena
pecuniaria inferiore al controvalore in euro di 30 milioni, ritenendo
idoneo  proprio  tale  magistrato  onorario  a valutare e dirimere le
controversie  de  quibus,  con  riferimento,  ove  compatibili,  agli
istituti  processuali  del processo ex art 316 c.p.c. e ss., cio' con
riguardo  al  fondamentale  rapporto  diretto  dell'incolpato  con il
giudice.
    L'art. 22-bis  ha,  infatti,  trasferito  sul  giudice di pace la
competenza  a  conoscere  delle opposizioni di cui all'art. 22, fatte
salve espresse eccezioni.
    Rimangono  estranee alla competenza di questo magistrato onorario
(come  lo erano rispetto alla competenza pretorile) le opposizioni al
provvedimento  di  sequestro,  disciplinate  dall'art. 19 della legge
depenalizzatrice,  nelle  due forme dell'opposizione vera e propria e
della richiesta di restituzione di cose sequestrate.
    Significativamente   sono  state,  altresi',  escluse  dalla  sua
competenza,  ed  attribuite ai giudici togati, le opposizioni avverso
le sanzioni pecuniarie d'importo superiore, nel controvalore in euro,
a lire 30 milioni, nonche' la materia relativa ad alcune tipologie di
violazioni  (lavoro,  urbanistica,  ambiente, valutario, tributario e
societario),  di  particolare  complessita'  giuridica,  per  la  cui
definizione    assume    specifico   rilievo   il   momento   tecnico
dell'istruttoria   e,   quindi,  per  tali  settori  giustificata  la
discrezionalita'   legislativa  di  scegliere  la  regola  del  locus
commissi delicti per il foro dell'opposizione.
    La  materia  del  riciclaggio,  nonostante  la sua contiguita' al
valutario  e al monitoraggio fiscale per valori al seguito - entrambi
gli illeciti sottoposti alla particolare procedura contenziosa ex T.U
31  marzo  1988,  n. 148,  con  ricorso  al tribunale - non e' stata,
invece,  demandata  alla  competenza esclusiva dei giudici togati, ma
riconosciuta di pertinenza dei giudici di pace per le sanzioni fino a
30 milioni.
    Tale  scelta  legislativa puo' essere stata determinata dal fatto
che  le  sanzioni  di  minore  importo  applicate in materia dal mega
Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  presuppongono  in genere
illeciti  provocati da ignoranza o da semplice disattenzione, per cui
si  e'  ritenuto  che  anche  un  giudice  non  togato fosse idoneo a
valutarne  la  sussistenza,  verosimilmente  proprio  per effetto del
menzionato suo rapporto processuale diretto con il trasgressore.
    Se da un lato il richiamato d.lgs. n. 507/1999 riconosce, come si
e'  detto, al giudice di pace una particolare attitudine a mediare le
controversie amministrative di minore importanza, e cio' con indubbio
vantaggio  per  l'utente  considerata la diffusione nel territorio di
questi uffici giudiziari, sotto altro aspetto non assicura, pero', al
destinatario  di  tali  sanzioni  amministrative  un'adeguata  tutela
nell'ambito  del  procedimento  sanzionatorio,  dal  momento  che non
contempla  la possibilita' di definire il giudizio secondo equita', e
lascia   sussistere   il   foro  «privilegiato»  dell'amministrazione
opposta,  non  prevedendo  l'invocata regola processuale del foro del
ricorrente,  analoga  a  quella  ora  in  atto  a favore del foro del
consumatore.
    Per  le  ragioni  suesposte  le parti in giudizio non sono in una
posizione   di   parita',  e  sussiste,  invece,  un  indubbio  grave
squilibrio   a  danno  del  soggetto  processualmente  debole,  ossia
l'opponente, che normalmente rinuncia ad esercitare il suo diritto di
difesa  per  i  costi  eccessivi  cui  deve sottoporsi, mentre invece
l'amministrazione,  grazie  ai suoi uffici periferici o, in mancanza,
di   quelli  della  prefettura,  e'  istituzionalmente  in  grado  di
resistere con i suoi funzionari sull'intero territorio nazionale.
