IL TRIBUNALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza.

                      Svolgimento del processo

    Con  ricorso,  depositato  il 16 novembre 2000, al Presidente del
Tribunale di Napoli Aldo, Marcello e Maria Rosaria Gentile esponevano
di  essere  titolari,  nei  confronti  della  S.p.a.  F.IN.PA., di un
credito  di  L. 393.459.698  (di cui 250.000.000 per sorta capitale e
143.459.698   per   interessi   calcolati  secondo  la  lett.  b  del
regolamento),  documentato da otto certificati al portatore emessi da
tale   societa'   il  3  luglio  1992,  in  attuazione  del  prestito
obbligazionario   fruttifero   deliberato   il  10  giugno  1992,  da
estinguere   in   sette   anni,   per   una   somma   complessiva  di
L. 1.000.000.000,  costituita  da  100.000  obbligazioni da L. 10.000
ciascuna.
    La  F.IN.PA.,  secondo  i  ricorrenti,  non aveva mai corrisposto
l'interesse  convenzionale durante la pendenza del prestito, ne' alla
scadenza  del  3 luglio 1999 aveva rimborsato il capitale, maggiorato
degli interessi non versati attualmente.
    Chiedevano  pertanto che alla predetta societa' fosse ingiunto il
pagamento  della  somma  di  L. 393.459.698, con gli interessi legali
dalla domanda.
    Il provvedimento richiesto veniva emesso il 23 gennaio 2001.
    Contro di esso l'ingiunta proponeva opposizione con atto affidato
all'ufficio  unico  notifiche  della  Corte d'appello di Napoli il 26
aprile  2001  e  consegnato  il  giorno  successivo al portiere dello
stabile ove era, ubicato il procuratore dei ricorrenti.
    Essa  sosteneva  che  i  ricorrenti  Aldo e Maria Rosaria Gentile
avevano  gia'  ricevuto  il  rimborso  della quota di loro rispettiva
pertinenza  e la corrispondente quota di interessi come correttamente
calcolata,   sicche'   avevano   rilasciato   quietanza   liberatoria
rinunciando alle spese della procedura monitoria.
    Quanto  a  Marcello  Gentile,  in  possesso  di  obbligazioni per
L. 66.460.000,  gli  competevano  interessi  per  sole L. 14.888.000,
considerato che alla data del 31 dicembre 1995 era stato convenuto di
utilizzare  (a  copertura della quota sottoscritta) l'ammontare degli
interessi nelle more maturati sul prestito obbligazionario.
    Tanto  premesso,  conveniva gli ingiungenti al giudizio di questo
tribunale,   per   sentir  revocare  il  decreto  ingiuntivo,  e,  in
subordine,  ridurre  le  somme  ingiunte  alla  misura effettivamente
dovuta al solo Marcello Gentile.
    Marcello  Gentile  si  costituiva,  eccependo  l'inammissibilita'
dell'opposizione  perche' il relativo atto di citazione gli era stato
notificato  il quarantunesimo giorno dalla notifica del ricorso e del
decreto monitorio.
    Nel  merito,  sosteneva di aver diritto a conseguire l'importo di
cui  al  decreto,  detratta  la somma di L. 266.862.226, per la quale
Aldo  e  Maria  Rosaria  Gentile  avevano  rilasciato  quietanza alla
F.IN.PA.,  per  un residuo avere di L. 104.597.472; affermava poi che
l'aumento  di  capitale  avrebbe dovuto realizzarsi per contanti, non
gia'  attraverso  la modalita' anomala della compensazione del debito
di conferimento col credito per accessori, per la quale sarebbe stata
necessario  anche  il  rispetto  delle  complesse  formalita'  di cui
all'art. 2343 c.c.
    Chiedeva  pertanto  che,  previo  conferimento  dell'efficacia di
titolo   esecutivo   al   decreto  monitorio,  l'opposizione  venisse
dichiarata  inammissibile  e  comunque  respinta  come  infondata; in
subordine,  che la F.IN.PA. fosse condannata al pagamento della somma
complessiva di L. 104.597.472 o di quella diversa, maggiore o minore,
accertata  dal tribunale, oltre agli interessi legali, come liquidati
in decreto, dalla data della notifica all'effettivo pagamento.
