IL TRIBUNALE Ha reso la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 6137 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2002 avente ad oggetto: responsabilita' di magistrati tra avv. Michele Troisi, rappresentato e difeso da se' stesso, e domiciliato presso il sindacato Faisa Cisal in Napoli, alla via Cumana, 14, attore e il Ministero della giustizia e la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona rispettivamente del Ministro p.t. e del Presidente del Consiglio pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli presso cui domiciliano in Napoli alla via A. Diaz, 11, convenuti. Il collegio, letti gli atti, udite le parti nella camera di consiglio in data 5 febbraio 2003, sentito il giudice relatore; Ritenuto in fatto ed in diritto 1 - All'esito di declaratoria giusta ordinanza del 12 luglio 2002, per un coacervo di motivi, della nullita' della citazione originaria (a seguita della notifica della quale l'amministrazione non si era costituita), con «atto di citazione in rinnovazione» notificato il 7 ottobre 2002 l'avv. Michele Troisi, avendo per conto di una cliente intimato sfratto per morosita' e contestualnente citato la controparte per la convalida innanzi al Tribunale di Avellino per l'udienza del 10 ottobre 2001, rappresentava di avere, dopo l'iscrizione a ruolo avvenuta il 9.10, richiesto ad un avvocato proprio corrispondente di verificare presso la cancelleria l'assegnazione della causa ad uno dei magistrati e la data effettiva dell'udienza di convalida. Dalle informazioni fornite dalla cancelleria nelle date del 10, dell'11 e del 12 ottobre la causa non risultava ancora assegnata. Senonche' emergeva nella successiva data del 16 ottobre lo stesso 12 ottobre alle ore 9.30 la causa era risultata assegnata (evidentemente dal magistrato dirigente) ad un giudice nominativamente indicato in citazione, mandata in udienza lo stesso giorno alle ore 11 e da quest'ultimo magistrato dichiarata estinta per la mancata comparizione. Il dirigente la cancelleria, alla richiesta di spiegazioni, aveva opposto, seppur cortesemente, un «muro di gomma». Il giudice designato, investito di istanza scritta volta ad ottenere una rimessione sul ruolo o una rimessione in termini, aveva rigettato la stessa in stile «burocratese» senza ascoltare l'istante. L'avv. Troisi rappresentava di essersi visto, a seguito dell'accaduto, revocare il mandato dalla propria cliente, con perdita dell'onorario non percepito e delle spese anticipate; rappresentava essere stato il comportamento dell'ufficio giudiziario lesivo della dignita' forense; svolgeva deduzioni in ordine ai comportamenti della cancelleria, alla difettosa organizzazione del tribunale, alle questioni relative all'assegnazione della causa ed alle decisioni del giudice assegnatario di trattarla nella stessa data dell'assegnazione e di rigettare la successiva istanza defensionale. Conveniva quindi innanzi a questo tribunale il Ministero della giustizia (gia' originariamente convenuto con la citazione dichiarata nulla) e la Presidenza del Consiglio dei ministri (quale legittimata passiva ex art. 4, comma 1, legge n. 117 del 13 aprile 1988) per sentirli condannare in solido, «ciascuno per il proprio titolo e per le proprie sfere di competenza nelle descritte vicende», al risarcimento dei danni materiali, all'immagine ed esistenziale. Si costituivano le amministrazioni convenute, che deducevano con la comparsa di risposta come - prospettando l'attore «la responsabilita' dell'ufficio giudiziario nel suo complesso inteso come apparato amministrativo di cancelleria» ed altresi' «la responsabilita' per l'esercizio di funzioni giudiziarie» - permanesse la nullita' della citazione, nonostante la rinnovazione disposta sul punto, per non avere l'attore distinto «i fatti che fonderebbero la responsabilita' dell'ufficio da quelli in base ai quali invoca la responsabilita' ex legge n. 117/1998» e per non avere nominativamente individuato i magistrati responsabili. Deducevano le amministrazioni inoltre l'inammissibilita' dell'istanza, tra l'altro per non essere state rispettate le norme sulla competenza di cui all'art. 4, comma 1, legge n. 117/1998, che devolvono la causa esclusivamente al Tribunale di Roma. A sostegno della propria posizione l'Avvocatura produceva rapporto del Presidente del Tribunale di Avellino, da cui si evinceva che la causa era stata dallo stesso Presidente (evidentemente operante in tribunale senza riparto in sezioni del settore civile) assegnata al giudice predetto nella stessa data di iscrizione a ruolo 9 ottobre 2001, e che effettivamente l'inserimento dei dati nel sistema informatico a cura della cancelleria era avvenuta il 12 ottobre 2001 alle ore 9.30, epoca prima della quale la cancelleria non poteva dare notizia all'avv. Troisi o a suoi delegati. 