    Del  resto,  proprio  considerando  l'articolazione  territoriale
degli  uffici di prefettura, oggi ufficio del territorio, l'eventuale
trasferimento  della competenza al giudice del luogo di residenza del
ricorrente  non  avrebbe  conseguenze  particolarmente  negative  per
l'amministrazione  opposta,  in  quanto  i  funzionari delle sue sedi
periferiche  possono  correttamente rappresentarla nelle cause di cui
trattasi.
    Tra  l'altro,  in  un  futuro  non  molto  lontano di progressivo
decentramento  delle  funzioni, e' ipotizzato un crescente intervento
delle autorita' locali (amministrazioni provinciali) presso i giudici
di pace per sostenere le ragioni di tutte amministrazioni resistenti.
    Si  sottolinea,  altresi',  come  ancor  prima  dell'avvento  del
«giusto  processo»  l'evoluzione  normativa  fosse  gia' nel senso di
valorizzare  il foro del ricorrente, rispetto a quello del convenuto,
proprio   al   fine   di  riequilibrare  le  posizioni  dei  soggetti
considerati  normativamente  deboli  rispetto  alle parti processuali
forti.
    Sono da ritenersi espressioni di tale esigenza il procedimento di
opposizione  al  decreto penale di condanna, dal quale ultimo proprio
la  procedura della legge n. 689/1981 e' largamente ispirata, ma piu'
recentemente  la  complessiva normativa a tutela del consumatore, con
particolare  riguardo  all'art. 25  della legge 6 febbraio 1996 n. 56
(«Disposizioni    per    l'adempimento    di    obblighi    derivanti
dall'appartenenza   dell'Italia   alle   Comunita'  europee  -  legge
comunitaria  1991»),  il  quale  ha  introdotto  il  cosiddetto  foro
esclusivo  del  consumatore,  ai  sensi dell'art. 1469-bis, n. 13 del
codice  civile  (Clausole  vessatorie)  (cfr.  Cass.  28 agosto 2001,
n. 11282;  Trib.  Bologna sentenza 14 giugno 2000; giudice di pace di
Prato,   sentenza  28  gennaio  1999),  o  anche  all'art. 12  d.lgs.
n. 50/1992  sui  contratti  negoziati fuori dei locali commerciali e,
all'art. 10 d.lgs. n. 427/1998 in materia di multiproprieta'.
    Ne'   tali   significative   deroghe   all'ordinaria   competenza
territoriale  possono  essere  qualificate un «eccesso di zelo» nella
protezione  dell'utente-consumatore,  ma anzi le ragioni che le hanno
determinate   sono   invocabili   anche  nell'ambito  degli  illeciti
amministrativi minori.
    Esse  sostanzialmente  mirano ad assicurare al soggetto, ritenuto
normativamente  debole  in  un  lite,  la possibilita' (economica) di
potersi difendere nel suo luogo di residenza, dove verosimilmente gli
e'  meno  oneroso  rappresentare le proprie ragioni, emancipandolo da
dispendiosi spostamenti, sicuramente penalizzanti in termini di costi
e di tempo.
    In  proposito  la  suprema  Corte (sez. I civile; sent. 28 agosto
2001,  n. 11282)  ha  significativamente ritenuto che costituisca uno
squilibrio  rilevante,  ai sensi dell'art. 1469-bis, l'inserzione nel
regolamento  negoziale  di  una clausola che costringe il consumatore
pure  se  accompagnato o sostituito dal proprio legale, ad affrontare
un  viaggio  anche  di  appena  mezz'ora  -  il  tragitto di un treno
Eurostar  o Intercity da Asti alla stazione di Porta Nuova nella lite
oggetto della sentenza - per raggiungere, muovendo dalla localita' di
residenza,  il  centro  urbano  dove e' ubicato l'ufficio giudiziario
presso cui pende la lite promossa dalla controparte professionale.
    Osserva,  infatti,  la  Corte  che  «la  gran  parte  delle norme
processuali  che  determinano  la competenza territoriale e' ispirata
all'esigenza  di  tutela di questa o di quella posizione processuale,
ritenuta   meritevole  di  maggiori  garanzie»,  che,  nel  caso  del
consumatore,  giunge al punto di riconoscergli un foro esclusivo, sia
pure derogabile.
