IL TRIBUNALE

    Esaminati gli atti del procedimento nei confronti di Aiari Kamel,
nato  in  Algeria,  arrestato dalla squadra volante della Questura di
Modena  il  28  novembre  2002  alle  ore  12.40, per il reato di cui
all'art. 14  comma  5-ter,  d.lgs n. 286/1998, modificato dalla legge
n. 189/2002;
    Ritenuto   che   si   profili   una   questione  di  legittimita'
costituzionale   dell'art. 14   comma   5-quinquies  d.lgs.  286/1998
modificato   dalla   legge  189/02,  in  relazione  all'art. 3  della
Costituzione,

                            O s s e r v a

    Il  regime  introdotto  dal  d.lgs.  n. 286/1998 modificato dalla
legge  n. 189/02 prevede l'espulsione dello straniero che sia entrato
nel  territorio  dello  Stato  sottraendosi ai controlli di frontiera
(art. 13  comma  2  lett. a).  L'espulsione  e' disposta dal prefetto
(art. 13   comma   2)   ed   e'  sempre  eseguita  dal  questore  con
accompagnamento  alla frontiera a mezzo della forza pubblica (art. 13
comma  4).  Fanno  eccezione  i casi di cui al comma 5 concernenti lo
straniero  il  cui  permesso di soggiorno sia scaduto di validita' da
piu' di sessanta giorni senza che ne sia stato chiesto il rinnovo.
    La  regola  fissata dal comma 4 dell'art. 13 puo' essere derogata
«quando  non  e'  possibile  eseguire  con  immediatezza l'espulsione
mediante  accompagnamento  alla frontiera...perche' occorre procedere
al  soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine
alla   sua  identita'  o  nazionalita',  ovvero  all'acquisizione  di
documenti per il viaggio, ovvero per l'indisponibilita' del vettore o
altro  mezzo  di trasporto idoneo» (art. 14 comma 1). In tal caso, il
questore  dispone  che  lo  straniero  sia  trattenuto  per  il tempo
strettamente  necessario  presso il centro di permanenza temporanea e
assistenza piu' vicino...» (art. 14 comma 1).
    E'  contemplato un rimedio estremo per l'eventualita' che non sia
possibile  eseguire  l'espulsione  immediata con accompagnamento alla
frontiera  e  non  si  riesca  neanche  a  trattenere, o a trattenere
ulteriormente,   lo   straniero   presso   un  centro  di  permanenza
temporanea.  Qualora  questa  duplice impossibilita' si verifichi, il
questore  ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato
entro il termine di cinque giorni (art. 14 comma 5-bis).
    L'apparato  sanzionatorio  predisposto  dal testo normativo tiene
conto   delle  differenti  modalita'  esecutive  dell'espulsione.  La
disobbedienza, quando si realizzi la prima volta, integra un illecito
contravvenzionale.  Le  condotte  incriminate  sono  il  rientro  nel
territorio  dello Stato dopo l'accompagnamento alla frontiera e senza
la  speciale  autorizzazione del ministro dell'interno (art. 13 comma
13)  oppure  il  trattenimento in Italia senza giustificato motivo in
violazione  dell'ordine  impartito dal questore ai sensi dell'art. 14
comma 5-bis (art. 14 comma 5-ter).
    Per entrambe le contravvenzioni e' comminata la pena dell'arresto
da  sei  mesi  ad  un  anno  ed  e' prevista una nuova espulsione con
accompagnamento immediato alla frontiera.
