LA CORTE DI CASSAZIONE

    Ha  pronuciato  al  seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso
proposto  da Ivan Barbara, elettivamente domiciliata in Roma, via del
Viminale n. 43, presso l'avvocato Fabio Lorenzoni, che la rappresenta
e  difende  unitamente  all'avvocato Luigi Ronfini, giusta mandato in
calce al ricorso, ricorrente;
    Contro:  Minuto  Rizzo  Emanuela, Minuto Rizzo Alessandro, Cherry
Joanne   Margaret,   Cherry   Mary   e   Cherry   Patricia  Adrienne,
elettivamente  domiciliati  in  Roma, viale Regina Margherita n. 244,
presso  l'avvocato  Emilio  Rinaldi,  che  li  rappresenta e difende,
giusta procura a margine del controricorso, controricorrente;
    Avverso  la sentenza della Corte d'appello di Venezia, depositata
il 7 febbraio 2002 (n. 196/02).
    Udita  la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
24 giugno 2003 dal consigliere dott. Mario Rosario Morelli;
    Udito per il ricorrente l'avvocato Loria per delega dell'avvocato
Lorenzoni che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
    Udito  per  il  resistente  l'avvocato  Rinaldi che ha chiesto il
rigetto del ricorso;
    Udito  il  p.m.  in  persona  del  sostituto procuratore generale
dott. Aurelio Golia che ha concluso per il rigetto del ricorso;

                          Ritenuto in fatto

    Che,  con  sentenza  del  7 febbraio 2002, la Corte di appello di
Venezia  confermava la decisione del Tribunale di Treviso (n. 127/01)
con  la  quale erano state dichiarate «improponibili» sia l'azione di
merito,  ex  art. 269  c.c.  - proposta da Ivan Barbara nei confronti
delle  sorelle  Cherry,  quale  uniche eredi viventi dei genitori del
premorto Richard Cherry, che l'attrice intendeva far riconoscere come
proprio  padre  naturale  -  sia  le  connesse azioni di petizione di
eredita'  e di riduzione per lesione di legittima proposte, anche nei
confronti  di  Alessandro  ed  Emanuela  Minuto  (oltreche'  di altri
soggetti  nei cui confronti l'azione era stata poi rinunziata), dalla
medesima    Ivan,    nella   dichiarata   qualita'   di   erede,   in
rappresentazione   del   (riconoscendo)   padre,  in  relazione  alla
successione dei di lui genitori.
        che  in  motivazione  della  riferita  statuizione,  la Corte
veneziana  rilevava in premessa che - in conseguenza dell'intervenuta
cassazione  (con sentenza n. 9033/1997), per violazione del principio
del   contraddittorio   necessario,   del   precedente   decreto   di
ammissibilita'  dell'azione  ex  art. 269  c.c.  - si era «formato un
giudicato» sulla inanimissibilita' dell'azione stessa;
        che  da  tale  premessa  la  stessa  Corte traeva appunto, il
duplice   corollario:   a)  della  improponibilita',  per  un  verso,
dell'azione  di  merito  volta  alla dichiarazione di paternita', per
essere  «venuto  meno  il  presupposto  processuale  per dar corso al
correlativo  giudizio  di  accertamento»;  b)  della improponibilita'
consequenziale  anche  delle  ulteriori  connesse azioni basate sulla
qualita'  di  erede di Richard Cherry [ed in rappresentazione di lui,
presupponenti   quel   rapporto  di  filiazione  della  Ivan  il  cui
accertamento era ormai a lei precluso;
        che  sempre  in ragione del suddetto giudicato negativo sulla
ammissibilita' ex art. 274 c.c., i giudici a quibus negavano ingresso
«per  irrilevanza»  alla eccezione di incostituzionalita' della norma
stessa, argomentando che «l'eventuale intervento ablativo della Corte
costituzionale non avrebbe potuto aver effetto nella causa in corso»,
stante    appunto    l'irreversibilita'    dell'accertamento    sulla
inammissibilita' dell'azione per dichiarazione di paternita';
        che  avverso  tale  sentenza Barbara Ivan ha proposto ricorso
per cassazione, cui resistono, con controricorso le Cherry;
        che entrambe le parti hanno depositato memorie;
        che, con l'odierna impugnazione la ricorrente ha reintrodotto
la   questione   di   costituzionalita'  del  citato  art. 274  c.c.,
censurando  la  Corte  territoriale  per  averne (a torto) escluso la
rilevanza  e  non delibato la non manifesta infondatezza in relazione
ai parametri di cui agli artt. 2, 3, 24 e 30 della Costituzione.