2. - Onde pervenire alle successive statuizioni in ordine alla questione di competenza, deve il tribunale esaminare - nei limiti imposti dalla presente sede ordinatoria - le questioni relative alla validita' della citazione, si' come rinnovata, poste dalla difesa erariale. Al riguardo, deve ritenersi che, con la narrazione delle vicende sopra riepilogate, l'attore abbia assolto compiutamente all'indicazione dell'esposizione dei fatti ... costituenti le ragioni della domanda» (art. 163, comma 3, n. 4 c.p.c.), non essendo richiesto e, come meglio si dira', nel caso di specie forse neanche appieno possibile scindere fatti ascrivibili a responsabilita' dell'apparato amministrativo dell'ufficio giudiziario e fatti ascrivibili a magistrati, restando affidato alla decisione, ove alla stessa si dovesse pervenire dopo il vaglio di ammissibilita' e sulla base dell'eventuale istruttoria, stabilire la sussistenza di responsabilita' individuali e/o concorsuali (cfr., per l'alternativa, le stesse conclusioni della citazione). Ne' puo' ritenersi sussista nullita' per mancata indicazione nominativa dei magistrati ritenuti responsabili: infitti, e' ben evidente dalla lettura dell'atto di citazione che, oltre al giudice assegnatario nominativamente indicato, non e' ipotizzata altra responsabilita' che quella del presidente della sezione ossia, nel caso di specie, lo stesso presidente del tribunale, quale soggetto preposto alle assegnazioni, in quanto tale, in relazione alla carica, individuabile «per relationem», ed in fatto individuato (cfr. provvedimento di assegnazione con firma in atti). Tanto assorbe ogni valutazione in ordine al se l'eventuale effettiva omissione dell'indicazione nominativa dei magistrati ritenuti responsabili, precludendo la possibilita' normativamente prevista della comunicazione almeno 15 giorni prima dell'udienza, onde consentire il loro intervento in causa (art. 6, legge n. 117/1998), produca effetti processuali quali la nullita' della citazione (quale peculiare elemento costitutivo della domanda di cui al n. 4 del comma 3 dell'art. 163 c.p.c.) o altri. 3. - Acclarata la ritualita' del rapporto processuale, puo' passarsi all'esame delle questioni di competenza (rectius, di ammissibilita' in relazione al sussistere della competenza del giudice). In argomento, ritiene il tribunale che la disciplina in materia di competenza, quale apprestata dall'art. 4, legge n. 117/1988, benche' letta a fini interpretativi nel contesto dei principi desumibili dalla Costituzione e dal codice di procedura civile, ponga non manifestamente infondati dubbi di legittimita' costituzionale, rilevanti per il prosieguo del procedimento «de quo» e da sollevarsi d'ufficio innanzi alla Corte costituzionale. 4. - Per una illustrazione della questione - emersa in sede di discussione camerale e ben trattata dall'Avvocatura erariale nelle note all'esito depositate in data 17 marzo 2003 - puo', per brevita', richiamarsi anzitutto che gia' con ordinanza in data 8 novembre 1989, nel procedimento vertente tra Zarrelli Domenico ed il Ministero di grazia e giustizia ed altri (n. 72/1990 r.o., in Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale, n. 9 del 28 febbraio 1990), questo Tribunale di Napoli, in relazione agli artt. 24, 25 e 101 Cost., ebbe a sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, legge n. 117/1988, nella parte in cui «non prevede che il giudice ivi indicato, funzionalmente competente a giudicare delle domande di risarcimento contro lo Stato per fatti di magistrati, sia funzionalmente competente anche in relazione alle domande relative a fatti commessi da altri soggetti in concorso con magistrati, ovvero relative a fatti posti in essere di altri soggetti, ma intimamente connessi con le condotte dei magistrati». Con l'ordinanza di promovimento suddetta questo tribunale notava che l'art. 4 cit. «testualmente stabilisce soltanto una competenza funzionale per le domande relative ai comportamenti dei magistrati ma non prevede, a differenza di altre disposizioni» (e veniva all'uopo ricordato l'art. 11 c.p.p., ma puo' anche richiamarsi l'art. 41-bis del vecchio codice del rito penale) «alcuna vis attractiva per fatti connessi, e in particolare non prevede quindi analoga competenza funzionale in relazione alle domande proposte per fatti commessi da altri soggetti ma intimamente connessi, ovvero per i comportamenti posti in essere da altri soggetti in concorso con i magistrati». La questione - sollevata sul presupposto dell'applicabilita' dell'art. 4 quale norma processuale anche ai fatti occorsi antecedentemente alla sua entrata in vigore in base al principio tempus regit actum - fu dichiarata dalla Corte costituzionale inammissibile (con sentenza 22 ottobre 1990, n. 468, in Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale, n. 43 del 31 ottobre 1990) ritendosi la norma stessa irretroattiva, in quanto inserita in un insieme disciplinare organico e non scindibile, dichiarato applicabile solo in futurum e non, come assumeva il remittente, secondo il principio tempus regit actum. In dottrina, si noto' come la questione fosse allora destinata, con molte probabilita', a riproporsi. 