IL TRIBUNALE

    Letti  gli  atti  del  procedimento nei confronti di Torchd Anis,
nato a Casablanca (Marocco) il 15 maggio 1984, arrestato da ufficiali
della  Polizia  di Stato dell'ufficio prevenzione generale e soccorso
pubblico  della Questura di Modena il 5 febbraio 2003 alle ore 17,30,
per  il  reato  di cui all'art. 14 comma 5-ter d.lgs. 28 giugno 1998,
modificato   dalla   legge   n. 189/2002,   e  sottoposto  a  rilievi
dattiloscopici  per  la  sua  identificazione, in base ai quali si e'
accertato  che  lo  stesso - con le generalita' con le quali e' stato
arrestato  o eventualmente con diverse generalita - non ha precedenti
penali,   ne'  pendenze  giudiziarie,  ne'  segnalazioni  di  polizia
relative a fatti di reato rilevati a suo carico;
    Rilevato  che  sussisono  dubbi sulla legittimita' costituzionale
dell'arresto   obbligatorio   come   previsto   dall'art. 14,   comma
5-quinquies   d.lgs.   n. 286/1998  -  come  modificato  dalla  legge
n. 189/2002 - e che la questione di legittimita' di tale norma appare
non  manifestamente infondata e va sollevata d'ufficio per le ragioni
che  seguono,  con essenziale riferimento ai parametri costituzionali
di cui agli artt. 3 e 13 della Costituzione;

                            O s s e r v a

    Quanto al parametro dell'art. 3 Cost. esso risulta violato per le
ragioni che seguono, gia' evidenziate in numerose ordinanze emesse da
questo  tribunale  in casi analoghi (cfr. per tutte ordinanza in data
31 ottobre 2002 emessa nel procedimento n. 1534/2002 Rg tribunale).
    Il  regime  introdotto  dal  d.lgs.  n. 286/1998 modificato dalla
legge  n. 189/2002,  prevede  l'espulsione  dello  straniero  che sia
entrato  nel  territorio  dello  Stato  sottraendosi  ai controlli di
frontiera  (art. 13  comma  2  lett. a); l'espulsione e' disposta dal
prefetto  (art. 13  comma  2)  ed e' sempre eseguita dal questore con
accompagnamento  alla frontiera a mezzo della forza pubblica (art. 13
comma 4).
    Fanno eccezione i casi di cui al comma 5 concernenti lo straniero
il  cui  permesso  di  soggiorno  sia scaduto di validita' da piu' di
sessanta giorni senza che ne sia stato chiesto il rinnovo.
    La  regola  fissata dal comma 4 dell'art. 13 puo' essere derogata
quando  non  e'  possibile  eseguire  con  immediatezza  l'espulsione
mediante accompagnamento alla frontiera ... perche' occorre procedere
al  soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine
alla   sua  identita'  o  nazionalita',  ovvero  all'acquisizione  di
documenti per il viaggio, ovvero per l'indisponibilita' del vettore o
altro mezzo di trasporto idoneo» (art. 14 comma 1).
    In  tal caso, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto
per  il  tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza
temporanea e assistenza piu' vicino...» (art. 14 comma 1).
    E'  contemplato un rimedio estremo per l'eventualita' che non sia
possibile  eseguire  l'espulsione  immediata con accompagnamento alla
frontiera  e  non  si  riesca  neanche  a  trattenere, o a trattenere
ulteriormente,   lo   straniero   presso   un  centro  di  permanenza
temporanea.  Qualora  questa  duplice impossibilita' si verifichi, il
questore  ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato
entro il termine di cinque giorni (art. 14 comma 5-bis).
    L'apparato  sanzionatorio  predisposto  dal testo normativo tiene
conto delle differenti modalita' esecutive dell'espulsione.
    La  disobbedienza,  quando si realizzi la prima volta, integra un
illecito contravvenzionale.
    Le  condotte  incriminate  sono  il  rientro nel territorio dello
Stato  dopo  l'accompagnamento  alla  frontiera  e  senza la speciale
autorizzazione del ministro dell'interno (art. 13 comma 13) oppure il
trattenimento  in  Italia  senza  giustificato  motivo  in violazione
dell'ordine  impartite dal questore ai sensi dell'art. 14 comma 5-bis
(art. 14 comma 5-ter).
