IL TRIBUNALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza premesso:
        che  Malara  Marcello e' stato tratto in arresto per il reato
di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309/1990;
        che  il pubblico ministero, ai sensi dell'art. 449 c.p.p., ha
condotto  l'arrestato  dinanzi  al  giudice  per  la  convalida  e il
giudizio di merito;
        che  questo  giudice ha convalidato l'arresto e, su richiesta
del  pubblico  ministero,  ha  applicato  nei confronti del Malara la
misura cautelare degli arresti domiciliari;
        che  la  trattazione  del processo e' stata rinviata ad altra
udienza avendo l'imputato chiesto termine a difesa;
        che  la  difesa  dell'imputato  ha  prospettato  questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma del codice di
rito con riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 25, primo comma
e  27 secondo comma della Costituzione nella parte in cui non prevede
che  non  possa  partecipare  al giudizio direttissimo il giudice che
abbia  convalidato  l'arresto  ed  applicato una misura cautelare nei
confronti dell'imputato;
    Rilevato  che  la  questione prospettata e' rilevante nel caso di
specie   in   quanto  questo  giudice  ha  proceduto  alla  convalida
dell'arresto  ed  ha  applicato  al  Malara la misura cautelare degli
arresti domiciliari in relazione al reato ipotizzato;

                          Osserva e rileva

    Va,  innanzitutto,  osservato  che  la  Corte  costituzionale con
sentenza  del  31  maggio  1996  n. 177, ha dichiarato non fondata la
questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 34 c.p.p. nella
parte  in  cui  non  prevede,  che  non possa partecipare al giudizio
direttissimo  il pretore che abbia convalidato l'arresto ed applicato
una  misura  cautelare  nei  confronti  dell'imputato,  sollevata dal
pretore  di  Savona il 5 ottobre 1995, in riferimento agli artt. 24 e
101  della  Costituzione,  sul  presupposto  che la valutazione sulla
responsabilita'  dell'imputato  avrebbe  potuto  essere  condizionata
dalle  decisioni  gia'  assunte  con pregiudizio dell'imparzialita' e
dell'obiettivita'.
    La Corte nella citata sentenza (con la quale era stata dichiarata
non   fondata  anche  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 34,  secondo  comma  del  codice  di  rito,  sollevata  con
riferimento  agli  artt. 3 e 24 della Costituzione nella parte in cui
non  prevede che non possa partecipare al giudizio il giudice che nel
dibattimento abbia emanato un provvedimento di custodia cautelare nei
confronti   dell'imputato  per  un  reato  oggetto  di  contestazione
suppletiva)  ha  osservato  che «l'istituto dell'incompatibilita' del
giudice determinata da atti compiuti nel procedimento penale concorre
ad  esprimere  la garanzia di un giudizio imparziale, che non sia ne'
possa   apparire   condizionato   da   precedenti  valutazioni  sulla
responsabilita'   penale   dell'imputato   manifestate  dallo  stesso
giudice,  tali da poter pregiudicare la neutralita' del suo giudizio.
Il  principio del "giusto processo", difatti, implica e presupponeche
il  giudizio  si formi in base al razionale apprezzamento delle prove
legittimamente  raccolte  ed  acquisite  e  non  sia  pregiudicato da
valutazioni   sul   merito   dell'imputazione  e  sulla  colpevolezza
dell'imputato  espresse  in  fasi del processo anteriori a quella del
quale  il  giudice  e'  investito.  Il  processo  e'  per  sua natura
costituito   da   una  sequenza  di  atti  ciascuno  dei  quali  puo'
astrattamente   implicare   apprezzamenti   su   quanto  risulti  nel
procedimento  ed  incidere  sui  suoi esiti. Non puo', quindi, essere
frammentato,  isolando  ogni atto che contenga una decisione idonea a
manifestare  un  apprezzamento di merito ma preordinata, accessoria o
incidentale  rispetto  al  giudizio  del  quale  il  giudice  e' gia'
investito,  per  attribuire  ogni  singola  decisione  ad  un giudice
diverso,  sino  a  rompere la necessaria unita' del giudizio e la sua
intrasferibilita'.  L'incompatibilita'  del giudice per atti compiuti
nel  procedimento  e'  determinata  da provvedimenti adottati in base
alla  valutazione  di  indizi  o  prove inerenti alla responsabilita'
penale  dell'imputato  in  fasi  precedenti  a  quelle delle quali il
giudice  e'  investito.  Essa  non necessariamente deve essere estesa
sino  a  collegarla  a tutti i provvedimenti con contenuto valutativo
emanati  dal giudice competente e senza che vi fosse incompatibilita'
nel  momento  in  cui  lo  stesso  e' stato investito del giudizio di
merito;  giudice che in ragione e nell'esercizio di questa competenza
e'  successivamente  chiamato  ad  adottare  misure  e  provvedimenti
accessori  o  ad  esprimere giudizi incidentali, quali sono quelli di
carattere  cautelare  innestati  nel  dibattimento. In questi casi il
provvedimento  non  costituisce anticipazione di un giudizio che deve
essere  instaurato,  ma,  al contrario, si inserisce nel giudizio del
quale  il  giudice e' gia' correttamente investito senza che ne possa
essere  spogliato: anzi e' la competenza ad adottare il provvedimento
dal  quale si vorrebbe far derivare l'incompatibilita' che presuppone
la competenza per il giudizio di merito e si giustifica in ragione di
essa».