    La  reiterazione  della  condotta  disobbediente  da  parte dello
straniero  realizza  una  fattispecie  piu'  grave,  qualificata come
delitto.   Lo   straniero,  gia'  denunciato  per  il  reato  di  cui
all'art. 13  comma  13  ed  espulso,  che  abbia fatto reingresso sul
territorio  nazionale  e'  punito  con la reclusione da uno a quattro
anni  (art. 13  comma  13-bis). Analogamente, lo straniero espulso ai
sensi  dell'art. 14  comma  5-ter,  che  viene trovato nel territorio
dello Stato e' punito con la reclusione da uno a quattro anni. Quanto
agli aspetti processuali, gli artt. 13 e 14 prevedono, per i reati in
ciascuna    disposizione   contemplati,   rispettivamente   l'arresto
facoltativo  in flagranza e l'arresto obbligatorio (per il delitto di
cui  all'art. 13  comma  13-bis  e'  inoltre consentito il fermo). In
entrambi i casi e' imposta l'adozione del rito direttissimo.
    Che  la  disciplina processuale appena descritta sia in contrasto
con l'art. 3 della Costituzione e' di tutta evidenza.
    I reati contravvenzionali descritti dagli artt. 13 e 14 rivestono
quanto  meno pari gravita'. Essi sono sanzionati con la medesima pena
edittale.  Identica  e'  la  previsione  delle  conseguenze sul piano
amministrativo,   cioe'  una  nuova  espulsione  con  accompagnamento
immediato  alla  frontiera. In entrambi i casi, la reiterazione della
condotta  illecita  dopo  la denuncia per l'ipotesi contravvenzionale
comporta l'integrazione di un delitto.
    Ma vi e' di piu'.
    La   fattispecie   descritta   dall'art. 14  comma  5-ter  appare
ontologicamente  meno  grave  rispetto a quella inserita nell'art. 13
comma  13.  Lo  straniero che rientra nel territorio dello Stato dopo
l'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica pone in
essere  una  condotta  attiva.  Piu'  esattamente, trasgredisce ad un
ordine   non  solo  legalmente  impartito  dalla  pubblica  autorita'
italiana  ma  addirittura  eseguito  in modo coattivo, con impiego da
parte dello Stato di risorse umane ed economiche. Una simile condotta
e' certamente poco compatibile con un atteggiamento colposo.
    La   contravvenzione  di  cui  al  comma  5-ter  dell'art. 14  si
realizza,   invece,   con   una   condotta   meramente  omissiva.  La
trasgressione  posta  in essere dallo straniero non ha alle spalle un
accompagnamento  coatto  alla  frontiera  ma  un  ordine  scritto del
questore  di  lasciare il territorio dello Stato nel breve termine di
cinque  giorni. La disobbedienza e' sicuramente compatibile in questo
caso  con un atteggiamento colposo, negligente. La mancata esecuzione
dell'ordine  non vanifica uno sforzo compiuto dallo Stato per attuare
in maniera forzata i propri provvedimenti.
    Che  la  condotta  omissiva,  vale  a  dire la mancata esecuzione
spontanea  di un ordine, sia in generale valutata dal legislatore con
minor  rigore  si  ricava,  ad esempio, dalla previsione dell'art. 13
comma  5. Per lo straniero che si sia trattenuto nel territorio dello
Stato  nonostante  che  il  permesso  di  soggiorno  fosse scaduto di
validita'  e senza aver chiesto il rinnovo, l'espulsione e' eseguita,
in  deroga  all'art. 13  comma  4, mediante intimazione a lasciare il
territorio  dello  Stato  entro  il  termine  di  quindici giorni. Lo
straniero  che non esegua spontaneamente l'intimazione in oggetto non
e' penalmente perseguibile.
    Nel d.lgs. 286/1998, prima delle modifiche introdotte dalla legge
189/02,  era incriminata solo la condotta dello straniero espulso che
fosse  rientrato  in  Italia  senza  la  speciale  autorizzazione del
Ministero dell'interno (art. 13 comma 13).
    Se  e'  vero che la contravvenzione introdotta dall'art. 14 comma
5-ter  riveste  gravita'  pari  o  minore rispetto a quella descritta
dall'art. 13  comma  13,  non vi e' alcuna ragione che giustifichi la
previsione  di  un  arresto obbligatorio nel primo caso e facoltativo
nel secondo.