    Per entrambe le contravvenzioni e' comminata la pena dell'arresto
da  sei  mesi  ad  un  anno  ed  e' prevista una nuova espulsione con
accompagnamento immediato alla frontiera.
    La  reiterazione  della  condotta  disobbediente  da  parte dello
straniero  realizza  una  fattispecie  piu'  grave,  qualificata come
delitto.
    Lo  straniero,  gia'  denunciato  per il reato di cui all'art. 13
comma  13  ed  espulso,  che  abbia  fatto  reingresso sul territorio
nazionale  e' punito con la reclusione da uno a quattro anni (art. 13
comma 13-bis).
    Analogamente,  lo  straniero  espulso ai sensi dell'art. 14 comma
5-ter,  che viene trovato nel territorio dello Stato e' punito con la
reclusione da uno a quattro anni.
    Quanto agli aspetti processuali, gli artt. 13 e 14 prevedono, per
i   reati   in  ciascuna  disposizione  contemplati,  rispettivamente
l'arresto  facoltativo  in flagranza e l'arresto obbligatorio (per il
delitto  di  cui  all'art. 13  comma  13-bis e' inoltre consentito il
fermo).
    In entrambi i casi e' imposta l'adozione del rito direttissimo.
    Che  la  disciplina processuale appena descritta sia in contrasto
con l'art. 3 della Costituzione e' di tutta evidenza.
    I reati contravvenzionali descritti dagli artt. 13 e 14 rivestono
quanto meno pari gravita'.
    Essi sono sanzionati con la medesima pena edittale.
    Identica   e'   la   previsione   delle   conseguenze  sul  piano
amministrativo,   cioe'  una  nuova  espulsione  con  accompagnamento
immediato alla frontiera.
    In  entrambi i casi, la reiterazione della condotta illecita dopo
la  denuncia  per l'ipotesi contravvenzionale comporta l'integrazione
di un delitto. Ma vi e' di piu'.
    La fattispecie descritta dall'art. 14 comma 5-ter ontologicamente
meno grave rispetto a quella inserita nel comma 13.
    Lo   straniero  che  rientra  nel  territorio  dello  Stato  dopo
l'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica pone in
essere una condotta attiva.
    Piu'  esattamente,  trasgredisce ad un ordine non solo legalmente
impartito  dalla  pubblica autorita' italiana ma addirittura eseguito
in  modo  coattivo, con impiego da parte dello Stato di risorse umane
ed economiche.
    Una  simile  condotta  e'  certamente  poco  compatibile  con  un
atteggiamento colposo.
    La   contravvenzione  di  cui  al  comma  5-ter  dell'art. 14  si
realizza, invece, con una condotta meramente omissiva.
    La  trasgressione  posta  in  essere  dallo straniero non ha alle
spalle  un accompagnamento coatto alla frontiera ma un ordine scritto
del  questore di lasciare il territorio dello Stato nel breve termine
di cinque giorni.
    La disobbedienza e' sicuramente compatibile in questo caso con un
atteggiamento colposo, negligente.
    La   mancata  esecuzione  dell'ordine  non  vanifica  uno  sforzo
compiuto  dallo  Stato  per  attuare  in  maniera  forzata  i  propri
provvedimenti.
    Che  la  condotta  omissiva,  vale  a  dire la mancata esecuzione
spontanea  di un ordine, sia in generale valutata dal legislatore con
minor  rigore  si  ricava,  ad esempio, dalla previsione dell'art. 13
comma  5. Per lo straniero che si sia trattenuto nel territorio dello
Stato  nonostante  che  il  permesso  di  soggiorno  fosse scaduto di
validita'  e senza aver chiesto il rinnovo, l'espulsione e' eseguita,
in  deroga  all'art. 13  comma  4, mediante intimazione a lasciare il
territorio  dello  Stato  entro  il  termine  di  quindi  giorni.  Lo
straniero  che non esegua spontaneamente l'intimazione in oggetto non
e' penalmente perseguibile.