    In applicazione dell'enucleauto principio, la Corte ha dichiarato
la  non  fondatezza  della  questione  in  quanto  «non  puo'  essere
configurata  una  menomazione  dell'imparzialita'  del  giudice,  che
adotta  decisioni  preordinate  al  proprio  giudizio  o  incidentali
rispetto  ad esso», atteso che «la convalida dell'arresto implica una
valutazione  sulla  riferibilita' del reato all'imputato, condotto in
giudizio, ma e' attribuita alla cognizione del giudice competente per
il  merito,  cui e' devoluta la convalida ed il contestuale giudizio,
al quale accede ogni altro provvedimento cautelare» e «il giudice del
dibattimento,  al  quale  e'  presentato  l'imputato  per il giudizio
direttissimo,   si  pronuncia  pregiudizialmente,  con  la  convalida
dell'arresto,  sull'esistenza  dei  presupposti che gli consentono di
procedere  immediatamente  al  giudizio  ed e' competente ad adottare
incidentalmente  misure  cautelari,  attratte nella competenza per la
cognizione di merito».
    La  Corte di cassazione, con sentenza del 30 luglio 1998 n. 2199,
si  e'  espressa  nello stesso senso, riaffermando il principio della
insussistenza   di   incompatibilita'   a   partecipare  al  giudizio
direttissimo del giudice che abbia convalidato l'arresto ed applicato
una  misura  cautelare  nei confronti dell'imputato perche' lo stesso
giudice  che ha proceduto alla convalida e' automaticamente designato
a   svolgere   il   giudizio  direttissimo  rispetto  al  quale  sono
preordinati  quegli  atti  che  lo stesso giudice deve compiere e che
proprio   perche'  funzionali  allo  svolgimento  di  quel  rito  non
costituiscono pronunce autonome che possono determinare pregiudizio.
    Va  osservato  che la Corte costituzionale ha seguito il medesimo
principio statuito nella richiamata sentenza n. 177/1996, secondo cui
all'interno  di  ogni  singola  fase le varie decisioni emesse da uno
stesso giudice non costituiscono causa di incompatibilita', in quella
n. 51/1997,  laddove  ha dichiarato inammissibile sia la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma del codice di
rito  sollevata  in  riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione
nella  parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio
il  giudice  che  ha  applicato  una  misura  coercitiva,  sia quella
relativa  al  combinato disposto degli artt. 34, 279 e 299 del codice
di   rito   sollevata  con  riferimento  agli  artt. 24  e  25  della
Costituzione  nella  parte  in  cui  attribuiscono  la  competenza  a
pronunciarsi  sui  provvedimenti  cautelari  concernenti  la liberta'
personale  dell'imputato  al giudice del dibattimento, anziche' ad un
diverso  ed  autonomo  giudice,  nonche' ha dichiarato non fondata la
questione   di   legittimita'   costituzionale  dell'art. 299  c.p.p.
sollevata  in  riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione nella
parte  in cui, secondo il diritto vivente, precluderebbe di valutare,
dopo  il  decreto  che  dispone il giudizio, la persistenza dei gravi
indizi di colpevolezza, ai fini della revoca di una misura cautelare.
    In  questi casi la Consulta ha affermato che l'attribuzione della
competenza  c.d. accessoria sui provvedimenti de libertate al giudice
del  dibattimento  e'  pienamente  legittima, in primo luogo, perche'
l'opzione   in   tal   senso   rientra   nella  discrezionalita'  del
legislatore,  poi,  perche'  affermare l'incompatibilita' del giudice
del   dibattimento   chiamato  a  pronunciarsi  su  misure  cautelari
equivarrebbe  a  fornire all'imputato uno strumento per spogliare dei
suoi poteri il giudice titolare del giudizio.
    Successivamente   alle   predette  pronunce,  il  legislatore  ha
introdotto due significative innovazioni.
    Con decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 con effetto dal 2
giugno  1999, in virtu' di quanto disposto dall'art. 247 dello stesso
decreto,  come  modificato  dall'art. 1  della  legge  16 giugno 1998
n. 188  e,  poi,  dal  giugno  2000  in  virtu'  dell'art. 3 del d.l.