    Aldo e Maria Rosaria Gentile non si costituivano.
    Con  atto  notificato l'11 maggio 2001 la S.pa. F.IN.PA. esponeva
che,  sebbene  la  richiesta  in  calce  all'atto  precisasse  che la
notifica  avrebbe dovuto essere effettuata, per scadenza del termine,
nella  stessa  giornata, l'ufficiale giudiziario Antonio Barone aveva
inopinatamente  notificato  l'atto  il  27  aprile  2001  a  mani del
portiere  dello  stabile; che, secondo quanto dichiarato dal medesimo
u.g., si poteva anche ipotizzare un'erronea indicazione della data di
notifica,  avvenuta  invece  il  26  aprile  2001. In ogni caso, essa
esponente  era  legittimata a propone opposizione tardiva ex art. 650
c.p.c.,  secondo  quanto  affermato dalla Corte costituzionale con la
sentenza n, 170/1976.
    Ove  si  fosse  interpretato l'art. 650 primo comma nel senso che
non  e'  consentita l'opposizione tardiva quando ricorrano comprovati
motivi non imputabili all'opponente, ma a fatto del terzo, si sarebbe
dovuto  ritenere la norma in questione costituzionalmente illegittima
in  riferimento  agli  artt. 3,  primo  comma,  e 24, secondo e terzo
comma, della Costituzione.
    Citava  pertanto  Aldo, Marcello e Maria Rosaria Gentile, nonche'
Antonio  Barone  e il Ministero di grazia e giustizia al giudizio del
Tribunale  di  Napoli,  proponendo  opposizione  tardiva  al suddetto
decreto   ingiuntivo   e   affermando   di  reiterare  la  precedente
opposizione;   chiedeva  inoltre  che,  qualora  fosse  ritenuta  non
ammissibile  l'opposizione  tardiva,  fosse dichiarata sussistente la
colpa grave dell'ufficiale giudiziario Barone per non aver notificato
nei  termini  l'opposizione  e  condannato il medesimo, unitamente al
Ministero,  al  rimborso di tutte le spese gia' sostenute o che fosse
stata  costretta  a  corrispondere  agli  opposti in dipendenza della
mancata  tempestiva  notificazione.  Il tutto con compensazione delle
spese  di  lite  nei  confronti  di  Aldo  e  Maria Rosaria Gentile e
vittoria  di  spese,  diritti  e  onorari  nei  confronti di Marcello
Gentile.
    Quest'ultimo    si    costituiva,   chiedendo   la   declaratoria
d'improponibilita' dell'opposizione notificata l'11 maggio 2001 e, in
subordine,  la  sua  reiezione  nel  merito,  con  vittoria di spese,
diritti e onorari.
    Si  costituiva  anche  Antonio  Barone,  negando di aver ricevuto
l'atto  per  la notifica il 26 aprile 2001 e contestando comunque sia
la  configurabilita'  di  una sua colpa grave, sia la sussistenza del
preteso  danno, non essendo stata dimostrata la concreta possibilita'
di accoglimento dell'opposizione.
    Chiedeva   pertanto  dichiarare  inammissibile,  improponibile  e
improponibile   ogni  domanda  formulata  nei  suoi  confronti  dalla
societa' attrice, con vittoria di spese, diritti e onorari.
    Il  Ministero  della  giustizia,  costituendosi, affermava che il
comportamento gravemente colposo del pubblico dipendente, non diretto
a  conseguire  le  finalita'  istituzionali  dell'amministrazione  di
provenienza,  interrompe il rapporto di immedesimazione organica, con
conseguente esclusione di ogni responsabilita' dell'amministrazione.
    Chiedeva  pertanto che fosse dichiarata inammissibile e infondata
la domanda proposta nei suoi confronti. Spese vinte.
    Con  ordinanze rese alle udienze del 21 febbraio 2002, il giudice
istruttore  disponeva  la  riunione  dei  due  procedimenti.  Quindi,
all'udienza  del  13 marzo 2003 si riservava in ordine alla sollevata
eccezione d'incostituzionalita', assegnando alle parti termine per il
deposito di note illustrative.

                               Motivi

    L'opponente   ha   eccepito  l'incostituzionalita'  dell'art. 650
c.p.c.  sul  presupposto che l'opposizione sia stata proposta dopo la
scadenza   del   termine  di  quaranta  giorni  fissato  nel  decreto
ingiuntivo.