    Nel  d.lgs.  n. 286/1998,  prima delle modifiche introdotte dalla
legge  n. 189/2002,  era incriminata solo la condotta dello straniero
espulso   che   fosse   rientrato   in   Italia   senza  la  speciale
autorizzazione del ministero dell'interno (art. 13 comma 13).
    Se  e'  vero che la contravvenzione introdotta dall'art. 14 comma
5-ter  riveste  gravita'  pari  o  minore rispetto a quella descritta
dall'art. 13  comma  13,  non vi e' alcuna ragione che giustifichi la
previsione  di  un  arresto obbligatorio nel primo caso e facoltativo
nel secondo.
    La  ingiustificata  disparita'  di trattamento emerge poi in modo
eclatante  ove  si  raffronti la disciplina in tema di arresto tra la
contravvenzione  di  cui all'art. 14 comma 5-ter ed il delitto di cui
all'art. 13 comma 13-bis.
    La  previsione dell'arresto obbligatorio per la contravvenzione e
dell'arresto  facoltativo  per  il  delitto  e'  del  tutto  priva di
ragionevolezza.
    L'obbligo  di arrestare l'autore di un reato contravvenzionale e'
istituto sconosciuto al nostro attuale ordinamento giuridico.
    La misura precautelare dell'arresto obbligatorio e' riservata, ai
sensi  dell'art. 380  c.p.p., agli autori di delitti e non di tutti i
delitti  ma  di  quelli particolarmente gravi, sanzionati con la pena
dell'ergastolo  o  della reclusione non inferiore nel minimo a cinque
anni  e nel massimo a venti anni, oppure rientranti nelle fattispecie
specificamente elencate nel secondo comma della stessa disposizione.
    Un  solo  caso  di  arresto obbligatorio in flagranza e' previsto
dalle  leggi  speciali,  ed  esattamente  dall'art. 12 comma 4 d.lgs.
n. 286/1998  (non modificato dalla legge n. 189/2002), in riferimento
comunque  a  delitti,  quelli  di  cui  ai commi 1 e 3 della medesima
disposizione.
    Quanto  ai  reati  contravvenzionali,  l'arresto  in flagranza e'
possibile   secondo   l'attuale  ordinamento  in  una  sola  ipotesi,
l'art. 6, decreto-legge n. 122/1993, convertito in legge n. 205/1993,
ma si tratta di arresto facoltativo e non obbligatorio.
    La previsione dell'arresto obbligatorio per la contravvenzione di
cui  all'art. 14  comma  5-ter  d.lgs.  n. 286/1998, modificato dalla
legge  n. 189/2002, contrasta in maniera eclatante con l'art. 3 della
Costituzione  in  quanto  concreta  una  ingiustificata disparita' di
trattamento  rispetto  all'art. 13  comma  13 che, per fattispecie di
maggiore  gravita'  consente ma non impone l'arresto in flagranza. Vi
e'  un  ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale che emerge
dalla  lettura  dell'art. 14  comma  5-quinquies  d.lgs. n. 286/1998,
modificato dalla legge n. 189/2002.
    Esso   attiene  alla  introduzione  di  una  identica  disciplina
processuale (arresto obbligatorio e obbligo di giudizio direttissimo)
per  due  ipotesi di reato (quelle dei commi 5-ter e 5-quater) che lo
stesso  legislatore  ha sensibilmente differenziato quanto a gravita'
del fatto e della sanzione.
    E'  pacifico, e costantemente ribadito dalla giurisprudenza, che,
ferma  la  necessita'  di  ancorare  le scelte criminalizzatrici alla
tutela  di  beni  costituzionalmente  rilevanti, le valutazioni sulla
qualita' e quantita' della sanzione, in quanto di natura ideologica e
politica,   rientrano   nell'ambito   del  potere  discrezionale  del
legislatore.
    Nella   sfera  della  discrezionalita'  legislativa  devono  pure
ricondursi  le  scelte sui presupposti di applicabilita' delle misure
precautelari  e  cautelari,  nei  limti  imposti  dall'art. 13  della
Costituzione (cfr. sentenze Corte cost. n. 126/1972; n. 305/1996).