5. - Come notato dall'Avvocatura erariale con le note depositate il 17 marzo 2003, l'attore nel presente giudizio ha, infatti, evidenziando una fattispecie in cui rileva la cennata questione, introdotto domande contro due diverse Amministrazioni dello Stato: la prima contro il Ministero della giustizia, con addentellato fattuale nell'asserito comportamento dell'ufficio giudiziario nel suo complesso (e, specificamente, degli addetti alla cancelleria che sarebbero venuti meno agli obblighi informativi); la seconda incentrata sulla pretesa responsabilita' di uno (o piu) magistrati (uno nominativamente individuato ed assegnatario della causa, l'altro individuabile per relationem nel capo dell'ufficio con funzioni anche di presidente di sezione). Ad avviso dell'Avvocatura, peraltro, le cause parrebbero allo stato fondarsi su titoli autonomi, benche' in prosieguo [sic] potrebbe ravvisarsi una comunanza di titoli (anche in relazione agli obblighi di sorveglianza dei Presidenti di sezione sulle cancellerie), ovvero causae petendi in rapporto di pregiudizialita'. L'Avvocatura ha, da un lato, richiamato gli auspici formulati dalla dottrina nel senso dell'estensione delle garanzie di cui alla legge n. 117/1988 ai compiti organizzativi, dirigenziali e di sorveglianza dei magistrati sulle cancellerie. D'altro lato, l'Avvocatura non ha condiviso le preoccupazioni espresse in dottrina, all'indomani della sentenza di inammissibilita' della Corte costituzionale n. 468 del 1990 cit., nel senso che, non essendo prevista dalla legge alcuna competenza funzionale per fatti commessi da altri soggetti ma connessi a quelli posti in essere dai magistrati, «data la stretta interdipendenza tra le condotte ... inevitabilmente il tribunale verrebbe a valutare le condotte dei colleghi della stessa Corte d'appello». Tale ultima preoccupazione, posta in relazione alla diversa disciplina dell'art. 4, legge n. 117/1998 (ritenuta mancante di disposizioni in tema di vis attractiva) rispetto all'art. 11 c.p.p. (che dispone in tema di vis attractiva), e' stata reputata dalla difesa erariale poco pertinente, in quanto, mentre in ambito processualpenalistico le ipotesi di connessione abbracciano l'intero coacervo di reati commessi in concorso o cooperazione tra piu' soggetti, con articolazioni varie previste dal diritto sostanziale e processuale penale (tra le quali le ampie figure della connessione teleologica e funzionale tra reati), in ambito processualcivilistico la connessione sarebbe «tendenzialmente intesa in senso piu' restrittivo», presupponendo «una pluralita' di diritti ... fondati sullo stesso fatto storico ovvero sull'identico rapporto giuridico»; non potrebbe derivare, in tal senso, dalla mancata previsione di una competenza funzionale per i fatti connessi a quelli posti in essere nell'esercizio della funzione giurisdizionale, una questione di costituzionalita' come quella ipotizzata da questo tribunale con la precedente ordinanza del 1989. In definitiva, l'Avvocatura dello Stato ha ritenuto che, nel caso di specie, il collegio debba procedere alla separazione delle cause, ritenendo la propria competenza e disponendo la prosecuzione del giudizio in ordine alla domanda contro il Ministero della giustizia, dichiarando, invece, l'inammissibilita' della domanda contro la Presidenza del Consiglio dei ministri (afferente ai comportamenti dei magistrati, anche - e' da intendersi - per eventuali responsabilita' dirigenziali, di sorveglianza e/o organizzative) in quanto proposta innanzi a giudice incompetente, nonche' indicando come competente il Tribunale di Roma. Nel sostenere un siffatto esito processuale, l'Avvocatura dello Stato espressamente si e' richiamata alla tesi accolta da Cass. 14 gennaio 2000, n. 347, pronuncia gia' sottoposta al contraddittorio dal tribunale in sede camerale, con la quale - pur afferente ad un diverso caso di cumulo di azioni risarcitorie proposte da uno stesso soggetto contro lo Stato ai sensi dell'art. 2, legge 13 aprile 1988, n. 117, e contro il magistrato ai sensi dall'art. 13 della stessa legge, la prima fondata sul comportamento doloso o gravemente colposo posto in essere dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni, la seconda sulla commissione, da parte del medesimo e nell'esercizio delle sue funzioni, di un fitto costituente reato - si e' affermato che una siffatta proposizione cumulativa di cause contro piu' soggetti non sarebbe sufficiente a costituire un vincolo di connessione tra le stesse, essendo necessario che le cause siano connesse per l'oggetto o per il titolo, e non rilevando che vi sia una mera connessione probatoria tra i comportamenti agli stessi soggetti attribuiti; pertanto, le relative cause non essendo connesse, il giudice puo' legittimamente separare la prima causa dalla seconda per deciderla e rimettere la decisione su quest'ultima al giudice competente. 