    La  ingiustificata  disparita'  di trattamento emerge poi in modo
eclatante  ove  si  raffronti la disciplina in tema di arresto tra la
contravvenzione  di  cui all'art. 14 comma 5-ter ed il delitto di cui
all'art. 13 comma 13-bis. La previsione dell'arresto obbligatorio per
la  contravvenzione  e dell'arresto facoltativo per il delitto e' del
tutto priva di ragionevolezza.
    L'obbligo  di arrestare l'autore di un reato contravvenzionale e'
istituto  sconosciuto  al  nostro  attuale  ordinamento giuridico. La
misura  precautelare dell'arresto obbligatorio e' riservata, ai sensi
dell'art. 380 c.p.p., agli autori di delitti e non di tutti i delitti
ma   di   quelli   particolarmente  gravi,  sanzionati  con  la  pena
dell'ergastolo  o  della reclusione non inferiore nel minimo a cinque
anni  e nel massimo a venti anni, oppure rientranti nelle fattispecie
specificamente elencate nel secondo comma della stessa disposizione.
    Un  solo  caso  di  arresto obbligatorio in flagranza e' previsto
dalle  leggi  speciali,  ed  esattamente  dall'art. 12 comma 4 d.lgs.
286/1998  (non  modificato  dalla  legge  n. 189/02),  in riferimento
comunque  a  delitti,  quelli  di  cui  ai commi 1 e 3 della medesima
disposizione.
    Quanto  ai  reati  contravvenzionali,  l'arresto  in flagranza e'
possibile secondo l'attuale ordinamento in una sola ipotesi, l'art. 6
d.l.  122/1993,  convertito  in  legge  n. 205/1993,  ma si tratta di
arresto facoltativo e non obbligatorio.
    La previsione dell'arresto obbligatorio per la contravvenzione di
cui  all'art. 14  comma 5-ter d.lgs. 286/1998, modificato dalla legge
n. 189/02,   contrasta   in  maniera  eclatante  con  l'art. 3  della
Costituzione  in  quanto  concreta  una  ingiustificata disparita' di
trattamento  rispetto  all'art. 13  comma  13 che, per fattispecie di
maggiore gravita' consente ma non impone l'arresto in flagranza.
    Vi  e'  un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale che
emerge  dalla lettura dell'art. 14 comma 5-quinquies d.lgs. 286/1998,
modificato dalla legge n. 189/02.
    Esso   attiene  alla  introduzione  di  una  identica  disciplina
processuale (arresto obbligatorio e obbligo di giudizio direttissimo)
per  due  ipotesi di reato (quelle dei commi 5-ter e 5-quater) che lo
stesso  legislatore  ha sensibilmente differenziato quanto a gravita'
del fatto e della sanzione.
    E'  pacifico, e costantemente ribadito dalla giurisprudenza, che,
ferma  la  necessita'  di  ancorare  le scelte criminalizzatrici alla
tutela  di  beni  costituzionalmente  rilevanti, le valutazioni sulla
qualita' e quantita' della sanzione, in quanto di natura ideologica e
politica,   rientrano   nell'ambito   del  potere  discrezionale  del
legislatore.
    Nella   sfera  della  discrezionalita'  legislativa  devono  pure
ricondursi  le  scelte sui presupposti di applicabilita' delle misure
precautelari  e  cautelari,  nei  limiti  imposti  dall'art. 13 della
Costituzione (cfr. sentenze Corte cost. 126/1972; n. 305/1996).
    E'    altrettanto    pacifico,    tuttavia,   che   l'uso   della
discrezionalita' legislativa possa essere censurato, sotto il profilo
della  legittimita'  costituzionale,  nei  casi  in cui non sia stato
rispettato  il limite della ragionevolezza (cfr. sentenze Corte cost.
nn. 26/1979, 103/1982, 409/1989, 341/1994).
    Nell'esercizio   del  suo  indiscusso  potere  discrezionale,  il
legislatore  ha  qualificato  come  contravvenzione la condotta dello
straniero  che per la prima volta disobbedisce all'ordine di lasciare
il   territorio   nazionale,   in   linea  con  fattispecie  omologhe
contemplate   dal   codice   penale  (cfr.  art. 650  c.p.,  2  legge
n. 1423/1956).