    E'    altrettanto    pacifico,    tuttavi,    che   l'uso   della
discrezionalita' legislativa possa essere censurato, sotto il profilo
della  legittimita'  costituzionale,  nei  casi  in cui non sia stato
rispettato  il limite della ragionevolezza (cfr. sentenze Corte cost.
nn. 26/1979, 103/1982, 409/1989, 341/1994).
    Nell'esercizio   del  suo  indiscusso  potere  discrezionale,  il
legislatore  ha  qualificato  come  contravvenzione la condotta dello
straniero  che per la prima volta disobbedisce all'ordine di lasciare
il   territorio   nazionale,   in   linea  con  fattispecie  omologhe
contemplate   dal   codice   penale  (cfr.  art. 650  c.p.,  2  legge
n. 1423/1956).
    Scegliendo il tipo meno grave di reato, il legislatore ha escluso
che potesse applicarsi all'imputato qualsiasi misura cautelare.
    La   disobbedienza   reiterata  nelle  forme  dell'art. 14  comma
5-quater  e'  stata invece elevata al rango di delitto, punito con la
reclusione  da  uno  a  quattro  anni, quindi compatibile, secondo il
sistema   processuale,   con  il  ricorso  a  misure  precautelari  e
cautelari.
    Il  legislatore  ha  mostrato  da  un lato di voler differenziare
sensibilmente  le  due  condotte  in  esame, la prima disobbedienza e
quella   reiterata   nonostante  l'espulsione  coattiva,  addirittura
adottando   diverse   categorie   di   reato  e  comminando  sanzioni
significativamente  differenti,  con  tutta una serie di implicazioni
specifiche  quanto  ad elemento soggettivo, a termini di prescrizione
ecc..
    Tradendo questa impostazione e senza alcuna plausibile ragione ha
poi  dettato,  nel  comma 5-quinquies, una disciplina identica quanto
all'adozione di misure precautelari e al rito da seguire.
    Ha  in  tal modo introdotto una deroga enorme rispetto al sistema
del  codice  di  procedura  penale, prevedendo per la contravvenzione
l'arresto   obbligatorio   dell'autore,   caso   unico   nel   nostro
ordinamento.
    La   disarmonia  che  tale  disciplina  esprime  rileva  ai  fini
dell'art. 3   della   Costituzione  sotto  l'aspetto  della  assoluta
irragionevolezza.
    Il  principio  di  ragionevolezza  impone, per le fattispecie che
costituiscono   diversi   gradi  di  aggressione  del  medesimo  bene
giuridico, discipline proporzionatamente differenziate (cfr. sentenza
Corte  cost.  n. 26/1979, secondo cui: «E' giurisprudenza costante di
questa  Corte  che la configurazione delle fattispecie criminose e le
valutazioni  sulla congruenza fra i reati e le pene appartengono alla
politica  legislativa; salvo pero' il sindacato giurisdizionale sugli
arbitri  del  legislatore, cioe' sulle sperequazioni che assumano una
tale  gravita' da risultare radicalmente ingiustificate ... questo e'
appunto  il  caso della norma impugnata ... l'art.186 cpmp, nel primo
e,  in  parte,  nel  secondo  comma,  ricomprende  ed  appiattisce in
un'unica  ipotesi  delittuosa  -  quella  della  insubordinazione con
violenza  -  distinte  condotte tipiche, nettamente differenziate nei
loro elementi oggettivi e soggettivi»).
    Coerentemente   a   tali  criteri,  l'art. 9  legge  n. 1423/1956
qualifica  come contravvenzione la violazione degli obblighi inerenti
alla sorveglianza speciale e come delitto l'analoga violazione quando
la  sorveglianza  speciale  includa  anche  l'obbligo o il divieto di
soggiorno.  Solo  per  la fattispecie delittuosa e' previsto, in base
all'art. 381  c.p.p.,  l'arresto facoltativo in flagranza e, ai sensi
dell'art. 9  legge  n. 1423/1956  comma  3,  anche  fuori dei casi di
flagranza.