6. - Cio' posto, ritiene il tribunale che le argomentate osservazioni dell'Avvocatura dello Stato non facciano venir meno i cennati dubbi, non manifestamente infondati, di incostituzionalita' della disciplina di cui all'art. 4 predetto. Rileva anzitutto il collegio che l'art. 4 attribuisce, secondo un criterio di competenza funzionale, al giudice individuato ex art. 11 c.p.p. le cause di responsabilita' civile dei magistrati, non anche le cause di cui innanzi che, per brevita', nel prosieguo si indicheranno come «connesse». Attraverso tale espressione il tribunale intende riferirsi al rilievo, gia' in sostanza svolto con l'ordinanza di promovimento del 1989, che la norma non prevede che il tribunale dalla norma stessa indicato, funzionalmente competente a giudicare sull'azione contro lo Stato di risarcimento del danno cagionato nell'esercizio delle funzioni giudiziarie per effetto di un comportamento, un atto o un provvedimento di un magistrato, sia competente anche per le cause successivamente o (come nel caso di specie) cumulativamente proposte che alle prime siano connesse per oggetto o per il titolo. La norma neppure prevede che analogamente - in assenza di proposizione iniziale di domanda contro la Presidenza del Consiglio - detto tribunale sia competente per le cause - per le quali sembrano porsi le medesime esigenze di cui appresso - anche autonomamente proposte contro il Ministero della giustizia (o gli altri Ministeri in cui sono incardinate organizzazioni giudiziarie - cfr. art. 3, comma 3, legge n. 89 del 2001) che comunque siano relative a fatti commessi da altri soggetti in concorso con magistrati, o a fatti commessi da altri soggetti e da magistrati che, con condotte teleologicamente o funzionalmente collegate o anche indipendenti (cfr. art. 12, c.p.p.), abbiano determinato il danno. In altri termini, il dubbio di costituzionalita' investe la circostanza che la norma non si fa carico di devolvere al tribunale ex art. 11 c.p.p. tutte le «domande proposte per fatti commessi da altri soggetti, ma intimamente connessi, ovvero per i comportamenti posti in essere da altri soggetti in concorso con i magistrati» (cosi' l'ordinanza del 1989), in un'accezione di connessione (del tutto affine a quella di cui all'art. 12 c.p.p.) che contempla anche i nessi teleologici e funzionali tra le condotte generatrici di responsabilita', anche in assenza di contemporanea pendenza delle diverse liti, e della quale pare doversi tener conto per la salvaguardia dei valori costituzionali di cui in appresso. 7. - A tale riguardo, deve preliminarmente illustrarsi un profilo non sottolineato con l'ordinanza di promovimento del 1989, con la quale peraltro questo tribunale si confrontava con altro testo normativo, che significativamente rinviava - ma solo per mutuarne le modalita' di individuazione del tribunale del capoluogo del distretto della Corte d'appello piu' vicino - alla legge 22 dicembre 1980, n. 879, modificatrice del c.p.p. abrogato in tema di competenza su reati commessi da magistrati e connessi. Rispetto all'epoca, e' intervenuta sul testo normativo dell'art. 4 cit. la modificazione operata dall'art. 3, legge 2 dicembre 1998, n. 420. Anche in tale testo, l'art. 4 non sembra consentire alcuna interpretazione adeguatrice, idonea a fugare i dubbi di costituzionalita', nel senso che essa norma sia tale da devolvere al giudice di cui all'art. 11 c.p.p. anche le cause «connesse». Invero, l'unico elemento della disciplina legale che, astrattamente, potrebbe condurre l'interprete ad un siffatto risultato ermeneutico sembra costituito dal dato per cui, dopo la modifica legislativa del 1998, l'art. 4, legge n. 117/1988 richiama l'art. 11 c.p.p., norma quest'ultima che, a sua volta, dichiara la competenza del giudice ivi indicato anche per le cause «connesse». In concreto, pero', deve escludersi la possibilita' di una interpretazione che accrediti che il rinvio operato dall'art. 4, legge n. 117/1988 all'art. 11 c.p.p. valga a richiamare anche la disciplina della connessione contenuta in questa seconda norma. L'art. 4, legge n. 117/1988, come modificato dalla legge del 1998, infatti, nell'intento di indicare il giudice competente per una ed una sola categoria di controversie (indicata nella norma univocamente come «azione di risarcimento del danno contro lo Stato», con evidente richiamo all'art. 2 della stessa