                       Considerato in diritto

    Che hanno effettivamente errato i giudici a quibus nell'escludere
la rilevanza delle questioni di costituzionalita' del procedimento di
delibazione  preliminare  sub  art. 274 c.c. in ragione di un preteso
giudicato  (negativo) gia' formatosi sull'ammissibilita' dell'azione.
E  cio'  sia  perche'  la sentenza di questa Corte, n. 9033/1997, che
detto giudicato, secondo quei giudici, avrebbe determinato, ha bensi'
cassato  il  precedente decreto di ammissibilita' (per violazione del
principio  di  integrita'  del  contraddittorio, appunto), ma cio' ha
fatto   «con   rinvio  al  primo  giudice»  (per  l'integrazione  del
contraddittorio), lasciando cosi' aperto il giudizio ex art. 274 c.c.
senza  formazione,  quindi, di alcun giudicato sul punto; sia perche'
comunque,  per  consolidata  giurisprudenza,  ove  pur definitivo, il
provvedimento    di    inammissibilita'    «non    precluderebbe   la
riproposizione  della  domanda  sulla base di circostanze ed elementi
nuovi»  (cfr.  Cass.  7674/02  da  ultimo):  sia,  infine, perche' (e
l'argomento    e'   assorbente)   l'eliminazione   del   procedimento
preliminare  di  ammissibilita'  dell'azione,  oggetto dell'auspicata
pronunzia  costituzionale  caducatoria, «e' inderogabilmente, in ogni
caso,  rilevante  ai  fini  della  rimozione  della  declaratoria  di
improponibilita'  della  domanda  di  accertamento  per  difetto  del
«presupposto  processuale»  di  quella  statuizione preliminare, come
adottata  dalla  Corte  veneziana  e  della quale viene qui, appunto,
chiesta la cassazione;
        che  le riferite questioni di costituzionalita' dell'art. 274
c.c., oltreche' rilevanti sono altresi' non manifestamente infondate,
sia in relazione ai paramentri (art. 2, 3 e 24, 30) all'uopo invocati
dalla  ricorrente,  sia  in riferimento a quelli della ragionevolezza
intrinseca  della legge, sub art. 3 cpv., e della «ragionevole durata
del  processo»,  di  cui  al  novellato  art. 111  Cost.,  che questo
Collegio ritiene di individuare ex officio;
        che  e'  opportuno, in premessa, sottolineare che le suddette
questioni non possono ritenersi coperte dalla sentenza costituzionale
n. 621  del  1987  -  che  ha  dichiarato  «inammissibili» quesiti di
legittimita' dell'art. 274 c.c. in relazione agli artt. 2 e 30 Cost.,
a  suo  tempo  sollevati  da  questa  stessa  Corte,  in  quanto  «si
appunta[va]no contro il modo con cui il giudizio preliminare e' stato
ristrutturato»,  cosi' censurando una «scelta costituente espressione
insindacabile della discrezionalita' del legislatore» - atteso che le
odierne  questioni, viceversa, attengono, come meglio si dira', non a
specifici profili disciplinatori di quel procedimento, ma al fatto in
se'  della  sua  previsione  e, dunque, mirano non ad una sua diversa
conformazione bensi' alla radicale sua rimozione
        che,  per  tal profilo, neppure e' pero' ostativo il richiamo
alla  precedente sentenza n. 70 del 1965, la' dove questa ha ritenuto
che  la  previsione  legislativa  contenuta nell'art. 274 cit., di un
giudizio  di  delibazione preliminare della domanda non contrasti, in
linea  di  principio,  con  il  canone  costituzionale  per cui tutti
possono   agire   in  giudizio,  in  considerazione  della  liberta',
riconosciuta  al  legislatore,  di  stabilire  nei singoli casi, e in
vista  di peculiari esigenze che questi rappresentino le modalita' di
esercizio anche limitative del diritto di difesa, ove comunque ne sia
garantita l'esplicazione;
        che,  infatti,  cio' di cui ora dubita questo collegio e' che
quel  limite  che  nel  1965  il  giudice delle leggi ebbe a ritenere
compatibile  con il diritto di azione del figlio naturale, a distanza
di molti decenni - in ragione sia delle diverse connotazioni che, per
sopravvenute  modifiche normative ed evoluzione giurisprudenziale, lo
stesso  ha  assunto,  sia  del venir meno delle esigenze ed istanze a
presidio  delle  quali  esso  era  stato introdotto - possa risultare
ingiustificatamente  comprensivo,  in  termini  di  effettivita', dei
valori  sostanziali  in  gioco,  e  viziato,  altresi' per eccesso di
potere  legislativo, in ragione della sua irragionevolezza intrinseca
oltre   che   difficilmente   compatibile   -  per  il  profilo  piu'
strettamente  processuale  -  con il canone del «giusto processo», in
relazione all'essenziale suo aspetto della «ragionevole durata»;
        che ben vero - posto che la ratio del giudizio preliminare di
ammissibilita'  sub  art. 274 c.c. e' pacificamente quella di evitare
la   proposizione  di  azioni  temerarie  od  infondate  con  intenti
meramente ricattatori o vessatori nei confronti del preteso genitore,
al qual fine appunto era stato predisposto un vaglio preventivo della
domanda   con  procedimento  strutturato  in  modo  da  garantire  la
segretezza  della  indagine  -  pare  innegabile  allora  che  ad una