    In  materia  di stupefacenti, l'art. 380 c.p.p. prevede l'arresto
obbligatorio  per i delitti di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309/1990, in
deroga  ai  limiti  di  pena  di cui al comma 1. La piu' grave misura
precautelare  non  e'  estesa alle ipotesi attenuate di cui al quinto
comma del citato art. 73.
    Nell'art. 14  comma  5-quinquies,  il  legislatore ha in sostanza
trattato  allo  stesso  modo,  imponendo l'arresto in flagranza ed il
rito  direttissimo,  fattispecie  che  egli stesso ha, nella medesima
disposizione, differenziato notevolmente quanto a gravita'.
    La   disarmonia  che  tale  disciplina  esprime  rileva  ai  fini
dell'art. 3   della   Costituzione  sotto  l'aspetto  della  assoluta
irragionevolezza  («Non  si compiono valutazioni di natura politica e
nemmeno  si  controlla l'uso del potere discrezionale del legislatore
se si dichiara che il principio dell'uguaglianza e' violato quando il
legislatore  assoggetta  ad  una indiscriminata disciplina situazioni
che   esso   stesso   considera  e  dichiara  diverse»,  Corte  cost.
n. 53/1958).
    Non  vi  e' dubbio che il principio di uguaglianza, nonostante il
riferimento letterale dell'art. 3 cost. ai cittadini, debba ritenersi
esteso  agli  stranieri, allorche' si tratti della tutela dei diritti
inviolabili dell'uomo (Corte cost. n. 104/1969).
    Quanto  al parametro dell'art. 13 terzo comma Cost., che consente
provvedimenti limitativi della liberta' personale da parte della P.S.
solo   «in   casi  eccezionali  di  necessita'  ed  urgenza  indicati
tassativamente  della legge», la previsione dell'arresto obbligatorio
contenuta  nell'art. 14  comma 5-quinquies appare contrastarvi per le
seguenti  ragioni  (gia'  esposte in Ordinanza emessa il Tribunale di
Bologna  il  30  novembre  2002  nel  procedimento n. 2351/2002 Trib.
Bologna).
    La  tutela  costituzionale  della liberta' personale e' assoluta:
essa viene definita come inviolabile al primo comma, ne e' consentita
la  limitazione  solo  con provvedimento dell'autorita' giudiziaria e
nei  casi previsti dalla legge al secondo comma; al terzo comma ne e'
consentita una eccezionale limitazione temporanea ad opera della P.S.
solo  se successivamente convalidata dall'autorita' giudiziaria e nei
casi  «eccezionali di necessita' ed urgenza» previsti dalla legge. Al
terzo  comma  -  diversamente  dal  secondo  - e' prevista quindi una
riserva  di  legge  qualificata  poiche' al legislatore ordinario non
spetta di determinare liberamente i casi in cui la liberta' personale
puo'  venire provvisoriamente limitata dalla P.S., ma puo' farlo solo
nei  casi  eccezionali  di  necessita'  ed urgenza. La giurisprudenza
costituzionale  ha  chiarito le nozioni di eccezionalita', necessita'
ed  urgenza  che giustificano l'arresto obbligatorio. Proprio perche'
l'art. 14  5-quinquies  prevede  l'obbligatorieta'  dell'arresto ogni
volta  che si accerti la fragranza della contravvenzione dell'art. 14
5-ter,  le  condizioni  di  eccezionale  necessita'  ed urgenza della
misura  precautelare debbono essere valutate in astratto in relazione
al reato a cui e' collegata la previsione dell'arresto obbligatorio e
non ne e' consentita una modulazione in relazione al caso concreto.