legge n. 117), ha operato un rinvio «selettivo» all'art. 11 c.p.p. al solo fine di recepirne le modalita' di individuazione del tribunale competente. Per come la norma dell'art. 4 si presenta all'interprete dal punto di vista letterale e logico («Competente e' il tribunale del capoluogo del distretto della Corte d'appello, da determinarsi a norma dell'art. 11 del c.p.p. e dell'art. 1 delle norme di att.»), ad essa puo' farsi dire solo quanto dice (cioe' che il tribunale di cui all'art. 11 c.p.p. e' competente, in virtu' del rinvio, per «l'azione di risarcimento del danno contro lo Stato» derivante da responsabilita' di magistrati), non anche quanto, in effetti, non dice (cioe' che il giudice indicato come competente per l'azione di risarcimento predetta dell'art. 4, legge n. 117, in virtu' del residuo contenuto disciplinare dell'art. 11 c.p.p., che non forma «oggetto» del «rinvio selettivo», sarebbe competente anche per le cause «connesse»). Analoga lettura andava, del resto, operata in relazione al precedente testo (in relazione al quale la disciplina, «selettivamente» richiamata dall'art. 4 cit., della legge 22 dicembre 1980, n. 879, modificatrice del c.p.p. previgente in tema di reati commessi da magistrati, conteneva essa stessa elementi normativi non richiamati in materia di connessione). 8. - Posto, dunque, che l'art. 4, legge n. 117/1988 affida - anche dopo la modifica del 1998 - al giudice di cui all'art. 11 c.p.p., funzionamente competente, le sole cause risarcitorie contro lo Stato fondate su responsabilita' dei magistrati, rileva il Tribunale che nel caso di specie - per quanto puo' affermarsi nella presente sede ordinatoria, nella fase camerale di ammissibilita', ed ai limitati fini del giudizio di rilevanza del dubbio di legittimita' costituzionale - le cause cumulate introdotte dalle domande attrici sono connesse per oggetto e per titolo (petitum e causa petendi), trattandosi in sostanza della stessa causa nei confronti di due convenuti aventi ciascuno una legittimazione propria a resistere (il titolo dell'unico petitum risarcitorio essendo da individuarsi una prospettata complessiva disfunzione organizzativa cui concorrerebbero, per quanto di rispettiva spettanza, le diverse figure professionali di magistratura, ad un tempo nell'esercizio di poteri organizzativi e giudiziari, e di cancelleria - cfr. ad es. per gli obblighi di sorveglianza l'art. 47-quater ord. giud. come inserito dall'art. 13 d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51). La giurisprudenza conosce piu' esempi di tale tipologia di connessione (ad es. la diffusa azione del danneggiato in incidente automobilistico contro conducente e proprietario dell'autoveicolo, oltre che contro la compagnia di assicurazioni per la r.c.a.). Nel caso di specie, anche l'Avvocatura erariale (pero' non condivisibilmente affermando che cio' rileverebbe solo in prosieguo di causa) ammette la connessione per il titolo in relazione ai profili di concorsualita' di condotte dedotti: e si noti che, oltre che nei fattori organizzativi operanti a priori, una siffatta connessione e' rilevabile, in base alla prospettazione che sola in questa fase rileva, in riferimento a posteriori all'istanza avanzata dall'istante al giudice volta ad ottenere la rimozione degli effetti della condotta ritenuta pregiudizievole (cfr. ad es. Cass. 19 maggio 1972, n. 1542, secondo cui vi e' connessione per titolo anche quando siano anche solo parzialmente identici i fatti costitutivi). A prescindere da quanto innanzi, rileva il tribunale che le azioni sono sicuramente connesse tra loro quantomeno per l'oggetto, come si evince dalla relativa quaestio voluntatis, di spettanza di questo giudice di merito, fondata sulla surriportata descrizione dei fatti e delle istanze, atteso che il medesimo petitum risarcitorio e' azionato nei confronti dei due Ministeri, ciascuno legittimato a resistere, l'uno per l'organizzazione dei servizi della giustizia, l'altro per responsabilita' dei magistrati. Ne deriva che - dovendo affermarsi in ogni caso la connessione nel caso esaminato da questo tribunale - per cio' solo resta esclusa la possibilita' di un'applicazione, invocata dall'Avvocatura dello Stato, dell'orientamento giurisprudenziale (fondato sulla mancanza di connessione) di cui alla sent. della Cass. n. 347 del 2000, cit., senza che sia necessario o consentito a questo collegio piu' approfonditamente dire in ordine all'eventuale sussistere nel caso ivi esaminato dalla S.C. di una connessione per oggetto o titolo. 