    Sotto  questo  profilo,  se  e' meritevole di «maggiori garanzie»
processuali  la  posizione  del consumatore rispetto alla controparte
professionale,  alla  stessa  stregua  anche  il  soggetto dichiarato
responsabile  di  un  illecito (minore) amministrativo dovrebbe poter
godere  del  beneficio di un suo foro esclusivo, che sarebbe comunque
compatibile  con  l'art. 20  c.p.c.,  in  quanto il foro per le cause
relative  a  diritti di obbligazione, all'uopo richiamato dal codesto
on.   collegio  nella  sua  recente  ordinanza  n. 459,  e'  un  foro
«facoltativo», e, quindi, derogabile.
    Va  tenuto  presente  che,  per  le obbligazioni pecuniarie, puo'
trovare  applicazione,  ai  fini  della  competenza  territoriale del
giudice,  anche  il comma 4 dell'art. 1182 c.c., trattandosi nel caso
di  specie  di  somme (sanzioni amministrative) pur sempre oggetto di
determinazione  in  sede  giudiziaria  e,  quindi,  in  tal  caso  la
competenza   territoriale  si  sposta  a  favore  del  domicilio  del
debitore,  proprio considerando che, in tale materia, il giudice puo'
modificare la pena pecunaria irrogata dall'autorita'.
    E'  «ragionevole»,  pertanto,  ritenere che la tutela processuale
del  soggetto  economicamente debole, cosi' ampiamente valorizzata in
diversi  ambiti  e  persino in sede penale, possa riguardare anche il
settore  degli  illeciti  amministrativi  minori,  dove,  non essendo
necessaria  l'assistenza  di  un  legale, e' escluso il beneficio del
gratuito  patrocinio  per  i  meno  abbienti,  per  cui,  nella quasi
totalita' dei casi, il ricorrente e' uso difendersi in proprio.
    In  proposito  potrebbe  assumere rilevanza una recente direttiva
comunitaria  del  23 gennaio 2003 (direttiva 2002/8/CE del Consiglio)
in   materia   di   accesso   alla   giustizia   nelle   controversie
transfrontaliere,  laddove  si  da'  rilievo,  ai  fini  del gratuito
patrocinio,  al  fatto  che  «la  presenza  fisica di una persona sia
richiesta   in  aula»,  come  si  verifica  proprio  nell'ambito  del
procedimento sanzionatorio di cui trattasi.
    Ad   avviso,   infine,   di  questo  organo  giudicante  il  foro
sostanzialmente  privilegiato  della  pubblica  amministrazione nella
materia  de  qua  puo' ritenersi in contrasto con gli artt. 6 e 13 di
cui  alla  Convenzione  europea dei diritti dell'uomo (resa esecutiva
con  legge 4 agosto 1955, n. 848), che espressamente attribuiscono ad
ogni  persona il diritto «ad un processo equo», attraverso «un'equa e
pubblica  udienza entro un termine ragionevole», ed il «diritto ad un
ricorso effettivo avanti ad una magistratura».
    L'invocata  regola del locus commissi delicti, se e' «coerente ai
principi  processuali  generali»  nel  caso di gravi illeciti, appare
frutto  di  una  scelta  legislativa per lo meno «irragionevole», ove
l'oggetto  dell'opposizione  sia,  ad esempio, relativo ad infrazioni
stradali,   soprattutto   nell'ipotesi   in  cui  la  verbalizzazione
dell'addebito  da  parte dell'agente accertatore venga notificata, ai
sensi  dell'art. 201  del c.d.s. a mezzo posta - in genere poco prima
della   scadenza  del  termine  decadenziale  dei  150  giorni  -  al
proprietario   del  veicolo,  il  quale  spesso  e'  persona  diversa
dall'effettivo conducente.
    Anzitutto, nel caso degli illeciti contestati non immediatamente,
ma  notificati  ex post, si verifica che il soggetto destinatario del
provvedimento  sanzionatorio  non e piu' in condizioni di partecipare
al  procedimento  amministrativo  (sanzionatorio)  avviato  nei  suoi
confronti,  ai  sensi  e  per  gli effetti della legge 7 agosto 1990,
n. 241.
    Proprio  nell'ambito degli accertamenti relativi a violazioni per
eccesso  di  velocita' rilevate elettronicamente, cui sia conseguente
la  sanzione accessoria della sospensione della patente, si impone al
proprietario   del   veicolo,   quale  destinatario  della  notifica,
l'ulteriore  obbligo  di dovere rammentare chi fosse il guidatore nel
giorno  della  verbalizzazione,  onde comunicarne le generalita' alle
autorita', ai fini dell'applicazione di detta sanzione.