    La  condotta  contravvenzionale  a  cui  e'  collegato  l'arresto
obbligatorio  e'  quella  dello straniero gia' espulso dal territorio
nazionale  in  quanto  clandestino  ed  inottemperante  al successivo
ordine di allontanamento del questore: si tratta cioe' di un reato di
mera  condotta,  di doppia disobbedienza ad un ordine dell'autorita',
dato  prima nella forma del decreto di espulsione e dopo con l'ordine
di  allontanamento.  La struttura del reato non prevede quindi ne' la
lesione  o  la  messa  in  pericolo  di  un  bene  costituzionalmente
protetto,  ne'  una  condizione soggettiva di pericolosita' specifica
dell'autore,  che  non e' gia' imputato o condannato per altri reati,
non  e' socialmente pericoloso (vedi Corte cost. n. 64/1977 in cui la
legittimita'  dell'arresto era collegata al preesistente accertamento
giudiziale  delle  condizioni di pericolosita' sociale), ne' versa in
una  condizione  di  pericolosita'  specifica  per  le sue condizioni
personali   (vedi   C.  cost.  n. 126/1972  in  cui  la  legittimita'
dell'arresto  era  collegata  all'ubriachezza  in  atto):  va infatti
considerato  che  la clandestinita' sul territorio dello stato, cioe'
la  permanenza  dello  straniero  in  Italia senza i documenti che la
legittimano  formalmente, e' condizione che legittima l'espulsione ma
che  non integra alcun reato e che, proprio perche' e' collegata alla
formale  assenza  di  documenti, non puo' essere indice di per se' di
una specifica pericolosita' del soggetto.
    Per  quanto  descritto nella fattispecie tipica del reato, ne' la
condotta   punita  ne'  le  condizioni  dell'agente  appaiono  quindi
assumere  quei  connotati  di  eccezionale  necessita' ed urgenza che
giustificano  il  potere limitativo della liberta' personale da parte
della P.S. ai sensi del terzo comma dell'art. 13 Cost.
    L'arresto  e'  in  questo caso obbligatoriamente previsto per una
contravvenzione punita con l'arresto da 6 mesi ad un anno.
    Si  e' gia' detto che il sistema processuale vigente non consente
l'applicazione  di  misure  cautelari  personali  per contravvenzioni
(artt. 280  e  287 c.p.p.), il che rende evidente come in questo caso
l'arresto   non   sia   in   alcun  modo  collegato  alla  successiva
applicazione  di  una  misura  cautelare.  Esso  si affianca ad altri
eccezionali  casi  in cui e' consentito l'arresto a prescindere dalla
successiva  applicazione  di misura cautelare, ma si discosta da tali
ipotesi  per  aspetti  molto rilevanti. Significativo e' il raffronto
con  le  ipotesi di arresto in flagranza previsto per il delitto p.p.
dall'art. 189  cds  (la  cui pena edittale e' inferiore ai limiti che
consentono    l'aplicazione   di   misure   cautelari)   e   per   le
contravvenzioni p.p. dai commi primo e secondo art. 4 legge n. 110/75
o  dai commi 4 e 5 dello stesso articolo, in questo caso se aggravate
dalla finalita' di discriminazione o odio etnico, razziale ecc. Nella
prima ipotesi l'arresto e' consentito per consentire «la possibilita'
di  un  intervento  immediato  di  chi  si  sia dato alla fuga, abbia
abbandonato  le  vittime di incidenti stradali a lui riconducibili ed
abbia messo in pericolo la sicurezza individuale e collettiva» (Corte
cost.  n. 305/1996). Nel secondo caso l'arresto consente che le forze
di  P.S.  limitino  la  liberta' personale di soggetti in possesso di
armi  o  oggetti  atti  ad  offendere nel corso di riunioni pubbliche
(commi  4  e  5)  o con armi od oggetti atti ad offendere fuori dalla
propria  abitazione  il  cui  possesso sia destinato specificamente a
finalita'  di discriminazione o odio razziale (commi primo e secondo,
aggravati  dall'art. 3  comma  1 decreto-legge n. 122/1993), condotte
entrambe  evidentemente riconducibili ad un pericolo per la sicurezza
individuale   e   collettiva  evitabile  soltanto  con  la  materiale