9. - Sussistendo, nel caso di specie, connessione oggettiva tra le azioni nei confronti dei due Ministeri, va applicato il parametro normativo di riferimento di cui all'art. 33 c.p.c. (pacificamente applicabile anche in procedimenti che, quale quello di cui alla legge n. 117/1988, siano articolati in una fase di ammissibilita' camerale ed una successiva ed eventuale di merito - cfr. ad es. Cass. 19 maggio 1981, n. 3286). All'interno di tale parametro disciplinare, e' consentito il cumulo soggettivo di cause connesse per l'oggetto o per il titolo innanzi allo stesso giudice solo se le cause potrebbero proporsi davanti a giudici diversi «a norma degli artt. 18 e 19» c.p.c., ossia nei fori generali delle persone fisiche e giuridiche. Non opera invece la deroga alla competenza ordinaria qualora una delle cause debba proporsi innanzi a giudice individuato secondo un criterio di competenza territoriale inderogabile o funzionale, come avviene nel caso in esame per l'azione nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri. Nel caso in esame, dunque, questo Tribunale di Napoli individuato ex art. 25 c.p.c. quale foro della pubblica amministrazione in relazione alla proposizione della domanda nei confronti del Ministero della giustizia, non essendo la domanda cumulata avanzata contro la Presidenza del Consiglio dei ministri devoluta ad un giudice competente in base a foro generale, bensi' in base ad un criterio di natura funzionale, dovrebbe - con provvedimento che involge separazione di cause - dichiarare la (inammissibilita' per) incompetenza in ordine a quest'ultima pretesa relativa a responsabilita' per l'organizzazione dei servizi della giustizia, da proporre innanzi al Tribunale di Roma, procedendo nell'esame di ammissibilita' e, eventualmente, di merito della prima pretesa per responsabilita' dei magistrati, non sussistendo neppure i presupposti per sospendere il relativo procedimento ex art. 295 c.p.c. in quanto la sua definizione non dipende dalla decisione dell'altro. 10. - Tale essendo, dunque, l'esito processuale cui condurrebbe l'applicazione, nel vigente quadro normativo processuale, dell'art. 4 legge n. 117/1988 al caso di specie, deve rilevarsi come la norma stessa, non suscettibile sul punto per quanto detto di interpretazione adeguatrice, paia - in maniera non manifestamente infondata per quanto si dira' - contrastare con piu' parametri di legittimita' costituzionale. Anzitutto, come gia' rilevato con l'ordinanza di promovimento del 1989, il legislatore, stabilendo la competenza funzionale ex art. 4 legge cit., ha inteso tutelare l'imparzialita-terzieta' (anche sotto il profilo della mera apparenza) del giudizio nell'interesse del cittadino-attore, evitando che le domande di danno vadano proposte innanzi a giudici appartenenti alla stessa Corte di appello ove e' in servizio il magistrato del cui operato si discute, fissando quale giudice naturale della domanda un tribunale individuato secondo un criterio predeterminato dalla legge stessa. «Ne consegue - rilevava questo Tribunale, con rilievo che puo' oggi reiterarsi - che se le domande per fatti intimamente connessi, o commessi da altri soggetti in concorso con magistrati; dovessero essere giudicate dal tribunale [localizzato nel distretto] della Corte d'appello cui appartiene il giudice della cui condotta si discute, attesa la strettissima interdipendenza esistente tra le condotte degli altri soggetti e quelle dei magistrati, non scindibili le une dalle altre, inevitabilmente il tribunale verrebbe a valutare le condotte dei colleghi della stessa Corte d'appello. In tale situazione si palesa costituzionalmente illegittimo, perche' in contrasto con l'art. 25 della Costituzione, l'art. 4 in esame, nella parte in cui non prevede che il giudice ivi indicato sia competente anche per le domande relative ai fatti commessi da altri soggetti in concorso con magistrati ovvero per le domande relative a fatti posti in essere da altri soggetti, e intimamente connessi con le condotte dei magistrati. E invero, poiche' l'art. 25 della Costituzione stabilisce che nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge, in buona sostanza si verificherebbe, per via indiretta, una sottrazione al giudice ex art. 4 della competenza a giudicare dei comportamenti illeciti dei magistrati, dei quali verrebbe a occuparsi appunto un magistrato appartenente alla stessa Corte d'appello del giudice della cui condotta si discute. Il che il legislatore ha voluto evitare nell'interesse del cittadino attore in giudizio. Ne' si dica che tale valutazione tutto sommato sarebbe effettuata soltanto incidenter tantum: sembra infatti evidente che, li' dove per ragioni di imparzialita', il legislatore ha stabilito una particolare competenza funzionale, anche il giudizio incidenter tantum e' precluso, essendosi in buona sostanza voluto evitare un qualsiasi esercizio di attivita' giurisdizionale da parte del giudice appartenente alla stessa Corte d'appello» (cosi' Trib. Napoli, ord. 8 novembre 1989, cit.). A tali rilievi puo' oggi aggiungersi, da parte di questo collegio, che