il giudice di pace

    A     sioglimento    della    riserva    espressa    nell'udienza
predibattimentale  del  20  marzo  2003  nel procedimento penale R.G.
86/2003   contro   Tracchi  Pierluigi,  imputato  del  reato  di  cui
all'art. 186  secondo  e  quarto comma del codice della strada, sulla
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 20  d.lgs.  28
agosto  2000  n. 274 per violazione degli artt. 3, 24, secondo comma,
97, primo comma 111, secondo comma della Costituzione, nella parte in
cui  non  prevede  che  il decreto di citazione a giudizio dinanzi al
giudice  di  pace  debba,  a pena di nullita', contenere l'avviso che
l'imputato,   qualora   ne   ricorrano  i  presupposti,  prima  della
dichiarazione  di  apertura  del  dibattimento  (ex  art. 29, comma 6
d.lgs.  28 agosto 2000, n. 274) puo' presentare domanda di oblazione,
ha emanato la seguente ordinanza.

                           P r e m e s s o

    L'art. 52  del  d.lgs.  n. 274/2000,  mutando  radicalmente  - ad
eccezione  dei  reati  attribuiti alla competenza del giudice di pace
per  cui  e'  prevista la sola pena della multa o dell'ammenda, per i
quali continuano ad applicarsi le pene pecuniarie vigenti - il quadro
sanzionatorio,  privilegia  la pena pecuniaria ponendo in successione
alternativa  le  altre  pene.  Cio' consente l'applicazione oltre che
della  oblazione volontaria ex art. 162 c.p., anche dell'obbligazione
discrezionale  ex  art. 162-bis,  fermi  i requisiti soggettivi, alle
contravvenzioni   gia'  punite  con  pena  congiunta  dell'arresto  e
dell'ammenda,  oggi  puniti,  dinanzi  al  giudice  di pace, con pena
alternativa  dell'ammenda o della permanenza domiciliare o del lavoro
di   pubblica   utilita',   considerati   questi   ultimi,  ai  sensi
dell'art. 58,   primo   comma,  «come  pena  detentiva  della  specie
corrispondente a quella della pena originaria»
    L'art. 20  del  richiamato  decreto legislativo che disciplina il
contenuto   della   citazione   a  giudizio  disposta  dalla  polizia
giudiziaria  omette  qualsiasi riferimento sulla possibilita' fornita
all'imputato   dall'art. 29   del  medesimo  decreto  legislativo  di
accedere,  qualora ne ricorrano i presupposti, all'oblazione ai sensi
degli  artt. 162  o  162-bis  c.p.  (cosi'  come  omette  anche  ogni
riferimento  alla  possibilita'  di  accedere  a forme alternative di
definizione  del procedimento tipiche del giudizio dinanzi al giudice
di     pace,     disciplinate     dall'art. 35)     l'eccezione    di
incostituzionalita'  del  richiamato  art. 20  del  d.lgs. cosi' come
sollevata, si appalesa non manifestamente infondata in relazione agli
artt. 3,  24, primo comma e 97, primo comma della Costituzione. Viola
infatti:
        l'art. 3  della Costituzione, nella enunciazione dei principi
di  uguaglanza  e  di  ragionevolezza cui debbono ispirarsi le scelte
normative,  venendo  cosi'  a  porre  in essere una ingiustificata ed
irragionevole    disparita'    di    trattamento    tra    situazioni
sostanzialmente  identiche.  L'art. 552 c.p.p. alla lett. f) sancisce
che  nel  decreto  di  citazione  a  giudizio avanti al tribunale sia
contenuto   «l'avviso   che,  qualora  ne  ricorrano  i  presupposti,
l'imputato,  prima  della dichiarazione di apertura del dibattimento,
puo'   presentare   domanda   di   oblazione».  In  assenza  di  tale
avvertimento,  per  quanto  espressamente  previsto dal secondo comma
della disposizione in esame, il decreto e' nullo.
    La  normativa  che  disciplina  il  processo avanti il giudice di
pace,   allorche'   non   prevede   analoga   prescrizione,  comporta
conseguenze   ingiustificatamente   discriminatorie   e   sfavorevoli