apprensione  del  soggetto  armato ed il suo allontanamento dal luogo
pericoloso.   In   entrambi   i  casi,  l'arresto  e'  previsto  come
facoltativo  e  non  come obbligatorio (art. 189 comma 6 csd e art. 6
comma  secondo  legge  n. 654/1975). In entrambe le ipotesi citate di
arresto  consentito a prescindere dalla conseguente applicabilita' di
misura  cautelare si tratta di condotte attive (lesioni personali con
conseguente  fuga  e  porto  di armi in occasioni o con finalita' non
consentite),  che  concretamente  pongono  in  pericolo  la sicurezza
individuale  e  collettiva e necessariamente dolose, mentre l'arresto
previsto  dall'art. 14,  comma  5-quinquies riguarda un reato di mera
condotta  omissiva,  che  non  pone in concreto pericolo la sicurezza
altrui,  punibile  anche  a  titolo  di  colpa  per la negligente non
ottemperanza  all'ordine. Mentre nelle prime due ipotesi l'arresto e'
quindi previsto per casi in cui appare necessario ed urgente bloccare
l'autore  di condotte pericolose da parte della P.S. che lo sorprenda
in  flagranza,  nel  caso  di  cui  all'art. 14 comma 5-quinquies non
emerge   alcuna   necessita'  ed  urgenza  di  procedere  all'arresto
dell'autore   di   una   condotta   colposa   e   priva  di  concreta
pericolosita'. Sul punto va aggiunto che il giudice delle leggi nella
sentenza  n. 305/1996  ha  confermato  la  legittimita'  dell'arresto
previsto  dall'art. 189  cds  ancorandola alla sua facoltativita', in
quanto  tale arresto «richiede pur sempre la sussistenza, nei singoli
casi  concreti,  dei  presupposti  ai  quali  l'art. 381 comma quarto
subordina in via generale l'adozione di tale misura». Nel caso qui in
esame   invece   l'obbligatorieta'  dell'arresto  prescinde  da  ogni
valutazione  sulla  concreta  pericolosita'  della  condotta,  con la
conseguenza   che   la   misura  potrebbe  essere  costituzionalmente
rientrante  nella  previsione dell'art. 13, terzo comma Cost. solo se
si  ritenesse  eccezionalmente  necessario  ed  urgente  limitare  la
liberta'  di  uno  straniero tutte le volte in cui egli abbia violato
l'ordine  di  allontanamento del questore, il che non appare conforme
alla   inviolabilita'   della   liberta'  personale  imposta  da  una
complessiva e ragionata lettura dell'art. 13 Cost.
    L'arresto  obbligatorio  non  potrebbe  neppure  trovare  ragione
nell'eccezionale  necessita'  ed  urgenza  di poter procedere al rito
direttissimo  imposto  dallo  stesso  art. 14  comma  5-quinquies per
l'accertamento  della  contravvenzione  dell'art. 14  comma 5-ter. Il
rito  direttissimo  nel  nostro  ordinamento non e' infatti vincolato
alla  necessaria  presenza  dell'imputato  in  udienza,  come  appare
dall'art. 449  che lo prevede in tutti i casi in cui l'imputato - non
arrestato  ne'  detenuto  - abbia reso confessione, nei casi previsti
dall'art. 450  c.p.p.  comma  secondo  che  espressamente  dispone le
regole   processuali   per   l'ipotesi   di   citazione   a  giudizio
dell'imputato  a  piede  libero,  oltre  che  nei casi previsti dallo
stesso  d.lgs.,  n. 286/1998 come modificato dalla legge n. 189/2002,
che  all'art. 13  comma 13-ter prevede ipotesi di arresto facoltativo
disponendo che in ogni caso - e quindi anche quando la facoltativita'
dell'arresto  non  sia  stata  esercitata  e  quindi l'imputato resti
libero - contro l'autore del fatto si proceda con rito direttissimo.
    Non puo' infine ritenersi che l'eccezionale necessita' ed urgenza
dell'arresto  sia  collegata alla necessita' di eseguire l'espulsione
dell'arrestato,   che   di   per   se'   puo'   essere  eseguita  con
accompagnamento  alla frontiera in via generale, ed in modo del tutto
autonomo  ed indipendente dall'arresto, ai sensi dell'art. 13 comma 4
d.lgs. n. 286/1998 come modificato dalla legge n. 189/2002.