    Mentre  negli  illeciti  contestati  immediatamente,  ad  esempio
quelli   rilevati   tramite   telelaser,  l'incolpato  e'  sempre  in
condizioni  di  esercitare  un  «effettivo»  ricorso  e,  quindi,  di
partecipare  contestualmente  al  procedimento  sanzionatorio  a  suo
carico direttamente nel luogo in cui e' stata accertata l'infrazione,
nelle  verbalizzazioni  notificate ai sensi dell'art. 201 del c.d.s.,
il  presunto  trasgressore,  ove  voglia impugnare la contravvenzione
elevatagli,   deve   soggiacere  ad  un'onerosa  procedura,  sia  con
riferimento  a quella in sede amministrativa presso l'attuale ufficio
del  territorio  (ex prefettura) - con richiesta di audizione - che a
quella  giudiziaria  facente  capo  al  giudice di pace, in quanto in
entrambi  i  casi  deve  presentarsi  presso  uno  di tali uffici per
esporre le sue ragioni.
    Per   quanto   riguarda  il  procedimento  amministrativo  avanti
all'attuale  ufficio  del territorio (ex prefettura), si osserva come
esso,  a  differenza  di  quello  presso  il  giudice  di pace, renda
ammissibile  il  ricorso  inviato  anche  per  posta,  mentre in sede
giudiziaria  vige  una  regola  assolutamente  penalizzante,  per cui
l'atto   di  opposizione  deve  essere  materialmente  presentato  in
cancelleria,   ne'   non   sono  consentite,  secondo  la  prevalente
giurisprudenza  della  suprema  Corte,  altre  forme  equipollenti di
trasmissione del documento (ad esempio, invio per fax).
    E' indubbio che l'attuale procedura contenziosa presso il giudice
dell'opposizione,  pure  se  ora  facente  capo  al  giudice di pace,
contrasti  con  i menzionati principi dell'«equo processo», in quanto
impedisce  totalmente  o  parzialmente,  che il presunto trasgressore
possa  esercitare  il suo «diritto ad un ricorso effettivo», cio' «al
fine  della  determinazione  ...  dei  suoi  diritti ... di carattere
civile».
    La  richiesta  effettivita'  del  ricorso,  di  cui  all'invocata
Convenzione,  va  intesa  nel  senso  che  alla parte interessata sia
consentita,  in  concreto,  la possibilita' di «difendersi da se», il
che  significa,  ad  esempio  nell'ipotesi di violazioni per illeciti
stradali,  di  partecipare  al  procedimento  sanzionatorio  all'uopo
attivato  nei  confronti  del  presunto trasgressore, in applicazione
della fondamentale legge n. 241/1990.
    La  Convenzione  stabilisce,  inoltre,  che  l'interessato  possa
«disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare la
sua difesa».
    E'  per  lo  meno  improbabile  che  il soggetto incolpato di una
violazione  al  codice  della strada sia facilitato nella sua difesa,
ove  debba rappresentare le sue ragioni presso un lontano ufficio del
giudice  di  pace, tanto piu' nei casi, sempre piu' frequenti, in cui
gli sia, altresi', comminata la sanzione accessoria della sospensione
della patente.
    Le  gia'  descritte  regole  processuali gli impongono di doversi
presentare  in cancelleria una prima volta per depositare il ricorso,
e,  poi,  successivamente  per  comparire  all'udienza fissata per la
richiesta  sospensione  dell'esecutorieta' della sanzione accessoria,
fino a quelle di trattazione e decisione della causa.
    In  pratica  il  soggetto,  cui  venga  attribuita una violazione
amministrativa  commessa in localita' diversa da quella in cui opera,
paga  la sanzione, anche se ha ragione, come nell'ipotesi sempre piu'
frequente  di  multe irrogate a carico dei proprietari di veicoli, le
cui   targhe   sono  state  donate  all'insaputa  degli  interessati.
Conseguentemente, se per effetto di tale normativa l'effettivita' del
ricorso  a  tutela  delle proprie ragioni e' vanificata, si ha che la
norma  sulla  competenza  territoriale  del  giudice  di  pace  e' da
ritenersi  suscettibile  di  censura,  anche per ipotizzato contrasto
della stessa con le richiamate disposizioni della Convenzione europea
dei diritti dell'uomo.