non tratterebbesi soltanto, in mancanza di una declaratoria di incostituzionalita' come prospettata, di consentire che la norma preveda giudizi incidenter tantum da parte di giudici sulle condotte di colleghi della stessa Corte d'appello; il che, in un'ottica di bilanciamento tra il principio costituzionale di imparzialita-terzieta' della giurisdizione e quelli concernenti il diritto di agire e difendersi in giudizio (evocata nel settore civilistico, in riferimento all'art. 30-bis c.p.c., da ultimo da Corte cost. 12 novembre 2002, n. 444), potrebbe al limite trovare qualche tolleranza, pur in presenza dei gravi rischi di appannamento dell'immagine di imparzialita-terzieta' connessi agli effetti «riflessi» che il giudicato sui fatti connessi potrebbe avere su quelli inerenti la responsabilita' dello Stato per le condotte dei magistrati. A ben vedere, infatti, sono molteplici i nessi di connessione ipotizzabili tra condotte di magistrati (anche nell'espletamento di compiti dirigenziali, di sorveglianza e/o organizzativi, cui questo tribunale, in consonanza con la dottrina, ritiene poter estendere in via gia' solo interpretativa le cautele di cui alla legge 117 del 1998, attraverso una lettura ampia del concetto di «funzioni» giudiziarie di cui all'art. 1 della stessa legge) e le condotte di altri soggetti, in particolare appartenenti al personale amministrativo del Ministero della giustizia ed alle forze dell'ordine, spesso con funzioni di polizia giudiziaria: nella maggior parte di casi di «connessione», quali innanzi descritti, allorche' il giudice sia chiamato a valutare un comportamento di soggetto sottoposto a sorveglianza (ad es., nel caso di specie, il cancelliere sottoposto a sorveglianza del presidente ex art. 47-quater ord. giud.) o direzione (ad es. l'appartenente alla p.g. sottoposto a direzione del p.m. ex artt. 109 Cost. e 59 c.p.p.) di magistrati, ovvero comportamenti concorsuali di altri soggetti e magistrati (come nella materia dell'organizzazione e dell'andamento degli uffici), esso giudice si trovera' di fronte a responsabilita' solidali, nel quadro di applicabilita' dell'art. 2055 c.c. (ed in tale quadro era sussumibile la stessa prospettazione di condotte concorsuali esaminata dall'ordinanza di promovimento del 1989). Dunque, una volta valutata favorevolmente da parte dei giudici della stessa Corte d'appello la condotta dei corresponsabili solidali, con agio lo Stato convenuto con l'azione ex legge n. 117 del 1998 ovvero il magistrato intervenuto in causa o convenuto in rivalsa (per l'azione di rivalsa pure essendo competente il giudice ex art. 11 c.p.p. - cfr. art. 8, legge n. 117 del 1988) potrebbero avvalersi, innanzi al predetto giudice naturale ex art. 11 c.p.p., tale individuato a cagione del maggiore coefficiente di apparenza di imparzialita-terzieta', del disposto dell'art. 1306 c.c., opponendo il giudicato formatosi, con minori garanzie di imparzialita-terzieta', nella Corte d'appello di provenienza del magistrato della cui condotta si discute. 11. - Puo' altresi' soggiungersi che, per le medesime argomentazioni, la norma denunciata pare oggi porsi anche in contrasto con il precetto di cui all'art. 111 Cost., che - nel testo novellato dopo la precedente ordinanza di promovimento, enuncleandosi principi costituzionali preesistenti - prescrive che ogni processo deve svolgersi davanti ad un giudice «terzo ed imparziale», regola strettamente correlata - come insegna la Consulta - alla posizione costituzionale della magistratura quale ordine indipendente (artt. 101 ss. Cost., anch'essi dunque violati - cfr. gia' in tal senso l'ordinanza di questo tribunale del 1989). E' evidente, infatti, che in tutte le ipotesi di cause «connesse» come innanzi descritte, nelle quali quasi sempre entra in gioco la responsabilita' solidale e, quindi, l'opponibilita' dell'altro giudicato, il giudice individuato in base alla disciplina ordinaria, per il difetto dell'estensione della competenza ex art. 4, legge n. 117 del 1998 anche alle cause «connesse» medesime, non si presenterebbe agli occhi del cittadino munito dei necessari requisiti di terzieta-imparzialita', dovendo giudicare nei confronti del Ministero della giustizia su fattispecie interdipendente rispetto a quella sottratta alla sua cognizione in quanto proposta contro la Presidenza del Consiglio dei ministri. 