    La  rilevanza  della  questione  e' evidente: l'imputato e' stato
arrestato   ai  sensi  della  disposizione  impugnata  e  l'eventuale
declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale della stessa farebbe
venir  meno  il  fondamento  normativo  della  richiesta di convalida
proposta dal p.m.
    Infatti,  nella  fattispecie,  Torchd  Anis  e'  stato  tratto in
arresto   perche'   tale   misura   e'   prevista  come  obbligatoria
dall'art. 14  comma  5-quinquies, d.lgs. n. 286/1998, mentre egli non
sarebbe  stato  passibile  di  arresto  se  tale  misura  fosse stata
prevista  come facoltativa in quanto non sussistono nella fattispecie
le  condizioni  richieste  dall'art. 381  comma  4 della gravita' del
fatto  (il reato contestato e' una contravvenzione punita da 6 mesi a
1  anno),  ne'  della  pericolosita'  del  soggetto desunta dalla sua
pericolosita'  (l'arrestato  e'  privo di pregiudizi penali ed e' qui
per la prima volta accusato di una contravvenzione; il fatto che egli
sia  clandestino  sul territorio nazionale non e' previsto come reato
dal  nostro  ordinamento)  o dalle circostanze del fatto (la condotta
contestata  e'  meramente  passiva,  di  disobbedienza  ad  un ordine
dell'autorita).
    Si  aggiunga  che  sulla rilevanza della questione non puo' avere
effetto  l'avvenuta  liberazione  della  persona  arrestata,  imposta
dall'art. 391 u.c., richiamato dall'art. 558 c.p.
    Il giudizio di convalida dell'arresto non e' stato esaurito ma e'
stato   sospeso   al   fine   di  trasmettere  gli  atti  alla  Corte
costituzionale;   la   decisione   sulla  questione  di  legittimita'
costituzionale  ha  incidenza diretta sulla pronuncia di legittimita'
dell'arresto  eseguito  dalla  polizia  giudiziaria  ai  sensi  della
disposizione   impugnata  (cfr.  al  riguardo  sentenza  Corte  cost.
n. 54/1993  «...  il  provvedimento di liberazione dell'arrestata era
imposto...  dalla  disposizione  di  cui  all'art. 391 settimo comma,
ultima  parte,  del  codice  di  rito...  Poiche'  tale  disposizione
ricollega  la  perdita  di  efficacia  dell'arresto alla carenza, per
qualsiasi  ragione,  di  un provvedimento positivo di convalida nello
stesso   termine,   e'  ovvio  che  l'impossibilita'  di  rispettarlo
conseguente  all'elevazione  della questione comportava (o avrebbe di
li  a  poco ineludibilmente comportato) l'intervento di tale autonoma
causa  di  carenza  di  valido  titolo  di  detenzione, a prescindere
dall'esaurimento  del  procedimento  di  convalida, che ... era stato
contestualmente sospeso. Tale procedimento non puo' percio' ritenersi
esaurito,  ne'  di  esso  i  giudici  si  sono  spogliati:  e  la sua
persistenza  nonostante  la  liberazione trova ragione nell'interesse
generale ad una pronuncia sulla legittimita' dell'arresto, che ha pur
sempre  determinato una privazione della liberta'. La rilevanza della
questione,   dunque,   permane,   trattandosi   di  stabilire  se  la
liberazione    dell'arrestata    debba    considerarsi    conseguente
all'applicazione    dell'art. 391   settimo   comma,   ovvero,   piu'
radicalmente,   alla   caducazione   con  effetto  retroattivo  della
disposizione in base alla quale gli arresti furono eseguiti»).
    Ritenuto  quindi  che la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 14  comma  5-quinquies  d.lgs.  n. 286/1998 come modificato
dalla legge n. 189/2002, nella parte in cui prevede come obbligatorio
l'arresto  per  il  reato  previsto dall'art. 14 comma 5-ter, sia non
manifestamente  infondata  e  rilevante  nel giudizio di convalida in
corso,  essa  deve  essere  sollevata  d'ufficio per le ragioni sopra
esposte;