    Scegliendo il tipo meno grave di reato, il legislatore ha escluso
che  potesse  applicarsi  all'imputato qualsiasi misura cautelare. La
disobbedienza  reiterata  nelle  forme dell'art. 14 comma 5-quater e'
stata invece elevata al rango di delitto, punito con la reclusione da
uno   a   quattro   anni,  quindi  compatibile,  secondo  il  sistema
processuale, con il ricorso a misure precautelari e cautelari.
    Il  legislatore  ha  mostrato  da  un lato di voler differenziare
sensibilmente  le  due  condotte  in  esame, la prima disobbedienza e
quella   reiterata   nonostante  l'espulsione  coattiva,  addirittura
adottando   diverse   categorie   di   reato  e  comminando  sanzioni
significativamente  differenti,  con  tutta una serie di implicazioni
specifiche  quanto  ad elemento soggettivo, a termini di prescrizione
ecc.
    Tradendo questa impostazione e senza alcuna plausibile ragione ha
poi  dettato,  nel  comma 5-quinquies, una disciplina identica quanto
all'adozione di misure precautelari e al rito da seguire.
    Ha  in  tal modo introdotto una deroga enorme rispetto al sistema
del  codice  di  procedura  penale, prevedendo per la contravvenzione
l'arresto   obbligatorio   dell'autore,   caso   unico   nel   nostro
ordinamento.
    La   disarmonia  che  tale  disciplina  esprime  rileva  ai  fini
dell'art. 3   della   Costituzione  sotto  l'aspetto  della  assoluta
irragionevolezza.
    Il  principio  di  ragionevolezza  impone, per le fattispecie che
costituiscono   diversi   gradi  di  aggressione  del  medesimo  bene
giuridico, discipline proporzionatamente differenziate (cfr. sentenza
Corte  cost.  n. 26/1979, secondo cui: «E' giurisprudenza costante di
questa  Corte  che la configurazione delle fattispecie criminose e le
valutazioni  sulla congruenza fra i reati e le pene appartengono alla
politica  legislativa; salvo pero' il sindacato giurisdizionale sugli
arbitri  del  legislatore, cioe' sulle sperequazioni che assumano una
tale  gravita'  da  risultare radicalmente ingiustificate...questo e'
appunto  il  caso  della  norma impugnata... l'art. 186 c.p.m.p., nel
primo  e,  in parte, nel secondo comma, ricomprende ed appiattisce in
un'unica  ipotesi  delittuosa  -  quella  della  insubordinazione con
violenza  -  distinte  condotte tipiche, nettamente differenziate nei
loro elementi oggettivi e soggettivi»).
    Coerentemente   a   tali  criteri,  l'art. 9  legge  n. 1423/1956
qualifica  come contravvenzione la violazione degli obblighi inerenti
alla sorveglianza speciale e come delitto l'analoga violazione quando
la  sorveglianza  speciale  includa  anche  l'obbligo o il divieto di
soggiorno.  Solo  per  la fattispecie delittuosa e' previsto, in base
all'art. 381  c.p.p.,  l'arresto facoltativo in flagranza e, ai sensi
dell'art. 9  legge  n. 1423/56  comma  3,  anche  fuori  dei  casi di
flagranza.
    In  materia  di stupefacenti, l'art. 380 c.p.p. prevede l'arresto
obbligatorio  per i delitti di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309/1990, in
deroga  ai  limiti  di  pena  di cui al comma 1. La piu' grave misura
precautelare  non  e'  estesa alle ipotesi attenuate di cui al quinto
comma del citato art. 73.
    Nell'art. 14  comma  5-quinquies,  il  legislatore ha in sostanza
trattato  allo  stesso  modo,  imponendo l'arresto in flagranza ed il
rito  direttissirno,  fattispecie  che egli stesso ha, nella medesima
disposizione, differenziato notevolmente quanto a gravita'.