    Tuttavia tale dato e' da verificare. L'atto e' stato affidato per
la notifica all'ufficiale giudiziario il 26 aprile 2003, quarantesimo
giorno  dalla  notifica  del  provvedimento monitorio, avvenuta il 17
marzo 2001, ma e' stato consegnato agli opposti il giorno successivo.
    Orbene,  con  la  sentenza  26  novembre  2002  n. 4777, la Corte
costituzionale ha rilevato (richiamando la propria sentenza n. 69 del
1994 in tema di notificazioni all'estero) come gli artt. 3 e 24 della
Costituzione  impongano  che le garanzie di conoscibilita' dell'atto,
da   parte  del  destinatario,  si  coordinino  con  l'interesse  del
notificante  a  non  vedersi  addebitato  l'esito  intempestivo di un
procedimento  notificatorio  parzialmente sottratto ai suoi poteri di
impulso    ed    ha,    altresi',    individuato    come    soluzione
costituzionalmente  obbligata  quella  desumibile dal principio della
sufficienza  del  compimento  delle  sole formalita' che non sfuggono
alla disponibilita' del notificante.
    La  Corte  ha  poi  sottolineato  che  tale principio, per la sua
portata   generale,   non   puo'   non  riferirsi  ad  ogni  tipo  di
notificazione,  essendo  palesemente  irragionevole, oltre che lesivo
del  diritto  di  difesa del notificante, che un effetto di decadenza
possa   discendere   dal   ritardo  nel  compimento  di  un'attivita'
riferibile  non  al  medesimo  notificante,  ma  a  soggetti  diversi
(l'ufficiale  giudiziario  e  l'agente postale) e, percio', del tutto
estranea alla sfera di disponibilita' del primo.
    In  ossequio  ai  richiamati  principi  costituzionali, ha quindi
affermato  che  gli  effetti della notificazione a mezzo posta devono
essere  ricollegati  -  per  quanto riguarda il notificante - al solo
compimento  delle  formalita' a lui direttamente imposte dalla legge,
ossia   alla   consegna   dell'atto   da   notificare   all'ufficiale
giudiziario,  essendo  la  successiva attivita' di quest'ultimo e dei
suoi  ausiliari (quale appunto l'agente postale) sottratta in toto al
controllo  ed  alla sfera di disponibilita' del notificante medesimo;
fermo  restando  naturalmente,  per il destinatario, il principio del
perfezionamento  della  notificazione  solo  alla  data  di ricezione
dell'atto,  attestata  dall'avviso di ricevimento, con la conseguente
decorrenza  da  quella  stessa  data  di qualsiasi termine imposto al
destinatario medesimo.
    Attesa  la  portata  generale  dei principi enunciati dalla Corte
costituzionale,  deve  ritenersi  che  essi  si applichino anche alla
forma  di  notificazione  adottata  nella  fattispecie,  ossia quella
prevista   dall'art. 139   c.p.c.,   avendo  l'ufficiale  giudiziario
consegnato  l'atto  al potere dello stabile ove era ubicato lo studio
del procuratore degli ingiungenti.
    Va  al  riguardo  sottolineato  che la disposizione citata non si
presta a un'interpretazione conforme agli anzidetti principi. Infatti
dalla  lettura  del terzo e quarto comma si evince inequivocabilmente
che  la  notificazione  si  ha per avvenuta al momento della consegna
della copia dell'atto al portiere.
    E'  dunque  non  manifestatamente  infondata, e questo giudice la
solleva  d'ufficio,  la  questione di legittimita' costituzionale, in
relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell'art. 139 c.p.c.,
laddove   prevede   che   la  notificazione  si  perfeziona,  per  il
notificante,  alla  data  di ricezione della copia dell'atto da parte
del  portiere  anziche'  a  quella,  antecedente,  di  consegna della
medesima all'ufficiale giudiziario.
    La  questione  di  costituzionalita' e' senza dubbio rilevante ai
fini   della  definizione  del  giudizio,  in  quanto  l'applicazione
dell'art. 139    c.p.c.    comporterebbe,    nel   caso   in   esame,
l'inammissibilita' dell'opposizione.