siffatta  ratio  non  sia sostanzialmente piu' rispondente l'istituto
delibativo, cosi' come attualmente disciplinato.
    In quanto - dopo la legge n. 1047/1971 che ha modificato la norma
in  questione  (secondo  le  indicazioni  della  stessa  gia'  citata
sentenza  n. 70/67) e dopo la riforma del diritto di famiglia, che ha
tra    l'altro    sancito   l'imprescrittibilita'   dell'azione   per
dichiarazione   giudiziale   di   paternita',   nonche'  per  effetto
dell'evoluzione  giurisprudenziale  che  ha  accentuato  il carattere
contenzioso   del   procedimento  ed  ammesso  la  ricorribilita'  in
cassazione  del  provvedimento  correlativo  di  secondo  grado  - la
segretezza  dell'indagine,  di  gran  lunga  attenuta  nella  fase di
merito,  e'  totalmente  venuta  meno nella fase di legittimita' (che
puo' riaprire quella di merito, sempre solo delibativa, a carte ormai
scoperte),  stante  la pubblicita' dell'udienza innanzi alla Corte di
cassazione,   la  quale  porta  inevitabilmente  a  conoscenza  della
generalita'  dei  cittadini  proprio  quegli  elementi  di  fatto che
l'art. 274  vorrebbe  sottrarre  alla  conoscenza  pubblica,  con  la
conseguenza  ulteriore che la (anch'essa ormai pacificamente ammessa)
reiterabilita',  senza  alcun  limite  temporale,  della  domanda  di
ammissibilita', sulla base di elementi ulteriori rispetto a quelli in
presenza  dei  quali l'ammissibilita' sia stata in precedenza negata,
finisce   paradossalmente  con  l'aggravare,  anziche'  tutelare,  la
posizione  del convenuto, lasciandolo esposto, a tempo indeterminato,
a  nuove  chiamate  in  giudizio  ex art. 274 c.c., mentre in caso di
rigetto  della  domanda  direttamente  nel  giudizio  di  merito egli
sarebbe  definitivamente  cautelato  dal  giudicato  di  accertamento
negativo della sua pretesa paternita'.
        che  cio',  appunto,  autorizza  il  sospetto  di  violazione
dell'art. 3 cpv. Cost. in termini di «eccesso di potere legislativo»,
per irrisolubile contraddizione intrinseca della norma denunciata con
gli obiettivi che la stessa si pone;
        che  non  parrebbe,  del  resto,  potersi  a cio' opporre che
l'art. 274  in  esame  attui  la previsione costituzionale di «limiti
alla  ricerca  della  paternita» di cui all'ultimo comma dell'art. 30
Cost.,  poiche'  quei  «limiti»  (per  altro  solo eventuali) possono
propriamente  attenere  ai presupposti sostanziali ed alle condizioni
dell'accertamento  della filiazione naturale - per assicurarne quella
«compatibilita'  con  i diritti dei membri della famiglia legittima»,
di  cui  al  precedente  comma  terzo della stessa norma - e non gia'
risolversi in aggravi processuali all'accertamento stesso;
        che  dunque,  venuta  meno,  per quanto detto, la funzione di
cautela nei confronti del convenuto, fin qui assolta dal procedimento
preliminare  ex  art. 274  c.c., effettivamente sembra residuarne non
altro  che un oggettivo, non giudisticabile, effetto di ostacolo alla
tutela  dei  figli  naturali  ed  a  quei diritti allo status ed alla
«identita'   biologica»   che   la  coscienza  sociale  avverte  come
essenziali  alla  realizzazione  della  persona.  Dal  che il dubbio,
appunto,  di  violazione  dell'art. 30,  comma 1, e dell'art. 2 della
Costituzione (quale norma «aperta» alla recezione dei «nuovi diritti»
inviolabili della persona);
        che non manifestamente infondata, per altro verso, pare anche
l'ipotesi  di violazione del precetto dell'equaglianza, una volta che
limiti   analoghi   a  quelli  in  vigore  per  l'accertamento  della
paternita'  naturale  non sono previsti per la corrispondente azione,
diretta,   di   accertamento   della  paternita'  legittima,  con  la
conseguenza  che  viene  a realizzarsi, ai fini del conseguimento del
proprio  status,  una disparita' di trattamento tra figli di genitori
non  coniugati,  o  coniugati,  dipendente  da un fatto accidentale o
comunque  estraneo  alla volonta' del figlio, quale il matrimonio dei
genitori;
        che,  infine,  nella  prospettiva,  soprattutto,  del «giusto
processo»,  non  sembra  a  questo  Collegio  privo di consistenza il
dubbio  che  un  procedimento  preliminare come quello delibativo sub
art. 274  c.c.  -  un  procedimento  che,  da oltre un trentennio, la
dottrina,  pressocche'  unanimamente, definisce come un «ramo secco»,
«un  inutile doppione» del giudizio di merito; un procedimento che il
legislatore   ha  piu'  volte  manifestato  (anche  se  non  attuato)
l'intenzione  di abrogare e che comunque allontana, inevitabilmente e
notevolmente,  nel  tempo  l'accertamento  di  fondamentali  status e
diritti  della  persona  -  possa  coniugarsi  con  il  canone  della
«ragionevole durata del processo», di cui al novellato art. 111 della
Costituzione,  oltre  che  all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione
europea  dei  diritti  dell'uomo, cui l'Italia si e' impegnata a dare
concreta attuazione;