    La   disarmonia  che  tale  disciplina  esprime  rileva  ai  fini
dell'art. 3   della   Costituzione  sotto  l'aspetto  della  assoluta
irragionevolezza  («Non  si compiono valutazioni di natura politica e
nemmeno  si  controlla l'uso del potere discrezionale del legislatore
se si dichiara che il principio dell'uguaglianza e' violato quando il
legislatore  assoggetta  ad  una indiscriminata disciplina situazioni
che   esso   stesso   considera  e  dichiara  diverse»,  Corte  cost.
n. 53/1958).
    Non  vi  e' dubbio che il principio di uguaglianza, nonostante il
riferimento letterale dell'art. 3 Cost. ai cittadini, debba ritenersi
esteso  agli  stranieri, allorche' si tratti della tutela dei diritti
inviolabili dell'uomo (Corte cost. 104/69).
    Pacifica e' la rilevanza della questione.
    L'imputata   e'  stata  arrestata  ai  sensi  della  disposizione
impugnata.
    Sulla rilevanza della questione non puo' avere effetto l'avvenuta
liberazione  della  persona  arrestata,  imposta  dall'art. 391 u.c.,
richiamato dall'art. 558 c.p.p. Il giudizio di convalida dell'arresto
non  e' stato esaurito ma e' stato sospeso al fine di trasmettere gli
atti alla Corte costituzionale.
    La  decisione  sulla  questione di legittimita' costituzionale ha
incidenza   diretta  sulla  pronuncia  di  legittimita'  dell'arresto
eseguito  dalla  polizia  giudiziaria  ai  sensi  della  disposizione
impugnata  (cfr.  al riguardo sentenza Corte cost. n. 54/1993 «... il
provvedimento   di  liberazione  dell'arrestata  era  imposto...dalla
disposizione  di  cui  all'art. 391  settimo comma, ultima parte, del
codice  di rito ... Poiche' tale disposizione ricollega la perdita di
efficacia  dell'arresto  alla  carenza,  per qualsiasi ragione, di un
provvedimento  positivo  di  convalida nello stesso termine, e' ovvio
che  l'impossibilita' di rispettarlo conseguente all'elevazione della
questione  comportava  (o  avrebbe  di  li'  a  poco  ineludibilmente
comportato)  l'intervento di tale autonoma causa di carenza di valido
titolo di detenzione, a prescindere dall'esaurimento del procedimento
di   convalida,   che...era   stato   contestualmente  sospeso.  Tale
procedimento  non  puo'  percio'  ritenersi  esaurito,  ne' di esso i
giudici  si  sono  spogliati:  e  la  sua  persistenza  nonostante la
liberazione  trova  ragione  nell'interesse generale ad una pronuncia
sulla  legittimita'  dell'arresto,  che ha pur sempre determinato una
privazione  della  liberta'.  La  rilevanza  della questione, dunque,
permane,  trattandosi  di  stabilire se la liberazione dell'arrestata
debba considerarsi conseguente all'applicazione dell'art. 391 settimo
comma,  ovvero,  piu'  radicalmente,  alla  caducazione  con  effetto
retroattivo  della disposizione in base alla quale gli arresti furono
eseguiti»).
    La  rilevanza  della  questione  esiste, nel caso concreto, anche
qualora   si   ritenesse   conforme   a  Costituzione  la  previsione
dell'arresto  facoltativo anziche' obbligatorio, poiche' l'assenza di
specifici  indici  di  gravita'  della  condotta  e  di pericolosita'
dell'imputato    renderebbe   comunque   ingiustificata,   ai   sensi
dell'art. 381 comma 4 c.p.p., la misura precautelare in oggetto.
    Sulla  base  delle considerazioni fin qui svolte, la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 14  comma  5-quinquies d.lgs.
286/1998,  modificato  dalla legge n. 189/02, in relazione all'art. 3
Cost., appare non manifestamente infondata e rilevante.