24 maggio 1999 n. 145, convertito con modifiche nella legge 22 luglio
1999,  n. 234)  e'  stato  inserito all'art. 34 del codice di rito il
comma 2-bis che prevede che «il giudice che nel medesimo procedimento
ha  esercitato  funzioni  di  giudice per le indagini preliminari non
puo'  emettere  il  decreto  penale di condanna, ne' tenere l'udienza
preliminare;  inoltre, anche fuori dei casi previsti dal comma 2, non
puo' partecipare al giudizio».
    Con   legge   costituzionale  23 novembre  1999,  n. 2  e'  stato
novellato  l'art. 111  della  Costituzione  attraverso  l'inserimento
della previsione che «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra
le  parti,  in  condizioni  di parita', davanti a un giudice terzo ed
imparziale».
    Orbene, con la prima innovazione normativa citata, il legislatore
ha  scandito all'interno della stessa fase delle indagini preliminari
due  sub  fasi, quella delle indagini preliminari in senso stretto e,
quella,  dell'udienza  preliminare ed ha introdotto una nuova ipotesi
di  incompatibilita',  imponendo  al  giudice  che  ha  nel  medesimo
procedimento   esercitato   funzioni   di  giudice  per  le  indagini
preliminari  (g.i.p.)  di  non  tenere  l'udienza preliminare (di non
fungere,   quindi,   da  g.u.p.),  di  non  partecipare  al  giudizio
(abbreviato  od  ordinario) anche fuori dei casi previsti dal secondo
comma dell'art. 34 del codice di rito.
    Tale  ipotesi  di  incompatibilita' trova il suo aggancio proprio
nell'art. 111 della Costituzione appena novellato.
    Il principio costituzionale del giusto processo, sotto il profilo
dell'imparzialita'  del giudice, infatti, opera attraverso l'istituto
della  incompatibilita'  in  relazione  allo svolgimento di attivita'
valutative e decisionali nell'ambito dello stesso procedimento penale
e la citata ipotesi di incompatibilita' vale a determinarne contenuto
e portata.
    Sul rilievo attribuito dal legislatore nell'ambito della medesima
fase  processuale (fase delle indagini) alle due diverse sub fasi, si
prospetta   la   necessita'   di   verificare  se  analoga  ratio  di
incompatibilita'   si   configuri   in  relazione  al  rito  speciale
direttissimo,  avuto  riguardo  alla  scansione delle due diversi sub
fasi  che  lo  costituiscono,  quella  introduttiva  del  giudizio di
convalida  e  dell'eventuale  deliberazione  in  materia cautelare e,
quella, dei giudizi di merito.
    Costituisce,  certamente, violazione del principio di uguaglianza
il disciplinare in maniera difforme situazioni analoghe.
    L'ipotesi  del g.i.p. che, nella sub fase procedimentale, procede
alla  convalida  dell'arresto  e  ad emettere decisione in materia de
libertate  e  del  g.u.p.  che,  nella  sub fase processuale, celebra
l'udienza  preliminare,  sostanzialmente  non  e' dissimile, anzi, e'
analoga,  a  quella  del  giudice, che, nella prima sub fase, procede
alla  convalida  dell'arresto  e  decide in materia cautelare e, poi,
nell'altra  sub  fase,  procede  alla  celebrazione  del  giudizio di
merito.
    Questo    giudice,    pertanto,    dubita    della   legittimita'
costituzionale dell'art. 34 del codice di rito nella parte in cui non
prevede  che non possa partecipare al giudizio direttissimo (sub fase
processuale)  il  giudice  che,  nella  sub  fase introduttiva, abbia
convalidato l'arresto ed applicato una misura cautelare.
    La  specialita'  del  rito  non  giustifica  ragionevolmente  una
diversa  disciplina rispetto a quella prevista nell'ambito della fase
delle indagini preliminari.
    Il principio costituzionale del giusto processo, sotto il profilo
dell'imparzialita' del giudice, non puo' trovare applicazione diversa
in  situazioni  simili  e,  pertanto,  sotto  questo profilo, subisce
indubbiamente  pregiudizio  dalla  previsione  che  sia  il  medesimo
giudice  a  procedere  alla convalida dell'arresto ed eventualmente a
decidere in materia cautelare e, poi, al giudizio di merito.
    Ne  consegue  che  si  sospetta della legittimita' costituzionale
dell'art.  34  del  codice di rito nella parte in cui non prevede che
non  possa  partecipare al giudizio direttissimo il giudice che abbia
convalidato l'arresto ed applicato una misura cautelare nei confronti
dell'imputato  in  relazione  agli  artt. 3,  24, secondo comma e 111
della Costituzione.