12. - Parrebbe, altresi', violato l'art. 3 Cost., sotto il profilo dell'irragionevolezza e della disparita' di trattamento, non essendo logico ne' coerente con il principio di eguaglianza, in assenza di congrue differenziazioni, che il medesimo cittadino debba rivolgersi a due istanze giurisdizionali separate, per la disamina dei medesimi fatti cui concorrano magistrati, trovandosi peraltro esposto a diversi gradi di tutela della terzieta-imparzialita' del giudice, pur in presenza (attraverso l'esposto meccanismo della responsabilita' in solido) di influenza del giudicato reso in un processo su quello reso nell'altro. Pur nella consapevolezza della non comparabilita' del regime della connessione nel processo penale con quello accolto in ambito processualcivilistico (sottolineata dall'Avvocatura dello Stato e che non necessita di asseverazione), il Collegio a tal proposito non puo' non rilevare che l'art. 11 c.p.p., a fronte di simili esigenze di tutela del principio costituzionale di imparzialita-terzieta' del giudice, strettamente correlato alla posizione costituzionale della magistratura quale ordine indipendente (artt. 101 ss. Cost.), ha fornito una sistemazione razionale alla materia della competenza per connessione, non contemplata, invece, dalla norma denunciata di cui alla legge n. 117 del 1988. In relazione alla disciplina processualpenalistica, non puo' non sottolinearsi come per fatti di magistrati costituenti reato - pur essendo le relative azioni risarcitorie rette dalle norme ordinarie (art. l3, legge n. 117 del 1988, disciplina peraltro non coordinata con l'abrogazione dell'art. 3 c.p.p. del 1930 ad opera del nuovo c.p.p.) - comunque i danneggiati debbano agire, ove optino per l'esercizio dell'azione civile nel processo penale, innanzi al tribunale ex art. 11 c.p.p. che sara' competente, come gia' chiarito, anche per i reati connessi commessi da altri soggetti, nel quadro dell'ampia nozione di connessione di cui all'art. 12 c.p.p. Va d'altronde detto che il legislatore sempre piu' mostra consapevolezza, anche in settori diversi da quello penale, dell'esigenza di assicurare l'immagine di imparzialita-terzieta' della giurisdizione attraverso il radicamento nella sede di cui all'art. 11 c.p.p. persino di controversie risarcitorie che solo in alcuni casi possono sottendere responsabilita' individuali di magistrati: in tal senso, a prescindere dalla generale innovazione di cui all'art. 30-bis c.p.c., puo' ricordarsi che l'art. 3 della legge 24 marzo 2001, n. 89, che ha previsto una equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo, ha stabilito che la domanda di equa riparazione si propone dinanzi alla corte di appello del distretto in cui ha sede il giudice competente ai sensi dell'art. 11 del codice di procedura penale a giudicare nei procedimenti riguardanti i magistrati nel cui distretto e' concluso o estinto relativamente ai gradi di merito ovvero pende il procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata. A ben vedere, anche cause volte ad ottenere un'equa riparazione come innanzi possono presentare profili di collegamento con condotte dannose di magistrati o anche di altri soggetti partecipanti all'amministrazione della giustizia, quantomeno dal punto di vista della responsabilita' per danno erariale e disciplinare: ed in tal senso la stessa legge del 2001, all'art. 5, prescrive che il decreto di accoglimento della domanda sia comunicato a cura della cancelleria, oltre che alle parti, «al procuratore generale della Corte dei conti ai fini dell'eventuale avvio del procedimento di responsabilita', nonche' ai titolari dell'azione disciplinare dei dipendenti pubblici comunque interessati dal procedimento». E' evidente, in quest'ottica, che il foro di cui all'art. 11 c.p.p. garantisce, in vista di tali possibili esiti pregiudizievoli anche per i magistrati, quell'imparzialita-terzieta' rafforzata che deriva dalla lontananza di sede, la quale - per evidenti esigenze di parita' di trattamento e ragionevolezza - pure avrebbe dovuto essere assicurata per le cause «connesse» a quelle di danno contro lo Stato ex art. 118 del 1988. 13. - Le difficolta' che l'art. 4, legge n. 117 del 1988 pone per l'esercizio della tutela giurisdizionale potrebbero anche incidere sulla garanzia apprestata dall'art. 24 Cost. del diritto d'azione, che verrebbe pregiudicato dall'impossibilita' per l'attore di avvalersi del simultaneus processus, e dalla necessita' di sostenere i costi di separati giudizi, con lungaggini idonee anche ad incidere sulla durata ragionevole del processo garantita dall'art. 111 Cost., anche per tale via violato. 14. - La rilevanza della questione emerge gia' da quanto sopra esposto in ordine ai diversi esiti processuali che la presente lite avrebbe a seconda della conformita' a Costituzione del vigente art. 4, legge n. 117 del 1988 ovvero della sua incostituzionalita', nella parte in cui non prevede che anche la domanda proposta nei confronti del Ministero della giustizia debba essere conosciuta dal giudice di cui all'art. 11 c.p.p. 15. - Va dunque sollevata l'anzidetta questione, d'ufficio, e - ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - sospeso il procedimento nelle more della delibazione di spettanza del Giudice delle leggi.