all'imputato  che  ivi  sia  citato a giudizio, rispetto all'imputato
citato  in  giudizio avanti al tribunale. Risultano cosi' lesi sia il
principio di uguaglianza tra le persone, sia quello di ragionevolezza
che  esige  che le disposizioni normative contenute nelle leggi siano
adeguate e congruenti rispetto al fine perseguito dal legislatore;
        l'art. 24,    secondo    comma   della   Costituzione   nella
enunciazione del diritto di difesa dell'imputato.
    La  disposizione  censurata  preclude  all'imputato, che non puo'
considerarsi  inerte  se  non  vi  e'  espresso  obbligo di avviso ed
informazione,  la  facolta'  di  decidere  se  aderire  o  meno  alla
richiesta  di  applicazione  della  procedura  di  oblazione,  con le
favorevoli conseguenze che ne derivano.
    L'oblazione,  infatti,  e'  un  istituto  che  trova la sua ratio
nell'interesse  da  parte  dello  Stato  a definire (con risparmio di
tempo  e  di  spese)  i  procedimenti  relativi  ai  reati  di minore
importanza  ed  altresi' nell'interesse del contravventore di evitare
la lungaggine di un procedimento e l'eventuale condanna, con tutte le
conseguenze   di   essa  (Corte  costituzionale  n. 207  del  1974  e
costantemente  ribadito  da  successive  pronunce  della Consulta sul
punto,  anche  sent.  530  del  1995).  La conseguenza tipica di tale
istituto  consiste nella estinzione del reato. Si evince quindi, come
la  scelta  da  parte  dell'imputato  di  richiesta  d'essere ammesso
all'oblazione esprima una concreta espressione del diritto di difesa.
Il  legislatore,  nel  procedimento  avanti  al  Giudice di pace mira
inoltre    palesemente   a   realizzare   i   principi   di   massima
semplificazione  e di deflazione del dibattimento. La disposizione de
quo  risulta  quindi  irragionevole,  in  quanto  in contrasto con le
suddette,  esigenze  senza  che  sussista  un, apprezzabile interesse
pubblico  che  giustifichi un trattamento differenziato rispetto alla
disciplina dettata per il procedimento avanti il tribunale. La stessa
Corte  costituziona1e  con la sentenza n. 497 del 1995 ha, dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 555 c.c.p. (i cui contenuti
sono ora rifluiti nell'art 552, secondo comma c.p.p.), nella parte in
cui  non  prevedeva  espressamente  la  nullita'  della  citazione  a
giudizio  in  caso di mancata indicazione nell'avviso di avvalersi in
riti   alternativi   al   dibattimento-lacuna   colmata  dalla  legge
n. 479/1999  con il nuovo art. 552 c.p. sostenendo che l'omissione di
tale  avviso  concretizzasse  violazione  dell'art. 24, secondo comma
della  Costituzione  implicante  una, diminuzione irragionevole delle
potenzialita'  difensive  dell'imputato  rispetto alle quali non puo'
ritenersi sufficiente la garanzia dell'assistenza tecnica;
        l'art. 97,    primo    comma,   della   Costituzione,   nella
enunciazione  dei  criteri  di efficienza cui ogni attivita' pubblica
deve  uniformarsi e l'art 11l, secondo comma della Costituzione nella
enunciazione della ragionevole durata dei processi.
    La mancata previsione a pena di nullita' dell'obbligo di avvisare
l'imputato  nel  decreto  di  citazione  a giudizio della facolta' di
presentare  domanda  di  oblazione  (art. 20  d.lgs.  28 agosto  2000
n. 274)  comporta  ritardi  nella  fase  del  dibattimento, in quanto
l'imputato,  stante  l'assenza  dell'informazione  non e' posto nella
condizione di scegliere tale strada alternativa, in anticipo rispetto
alla  fase dibattimentale. Il dibattimento di conseguenza, diviene in
effetti   una   fase   del  procedimento  del  tutto  obbligata,  non
giustificato da esigenze espessive ne' da garanzie difensive.